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Classici: Juventus - Manchester United '84
14 set 2015
Nuova puntata di Classici, rubrica nella quale analizziamo le grandi partite del passato. Stavolta abbiamo riguardato la semifinale di Coppa delle Coppe impreziosita da una sublime prestazione di Michel Platini.
(articolo)
27 min
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Manolete e Nijinsky: il primo è stato uno dei grandi toreri spagnoli, specializzato nella suerte de matar, l’uccisione del toro; l’altro, eccezionale ballerino russo, fu tra i primi uomini a danzare sulle punte e i suoi salti, ampi e leggeri, sembravano riuscire a vincere la gravità. Michel Platini aveva qualcosa di entrambi, “il volo del ballerino e la stoccata del torero”, secondo uno dei numerosi, sofisticati paragoni extracalcistici concepiti da Gianni Agnelli. Nella semifinale di ritorno della Coppa delle Coppe 1983/84 c’è la Juventus che sta ricucendo, un punto d’ago alla volta, il trauma sportivo della finale di Coppa dei Campioni persa ad Atene l’anno prima, e c’è Platini che gioca un calcio così leggero e verticale, così indovinato nei tempi e nelle soluzioni, da far pensare che ci sia dietro un trucco: raccontare questa partita è soprattutto un modo per raccontare di lui e della sua stupefacente differenza, prima ancora che superiorità, rispetto a tutti gli altri. La sua prima palla la riceve dal calcio d’inizio e la gioca lanciandosi in dribbling contro l’intero Manchester United. Perde il possesso, ma passa il messaggio: me la sento di affrontarvi anche da solo, stasera.

Il secondo pallone è un tocco in avanti sui piedi di Boniek, che gliela restituisce. Il susseguente terzo pallone non è in avanti, è uno scarico sulla sinistra per Cabrini, dopo aver evitato da fermo un attacco di Moses. Subito Platini scatta verso il fronte d’attacco, seguendo una delle regole non scritte di questa sua serata: se non dà in avanti il pallone, allora in avanti va lui.

Attorno ha la Juve anni ’80 del Trap rintanata nel suo habitat naturale: difendere un pareggio con gol fuori casa. All’Old Trafford aveva segnato Rossi in contropiede, anche se Hogg gli aveva deviato il tiro ed era finito sul tabellino al suo posto, ricordandoci dell’altra grande insensatezza del calcio che fu (la prima in assoluto, solitaria nella sua scoraggiante noia, resta l’uso delle mani nel retropassaggio al portiere). Senza più Zoff, ma con Gentile, Cabrini, Scirea, Tardelli e Rossi, è una Juventus che, se non ha cambiato il calcio, l’ha però giocato con efficacia, qualità e abnegazione straordinarie, vincendo—prima squadra europea a riuscirci—tutte le competizioni possibili nel giro di soli otto anni, dalla Coppa UEFA del ’77 alla Coppa Intercontinentale dell’85. Una squadra il cui racconto è forse rimasto troppo stretto tra quello di altre storie più intense, il successo nazionale del Mundial ’82, le due diverse tragedie dello stadio Heysel e di Gaetano Scirea.

Dall’altra parte c’è un Manchester United che non lo sa, ma di lì a due anni avrà finito di attendere l’arrivo in panchina di Alex Ferguson, al momento allenatore dell’Aberdeen e ben lontano da diventare Sir. La squadra, ancora in mano a Ron Atkinson, è vigorosamente britannica, col coraggio al posto dell’estro, un ottimo palleggio e una condizione fisica di livello superiore. Ai quarti ha eliminato il Barcellona di Maradona trasformando una sconfitta per 2-0 al Camp Nou in un trionfo 3-0 al Teatro dei Sogni. Due di quei tre gol li ha fatti il capitano Bryan Robson che, infortunato, è il principale assente di questa trasferta torinese.

Tra i pali hanno Gary Bailey, biondissimo portiere cresciuto in Sudafrica che, a 20 anni, si pagò da solo il biglietto per andare a Manchester a fare un provino con lo United. Oggi Bailey lavora in tv per il canale sudafricano SuperSport, è sposato con Michelle McLean, Miss Namibia ’91 e Miss Universo ’92, ed è stato l’idolo di gioventù di Peter Schmeichel, in una curiosa connessione tra superbiondi portieri dello United. I due centrali sono Graeme Hogg, imponente scozzese neppure ventenne, che farà un partitone, e Kevin Moran, un irlandese più esperto e tozzo, comunque forte nel gioco aereo, convertitosi al football dopo aver vinto moltissimo nel calcio gaelico da teenager. Entrambi salgono a saltare sui corner a favore e la telecronaca di Pizzul segnala l’evento come esotico, un vezzo folkloristico d’oltremanica. A sinistra un altro scozzese, Arthur Albiston, terzino su quella fascia per lo United da quasi dieci anni. A destra, finalmente, un inglese: Mike Duxbury, all’occorrenza anche centrale difensivo. A centrocampo, Ray Wilkins è il regista totale della squadra. L’azione inizia sempre con lui, che detta bene i tempi, trova le punte tra le linee, sa palleggiare sul corto, allargare sulle fasce, cambiare gioco lanciando lungo con entrambi i piedi, perfettamente ambidestro. Accanto gli gioca Remi Moses, dinamico, aggressivo, pioniere dell’afro a Manchester ben prima di Marouane Fellaini. Rispetto a Wilkins, Moses ha compiti maggiormente difensivi, tra cui quello più ingrato e necessario, seguire Platini. È un 4-4-2 meno ortodosso e più fluido di quanto possa apparire, soprattutto per via degli esterni di centrocampo piuttosto atipici. Sulla destra circola lo scozzese Arthur Graham, aletta che più che puntare il fondo tende ad accentrarsi e a giocare con la squadra. L’esterno sinistro è addirittura Paul McGrath, uno dei grandi centrali difensivi della storia d’Irlanda e del campionato inglese (sarà Player of the Year della Premier League nel 1992, finirà su un francobollo irlandese nel 2002): è da quelle parti per giocare semplice, offrire fisicità ed equilibrio, buttarsi in area juventina appena può. I due davanti sono l’irlandese Frank Stapleton e soprattutto il ventunenne gallese Mark Hughes, alla sua prima stagione da titolare coi Red Devils.

La Juventus sceglie di entrare in partita con prudenza sfacciata. Baricentro basso, densità alta, ripartenze a folate con il minor numero di uomini possibile che, in alcuni casi, soprattutto all’inizio, equivale a uno. Difatti nei primissimi minuti sia Rossi che Vignola si lanciano palla al piede contro la difesa inglese. La perdono entrambi, il secondo subendo fallo, ed è così che la Juve sale nella metà campo dello United per la prima volta e inizia a girare palla in orizzontale, con personalità, fino al momento in cui Boniek dà il primo segnale della sua straordinaria brillantezza fisica. Riceve largo a sinistra sulla trequarti, subito aggredito. Finta una partenza e Duxbury gli lascia un metro che il polacco sfrutta per accentrarsi. Lo raddoppia Wilkins, in pratica forzandolo a scaricare. Boniek invece spezza il raddoppio dribblandoli entrambi e allungandosi il pallone, si direbbe. Ma ci arriva di nuovo per primo lui e la tocca con la punta del piede, preciso verso Vignola, il quale si complica la vita e perde il possesso. Prova a ripartire lo United cercando sui piedi Hughes, ma arriva immediatamente il fallo tattico di Gentile e la Juve torna a rintanarsi. Lo spunto di Boniek, benché infruttuoso, ha però svelato qualcosa. Per quanto casto sia il vestito che indossa, la Juventus davanti è di una bellezza fulminante.

Vista con occhi abituati al calcio odierno, la struttura della Juventus appare asimmetrica ed estemporanea. La difesa è composta, di fatto, da sei uomini, di cui solo due hanno una porzione di campo predefinita da controllare, gli esterni: Tardelli a destra e Cabrini a sinistra. I due stopper, Gentile e Brio, marcano a uomo rispettivamente Hughes e Stapleton. E poi ci sono due difensori liberi, Scirea dietro e Bonini davanti alla difesa, che leggono il gioco e chiudono, rattoppano, anticipano, respingono ciò che sfugge al resto della squadra. Gli altri quattro juventini—Vignola, Platini, Boniek e Rossi—hanno enormi libertà di movimento e iniziativa. Vignola, minuto e mancino, fa tendenzialmente l’interno sinistro di un centrocampo a tre che non c’è. Anche Platini gravita attorno al centro del prato, ma si sposta solo in funzione delle sue idee sul come arrivare in porta. Boniek svaria su entrambe le fasce, a mo’ di tergicristallo. Pablito fa il centravanti di movimento e va sia incontro che in profondità, tenendo impegnati i due centrali inglesi. In fase di non possesso, la Juventus ripiega con tutti i suoi uomini e più di una volta troviamo Platini e Vignola sul limite della loro area, oppure Boniek e Rossi a seguire i terzini dello United fin sul fondo.

1°-15° - Torero

La contrapposizione tra la faticosa complessità della manovra inglese e la semplicità con cui riparte e si rende pericolosa la Juventus è il tema del primo quarto d’ora, quello che porta al gol del vantaggio bianconero. Al sesto, ad esempio, bell’azione sulla sinistra dello United, dove Hughes allarga per Albiston che serve il taglio di Stapleton. Tacco di prima intenzione per McGrath che trova un ulteriore taglio interno di Albiston. Cross basso di prima per Hughes, anticipato dentro l’area da una lettura di Platini che di prima la tocca per Vignola, ancora Platini, ancora di prima sulla corsa per Cabrini, sul lato opposto e con tanto campo davanti. Due tocchi di Platini costringono gli inglesi, sbilanciati, a rinculare di corsa. L’azione finisce con un cross un po’ pigro di Tardelli respinto in fallo laterale, ma la Juve è chiaramente in condizione ideale per sfruttare i suoi punti di forza: difesa, Platini, profondità. Per questo riparte subito, e certo non perché fatichi a palleggiare: all’occorrenza sa fare anche quello.

A un certo punto Platini si accomoda nel cerchio di centrocampo e inizia a lanciare. Lancia a qualunque distanza, spesso da fermo, senza fretta né sforzo. Il pallone, quando a calciarlo è il francese, sembra di una consistenza diversa rispetto a quando trattato dagli altri. Il primo lancio è per Rossi, 30 metri, in area, appena lungo. Il secondo è preciso, 40 metri, largo e un po’ arretrato per Boniek, spostatosi a destra. La palla va dal polacco a Tardelli e di nuovo verso il centro a Platini, pressato subito da Moses mentre il pallone gli arriva da destra. Michel serve Vignola alla sua sinistra, sulla corsa, con un passaggio di prima no-look che è anche un tunnel a Moses. Solo che Moses non è né fermo né vicino, è in movimento a due metri da Platini. E Platini non direziona il pallone verso lo spazio tra le gambe di Moses, ma verso dove ha previsto che quello spazio sarà. C’è un livello di preveggenza ulteriore: Moses allarga la gamba destra perché ha intuito l’intenzione di Platini di servire Vignola. Quel che non può intuire è che Platini sa della sua intuizione. Così accade che Moses diventi complice del tunnel che ha subìto, muovendo la gamba per impedire un passaggio pensato per filtrare proprio in ragione di quel movimento.

La partita andrebbe fermata e si dovrebbe aprire un seminario di quattro ore su quanto appena avvenuto. Pizzul ha invece solo il tempo di gridare “tunnel!” e poi la vita va avanti e c’è Vignola che carica il sinistro e invece di tirare stavolta scucchiaia in area per l’inserimento di Platini stesso, che era scattato dritto dopo il passaggio e che sta giocando un calcio direttissimo, viaggiando avanti e indietro su un unico binario centrale dal quale muove e innesca tutti i compagni. Sul pallone di Vignola, Hogg è ampiamente in anticipo, ma Platini non rallenta e si va a schiantare su di lui, costringendolo a un colpo di testa difettoso. Palla vagante in area: chi mai può arrivare? Pablito, che la tira addosso a Bailey facendogli fare un figurone. Riparte lo United, ma di nuovo la Juve non è sbilanciata, perché ha attaccato con due uomini, e gli altri nove sono già dietro la linea del pallone.

Possesso successivo della Juve, giropalla in difesa fino a Platini che va incontro e riceve spalle alla porta appena più in basso del cerchio di centrocampo, con l’uomo dietro e il pallone che rimbalza. Tocco di prima, di controbalzo, di interno destro, che trova Vignola nello spazio alle sue spalle. Vignola gliela rende a subito e Platini è nella stessa posizione di prima, solo che stavolta guarda la metà campo avversaria, ha due metri sul marcatore e il pubblico sta applaudendo. Terzo lancio di Platini, tra i 45 e i 50 metri, da fermo, per l’inserimento di Boniek che ha tagliato da destra davanti ad Albiston e non la deve nemmeno stoppare, il pallone infila la difesa inglese, rimbalza a terra e si mette sulla corsa del polacco, a disposizione. Albiston non ci può più arrivare. Boniek ha tempo per portarsela un po’ avanti e minacciare il tiro finché non tira davvero, tocchetto di sinistro che scavalca Bailey e porta la Juve in vantaggio.

15°-23° - Quello che non fuma

Dopo il gol gli inglesi aumentano il livello dell’intensità fisica, la Juve rallenta il gioco e cerca maggiormente il possesso, solidamente in controllo della gara che si spegne per qualche minuto, fatta eccezione per due decise incursioni in area di Massimo Bonini, il più forte giocatore della storia di San Marino. Prima si getta su un cross di Boniek, arrivato sul fondo dopo una notevole azione di Rossi, per sfidare di testa tre inglesi e atterrarli tutti e tre, mentre la palla muore tra le braccia di Bailey.

Quando l’avvocato Agnelli sorprese Platini a fumare una sigaretta e si sentì rispondere «l’importante è che non fuma Bonini», il francese non aveva buttato lì un nome a caso. La corsa costante e l’intelligenza del mediano nel coprire e occupare gli spazi, anche in fase offensiva, se necessario, sono la chiave per preservare la lucidità di Vignola e Platini lungo i novanta minuti. Gaetano Scirea è l’altro nella Juve che lavora con lo spazio, senza la stessa corsa di Bonini, ma con maggior intelligenza, intuito, classe, tempismo negli interventi e capacità di rigiocare il pallone. Scirea e Bonini sono i due vertici del pacchetto difensivo juventino, il vero cuore della squadra. Un cuore che, in questa fase, per gli inglesi sembra impossibile da conquistare.

Quel che lo United riesce a fare è prendere il controllo del gioco nella metà campo della Juventus, alzando il baricentro soprattutto grazie a Wilkins, che accelera i tempi e sposta sempre più palloni sui terzini, ormai in avanti con continuità. Graham, intanto, ogni tanto cambia fascia, spostandosi sul lato di McGrath per creare superiorità numerica dalla parte destra della difesa juventina. Gli inglesi finiscono il primo tempo in costante pressione, senza però mai essere davvero pericolosi. Michel Platini, intanto, prosegue a giocare un gioco che conosce solo lui. La differenza tra i gesti pensati ed eseguiti dal francese e quel che fanno gli altri 21 in campo è impressionante. Vedere l’intera partita, e non solo gli estratti delle sue giocate, è l’unico modo per coglierla.

23°-45° - La differenza

Ventitreesimo. Recupera palla e subisce fallo sulla trequarti destra, scambio rapido con Rossi, mentre Tardelli porta via un uomo. Fa un tocco e poi taglia il campo per Cabrini dall’altra parte con un lancio in back spin di 50 metri che finisce in planata sul petto del terzino italiano.

Ventiseiesimo. Mette giù col petto un lancio dalla difesa di Scirea, all’altezza della linea di centrocampo, spalle alla porta, pressato da Wilkins e raddoppiato da Albiston. Platini aspetta che gli siano addosso e poi smarca Boniek sulla trequarti colpo di tacco che passa tra i due avversari.

La qualità della prestazione di Platini viene timbrata da una gomitata di Moran al 36’. Michel resta a terra, l’arbitro non ferma il gioco e lui si rialza dopo un po’, non dimenticando mai di mostrarsi sofferente. Il pallone successivo che gli arriva, con il pubblico tutto dalla sua parte, se lo tiene. È costretto ad allargarsi a destra da un tackle di Hogg, si ritrova in un uno contro uno complicato con un Moras molto aggressivo. Michel muove gambe e fianchi attorno al pallone, lo nasconde e poi lo mostra all’inglese proprio prima di tentare il tunnel che sorprende Moras fermo sulle gambe, divaricate. Se il tocco di Platini fosse preciso, Moras sarebbe umiliato. Invece il pallone sbatte sullo stinco destro dell’inglese e l’arbitro fischia un fallo su Platini che è in parte un risarcimento per la gomitata precedente, in parte un omaggio al talento. La scusa è la foga di Moras, che nemmeno protesta. Platini, nell’azione successiva a una gomitata ricevuta, ha rialzato la posta con un tentativo di tunnel.

Il primo tempo si spegne con lo United in crescendo, guidato da Wilkins, ma che non sembra avere idea di come fare a superare la difesa bianconera. L’ultima occasione è ancora per la Juve, con Tardelli che anticipa Hughes e subisce fallo ben dentro la propria trequarti. Platini batte subito, altro lancio in back spin spudoratamente bello, a sinistra per Boniek, sopra Duxbury. Il polacco arriva sul fondo, si ferma, crossa e trova Rossi: colpo di testa e mezzo miracolo di Hogg, che rimpalla il tiro col corpo prima che arrivi nello specchio.

Con la sua ultima giocata della prima frazione Platini fa ammonire Moses, arrivando prima, rapidissimo, su un passaggio un po’ lungo di Cabrini. La frequenza dei giri delle gambe del francese, quando accelera, è sorprendentemente alta.

Intervallo

In questo intervallo immaginario, ecco un elenco incompleto di aspetti non tecnici che sono emersi, o stanno per emergere, riguardo al gioco di Platini: accelera in momenti e luoghi del campo apparentemente incomprensibili. Prima di inserirsi, si spegne per farsi ignorare. Non cerca il contatto fisico, ma neppure lo teme. È ipercompetitivo. Gioca molto da fermo, eppure è rapido. Soprattutto, controlla spazio e tempo, riesce a vedere il campo in ogni sua zona e intuire, percepire gli eventi con almeno mezzo secondo di anticipo. Come sul mercato, come in politica, a volte in un gioco la differenza la fa la quantità di informazioni affidabili a nostra disposizione: Platini, evidentemente, ne possiede più degli altri, e la sua fonte la conosce solo lui.

46°-62° - Palline da tennis

Parte piano il secondo tempo, con la Juve molto dietro e lo United che prosegue nella sua ariosa, energica manovra, minacciosa ma inoffensiva se non per qualche calcio piazzato. Dopo neanche dieci minuti Scirea stordisce la voglia di premere inglese con tre retropassaggi di fila per le mani di Tacconi. Si sente anche qualche fischio, eppure è una scelta psicologicamente impeccabile: raffredda gli inglesi e avvia una buon periodo offensivo della Juventus. Platini legge prima le intenzioni di Wilkins, gli si fionda addosso e gli sporca un pallone intercettato poi di testa da Vignola, che gliela rende subito. Lui la protegge col corpo da una pesante pressione di Duxbury e guarda la porta. Rossi va a infilarsi a sinistra, proprio nello spazio abbandonato da Duxbury e Platini lo serve sulla corsa.

Il controllo non è perfetto ed esce un innocuo tiretto di sinistro a incrociare. Mezzo minuto dopo Boniek fa una sponda di testa per Platini nella metà campo juventina, e poi scatta nello spazio. Michel lo serve con un lancio di interno collo, colpendo il pallone a mezz’altezza ed eccitando il pubblico.

Boniek la tiene su e aspetta la Juve che sale, con Cabrini, Tardelli e addirittura Scirea, che interpreta il momento e si spinge in avanti sulla destra fino in area, liberando spazio per Tardelli. Platini lo serve e poi resta solo a venti metri dalla porta con l’atteggiamento più inoperoso del mondo, quasi stesse pensando a dove ha lasciato la macchina. Tardelli si studia bene la situazione in area (ci sono Rossi, Boniek, Vignola e Scirea) e poi chiaramente tocca indietro per il solissimo Platini, a quel punto un metro dentro l’area, che indisturbato incrocia di destro con un tiro secco ma troppo poco angolato.

Due tiri in porta in due minuti, uno di Platini, uno su suo assist. «Riprende cuore il tifo juventino», dice Pizzul. Wilkins sbaglia un altro pallone, la palla finisce di nuovo a Platini, che ha davanti Moses, rimasto solo a protezione della difesa. Con tre tocchi, interno, esterno, passaggio d’interno, Platini induce Moses a girarsi su se stesso, inchiodare e ripartire. La Juve intanto sale.

Lo United riprova a cercare le punte spalle alla porta, stavolta prevalentemente con passaggi complicati da parte dei terzini. A un certo punto Hughes sfugge a Gentile sulla destra, ma il libico ritorna e lo inchioda con un contrasto molto duro. Hughes gli rifila un calcione. Cadono entrambi a terra. Il loro duello a tutto campo è strepitoso per gli interi novanta minuti.

Al decimo la Juve esce bene da sinistra e trova Platini all’altezza del cerchio di centrocampo. Nuovo splendido lancio di Platini per Boniek, di interno destro appena sopra Albiston, di nuovo impotente. Boniek è in area, sul fondo, serve a rimorchio Tardelli e il tiro di prima è addosso a Bailey, che la blocca. Sull’azione successiva, Graham viene innescato bene sulla destra e arriva sul fondo, a chiudere su di lui in scivolata è Platini. Il cross è fuori. Nel modo ossessivo in cui Platini trova sulla corsa l’instancabile Boniek c’è qualcosa del rapporto tra il padrone con pallina da tennis e il suo cane.

Dodicesimo. Platini di nuovo a testa alta nel cerchio di centrocampo. Stavolta la Juve è alta e le opzioni tante. Finge il lancio, la gioca corta in avanti su Boniek e scatta verso la porta. Il polacco stavolta fa da sponda e chiude il triangolo, Platini avanza, disorienta Moses e se lo porta verso sinistra. Attira su di sé anche Duxbury e Graham e a quel punto, con tre uomini addosso, libera Cabrini per il tiro dai 18 metri, ribattuto.

Dopo un’ora di gioco arriva il primo lancio realmente sbagliato di Platini, che serve male Rossi in profondità.

62°-65° - La mossa di Atkinson

La Juve continua a non approfittare dell’incapacità offensiva alla quale ha indotto il Manchester United, dando così tempo a Ron Atkinson per trovare una via d’uscita. Da qualche azione, Graham si è spostato stabilmente da destra a sinistra a combinare con McGrath, che resta sempre in zona, ma più libero di muoversi e attaccare l’area. È quello il lato dal quale lo United decide di sfondare. La mossa tattica è completata dalla prima sostituzione della partita: esce Stapleton, che con Brio non l’ha mai vista, ed entra il giovane nordirlandese Whiteside, punta mancina di stazza notevole. Come Stapleton, anche Whiteside viene preso a uomo da Brio, ma il nuovo entrato si stabilisce principalmente sulla destra dell’attacco inglese, col risultato di svuotare spesso l’area di rigore per gli inserimenti di McGrath.

Lo United va subito a sinistra, dove attacca con tre uomini. Graham ha così il tempo per buttar dentro un buon cross e Hughes, finalmente libero di mettere sul piatto l’atletismo dei suoi ventun anni, sovrasta il trentunenne Gentile con un balzo impressionante, sfiorando la traversa dal limite dell’area piccola.

65°-74° - Ballerino

Per la Juventus non cambia niente tatticamente, ma anzi si apre una fase in cui il raddoppio è nell’aria. Al ventesimo, Platini riceve da Brio all’altezza della propria trequarti. Ha Moses che lo fronteggia, scarica su Vignola e poi scatta in avanti. Quando Platini scatta, scatta. Sembra un insetto, che passa da fermo a velocità di volo senza fasi intermedie. Moses viene seminato, sorpreso dalla rapidità di quello spostamento che Platini compie all’interno della sua metà campo, zona che in genere non ospita accelerazioni di quel tipo. Vignola controlla di tacco e poi lancia un po’ pigramente in avanti, la palla ritorna comunque a Platini, dopo un po’ di confusione, da una capocciata di Bonini. Moses lo sta ancora inseguendo, lo ha inseguito per tutto il campo, e Platini, che si sta allargando sulla destra per prendere il pallone di Bonini, gli fa un sombrero verso l’interno del campo, servendo involontariamente lo stesso Bonini, il quale sfonda in area con un controllo “avventuroso” (cit. BP) e viene fermato in angolo da un gran tackle scivolato di Hogg. Batte Vignola, respinge la difesa inglese con un colpo di testa che atterra sul piede destro di Platini. Il francese, pochi metri fuori area, sta già osservando disposizione e dinamica dei corpi tra lui e la porta. Sceglie un colpetto di collo dal basso verso l’alto a pescare con esattezza il movimento di Rossi, che incorna a pochi passi da Bailey. Il colpo di testa non è angolatissimo, ma il portiere fa un paratone. Rossi tradisce la sua frustrazione pesticciando a terra con braccia tese e pugni stretti, come un bambino.

La nonchalance con cui Platini trova Rossi è un proclama: anche in una giocata così bella e letale, che risolve a suo favore il disordine di una difesa in uscita dall’area e un attacco che si riposiziona, la quantità di talento che Platini deve utilizzare, rispetto al totale in suo possesso, è insignificante. Gli avversari si intimoriscono non solo con le grandi giocate, ma anche con quel che gli racconti di te mentre le fai.

La Juve resta alta e sembra davvero voglia chiuderla qui. Altro corner: doppio tiro di Brio, testa e poi piede, respinti benissimo da Hogg e terzo angolo consecutivo. Stavolta Vignola batte corto e si incastra in un gioco a due con Bonini sulla destra. Platini alza la mano al centro del campo. Lo vedono, lo servono, lui si gira e mette di nuovo Rossi solo in area, stavolta sulla sinistra. Palla indietro per Cabrini, tiro mancino da dentro l’area, alto.

E invece, contro l’inerzia della gara, pareggia lo United: giropalla da destra a sinistra fino a innescare la combinazione tra Graham e McGrath, che riceve in area spalle alla porta, completamente libero (Bonini era uscito a raddoppiare su Graham), e costringe all’uscita Scirea. McGrath tenta un cross, Scirea glielo respinge, ma sul tacco: il pallone resta vagante in area, Whiteside anticipa Brio e segna con una bomba di sinistro da cinque metri. Gol arrivato da sinistra, segnato dal nuovo entrato: il piano di Atkinson ha funzionato.

Platini decide di reagire sbloccando una nuova abilità del suo armamentario, quella in cui può puntare la porta palla al piede, dritto per dritto, partendo in volo da qualunque punto del campo.

La prima ricezione è vicina, sulla trequarti, Hogg sbaglia l’uscita e si ritrova a dover inseguire e stendere il francese al limite dell’area. Punizione da posizione eccellente che Platini calcia malissimo.

La seconda ricezione è spalle alla porta poco prima del cerchio di centrocampo, tra i due mediani dello United. È un pallone non semplice da controllare: arriva dal piede selvaggio di Bonini in una zona delicata del campo e gli ribalza davanti. Lo stop di Platini è così pulito da consentirgli un secondo, fulminante movimento con cui si gira, lasciando lì Wilkins e Moses con una giocata zidaniana. Per niente zidaniano è lo scatto palla al piede di sessanta metri con cui Michel plana sull’area avversaria. Viene atterrato nella stessa posizione di prima mentre, al massimo dei giri, sembra voler portare la palla fino alla rete. Cadendo abbatte Moran come un birillo.

Stavolta tira la punizione molto meglio, con un movimento che è un suo marchio di fabbrica: due soli passi di rincorsa, corpo leggermente all’indietro, palla che si alza sopra la barriera e si abbassa subito dopo. Troppo centrale però, Bailey la blocca.

La partita adesso pende inevitabilmente dal lato del Manchester United, che ha dalla sua parte l’inerzia, la condizione fisica e la possibilità di segnare un secondo gol fuoricasa. La Juventus è stanca. Pizzul consiglia di prepararsi per “venti minuti scarsi al cardiopalma”. Poco dopo evocherà “lo spettro dei supplementari”.

74°-88° - Cardiopalma

Giunge infine il giallo per Gentile, necessariamente dopo un fallo su Hughes. Whiteside dimostra di riuscire a ricevere spalle alla porta e giocare il pallone meglio di quanto non abbia fatto Stapleton e lo United trova un punto di riferimento offensivo importante, una nuova stabilità, una inedita pericolosità. Arriva un colpo di testa insidioso di McGrath su cross di Duxbury dalla destra e si moltiplicano le buone giocate offensive inglesi, risolte quasi tutte con un pallone crossato in area juventina.

Al trentatreesimo si fa anche male Tardelli, sostituito sulla destra da Cesare Prandelli. Platini gioca male due palloni di fila, due lanci da destra a sinistra, in area, uno di 40 metri per Rossi, uno di 15 per Boniek. Poi un suo filtrante viene fermato di mano da un inglese ed è ancora punizione dal limite, posizione centrale. Tira Boniek, stavolta, dopo tocco di Cabrini. Sventola che Bailey riesce addirittura a bloccare in tuffo.

A otto minuti dai supplementari Brio sbaglia ciò che non si dovrebbe mai nemmeno tentare: un passaggio orizzontale verso l’interno del campo. Wilkins glielo legge, intercetta e può ripartire. Ma il destinatario del passaggio, Platini, ha già letto sia l’errore di Brio che la ripartenza di Wilkins e invece di farsi tagliare fuori allontana di punta il pallone dopo il primo tocco dell’inglese, impedendo così un break pericoloso dello United.

La Juventus è diventata più imprecisa e fatica ad affondare come prima. Boniek lanciato verso la porta passa in verticale sulla corsa di Platini, più avanti di lui, l’uomo più avanzato della Juve in questa fase. Platini la rimette sulla corsa di Boniek con un colpo di tacco no look di prima intenzione e poi scatta in profondità accelerando ulteriormente. Boniek anticipa il terzino, ma controlla male e l’attacco sfuma. L’azione successiva Platini finisce a bloccare Moses sulla destra dell’attacco inglese, e ad accapigliarcisi anche. Il gioco era però fermo per un fallo precedente di Brio. La punizione finisce in area, Whiteside la controlla bene nonostante Brio alle spalle e scarica sull’esterno per Duxbury. Cross morbido e stacco impressionante di McGrath, che salta sopra Hughes, Gentile, Bonini e Prandelli (“grappolo di uomini!” urla Pizzul) e arriva sul pallone troppo in alto, così è costretto a schiacciarla. Tacconi ci arriva e devia sopra la traversa.

A quattro dalla fine, Scirea libera l’area di testa e il pallone finisce in zona Platini. È un campanile, gli sta passando sopra, è una palla che si fatica a definire giocabile, ma il francese ha già pensato a come andare in porta. Correndo, getta le spalle in avanti e poi colpisce il pallone di testa in torsione verso la sua sinistra, verso Vignola. Lo scatto in profondità successivo è automatico e ancora vivace, nonostante sia quasi il novantesimo. Vignola non può che restituirgliela sulla corsa: la Juve esce dalla pressione dello United con due passaggi e davanti a Platini c’è un due contro tre (Rossi e Boniek vs Moran, Hogg e Albiston). «Michel, il pallone correrà sempre più in fretta di te», era solito ripetergli suo padre, e allora Platini previene il furente ritorno di McGrath e, dal cerchio di centrocampo, spedisce in area avversaria un filtrante di esterno destro per l’inserimento di Boniek. Il tiro di punta del polacco, in allungo, è però respinto dalla coraggiosa uscita di un perfetto Gary Bailey.

89° - Beniamino

All’ottantanovesimo, nel corso di quello che potrebbe essere l’ultimo possesso della Juventus prima dei minacciosi supplementari, arriva un tunnel di Vignola su McGrath. Approdato alla Juventus dall’Avellino giusto in quella stagione, Beniamino Vignola ha affrontato il salto in modo semplice e radicale: «Ho dovuto assimilare la mentalità vincente dopo essere stato abituato a lottare per non retrocedere. Insomma, ho modificato la mia personalità». Forse è proprio l’area rinnovata della personalità di Vignola che gli permette di giocare sul baratro sportivo con quella leggerezza, scherzando col bellicoso metro e ottantacinque di Paul McGrath senza indugiare nemmeno un attimo nel compiacimento.

Evitato a quel modo l’irlandese, Vignola non fa poi nient’altro di speciale, gioca semplice su Boniek, ed è possibile che questo tunnel non dica in realtà niente, né di chi lo ha eseguito, né di come poi è finita la partita. Ma il fatto che, in quel frangente, un comprimario appena arrivato trovi nelle sue corde un gesto di quel tipo, così discorde da quella che teoricamente dovrebbe essere la sua situazione psicologica, credo lasci intuire qualcosa di significativo riguardo allo spirito di quella Juventus.

Oggi Vignola è un imprenditore e siede nel consiglio di amministrazione di Vetrocar, azienda impegnata nella riparazione e sostituzione di cristalli auto. Dal suo profilo sul sito si legge che «usa nel lavoro quotidiano la stessa classe ed intelligenza che utilizzava in campo per disegnare geometrie vincenti. Punto di riferimento, è riconosciuto come espressione di concretezza».

90° - Epilogo: la supremazia del caso

La Juve ormai è tutta avanti e prosegue nella sua fase di possesso, Rossi cerca Platini ma il pallone viene intercettato e ritorna a Vignola, stavolta a sinistra, il quale viene improvvidamente abbattuto da Duxbury mentre, spalle alla porta, vorrebbe riavviare l’azione. Batte proprio Vignola crossando in area, la palla viene respinta e finisce sui piedi di Scirea ai venti metri che, con grandissima calma, finta il destro di prima e manda a vuoto Whiteside. Poi tira di sinistro. La palla è deviata e resta vagante in area: chi mai può arrivare? Pablito, che finalmente supera Bailey di piatto sinistro e porta la Juve sul 2-1, e in finale, allo scoccare del Novantesimo. «Ho sperato che scoppiasse il pallone», dichiara Ron Atkinson a fine partita.

La Juventus vincerà la finale di Coppa delle Coppe contro il Porto per 2-1, Vignola farà il primo gol e l’assist a Boniek per il secondo. Se in questa semifinale la squadra ha dei demeriti, sono tutti relativi alla scarsa capacità di sfruttare le situazioni pericolose prodotte, una colpa che in molti casi sa rivelarsi estremamente dolorosa. Ma che la rete decisiva sia arrivata senza il minimo contributo da parte di Michel Platini dice probabilmente più del calcio che di questa partita in particolare. Giocare al livello del francese per novanta minuti e rientrare nell’azione di un solo gol, oltre che inverosimile, è una delle più efficaci rappresentazioni della distanza che può esserci nel calcio tra prestazione individuale e risultato di squadra.

Di tutte le idee di Platini, disarmanti per praticità e bellezza, solo una ha portato delle conseguenze dirette, mentre tutte le altre, non meno belle, restano esposte qui e altrove come pezzi in un museo: se avranno degli effetti, saranno interamente nelle sensazioni che proveremo apprezzandole. E se questo, stavolta, è facile da accettare, è soltanto perché Pablito ha creduto molto nell’uomo, e in Michel in particolare, ma ancora di più nel caso, da sempre il suo assistman preferito.

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