Le altre puntate del Classificone 4/4
Nell’ultimo quarto di campionato c’è stata una specie di sagra dei gol dell’ex. Non credo sia significativa di nulla in particolare, forse è un fatto da archiviare più nel campo semantico delle coincidenze che nel novero della probanza statistica: eppure un gol dell’ex è sempre un’epifania che ci rende compassionevoli sia con chi lo fa, quel gol, che con chi lo subisce. E poi l’aria da fine-della-scuola-imminente, con quel suo profumo di mughetto e verdetti, rende l’evento (sempre infausto, in definitiva) qualcosa da festeggiare con malinconica schadenfreude, sorseggiando un gin tonic preparato con quei gin dal sapore mentolato che fanno tanto estate.
5. Maximiliano Gastón López aka Maxi López
Torino vs. Chievo 2-0
Ingratitud Doble
Sarà che ne ha il nome intriso, dell’aroma acre e pungente della ics: fatto sta che in Maxi López ogni cosa è avvolta da quel suono cingolante e stridulo che ha la parola ex. Maxi è ex di qualsiasi cosa: River Plate, Barcellona, Wanda Nara. In cinque anni in Italia ha cambiato cinque squadre, dal Catania al Milan alla Samp; poi ancora al Catania; poi di nuovo alla Samp. Si può dire di un giocatore del Catania che è al contempo un ex giocatore del Catania? Questo, infine, è stato l’anno di Chievo e Torino. E di Torino - Chievo. Ovviamente ha segnato una doppietta.
Non siamo abituati a parlare di gol dell’ex, con Maxi. Piuttosto i riflettori si sono accesi su partite in cui si poteva verificare il gol all’ex, se per un assurdo e complicatissimo giro di immagini e metafore assumiamo che i gol segnati alle squadre che schierano Icardi possano essere considerate lesive per Icardi stesso, e per osmosi per la sua attuale compagna, che è poi l’ex, ovviamente, di Maxi.
L’esultanza dopo ogni segnatura contro il Chievo ci regala invece un Maxi López consapevole, maturo, con una serenità d’animo tipo quella dei genitori quarantenni che nei weekend in cui non hanno i figli vanno comunque allo zoo a portare le noccioline ai macachi. Dopo il primo goal alza la mano, quel gesto un po’ meccanico di scuse che però associato al ciuffo rockabilly di Maxi prende certe sfumature di un’eleganza antica.
Dopo la seconda rete, invece, scavalca i tabelloni pubblicitari e discreto, quasi sottovoce, si avvicina ai tifosi del Toro, stringe i pugni in una movenza di gioia pacata che si apprezza bene ripresa dalla curva, come a dire shh, ho fatto goal, gioiamone silentemente.
4. Giuseppe Biava
Atalanta vs. Lazio 1-1
Incornata per l’Europa
La Lazio a un certo punto ha rischiato di giocarsi la qualificazione in Champions League sul campo ingrato di Bergamo. Ha rischiato su un gol di Giuseppe Biava, che poteva avere il peso di una mezza pietra tombale.
El tanque Denis che in tribuna grida il nome di Biava è un discreto nonsense, fa ridere e paura insieme come i fiori di H.P. Lovecraft quando iniziano a intonare uno yodel; è un po’ come se inquadrassero Bruce Springsteen che dal parterre scandisce il nome di Neffa.
Il gol di Biava (un colpo di testa come ne avrà fatti mille in allenamento, qualcuno anche verso la sua porta), non è aggraziato, non è un gol gentile e lo stesso l’esultanza, anche se è al contempo bello in maniera manusiaca, nel senso che conserva una morale: nonostante il cronista nel video si premuri di ricordare che Giuseppe era nella squadra vincitrice della Coppa Italia del derby (era la terza scelta per la fascia di capitano, dopo Mauri e Ledesma: se per assurdo entrambi fossero stati sostituiti quella coppa l’avrebbe alzata lui), Biava sghignazza d’immemore ingratitudine. Cosa ci insegna quell’esultanza? Che il girone degli ingrati è piastrellato di finzione, cattiveria e in ultima istanza è tutto un crollo: letterale, prima che in senso metaforico di stile, prima che, in sostanza, d’amore.
3. Fabio Quagliarella
Torino vs. Juventus 2-1
Raccontare l’ingratitudine
Sembra un’era geologica fa, eppure l’anno scorso alla festa per lo scudetto, il terzo consecutivo della Juventus, tra gli attaccanti bianconeri c’era pure lui: magari non il più incisivo, né il più presente, né il più facile da pronunciare per i tifosi sparsi in tutto il mondo.
Quando in estate Fabio Quagliarella ha attraversato il Po, ha scelto di vestire la maglia granata e in qualche modo tradire la Fidanzata d’Italia, gesto eminentemente scugnizzo, forse se lo sognava, di segnare un gol nel derby, meglio se una rete decisiva per una vittoria che mancava da tanti, troppi anni.
In questo caso non voglio troppo soffermarmi sul livello di irriconoscenza (che in un’ideale scala Richter dell’ingratitudine si assesterebbe al sesto grado: scossa facilmente avvertibile ma danni solo apparenti agli edifici, nessun cedimento strutturale rilevante) dimostrato da Quagliarella, quanto nell’etica spicciola del racconto che se ne fa nel video.
Il processo alle intenzioni di quel saltello subito soffocato, insieme al retroterra morettiano del mi si nota di più se vado o se resto?, l’accenno d’esultanza fatto rientrare per rispetto, ha lo stesso acume del tre dei calciatori serbi—gesto di rimando all’ethos nazionalista—interpretato (in quella celebre partita dei disordini sugli spalti giocata a Genova) come un eloquente ci fanno perdere tre a zero a tavolino.
Se non avesse avvertito il dolore muscolare che ha avvertito, Quagliarella, per fermarne la corsa sfrenata ci saremmo dovuti spingere fino ai Murazzi.
2. Mattia Destro
Milan vs. Roma 2-1
Tu quoque, et cetera
La credenza popolare, ed è una fallacia classica secondo me, è che l’ingratitudine sia il b-side crudele e meschino di un idillio che è stato e a un certo punto non è stato più, fin quando una delle due parti—unilateralmente—ha deciso di recidere il cordone; oppure di un feeling che non è mai nato, nonostante le ottime premesse con cui una parte ha accolto l’altra, e che quindi si è tramutato in qualcosa dall’ombra affilata simile a quella della vendetta.
Quello che voglio dire è che non ci fermiamo mai un attimo a riflettere su quanto meritata sia l’irriconoscenza, a volte.
E quindi ti chiami Mattia Destro, sei un calciatore della Roma ma sei abbastanza intelligente da capire che l’allenatore non ha una grande considerazione di te. E quindi te ne vuoi andare, a tutti i costi, al Milan. Ci vai in prestito, e sei abbastanza intelligente da capire che a fine anno tornerai, e a cinquecento chilometri di distanza avrai lasciato estimatori e detrattori, gufi che ti avranno osservato per la mezza stagione lontano sperando di godere del tuo insuccesso ed estimatori estemporanei nati sull’onda del rimpianto, del se stava mejo quanno se stava peggio, della nostalgia ondosa che sussulta come le corde vocali quando pronunciano la parola Doumbia.
La Roma si sta lasciando sfuggire di mano il secondo posto, a contenderglielo c’è la Lazio ed è un momento particolare della stagione quello in cui decidi di avventarti di testa su un cross come forse mai hai fatto in maglia giallorossa, e segni il gol del 2-0: il momento in cui quasi quasi condanni la Roma ai preliminari di Champions, te stesso ad accelerare i tempi di preparazione e potenziale prossima fuga, se non vuoi rischiare di farti il ferragosto in attesa di sfidare, che so, il Valencia. Sai che non potrai mai più uscire a prendere un caffè all’interno del GRA, se quel tuo gol si dimostrerà decisivo in senso negativo.
Nel dedicarlo a tuo nonno, scomparso da poco, alzi le braccia al cielo, guardi un punto non meglio definito verso Plutone, mostri il pugno perché reclami un posto là, ai confini della galassia, un posto in cui stare senza troppe menate.
Alla fine, però, l’esultanza in ginocchio sembra più una questuante lode al Dio Paletta che ti sovrasta. Tu quoque, Mattia, fili mi!
1. Hernanes
Lazio vs. Inter 1-2
Una capriola triste così felice
Se un giorno mai decideranno di assegnare il Pulitzer per l’Irriconoscenza più Ritrattata con Rimorso Ostentato, quel premio dovrebbero darlo a Hernanes.
Anche perché l’acronimo sarebbe PIRRO, come pirrica è stata la vittoria di Hernanes, metonimia della sua Inter, sul campo della Lazio: troppo alto il prezzo per il suo vincitore, portare via tre punti con una doppietta.
Interessantissimo e in parte inedito è il pentimento istantaneo di Hernanes, che si sviluppa nel momento stesso in cui sta accadendo: prima esulta con una delle sue capriole, così felice e triste allo stesso tempo, senza un sorriso, senza gioia; poi, alla rete del due a uno, l’emotività del Profeta implode sotto il peso di un successo che è una sconfitta annunciata. La Lazio non arriverà seconda, l’Inter non si qualificherà per l’Europa League, i tifosi lo fischieranno, il famoso caffè all’interno del GRA gli sarà interdetto, pure a lui, sine die: cui prodest, Profè?
Ma il vero capolavoro è il video postato nei giorni successivi su Instagram.
Un video pubblicato da Hernanes Lima (@hernanesoj) in data: 10 Mag 2015 alle ore 19:53 PDT
La sua poeticità dimessa è racchiusa, in nuce, in una caratteristica per sua natura sfuggevole: cioè che un video di Instagram è troppo corto per spiegare con le parole quanto subdola possa essere, in primo luogo per chi se ne rende protagonista, l’irriconoscenza canaglia.