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Classici: Ajax - Juventus '73
09 apr 2019
Abbiamo rivisto la finale della Coppa dei Campioni del 1973.
(articolo)
23 min
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La Juventus più vincente della storia è quella attuale, capace di vincere sette scudetti consecutivi e in procinto di conquistare l’ottavo: una squadra, quella di questi anni, che è riuscita a far meglio di quella del quinquennio 1930-35, in grado di vincere 5 campionati di fila. Poi, nell’Olimpo bianconero ci sono squadre capaci di aprire dei mini-cicli, vincendo 3 scudetti nell’arco di 4 stagioni: squadre rimaste nella memoria dei tifosi, come la Juventus di Boniperti, Sivori e Charles a cavallo tra gli anni ’50 e gli anni ’60; quella di Trapattoni degli anni ’80 e quella di Marcello Lippi negli anni ’90. Ma ce n’è ancora un’altra, meno celebrata, che all’inizio degli anni ’70 riuscì a vincere 3 scudetti in 4 anni e a giungere addirittura a un passo dalla conquista della Coppa dei Campioni.

La Juventus dell’inizio degli anni ‘70

Nel 1970 la Juventus non vince lo scudetto ormai da tre anni ed è reduce da due terzi posti e un quinto posto nei campionati precedenti. Giampiero Boniperti decide di rivoluzionare e ringiovanire la squadra inserendo in rosa, tra gli altri, il ventiquattrenne Fabio Capello, il ventunenne Franco Causio e i ventenni Roberto Bettega e Luciano Spinosi.

La squadra è affidata al trentacinquenne Armando Picchi, leggendario libero dell’Inter di Helenio Herrera, il più giovane allenatore del campionato. Dopo soli 6 mesi di attività, nel febbraio del 1971, Picchi è costretto a lasciare la panchina per un ricovero in ospedale finalizzato, come recita il comunicato della Juventus, a «prove ed esami di laboratorio». Il 3 gennaio aveva seguito senza il cappotto il match tra la Juve e la Lazio giocata in un gelido pomeriggio di Torino a una temperatura di -10°C e ha avvertito un dolore alla schiena che ha attribuito al freddo, ma che è continuato dopo e non è sparito. Non tornerà più in campo e il 26 maggio muore a Sanremo per un tumore alla colonna vertebrale.

Due anni dopo, la semina di Picchi ha dato un raccolto del tutto insperato. È il 30 maggio del 1973 e la Juventus affronta al Marakana di Belgrado l’Ajax nella finale della Coppa dei Campioni.

Armando Picchi con la tuta d’allenamento della Juventus.

La Juventus arriva nella capitale jugoslava forte della vittoria del suo secondo Scudetto consecutivo, conquistato durante l'ultima giornata più emozionante della storia della Serie A. Quando mancano 6 turni alla fine, con la vittoria che all’epoca valeva solo 2 punti, la Juventus è terza a 5 punti dal Milan capolista e a 2 punti dalla Lazio seconda in classifica. Il Milan sbanda, la Juve le vince tutte e alla vigilia dell'ultima giornata la classifica recita: Milan 44, Juve e Lazio 43.

Le tre squadre sono impegnate in trasferta rispettivamente contro Verona, Roma e Napoli. Alla fine del primo tempo il Milan è clamorosamente in svantaggio per 3-1, la Juve, in enorme difficoltà contro la Roma, perde per 1-0, mentre a Napoli la Lazio è ferma sullo 0-0. Mentre il Milan continua a precipitare, andando sotto addirittura per 5-1 a un quarto d'ora dalla fine, generando così il mito negativo della “fatal Verona”, José Altafini pareggia per i bianconeri, con il suo consueto gol da subentrante. Fino a 3 minuti dal termine si profila un incredibile arrivo a quota 44 di tutte e tre le squadre, ma all’ottantasettesimo una botta sotto l'incrocio di Antonello Cuccureddu consegna lo scudetto ai bianconeri, con la Lazio che addirittura perde il suo match per il gol all’ultimo subito da “Flipper” Damiani.

La Juve è giunta in finale di Coppa dei Campioni dopo avere eliminato abbastanza agevolmente nei primi due turni l’Olympique Marsiglia e i tedeschi dell’est del Magdeburgo. Nei quarti di finale la Juventus trova un osso durissimo negli ungheresi dell’Ujpesti Dózsa, a quei tempi dominatori, con 7 campionati vinti consecutivamente dal 1969 al 1975, di un calcio ancora di buonissimo livello dopo i fasti degli anni ’50 e il successivo declino degli anni ’90. Dopo lo 0-0 a Torino, a Budapest la Juventus si ritrova sotto per 2-0 dopo soli 12 minuti, ma riesce a recuperare con i gol di Altafini e “Petruzzu” Anastasi e infine a resistere agli assalti ungheresi.

In semifinale è il turno del Derby County di Brian Clough, che viene eliminato dopo un doppio confronto reso celebre anche dalle pagine del meraviglioso libro di David Peace “Il maledetto United”. A Torino i bianconeri vincono per 3-1, con doppietta del solito Altafini, e poi resistono al durissimo assalto avversario al Baseball Ground di Derby, dove la squadra di Clough sbaglia anche un calcio di rigore a inizio secondo tempo, pareggiando per 0-0.

Il prepartita a Torino di Juventus-Magdeburgo con i capitani Sandro Salvadore e Manfred Zapf.

L’allenatore della Juve è il boemo Cestmir Vycpalek, giunto sulla panchina bianconera quasi per caso. Nel 1944, nel pieno della sua attività calcistica con lo Slavia Praga, viene deportato nel campo di concentramento di Dachau. Alla fine della guerra viene acquistato dalla Juventus, dove gioca un solo anno per poi passare al Palermo in Serie B. Palermo diviene la sua casa, a fine carriera va a vivere a Mondello e allena proprio i rosanero, per poi vagare tra le categorie minori.

Nel 1969 Vycpalek accoglie a casa sua il nipote, il figlio di sua sorella, Zdenek Zeman, che proprio nelle giovanili del Palermo inizia la sua carriera di allenatore. Nel 1970, esonerato dal Mazara in Serie D, riceve la proposta del suo vecchio compagno di squadra Giampiero Boniperti, di passaggio a Palermo per una trasferta della Juventus, di occuparsi del settore giovanile bianconero. Accetta, e quando Armando Picchi è costretto a lasciare la panchina tocca proprio a lui, che fino a un anno prima allenava tra i dilettanti, guidare la Juventus.

Nel 1971-72 i bianconeri, a cinque anni dalla loro ultima vittoria, conquistano lo scudetto che schiude le porte verso la Coppa dei Campioni e la finale di Belgrado. La vittoria però è rovinata da un tragico avvenimento: due giorni prima della terzultima giornata di campionato, il figlio di Vycpalek, Cestmir jr. detto “Cestino”, muore nel disastro aereo di Montagna Longa, nei pressi dell’aeroporto palermitano di Punta Raisi.

Il piazzale antistante lo Stadio Renzo Barbera di Palermo è intitolato a Cestmir Vycpalek, a testimonianza del fortissimo legame tra l’allenatore boemo, indicato nella targa toponomastica come “maestro di valori educativi”, e la città siciliana.

Il grande Ajax

La Juventus è una squadra giovane e relativamente inesperta in campo internazionale. L’Ajax, invece, è al culmine della sua potenza calcistica. Ha vinto le ultime due Coppe dei Campioni dopo avere perso la finale del 1969 contro il Milan e la vittoria dei connazionali del Feyenoord del 1970. Nella finale dell’anno precedente aveva battuto per 2-0 l’Inter con una doppietta di Cruijff ed era giunta autorevolmente a Belgrado eliminando nell’ordine CSKA Sofia, Bayern Monaco e Real Madrid, battuto sia ad Amsterdam che al Santiago Bernabéu. Vujadin Boskov, anfitrione nella sua Novi Sad, dove la Juventus va in ritiro per 5 giorni in un antico maniero costruito ai tempi dell’invasione turca della regione, assegna un 30%-35% di probabilità alla Juventus di portare a casa la coppa.

L’allenatore dell’Ajax non è più, da due stagioni, Rinus Michels, ma Stefan - Istvan in ungherese – Kovacs, tecnico rumeno di origine magiare. Di fatto, l’Ajax gioca il calcio del futuro, in cui la definizione di “calcio totale”, un calcio in cui i ruoli cominciano a sfumare nelle funzioni, in un processo che ancora oggi è in marcia, nasconde una comprensione e un utilizzo dello spazio rivoluzionario, in cui le posizioni e i movimenti dei calciatori disegnano le aree utili al gioco, spostando gli avversari e creando zone libere in cui avanzare e attaccare. Il tutto con interpreti straordinari e dentro un sistema di gioco poco rigido in cui l’espressione dell’individualità è incoraggiata dai principi del sistema stesso.

Di contro, la Juventus gioca, per definizione dello stesso Vycpalek, un calcio “alla tedesca”, inteso come una variante caratterizzata da una maggiore velocità offensiva e impatto atletico, del classico gioco italiano organizzato sulla presenza del libero e su rigide marcature a uomo in difesa.

L’Ajax si schiera con una sorta di 3-4-3 con il centrocampo a rombo, che diventerà nel tempo un marchio di fabbrica ajacide, e, più in generale, della scuola olandese. Dietro, davanti al portiere Wim Stuy, giocano sul centro-destra Wim Suurbier, in mezzo il tedesco Horst Blankenburg e a sinistra il principesco Ruud Krol. Barry Hulshoff occupa la posizione di vertice basso del reparto di mezzo, in una posizione ibrida tra quella di mediano e quella di difensore aggiunto al fianco di Blankenburg. A centrocampo giostrano Johann Neeskens ed Arie Haan, mentre l'ampiezza è garantita a destra da Johnny Rep e a sinistra da Gerrie Muhren, più attaccante il primo, più tattico il secondo. Davanti si muove Piet Keizer, con Cruijff formalmente vertice alto del rombo, ma di fatto libero di spostarsi in ogni zona del campo, dalla più avanzata a quella più arretrata.

Vycpalek schiera davanti a Dino Zoff, alla prima stagione in bianconero, il libero e capitano Sandro Salvadore. Lo stopper è Francesco Morini, con Marchetti e Longobucco nel ruolo di terzino. Con una mossa piuttosto sorprendente, il boemo rinuncia in mezzo al campo al suo uomo più in forma, il cursore Cuccureddu che gli ha regalato lo scudetto con il suo gol a 3 minuti dal termine a Roma, per arretrare nel ruolo di mezzala destra Franco Causio. Completano il reparto Fabio Capello, che funge da organizzatore del gioco della squadra, e l’usticese Beppe Furino, moto perpetuo del centrocampo. In attacco Vycpalek opta per 3 punte pure, schierate strette e vicine: il trentacinquenne José Altafini, ceduto dal Napoli e considerato ormai a fine carriera, ma fondamentale coi suoi gol sia in campionato che in Europa, gioca a destra, Roberto Bettega al centro e Anastasi a sinistra. Quella delle tre punte pure è una scelta coraggiosa che il tecnico boemo ha fatto solamente nei match casalinghi precedenti la semifinale.

Prima della partita, per il tecnico Vycpalek c’è da risolvere il dilemma delle marcature da assegnare ai suoi difensori, particolarmente delicato vista l’estrema mobilità dei giocatori offensivi dell’Ajax. Inoltre, a complicare le cose, c’è l’assenza per infortunio del difensore Spinosi. Alla vigilia l’opinione più diffusa è che la marcatura di Cruijff, la più complessa, visto che il fuoriclasse olandese si muove in assoluta libertà per tutto il campo, possa essere affidata al mediano Furino, evitando così che un difensore possa essere portato lontano dalla propria area di rigore dai movimenti incessanti del “Profeta del gol”. Abbastanza sorprendentemente, però, Vycpalek sceglie lo stopper Morini, ruvido e abile nel gioco aereo, piazzando Marchetti, un mediano spostato in difesa, sull’attaccante Keizer e il fluidificante Longobucco, sull’ala destra Johnny Rep, disegnando un sistema di marcature che influenzerà pesantemente tutto il match.

Morini viene costantemente allontanato dal cuore della difesa e dell'area di rigore da Cruijff, mentre Marchetti, il teorico terzino destro, viene risucchiato in mezzo dalla marcatura di Keizer aprendo una voragine nella zona di sinistra dell'attacco olandese, che proprio da quel lato sviluppa preferenzialmente la sua manovra. A sinistra opera infatti Ruud Krol, che da difensore esterno si spinge costantemente in attacco a supportare la manovra offensiva con le sue qualità tecniche. Con Altafini sempre alto, anche in fase di possesso palla avversario, Causio viene costantemente preso in mezzo dal triangolo formato da Krol, Muhren e uno degli interni ajacidi, che utilizza la superiorità numerica e posizionale sulla fascia sinistra per avanzare lungo il campo e dominare il possesso.

Oltre al vantaggio numerico disegnato a tavolino, la squadra di Kovacs non disdegna di sovraccaricare il proprio lato forte con lo spostamento di Johann Cruijff e le avanzate di Blankenburg e, in maniera estremamente cinica, dopo soli 4 minuti l’Ajax raccoglie i dividendi degli squilibri provocati dall'incontro tra le marcature juventine e l'innovativo sfruttamento degli spazi del calcio olandese. Blankenburg, Neeskens e Muhren mettono in inferiorità numerica sul lato destro della difesa Causio e Capello, con Marchetti al centro dell'area su Keizer. Il cross di Blankenburg trova l'area juventina sguarnita del suo miglior saltatore - Morini - e raggiunge sul secondo palo il tipico taglio di Rep che salta su Longobucco e disegna una parabola beffarda che sorpassa Zoff. Il terzino calabrese della Juve si lamenterà sempre, negli anni a venire, di una spinta fallosa subita da Rep ma, a onor del vero, lo stacco dell'attaccante olandese appare del tutto regolare.

Lo stopper Morini è il giocatore che saltella al centro del campo, 10 metri fuori dall’area di rigore. Sta controllando Cruijff, fuori inquadratura.

L’autore dell’assist, il tedesco Blankenburg, è stato uno dei meno noti, ma più importanti giocatori del grande Ajax. Chiuso nella Germania Ovest dall’immenso Beckenbauer e dalla diffidenza del tecnico Helmut Schöne per i giocatori militanti all'estero, Blankenburg non giocò mai in nazionale e rifiutò, nel 1974, di prendere la cittadinanza olandese che gli avrebbe permesso di giocare con gli “Oranje”. Proprio l'esclusione dalla nazionale mise in ombra le qualità di Blankenburg, costretto spesso dal sistema a difendere uomo contro uomo in campo aperto, fondamentali per i successi dell’Ajax e avveniristiche per l'epoca.

Il gol subito non cambia lo sviluppo tattico della partita ed esattamente 7 minuti dopo il gol un’azione del tutto analoga a quella della rete di Rep porta l’Ajax vicino al raddoppio. Stavolta Blankenburg non mette la palla in mezzo in prima persona, ma scarica esternamente per Muhren, sempre libero da marcature sulla fascia sinistra, il cui cross sul secondo palo viene nuovamente colpito di testa da Rep, che sovrasta ancora una volta Longobucco.

La Juventus prova ad attaccare seguendo due strade ben precise e piuttosto semplici. La prima prevede le conduzioni palla al piede dei centrocampisti, in particolare con l’utilizzo del dinamismo inesauribile di Beppe Furino e della raffinata tecnica di Franco Causio. La seconda, invece, è rappresentata dai lanci lunghi verso il tridente d’attacco e dall’eventuale attacco alle seconde palle. È un calcio molto diretto ed essenziale che non consente di controllare il match, saldamente nelle mani dell’Ajax, ma che di tanto in tanto riesce a generare qualche pericolo per la porta di Stuy.

Le migliori occasioni nel primo tempo per i bianconeri nascono infatti da situazioni piuttosto ricorrenti nella partita della Juventus. Al ventiquattresimo per una volta l’Ajax commette un errore tecnico piuttosto banale con Keizer, che sbaglia un controllo nella trequarti campo juventina dando il via a una ripartenza lunga avversaria. I “lancieri” difendono in inferiorità numerica con Blankenburg ancora una volta avanzato e solo un prodigioso recupero di Johnny Rep - a proposito di calcio totale - impedisce ad Altafini di concludere in maniera comoda il contropiede bianconero.

Al quarantatreesimo Capello riconquista una seconda palla dopo un lancio lungo verso l’attacco e serve la percussione di Furino. Sul cross del mediano al centro dell’area Krol perde la marcatura di Bettega e lascia Hulshoff solo contro lo stesso Bettega e Altafini. Il colpo di testa di “Bobby gol” è di qualità mediocre, anche considerando che il numero 11 juventino era un grande specialista di questo fondamentale, e si spegne docile tra le braccia di Stuy.

Davvero una grande occasione sprecata dalla Juventus.

Il totaalvoetbal

Le occasioni da gol per i bianconeri si inseriscono però in una cornice di gioco guidata abbastanza nettamente dall’Ajax. Tanto essenziale e diretta è la manovra d’attacco della squadra di Vycpalek, tanto cerebrale e ricercata è quella degli olandesi. Seppur sia ormai ampiamente riconosciuto che il “totaalvoetbal” sia il capostipite di gran parte di tutte le tendenze calcistiche più moderne, e in particolare del “juego de posición”, è sempre sorprendente osservare la modernità del calcio olandese degli anni Settanta, specie se rapportata a quello giocato dagli avversari, e la continuità dell’identità profonda dell’Ajax, riscontrabile sino ai giorni nostri. Una modernità che si esprimeva persino nella numerazione adottata dagli olandesi, che rifiutavano le limitazioni dell’epoca, che confinavano i numeri di maglia tra l’1 a e l'11, e sfoggiavano sfrontatamente degli insoliti numeri a doppia cifra.

Il “calcio totale” non era affatto un calcio anarchico, come un’interpretazione superficiale dell’idea che ogni giocatore potesse giocare in ogni posizione del campo sembrerebbe suggerire, ma, al contrario, era un calcio basato su precisi principi di utilizzo dello spazio visionari per l’epoca. L’idea di base era quella di creare il numero maggiore di linee di passaggio per il portatore di palla e per questo erano necessari movimenti e una disposizione spaziale capaci di generare spazi utili alle giocate, abbandonando la visione del calcio come somma di duelli individuali da vincere per avanzare lungo il campo.

Fondamentale la sistematica occupazione dell’ampiezza, sia per avere sempre una soluzione di passaggio abbastanza sicura, che per ripulire gli spazi interni dagli avversari. Si notava la ricerca di ricezioni sempre dinamiche e orientate alla porta avversaria e, più in generale, alla giocata successiva; e la creazione di zone di superiorità numerica funzionali all’avanzamento palleggiato del pallone e, conseguentemente, la formazione di triangoli e rombi tra i giocatori per utilizzare al meglio la superiorità numerica.

L’incontro tra questi principi e il talento dei giocatori ha dato origine al “totaalvoetbal”, in cui l’Ajax ricreava costantemente la propria struttura posizionale, la più funzionale per soddisfare i principi adottati, indipendentemente dagli interpreti, e il loro talento consentiva di giocare con efficacia senza risentire della mutata posizione in campo.

Per tali motivi, per fare un esempio, se Muhren, generalmente impegnato sulla fascia sinistra, si abbassava a giocare il pallone, era comunque necessario che un altro giocatore occupasse l’ampiezza, e il terzino Krol avanzava finendo nella posizione di ala sinistra. Tutti i movimenti erano comunque eseguiti senza alcuna rigidità, ma con estrema naturalezza, figlia del talento e della comprensione profonda della necessità di gestire lo spazio di gioco come mai fatto fino ad allora.

All’interno del sistema Cruijff, oltre che il fuoriclasse assoluto, costituiva la variabile impazzita, la stella attorno a cui ruotavano tutti gli altri giocatori. Il 14 dell’Ajax si muoveva con assoluta libertà, abbassandosi fino alla difesa per prendere il pallone dai piedi del compagno, e tutti reagivano di conseguenza, occupando a catena gli spazi liberati dal movimento di Cruijff.

Un piccolo esempio al decimo minuto: l’Ajax inizia l’azione da Stuy, che serve corto il centrale Blankenburg. Cruijff si abbassa al fianco sinistro di Blankenburgg come terzo di difesa e dà inizio all’azione. Krol, il giocatore che solitamente è impegnato in quella posizione, è al centro del campo perché nell’azione precedente ha seguito un taglio interno di Altafini. È allora Barry Hulshoff a muoversi per occupare la posizione di mezzala sinistra e, grazie al movimento, a ricevere dinamicamente alle spalle della pressione di Causio su Cruijff, in una zona sguarnita di giocatori bianconeri. Nel frattempo Haan si è alzato dalla zona di centrocampo, liberando la zona della ricezione di Hulshoff e al contempo ricreando la struttura posizionale della squadra andando a giocare nella teorica posizione originale di Cruijff.

Il corollario al razionale ed efficace utilizzo dello spazio finalizzato al movimento del pallone era una difesa necessariamente alta, specie per gli standard dell’epoca e l’utilizzo del pressing, sebbene ancora abbastanza rudimentale nei meccanismi.

La partita

Nonostante tutto, però, l’Ajax non è in una di quelle serate travolgenti in cui riesce a spezzare gli avversari, travolgendoli con il ritmo del proprio gioco, come, ad esempio, in occasione del 4-0 casalingo rifilato nei quarti di finale al Bayern Monaco. I “lancieri”, e lo stesso Cruijff, giocano una partita non troppo intensa e, dopo il dominio del primo quarto d’ora, permettono alla Juventus di risalire e, pur soffrendo, di sperare di riaprire il match.

All’inizio del secondo tempo la Juventus prova ad andare in forcing, aumentando la velocità e l’intensità delle proprie giocate. All’improvviso, senza averla mai messa in atto nei precedenti 55 minuti di gioco, al decimo del secondo tempo l’Ajax decide di liberarsi da un momento di pressione offensiva della Juve, che sta cercando di schiacciare gli avversari nella propria area, ricorrendo alla cosiddetta tattica del fuorigioco. Alzando repentinamente la linea difensiva gli olandesi mettono in offside gli attaccanti bianconeri e rompono il ritmo della partita, favorevole in quell’istante alla Juventus, respirando, guadagnando tempo e campo e tornando così a giocare con più tranquillità alzando il proprio baricentro.

Pur con finalità puramente difensive, e da taluni ritenuta all’epoca addirittura antisportiva, la tattica del fuorigioco, resa anche possibile dalla diversa lettura del concetto di fuorigioco passivo dell’epoca, in fondo non era altro, anche questo, che un nuovo modo di utilizzare e dominare lo spazio di gioco.

Al diciassettesimo Vycpalek mette mano alla sua panchina e inserisce il tedesco Haller, ormai trentaquattrenne e all’ultima partita alla Juve prima di tornare in Germania, un giocatore offensivo di gran talento tecnico e dalla vita fuori dal campo considerata, in quegli anni, sregolata. Haller sostituisce Bettega, piuttosto spento nella notte di Belgrado, e si piazza sul centro-sinistra del tridente d’attacco juventino, con Altafini portato al centro e Anastasi sul centro-destra.

Il tedesco non è una punta pura, ma ama abbassarsi e raccordare il gioco. In effetti il suo contributo tecnico rende le offensive bianconere meno dirette e un po' più manovrate. Al diciannovesimo la Juve ha un’altra occasione in ripartenza del tutto simile a quella del primo tempo, ma ancora una volta la conclusione di Altafini è sporca e comoda per Stuy.

A poco più di un quarto d’ora dal termine Vycpalek fa entrare il suo secondo uomo dalla panchina, inserendo Cuccureddu al posto di Causio, uno dei migliori, e provando a sfruttare l’ampiezza piazzando il nuovo entrato largo a destra, con Haller a sinistra.

L’Ajax ha più occasioni di realizzare il gol del 2-0, cogliendo anche una traversa di testa con Hulshoff, e la Juve invece non riesce ad avvicinarsi al gol del pareggio. La partita finisce senza che i bianconeri diano la sensazione di potere davvero segnare e con l’Ajax che, giocando una partita tutto sommato non eccezionale per i suoi standard, porta a casa la sua terza Coppa dei Campioni consecutiva.

Rep sfiora la doppietta.

Al termine del match le scelte di Vycpalek furono oggetto di parecchie critiche. Nonostante le dichiarazioni della vigilia («Tre punte sono troppe, lasciar fuori Cuccureddu non si può»), il boemo, che evidentemente aveva fatto pretattica, scelse di giocare con tre punte pure, lasciando fuori il mediano sardo, il miglior giocatore nelle ultime partite della Juventus.

La scelta fu giudicata dalla stampa dell’epoca troppo offensiva e aveva di fatto privato la Juve della possibilità di giocare una partita maggiormente “italiana”, con una difesa più folta e mirata a punire in contropiede il calcio offensivo e spregiudicato dell’Ajax. Ancora, la scelta piuttosto dibattuta alla vigilia di marcare Cruijff con Morini e non con un mediano, come ad esempio poteva essere Furino, fu parecchio criticata e provocò, in effetti, grosse difficoltà nel gioco aereo all’interno della propria area di rigore, allontanando lo stopper e il miglior saltatore di testa della squadra dal centro della difesa. E infine oggetto di disapprovazione fu anche la sostituzione di Causio, che aveva privato la Juve nella parte finale di gara del giocatore probabilmente più talentuoso e che a sprazzi aveva messo in difficoltà con la propria tecnica e fantasia la struttura difensiva olandese.

Il tecnico boemo Cestmir Vycpalek.

Altre motivazioni alla sconfitta furono ricercate nel lungo ritiro nell’isolato castello di Novi Sad, che invece di donare concentrazione alla squadra aveva fatto lievitare tensioni e preoccupazioni, mentre l’Ajax giungeva direttamente a Belgrado a sole 48 ore del match, alloggiando all’ottavo piano dell’Hotel Jugoslavia insieme a mogli e fidanzate.

Dopo Belgrado

In realtà, guardando a posteriori la partita e il cammino complessivo delle squadre, la vera ragione della sconfitta fu semplicemente che l’Ajax, pur non giocando una delle sue migliori partite, era molto più forte di una Juve ancora acerba a livello europeo e legata a un calcio che mostrava i segni del tempo rispetto a quello rivoluzionario degli olandesi. In aggiunta, la netta superiorità dei singoli giocatori dell’Ajax non permetteva ai bianconeri di recuperare sul piano individuale il gap tattico tra le due squadre.

La Juventus di Belgrado costituì però il seme da cui sarebbe nata la grande squadra degli anni a venire, e perché no, da cui avrebbe avuto origine l’Italia quarta ai Mondiali in Argentina e poi campione del mondo nel 1982 in Spagna. Nei quattro anni successivi, infatti, la Juve acquistò, uno per ogni anno, i pilastri delle vittorie future.

Nel 1973-74 arrivò a Torino Claudio Gentile, l’anno dopo Gaetano Scirea, poi Marco Tardelli e, infine, nel 1976 fu il turno di Antonio Cabrini. Proprio quell’anno la Juventus vinse la Coppa UEFA, il suo primo trofeo continentale, dopo una tiratissima doppia finale contro l’Athletic Bilbao, schierando sei reduci della finale di Belgrado. Dopo la riapertura delle frontiere, l’acquisto nel 1982 di Michel Platini e Zbigniew Boniek e il ritorno in bianconero dell’ex Primavera Paolo Rossi crearono la squadra probabilmente più forte d’Europa della prima metà degli anni ’80, che riuscì a raggiungere due finali di Coppa dei Campioni, la prima persa inopinatamente contro l’Amburgo, e a vincere una Coppa delle Coppe, una Supercoppa Europea e una Coppa Intercontinentale.

Per l’Ajax quello di Belgrado fu l’ultimo trionfo del ciclo vincente degli anni Settanta. In estate Cruijff si trasferì al Barcellona e Kovacs lasciò la panchina a George Knobel, proveniente dal MVV Maastricht, che sarebbe stato esonerato già in primavera. In Coppa dei Campioni i “lancieri” furono eliminati agli ottavi di finale della Coppa dei Campioni dal CSKA di Sofia e persero anche l’Eredivisie a favore del Feyenoord. Il canto del cigno fu la vittoria per 6-0 contro il Milan nella finale di ritorno della prima edizione della Supercoppa europea. La stagione successiva Neeskens raggiunse Cruijff a Barcellona, Keizer si ritirò dal calcio giocato e Ajax e Juventus si incontrarono agli ottavi di finale di Coppa UEFA: stavolta ebbero la meglio i bianconeri grazie alla vittoria per 1-0 a Torino e alla sconfitta per 2-1 ad Amsterdam.

L’Ajax tornò a giocare e vincere una finale di Coppa dei Campioni solamente nel 1995, quando a Vienna i giovani guidati da Louis van Gaal sconfissero il Milan di Fabio Capello. Nonostante fossero passati più di vent’anni era ben visibile una linea continua tra la squadra di Belgrado e quella di Vienna. I principi di occupazione e sfruttamento dello spazio alla base del gioco della squadra erano sempre gli stessi, sebbene la struttura del 3-4-3 di van Gaal fosse molto più rigida di quella libera e dinamica degli anni settanta.

Ma come non ritrovare in Frank Rijkaard, vertice basso del rombo di centrocampo, pronto a scalare come difensore centrale al fianco di Danny Blind, la medesima, peculiare, interpretazione del ruolo fornita da Barry Hulshoff due decenni prima? E, andando avanti nel tempo, come non rivedere oggi, in Frenkie de Jong, l’eredità, appunto, di Hulshoff e Rijkaard? O non vedere nelle capacità universali di Donny van de Beek il retaggio del calcio totale di quasi 50 anni fa?

Dopo mezzo secolo l’onda lunga della rivoluzione degli spazi operata dal “totaalvoetbal” continua a influenzare le più moderne espressioni del calcio mondiale. Ad Amsterdam, dove è nata la rivoluzione, ciclicamente l’Ajax sembra rinascere e generare, da una sorgente sotterranea mai prosciugatasi, squadre bellissime e giocatori che sembrano legati da un filo invisibile alle squadre e ai campioni del passato. La Juventus dovrà stare davvero molto attenta se non vorrà fare la fine del Real Madrid, apparso d’improvviso vecchio e stanco di fronte alla sfrontatezza e all’esuberanza della gioventù dei ragazzi di Erik ten Hag.

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