
Dwight Yorke urlava. Al suo fianco, in barriera, aveva il compagno d’attacco Andy Cole. Era la loro prima stagione insieme al Manchester United. Troppo simili nel modo di giocare per fare coppia, si diceva; simili per struttura fisica, per movimenti e persino per origini, iniziarono a chiamarli Calypso Boys. «Enough!» gridava verso l’arbitro Collina, che invece gli chiedeva di indietreggiare ancora di qualche metro.
Il pallone da calciare lo aveva sistemato Mario Basler, che oggi è descritto da un anonimo autore, su Wikipedia, come «specialista delle palle inattive». In effetti, Basler era temuto per il suo tiro molto potente e preciso. Il punto di battuta, quella volta, era vicino alla riga che delimitava l’area; persino troppo vicino, per uno come Basler, e leggermente defilato sulla sinistra. Basler mosse i tre passi di rincorsa e calciò. Gli uomini in barriera saltarono, ma il pallone partì rasoterra verso l’altro palo, quello che avrebbe dovuto essere del portiere: il palo di Peter Schmeichel.
Il danese si mosse per andare dietro alla barriera, ma lo fece con un movimento strano. Dall’inquadratura da dietro la porta, sembrò scimmiottare i movimenti di Markus Babbel, terzino destro e unico tra i bavaresi a essersi aggiunto alla barriera per ostacolare la visuale del portiere. Babbel si piegò e si nascose con una torsione dietro al muro, Schmeichel in un gioco allo specchio lo seguì. Non ebbe forza nelle gambe neanche per tentarlo, il tuffo in direzione opposta. Il pallone si andò a insaccare preciso e lento, persino troppo lento per uno come “Super Mario” Basler.

Era il 26 maggio del 1999 e, nei miei ricordi, la finale di Champions League iniziò in quell'esatto momento. Non ricordo il prepartita, né le fasi iniziali. Avevo 21 anni, la partita era iniziata da sei minuti e il mio Manchester United era già sotto di un gol contro il Bayern Monaco.
Road to Barcelona
Ovviamente ci fu un “prima” in quella partita e un “prima” nella stagione. Nessuna delle due contendenti era stata ammessa direttamente alla fase a gironi, che all’epoca spettava di diritto alle vincitrici dei campionati nazionali. Nell’unico turno di qualificazione, il Manchester United ebbe la meglio sui polacchi del Lodz; il Bayern, invece, surclassò l’Obilic, squadra serba all’apice della sua torbida storia.
Inglesi e tedeschi furono addirittura sorteggiati insieme, nel famoso girone di ferro che comprendeva il Barcellona di Figo, Rivaldo e Sonny Anderson, oltre ai campioni danesi del Brøndby. Furono segnati 44 gol in 12 partite, una media impressionante di 3,7 a partita. Il Bayern passò per primo con 11 punti, nonostante lo scivolone col Brøndby nel primo match: in vantaggio per 0-1, i tedeschi si fecero rimontare con due gol segnati all'87’ e all'89’. Una discreta anticipazione di quello che accadrà loro, sette mesi dopo.
https://www.dailymotion.com/video/xxptjx_1998-november-25-barcelona-spain-3-manchester-united-england-3-champions-league_travel
Le biciclette di Rivaldo e i cross di Beckham: ah, gli anni Novanta!
Gli inglesi, col 3-3 al Camp Nou della penultima giornata, di fatto eliminarono il Barcellona. Proprio nell’anno nel quale i catalani festeggiavano il centenario dalla loro fondazione e avrebbero avuto la possibilità di giocare la finale di coppa in casa. Lo United si qualificò, grazie alla classifica avulsa, come miglior seconda insieme al Real Madrid, che nel suo girone era stato superato dall’Inter di Ronaldo.
Nei quarti e nelle semifinali, il Bayern passò agevolmente sul Kaiserslautern, mentre corse più di qualche rischio contro la Dinamo Kiev della stella emergente Andriy Shevchenko. Lo United ebbe ragione delle nostre Inter e Juventus.
Per la prima volta, una squadra che non deteneva il titolo nazionale si sarebbe aggiudicata la Coppa dei Campioni. Il Manchester United arrivò alla finale del Camp Nou dopo aver conquistato, pochi giorni prima, sia il campionato che la coppa nazionale; il Bayern aveva conquistato il campionato ed era stato battuto ai rigori dal Werder Brema nella finale di Coppa di Germania. Nelle immagini prepartita, si vede Peter Schmeichel allo scambio dei gagliardetti, con l’altro capitano, l’altro portiere e l’altra leggenda Oliver Kahn. Il danese è teso, cammina rigido, a scatti. A stento riesce a mimare ai suoi il risultato del sorteggio, palla o campo. Era la sua ultima partita al Manchester United e non aveva forza nelle gambe, già prima di iniziare.
La tattica
I sei minuti che precedettero il gol di Basler bastarono a definire il canovaccio tattico che condizionò il match, almeno per i successivi sessantasette minuti. Per Ferguson, l’undici titolare fu un bel rompicapo: il centrale di difesa Berg era infortunato; Scholes e Keane, titolari della cerniera di centrocampo, decisivi soprattutto nella semifinale di ritorno a Torino, erano entrambi squalificati. L’allenatore scozzese decise di accentrare David Beckham, con un altro degli eroi della “Classe del ’92” al suo fianco, Nicky Butt. La fascia destra divenne di competenza di Ryan Giggs, che lasciò quella sinistra ai piedi dell’evanescente Jesper Blomqvist (se lo ricorderanno i tifosi di Milan e Parma).

In casa Bayern le cose andavano meglio, ma di poco. Gli infortuni del basco francese Lizarazu e del brasiliano Giovane Élber costrinsero Hitzfeld a schierare i suoi undici con un inconsueto 5-2-3. Jancker, gigantesco centravanti, andava a disturbare la costruzione bassa dei due difensori centrali; Zickler e Basler, ai lati della punta centrale, pressavano i terzini Neville e Irwin. In mezzo al campo, Effenberg e Jeremies presero in consegna rispettivamente Butt e Beckham, in una marcatura a uomo che oggi chiameremmo alla van Gaal o alla Sampaoli. Lo United si fece spezzare in due blocchi, le due ali e i due attaccanti erano in balia dei quattro difensori tedeschi e di Matthäus, che agiva da libero vecchio stampo alle loro spalle.
Saltato il pressing, per lo più con i lanci lunghi dalla difesa, il Bayern si ricompattava sotto la linea della palla con un ultradifensivo 5-4-1. Non appena riuscivano a recuperare palla, però, i tedeschi partivano in contropiede: Basler; Zickler; Effenberg, che trovava sempre spazi alle spalle di Butt; uno dei due terzini, Babbel o Tarnat, che attaccava sul lato debole. Quattro uomini correvano nello spazio e muovevano il pallone velocemente con l’appoggio di Jancker. Nei primi sei minuti, due volte riuscì al Bayern di presentarsi nei pressi dell’area avversaria; in una delle occasioni, Ronny Johnsen fu costretto al fallo e a concedere la punizione, della quale prima ho detto tutto.
La pressione dei tre davanti scemò dopo venti minuti, era inevitabile. La circolazione di palla dello United migliorò, ma il gioco degli inglesi non decollava. Butt e Beckham erano ancora tagliati fuori; Giggs non forniva ampiezza a destra, rientrando sul suo piede preferito; Cole e Yorke erano troppo simili per davvero, piatti ed entrambi schiacciati sulla linea difensiva tedesca e tenuti a bada dai tre centrali; Irwin e Neville non lasciavano mai la linea, risultando assenti in fase offensiva.
Si giocò per un tempo nella metà campo dei tedeschi, senza che questi incorressero in grandi pericoli, anzi riuscirono a procurarsi diverse chances in contropiede. Lo United riuscì a creare apprensione agli avversari solo in due situazioni: quando Beckham, dal centro, si sovrapponeva alle spalle di Giggs per prendere Tarnat in mezzo, e sui calci d’angolo. I Red Devils ne batterono 6 per tempo, ma solo gli ultimi due risultarono fatali ai tedeschi.
Una partita a scacchi
La leggenda, che si tramanda oralmente, racconta che il discorso di Ferguson negli spogliatoi fu più o meno così: «Se perderete, passerete a venti centimetri da quella coppa senza poterla sfiorare. Molti di voi non avranno più l’occasione di passarci così vicino. Non azzardatevi a tornare qui, se non avete dato tutto lì fuori».
Nel secondo tempo entrambe le squadre alzarono il livello del loro gioco. Il Bayern non si limitò più a giocare di contropiede: Matthäus, nelle fasi di possesso, saliva a centrocampo a governare la manovra; Basler e Zickler attaccavano lo spazio tra centrale e terzino, scambiandosi la posizione. Sulla sponda opposta, Yorke e Cole si sistemarono finalmente l’uno dietro l’altro, creando qualche problema in più nel sistema di marcature avversario. Persino Blomqvist azzeccò un movimento, tagliando in area di rigore davanti a Babbel per colpire in spaccata il pallone crossato da Giggs verso il dischetto del rigore. La palla finì di poco alta e quella fu una delle ultime azioni dello svedese, sostituito al sessantasettesimo minuto.

Ferguson rivoluzionò la sua squadra, decise di passare da un centrocampo flat a uno diamond, a rombo: il neo entrato Sheringham si sistemò come vertice alto; Beckham e Giggs, riportato a sinistra, agivano come interni; Butt era lo schermo davanti alla difesa. Lo United iniziò a dominare nel possesso e Hitzfeld fu costretto a muoversi a sua volta, quattro minuti dopo. Mehmet Scholl prese il posto di Zickler e permise al suo allenatore di schierarsi a specchio a centrocampo: il neoentrato come interno destro, Jeremies come vertice basso, Matthäus come interno sinistro, Effenberg come trequartista dietro l’unica punta. Hitzfeld mantenne la difesa a cinque, arretrando Basler e accentrando Babbel. Il Bayern tornò in pieno controllo della partita e, dopo molte azioni pericolose, sfiorò il meritato raddoppio, con un pallonetto di Scholl sul troppo avanzato Schmeichel che andò a stamparsi sul palo.

Sheringham non trovava più lo spazio tra le linee e iniziò a cercarlo sulle fasce. La manovra dello United sembrava non avere alcuno sbocco. Al minuto 80, Hitzfeld sostituì Matthäus e, a detta di molti osservatori, questa fu la mossa fatale per il Bayern. Io non ne sono convinto: Matthäus era stremato, all’epoca aveva già 38 anni; inoltre il Bayern, col doppio pivot davanti alla difesa, restò comunque in controllo del match. Anzi, a quattro minuti dal novantesimo, sugli sviluppi di un calcio d’angolo, Jancker colpì una traversa, con una rovesciata nell’area piccola. Il Bayern era ancora in partita fino al crollo, fisico prima e psicologico poi, avvenuto in quei quattro minuti più recupero.

A dieci dalla fine, Ferguson inserì Solskjær per Cole, un attaccante per un attaccante, e ruppe finalmente gli indugi, ordinando ai terzini di attaccare. Questa mossa creò problemi alla forma stretta del centrocampo tedesco e all’unico uomo piazzato a presidiare la fascia. Il forcing degli inglesi fruttò loro due calci d’angolo a tempo ormai scaduto. Collina aveva chiamato il recupero, indicò tre verso il quarto uomo.
Corner kick

Il Bayern sugli angoli difendeva con una zona mista: due uomini tenevano i pali; tre stazionavano sulla linea dell’area di porta; i restanti marcavano a uomo. L’uomo a zona dal lato dove veniva battuto l’angolo era Stefan Effenberg. Tra lui, al limite dell’area di porta, e il palo c’era un quadrato di 5,5 metri di lato praticamente indifeso. Beckham calciò i corner da entrambi gli angoli e nel primo tempo cercò quasi sempre di piazzare la palla alle spalle di Effenberg: la maggior parte delle volte Kahn riuscì a chiamare la palla e a farla sua. Nessun uomo dello United riuscì ad attaccare la zona del primo palo, le marcature funzionavano.
Al minuto 91, Beckham calciò a rientrare verso il centro dell’area, il pallone schizzò via da un mucchio di teste, forse la colpì anche Schmeichel, che aveva lasciato i pali in una mossa disperata. La palla finì tra i piedi di Giggs, completamente libero appena dentro la linea degli sedici metri. Il gallese colpì in fretta e fuori equilibrio; la palla, lentamente, finì a Sheringham. Nei filmati si vede Markus Babbel, che si era perso l’attaccante in marcatura, alzare le mani ancor prima che l’altro calci. Più che una chiamata all’assistente, per un fuorigioco che non c’era, sembra invocare il perdono.

In un’intervista recente, Kahn e Schmeichel commentano gli ultimi minuti di gioco. Secondo i due, l’organizzazione difensiva dei tedeschi sui calci piazzati era stata perfetta (non la prima volta che qualcuno scrive le parole “organizzazione”, “tedesca” e “perfetta” nella stessa frase, vero?). Hitzfeld ordinò tre sostituzioni, l’ultima la fece all’ottantasettesimo, con “Brazzo” Salihamidzic che prese il posto di Basler. Dopo i tre cambi, le consegne sui calci d’angolo non erano più così chiare e la presenza di Schmeichel non fece altro che sparigliare ancora più le carte sul tavolo. Il fatto che Giggs fosse smarcato ne è stata la conseguenza naturale.

Basler guarda malissimo il neoentrato. Lo conosceva.
Solskjær dal suo ingresso aveva toccato tre palloni: due li aveva girati di testa verso Kahn, ma il portiere si era fatto trovare pronto; col terzo aveva messo quasi in porta Sheringham. Il quarto pallone lo toccò sulla linea del fallo laterale, quando cercò di recuperare una pallaccia lanciata in avanti dalla difesa. Con una carambola su Kuffour, guadagnò il dodicesimo calcio d’angolo.
Al minuto 93, Beckham colpì a modo suo, Effenberg lasciò passare la palla. Il tedesco si stava incamminando verso il centrocampo, verso l’attacco, completamente in confusione. Sheringham trovò lo spazio per uno stacco in terzo tempo e riuscì a sfiorare il pallone quanto bastava per dirigerlo verso Solskjær.

Il norvegese è stato uno di quegli attaccanti letali quando partono dalla panchina, forse il più letale di tutti: tre mesi e mezzo prima di questa finale, segnò quattro gol, dal minuto 80 al minuto 90, contro il Nottingham Forest. “Baby-faced killer”, l’assassino con la faccia da bambino, non perdonò Kahn. Dal gol di Sheringham a quello di Solskjær trascorsero 101 secondi.
Quegli ultimi tre minuti.
Cosa accadde dopo
Pochi secondi dopo il triplice fischio, Ferguson fu intervistato dalla TV e coniò una delle sue massime più famose: «Football, bloody hell». Pochi mesi dopo divenne “Sir”: la sua pratica, già avviata, ricevette una decisa accelerata dopo la conquista del Treble, impresa che non è riuscita a nessun’altra squadra inglese.
In quella stagione e nelle tre successive, i Calypso Boys segnarono 140 gol in due, record ancora imbattuto in Premier League per ogni altra partnership offensiva. Dopo la partenza di Schmeichel, la porta del Manchester United non ebbe più un padrone fino all’arrivo di Edwin van der Sar: tra i pali si alternarono Bosnich, Taibi, Barthez, Howard e Carroll.
Due anni dopo, la sorte ripagherà il Bayern Monaco, concedendo loro una vittoria ai rigori sul Valencia di Cúper. Di quella squadra non faceva più parte Lothar Matthäus, che nel frattempo si era ritirato. Alzò la coppa invece Samuel Kuffour, le cui immagini di disperazione fecero il giro del mondo in quel 1999. Quindici anni dopo, Kuffour ha asserito di non essere riuscito a rivedere la partita, e che la vittoria del 2001 comunque non è servita a lenire quel dolore. Le immagini dell’arbitro Collina, che invita i bavaresi a rialzarsi perché la partita non è ancora finita, sono gli ultimi ricordi che ho di quella irripetibile partita.