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Classici: Italia-Argentina '90
18 dic 2020
Una semifinale che fa ancora male a distanza di trent'anni.
(articolo)
20 min
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Quello che doveva essere detto è stato detto, ora non c’è più tempo, le squadre sono nel tunnel pronte a entrare. Maradona è il primo della fila, fascia al braccio, orecchino d’oro al lobo sinistro e lo stendardo fissato tra i denti mentre si sistema la divisa. Ondeggia col corpo, si accorge della telecamera che lo punta, la guarda e strabuzza gli occhi per stemperare una tensione che si taglia col machete. Dondola ancora, poi chiede ad alta voce al cameraman di cambiare soggetto: ci sono almeno altri 22 esseri umani nel tunnel, ma tutti vogliono vedere lui.

I giocatori sbucano fuori dal tunnel del San Paolo e vengono abbracciati dalla luce giallo paglierino del tramonto estivo napoletano. In tribuna uno spaccato della Prima Repubblica: il Presidente del Consiglio Giulio Andreotti, il Presidente del Senato Giovanni Spadolini, Luca Cordero di Montezemolo; accanto all’immancabile Umberto Agnelli c’è Henry Kissinger. Attaccati alla televisione si stima ci siano più di 27 milioni di italiani. Questa non è una partita del Napoli di Maradona e all’ingresso in campo dei giocatori il San Paolo scandisce chiaro e forte: «Italia Italia Italia». Le telecamere indugiano su uno striscione con scritto “Forza Azzurri”. Maradona ha vinto da poco il suo secondo scudetto col Napoli, ma oggi è dall’altra parte della barricata.

È la partita più attesa del Mondiale organizzato dall’Italia. Qualche giorno prima Maradona si è presentato a Marino al ritiro degli azzurri per salutare i compagni del suo Napoli che giocano per la Nazionale. L’Argentina ha il ritiro a Trigoria, sono una ventina di chilometri, così lo raccontano i giornali: «L’incontro con i compagni di squadra e Salvatore Carmando è filato via liscio senza che nessuno notasse il piccolo party ai bordi della piscina. Qualcuno però ha avvertito Azeglio Vicini, che è sceso dalla sua stanza per salutare l'argentino. Abbiamo parlato della semifinale che giocheremo a Napoli l'uno contro l'altro è stata la battuta di Maradona».

Maradona pare l’unico che ha voglia di scherzare: la semifinale tra Italia e Argentina è una cosa serissima. Come racconta Jonathan Wilson nel suo libro sulla storia del calcio argentino Angels with dirty faces, la situazione in Argentina è critica dal punto di vista economico e il governo di Carlos Menem, che ha sbagliato ogni politica per invertire le cose, spera che un’altra vittoria al Mondiale possa far partire una ripresa economica come già successo nel 1986. Ancora una volta sulle spalle di Maradona viene messo il peso di salvatore. Il ct è sempre Bilardo, che motiva i suoi giocatori con la solita calma: «O raggiungiamo la finale o speriamo di schiantarci con l’aereo che ci dovrebbe riportare in Argentina».

Dall’altra parte, però, la pressione non è certo inferiore. L’Italia è consapevole degli sprechi e delle speculazioni che hanno significato l’organizzazione dei suoi Mondiali: solo l’ammodernamento e la costruzione dei nuovi stadi è venuta a costare il doppio del budget iniziale. Ma è anche consapevole che ha una squadra abbastanza buona per vincerlo questo Mondiale, e il percorso prima della semifinale rafforza questa convinzione.

L’Italia ci arriva da imbattuta, senza aver subito neanche un rete nelle 5 partite del percorso fino alla semifinale. In ogni partita sembra trovare una giocata per vincere. Tutto attorno una sensazione di marcia trionfale. Gioca sempre all’Olimpico, si può permettere solo un breve tragitto da Marino: «Dopo ogni partita che abbiamo giocato nella Capitale lungo tutto il percorso che facevamo in pullman viaggiavamo in mezzo a due ali di folla che ci applaudiva. Una cosa mai vista, considerato che arrivavamo in albergo dopo l’una di notte».

L’Italia di Vicini sprizza ottimismo da ogni poro e i tifosi ne sono entusiasti. Il personaggio Vicini, che da fuori appare sempre garbato e disponibile, porta con sé la simpatia non soltanto dell’opinione pubblica, ma anche dei media, come non era riuscito a Bearzot prima di alzare la Coppa del Mondo in Spagna: «Grande intrattenitore, i suoi ritiri non erano ancora chiusi a chiavistello, gli piaceva il contatto col pubblico, i giornalisti, la tv. Se Bearzot era per definizione un papà burbero, Vicini per definizione era, al contrario, uno zio simpaticissimo». Ha scritto Fabrizio Bocca.

L’allenatore Vicini piace all’opinione pubblica e ai media anche perché fa un gioco che piace definire all’italiana, rassicurante, pragmatico. La squadra è messa in campo innanzitutto per non subire gol: zona mista, blocco basso, attaccare sfruttando transizioni lunghe e il talento della coppia d’attacco. Vicini è visto come il degno rappresentante del gioco tipico della scuola italiana degli anni ’80, quella di Giovanni Trapattoni, Osvaldo Bagnoli, Ottavio Bianchi; ben diverso da quello di Arrigo Sacchi, che non a caso ne prenderà il posto nel 1991 dopo la mancata qualificazione agli Europei 1992. Entrambi romagnoli, i due sono agli antipodi, un dualismo che nasce da due modi diversi di vedere il calcio, e non sembrano in buoni rapporti: «Si sapeva già a maggio (1991) che gli stavo scaldando la panchina. Berlusconi non lo voleva più al Milan e ha fatto il suo interesse, la Federcalcio è stata piuttosto debole. Alla prima partita di Sacchi Rizzitelli mi dedica il gol fatto alla Norvegia e guarda caso da allora non è più stato convocato. Sacchi non condivide le mie idee e io non condivido le sue».

L’Italia di Vicini piace trasversalmente forse anche perché non nasce attorno al blocco di una singola squadra, ma dall’unione di una generazione di giocatori che il ct ha cresciuto negli anni e che ora si trova nel picco della carriera. Vicini costruisce la sua Nazionale attorno a blocco della sua Under-21, li chiama “i miei ragazzi”: Mancini, Zenga, Vialli, Ferri, Giannini, De Napoli, Donadoni erano titolari nell’Europeo U-21 del 1986 e poi nell’Europeo della nazionale maggiore del 1988. Ai suoi ragazzi si aggiungono alcuni tra i migliori giocatori del panorama mondiale, come i due fenomeni della difesa del Milan di Sacchi, Baresi e Maldini. Un blocco chiaro fin dall’Europeo 1988 a cui nelle partite precedenti il Mondiale ha messo la ciliegina del fuoriclasse emergente del calcio italiano, cioè Roberto Baggio.

Proprio all’ultimo Vicini ha infine aggiunto un altro emergente Salvatore Schillaci, sull’onda di un’ottima seconda parte di stagione con la Juventus di Zoff. Schillaci è l’ultimo arrivato e sarebbe dovuto essere in teoria la prima riserva della coppia della Sampdoria Mancini-Vialli che Vicini stesso definisce la “più bella d’Italia”. Decisamente a sorpresa il ct preferisce però esordire nel Mondiale con la più atletica Vialli-Carnevale, attaccante fresco vincitore della scudetto col Napoli. Mancini non giocherà neanche un minuto: «So benissimo perché Baggio giocò e io no: ma so anche che avremmo potuto tranquillamente giocare assieme essendo le nostre caratteristiche fondamentalmente diverse. Peccato che nessuno lo abbia mai capito: né in quell’occasione, né più tardi». L’utilizzo di un tridente è impensabile, in attacco si gioca in coppia altrimenti si perdono gli equilibri difensivi.

Neanche Vialli-Carnevale però dura oltre i gironi, finendo per lasciare spazio a Baggio-Schillaci, perché il primo esplode con tutto il suo talento in mondovisione e non può essere ignorato. Schillaci invece diventa Re Mida; Vicini ne asseconda la mistica e lascia che diventi il giocatore copertina del percorso dell’Italia: gol con l’Austria e con la Cecoslovacchia per aiutare a passare imbattuti il girone, gol con l’Uruguay per aiutare a passare gli ottavi, gol con l’Irlanda per aiutare a passare i quarti. Baggio-Schillaci diventa per Vicini “la coppia più bella del Mondo”.

Ecco lo schieramento dell’Italia e un’azione tipica: la difesa lancia verso le due punte, il pallone viene respinto e finisce sui piedi di Giannini, il cui passaggio rasoterra è ancora per la punta, in questo caso Schillaci che si allarga. Lo stesso Schillaci quindi va al cross per Donadoni, buttatosi sul secondo palo.

La semifinale doveva essere solo l’ennesima tappa della marcia trionfale, però si gioca a Napoli. Cosa già prevista, avendo la finale all’Olimpico. Non prevista era invece la possibilità di avere contro l’Argentina. Perché Argentina significa Maradona e Maradona significa Napoli. Va detto che la possibilità dell’Argentina a Napoli era remota: era stata inserita nel tabellone opposto con la semifinale a Torino. Ma l’Argentina ha perso la partita d’esordio col Camerun e pareggiato con la Romania. Passa il girone come ripescata tra le migliori terze e finisce nella parte del tabellone dell’Italia. Questo discorso cervellotico attanaglia l’approccio della vigilia della semifinale, anche più di quello su come si può fermare Maradona.

John Foot nel suo libro Calcio riassume il contesto e il motivo per cui la partita arriva sull’onda di tante polemiche: «La vigilia della semifinale aiuta a comprendere il nazionalismo italiano. Mentre i leader politici e gli sportivi si appellano ai napoletani affinché sostenessero il loro paese (l’Italia) e non la loro squadra (il giocatore argentino), lo stesso Maradona fece un astuto contrappello: “dopo tanto razzismo ora si affrettano a ricordare che Napoli fa parte dell’Italia. Dopo che per 364 giorni all’anno li chiamano terroni, appestati, terremotati. Dopo averli presi a schiaffi in tutte le maniere possibili, ora dicono che anche i napoletani sono italiani". Il pubblico di Napoli rispose con uno striscione ambiguo su cui compariva la scritta: “Maradona, il Napoli ti ama, ma l’Italia è la nostra patria!”». A sentire dalla tv i cori e guardando le immagini sugli spalti sembra che la maggioranza rumorosa del tifo sia chiaramente a favore dell’Italia, questo non toglie che verso Maradona ci siano stati cori e calorosi saluti durante il riscaldamento. Il tentativo di Maradona non sembra aver quindi funzionato, la prospettiva di una vittoria della Coppa del Mondo in casa è troppo tangibile.

Una lavagnetta sporca

Dal punto di vista del piano gara dell’Italia non sembra esserci l’idea di raddoppiare su Maradona; si preferisce un più classico assegnamento singolo per il marcatore Ferri, con Bergomi che si prende l’altro attaccante Caniggia. Durante la partita però è chiaro che Vicini ha chiesto ai due di alternarsi scambiandosi gli assegnamenti. Alle loro spalle c’è comunque sempre Baresi. Il grosso del lavoro è invece a centrocampo, per togliergli i rifornimenti, come ha ricordato Ferri a Sfide: «Voleva che i rifornimenti a Maradona venissero un po’ soffocati, quindi il portatore di palla non doveva essere messo in condizione di dargli la palla agevolmente, ma dargliela magari in malo modo».

Maradona con un regime dietetico e di allenamenti da astronauta è riuscito a presentarsi col peso forma giusto alla vigilia del Mondiale, ma ha da mesi la schiena a pezzi, da settimane gioca con una placca metallica attorno all’alluce per proteggerlo, durante tutto il Mondiale fa infiltrazioni praticamente giornaliere per tenere a bada una caviglia che dopo ogni partita si ingrossa come un melone. Quando non deve correre si nota il suo zoppicare. È il giocatore che ha subito più falli di tutto il Mondiale, chiuderà con il maggior numero di falli subiti a un Mondiale. Italia 90 non è certo il regno del calcio spettacolo e gli avversari di Maradona fanno di tutto per rendere la cosa chiara a tutti. Anche l’Italia di Vicini non ci andrà giù leggera.

Ercole nel bel mezzo della sua dodicesima fatica, più stanco nel fisico che nella psiche, Maradona è lì davanti alla porta degli inferi per domare il Cerbero. Nel frattempo viene sballottato a terra dagli interventi degli avversari. Ancora e ancora, non appena riceve palla. Questo è il suo Mondiale.

La novità per Vicini è la coppia Vialli-Schillaci, per il ct che durante il Mondiale non ha creduto all’idea di un undici fisso e preferito invece optare per continue rotazioni. Nonostante le scialbe prime partite, la punta della Sampdoria torna quindi un po’ a sorpresa davanti al posto di Baggio. Il resto della formazione è lo stesso dei quarti contro l’Irlanda, con lo schieramento tipico della Serie A di quegli anni per le squadre che praticano la zona mista: si può scrivere come un 4-4-2 col libero, che col pallone diventa per capirci un proto 3-5-2. C’è un libero (Baresi), due marcatori (Ferri e Bergomi), un fluidificante a sinistra (Maldini) che salendo prende lo spazio del centrocampista sinistro che si accentra (Donadoni), poi un centrocampista rifinitore (Giannini) e due centrocampisti di quantità, uno centrale (De Agostini) e uno che si allarga a destra (De Napoli), davanti le due punte (Vialli e Schillaci).

Vicini forse voleva due giocatori esperti davanti, in grado di reggere i duelli che i difensori dell’Argentina ingaggeranno. Un’osservazione che si fa dell’Argentina di Bilardo, quasi un complimento, è che sa far giocare male gli avversari senza snaturare la propria squadra. Con marcature strette, falli, provocazioni, perdite di tempo, ti trascina nel fango sapendo che poi da lì tu giocherai male come loro, che però hanno Maradona. Così è successo nella famosa vittoria contro il Brasile agli ottavi in cui un’azione di Maradona da Maradona ha permesso a Caniggia di segnare. Così, quando pure Maradona non è uscito fuori dal fango, si sono trascinati fino ai rigori per battere una delle outsider più credibili, la Jugoslavia.

L’Argentina per tutto il Mondiale è schierata col classico sistema di Bilardo: riconoscibile in un 3-5-2 pieno di centrocampisti aggressivi e dinamici, per accompagnare la coppia offensiva. L’Argentina vuole arrivare con pochi passaggi sulla trequarti; se vede che non può arrivarci non ha paura di lanciare il pallone lungo anche a caso per poi giocarsi la seconda palla vicino all’area avversaria. Sa che l’unico giocatore che può fare un passaggio smarcante è Maradona e gli unici che possono smarcarsi e finalizzare sono Burruchaga e Caniggia. Il pallone deve arrivare il prima possibile nella loro zona. Il rapporto tra la coppia d’attacco è ottimo, come sempre tra Maradona e chi ne condivide l’attacco, nell’Argentina e nel Napoli. Anche perché giocando con uno che ti dà quei palloni arrabbiarsi è da matti. Caniggia piace a Maradona perché riesce a dare profondità in area e un dinamismo che un Maradona zoppicante cerca come l’ossigeno, il 10 lo stuzzica anche per questo: «Tu tiri la palla avanti e hai risolto, perché sulla corsa vinci contro chiunque. Io devo condurre mostrando e nascondendo il pallone per difendermi dalla mancanza di velocità».

Ecco il lancio della difesa che trova Caniggia, che controlla e appoggia per Maradona. Il 10 attende il momento giusto e poi serve in area l’incursore Burruchaga, che però non controlla abbastanza bene da potersi preparare il tiro e viene contrastato. Quest’azione sarà piaciuta sicuramente a Bilardo.

Del piano gara di Bilardo ne parla il libero Juan Simón, intervistato da Jonathan Wilson per il suo libro: «Bilardo ci ha detto che l’Italia ha due centrocampisti che si allargano, cioè De Agostini a destra (in realtà è De Napoli nda) e Donadoni a sinistra. Quindi noi metteremo Calderón e Olarticoechea a contrastarli, perché quando i due centrocampisti perdono palla solitamente non riprendono velocemente la posizione iniziale, quindi se recuperiamo palla e la giochiamo sulle fasce avremo sempre un 2 contro 1 con più lo spazio da poter sfruttare. Ci ha detto che sarebbe stata la partita più facile da giocare nel Mondiale». La maschera da sbruffone di Bilardo ha fatto il suo lavoro.

La guerra

La prima vera azione da gol della partita è un tiro da fuori area nella prima azione realmente manovrata dell’Argentina, che porta Burruchaga a testare i riflessi di Zenga. Ci mette un po’ l’Italia ad abituarsi al gioco argentino, ma al 17’ e con la prima vera occasione da gol a favore, passa in vantaggio. Da un fallo nella propria metà campo De Agostini batte velocemente e trova Schillaci che si è allargato in fascia spalle alla porta e col marcatore alle spalle. Pur isolato riesce a tenere palla, superare il raddoppio e dare via la palla dopo aver superato il terzo intervento. Dal suo passaggio nasce una bellissima azione a massimo due tocchi, con tutti passaggi che fanno arrivare il pallone dal centro del campo ai pressi dell’area piccola tra De Napoli, Vialli, Giannini e ancora Vialli alla conclusione. La cosa più bella della partita.

Schillaci, che era accorso in area, vuole calciare la ribattuta del portiere, liscia il pallone col destro ma lo colpisce col piede su cui fa perno e quindi la palla entra lo stesso. Re Mida quello che tocca diventa oro. Sguscia via fino alla bandierina, i giocatori si fiondano ad abbracciarlo, si vede l’atmosfera giocosa del gruppo. Mentre torna a centrocampo Schillaci aizza la folla alzando le braccia, ma non ce n’è grande bisogno.

Finora è sempre bastato questo per vincere la partita. Alla squadra di Vicini dopo il gol bastava controllare i ritmi, spegnere ogni velleità del rivale e portare a casa la vittoria. Nessuna delle rivali degli azzurri finora però sono l’Argentina. Dopo il gol ritorna la partita dell’Argentina, in svantaggio, in difficoltà, ma che non perde mai il controllo della dinamica dell’incontro.

La partita scorre tra un’Argentina che cerca il gol con continuità pur arrivando alla conclusione sempre in modo sporco o impreciso e un’Italia che nella sua testa vorrebbe ripartire, ma a cui il pallone sembra scottare veramente troppo al contatto con i piedi per riuscire a creare una manovra pulita. Se si riescono ad associare ne esce fuori una trama interessante, ma manca la tattica per poter rendere riproducibile queste associazioni in campo. Insomma l’Italia non gioca male, ma non ha gli strumenti tattici per poter dare il meglio al talento a disposizione, Giannini e Donadoni su tutti. L’Argentina, che ha meno talento distribuito, sembra sfruttare meglio le sue qualità in campo.

L’Italia dalla sua non ha neanche l’aiuto di alcuni protagonisti annunciati: Vialli è un fantasma. Qualche giorno prima confida ai compagni di avere problemi fisici, così ne parla Ferri qualche anno dopo a Sfide: «Vialli dirà dell’aspetto psicologico, della pressione, ma ci aveva confidato che aveva dei problemi fisici. Tra l’altro nel ritiro a Coverciano ci fu una visita quasi notturna di un massaggiatore suo di fiducia per cercare di diminuire la sua problematica, che se non vado errato era agli adduttori». La scelta di Vicini di metterlo in campo è quindi dettata dal cuore, dal dare fiducia a un giocatore che ha visto crescere negli anni, ma è un fallimento. Dopo l’ora abbondante di gioco magari ha anche deciso di fare il cambio che tutta Italia invoca davanti al televisore, ma è allora che l’Argentina pareggia.

Siamo al minuto 67 e l’Argentina è comodamente nella metà campo dell’Italia. Maradona si smarca sulla trequarti e, come dice Pizzul, «cerca una soluzione». La trova nell’esterno Olarticoechea libero sulla fascia sinistra. Il cross arriva col piede destro, a rientrare quindi verso la porta.

Dirà Ferri che Zenga esce senza chiamarla, se fosse rimasto in porta l’avrebbe raccolta facilmente, anche perché Ferri salta dietro a Caniggia, che lo anticipa e la mette verso il secondo palo, ma la palla è lenta. Di sicuro Zenga esce dietro a loro due sbagliando il tempo e la palla non incontra ostacoli insaccandosi accanto al palo. L’ultima volta che Zenga aveva preso gol con l’Italia era nell’ottobre nel 1989, 10 partite prima. È il primo evidente errore della partita di Zenga, ma vale il gol del pareggio.

Quando la partita riprende Vicini ha evidentemente già in testa i cambi da fare per risistemare le cose: prima Serena per Vialli che sembra definitivamente infortunato, due minuti dopo Baggio per Giannini, lo schiera trequartista dietro le due punte. Questo è l’assetto più offensivo pensabile da Vicini, un 3-4-1-2 che però non cambia la dinamica di una gara in mano a Bilardo. L’Italia avrebbe dalla sua la grande occasione per tornare in vantaggio. All’ottantesimo Donadoni riceve palla al limite dell’area e serve De Agostini liberissimo in area. Il centrocampista della Juventus però tira addosso al portiere. Lì forse la palla ha pesato troppo, sicuramente in quel momento è finita la capacità dell’Italia di arrivare pulita in area di rigore. La partita si fa ancora più spezzettata, ansimante.

Non ho contato i falli ma a una stima conservativa è la partita con più interruzioni di gioco della storia del calcio. Il fatto che il portiere possa prendere il passaggio con i piedi dei compagni con le mani non fa altro che aumentare i tempi morti. Nei tempi supplementari in pratica il pallone non è mai in gioco. È un tempo infinito in cui due pugili distrutti faticano a dare il colpo che potrebbe essere fatale all’avversario barcollante. L’unico sempre in forma è Bilardo, che si alza a urlare e si rimette in panchina come fossero i primi minuti. Se solo potesse entrerebbe in campo lui a marcare Baggio. Anche perché l’Argentina chiude in 10 per l’espulsione, nonostante l’espressione tra la sorpresa e l’innocenza, di Giusti per una gomitata su Baggio.

Neanche con un uomo in più l’Italia, completamente drenata di energie psicofisiche, riesce a evitare di arrivare ai calci di rigore. Per la prima volta nella storia l’Italia si gioca un passaggio del turno ai rigori, e come sappiamo non sarà l’ultima.

Nei minuti precedenti Vicini è preoccupatissimo, non riesce ad arrivare a 5 rigoristi. Giannini era rigorista, ma è già uscito, Schillaci si è infortunato durante i supplementari e quindi non se la sente di calciare. Curiosamente i primi due a calciare per l’Italia sono Baresi e Baggio, che segnano entrambi come non faranno poi nella finale del 1994. L’Argentina risponde rete su rete e sul 3-3 si presenta Donadoni, a cui però Goycochea para in tuffo alla sua sinistra. Per andare in vantaggio si presenta sul dischetto Maradona. Cinque passi partendo leggermente dentro l’area, guardando solo la palla calcia alla destra del portiere come aveva fatto, sbagliando, contro la Jugoslavia nel turno precedente. Il tiro è rasoterra e secco, Zenga è spiazzato. La corsa di Maradona a pugni serrati e braccia aperte fino alla panchina è una delle fotografie della partita che poi si rivedranno. Più che felice sembra liberatosi di un peso. Peso che ha passato sulle spalle di Aldo Serena, che soverchiato dagli eventi calcia piano e a mezz’altezza alla sinistra di Goycochea, l’eroe della partita.

Bruno Pizzul chiosa: «L’Argentina è finalista in Coppa del Mondo, sono immagini che non avremmo mai voluto commentare». Al resto ci penseranno i milioni di tifosi delusi a casa e i giornalisti nei giorni successivi, ma pur con una partita ancora da giocare la marcia trionfale dell’Italia si è interrotta. Gianni Rocca sulla Repubblica: «L’ Italia ’90, almeno per noi, chiude i battenti, ché il terzo o quarto posto che giocheremo a Bari poco o nulla aggiungerà, se non ulteriore amarezza per l' occasione perduta. Torneremo al nostro abituale tran tran, chi può, partirà subito per le ferie: le tribune dei vip rimarranno semi-deserte: Andreotti e Spadolini non avranno più scuse per marinare Palazzo Chigi e Palazzo Madama. Resteremo con i problemi che in questi giorni avevamo dimenticato: lo scontro sul salario, il debito pubblico, i cobas, la sanità a pezzi». Un quadro di un’Italia ancora attuale.

È tempo di trovare i colpevoli, in casa e fuori. I tifosi del San Paolo improvvisamente vengono additati a tifosi di Maradona più che dell’Italia. Zenga e Vialli sono i due giocatori più bersagliati. Maradona è quello che si prende la frustrazione per tutta l’Argentina finalista. Napoli nella maggior parte forse l’ha perdonato subito, l’altra parte ci metterà poche settimane, il resto d’Italia no. Due giorni dopo la partita Maradona scatena un accenno di rissa con dei carabinieri venuti a rendere conto del fratello Raul fermato alla guida della sua Ferrari, ci vuole l’intervento di Bilardo per calmare le acque. Il giorno dopo la bandiera argentina posta attaccata accanto a quella dell’Italia e di Roma nel centro di allenamento di Trigoria, dove sta in ritiro l’Argentina, viene trovata strappata dal palo. Maradona si sente ferito e tradito.

Il giorno della finale, in un Olimpico pieno, prima timidamente e poi con grande forza, si sentono arrivare i fischi a coprire l’inno nazionale argentino. Maradona attende che la telecamera lo inquadri e solo allora lascia andare a denti stretti un «Hijos de puta» in mondovisione. Da questo istante la sua carriera in Italia ha i giorni contati.

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