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Il Classificone: Novembre
21 nov 2015
Nuovo appuntamento con il rinnovato Classificone, la rubrica più amata de l'Ultimo Uomo: sempre più matura, appagante e caduca.
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37 min
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Benvenuti al secondo appuntamento dell’anno (qui potete trovare il primo) con il Classificone de L’Ultimo Uomo, la rubrica in cui mettiamo in lista le cose più belle, e pazze, e interessanti, e strane, e intelligenti capitate nell’universo sportivo nell’ultimo mese.

In questa puntata: il tradizionale appuntamento con i migliori gol; i giocatori che avremmo voluto vedere, ma abbiamo visto pochissimo; le top 5 Offense e Defense della NFL; il borsino delle società di Serie A e gli errori più assurdi delle World Series. E ancora: la vita in breve di Kristaps Porzingis, i migliori tackle (verbali) di Roy Keane e le 4 cose che ci ha insegnato la gara di Sölden.

Buona lettura!

I migliori gol

di Daniele Manusia (@DManusia)

5. Higuaín vs. Fiorentina. 18 ottobre. Assist: Mertens controllato mentalmente da Higuaín

Higuaín ha segnato questo gol due giorni dopo la pubblicazione dello scorso Classificone, in cui lo descrivevo come ideale platonico dell'attaccante e ne lodavo (per non ripetermi mi cito da solo, pare che anche riciclare concetti propri senza esplicitarlo sia una forma di plagio) «l'ossessione genuina per la porta avversaria, che magari lo rende infelice la maggior parte del tempo, ma che in alcuni casi si trasforma in volontà di potenza».

Il gol del mese passato contro la Lazio era nato da una palla vagante, qui Gonzalo sente l'odore del sangue su un passaggio in orizzontale del centrocampo viola, Ilicic prova a far scorrere la palla per mandarlo a vuoto ma Higuaín fa scacco matto in 3 mosse, che potrebbero essere considerate l'ABC del centravanti: A) sposta il suo avversario; B) la passa di punta, o di esterno, a Mertens; C) corre nello spazio alle spalle dello stesso, povero, Ilicic, che ci prova pure a riprenderlo, ma fa la fine di un uomo che prova a scappare da uno tsunami con le infradito ai piedi. Anche Tatarusanu fa la figurina, ma è merito di Higuaín se tutti i portieri davanti a lui si trasformano in statue di sale. E mi perdonerete se gol di questo tipo avranno sempre un posto nel mio cuore e, se non ne trovo 5 clamorosamente migliori, anche nelle mie classifiche.

4. Mandzukic vs. Empoli. 8 novembre. Assist: Faulkner

Dopo aver visto tutti i gol di Filippo Inzaghi ho sviluppato una sensibilità particolare per i gol sporchi. Più che il rapporto tra fortuna e bravura quello che mi interessa, specialmente nel caso di questo gol di Mandzukic, è la rapidità nel cambiare idea in corsa, nell'adattare il proprio corpo a una situazione inaspettata e impossibile da preparare. È una caratteristica che rende molti gol “sporchi” anche calcisticamente “belli”, perché il calcio—ogni tanto va ricordato—trova il suo compimento nel gol e tutti gli sforzi intellettuali, fisici, psicologici, di tutti coloro che partecipano a una partita di calcio sono tesi a far entrare la palla in rete.

In questo senso c'è una profonda consapevolezza del ruolo da parte di Mandzukic, quando scivola in un modo che, se gli fa mancare il colpo di suola con cui inizialmente voleva mandare la palla in rete, gli permette di dominare la zona più pericolosa in assoluta del campo da calcio, quei cinque metri e mezzo che, ormai, separano la palla dalla riga. Dal momento in cui Mandzukic scivola anticipando il portiere, mettendo il corpo in quel modo, è impossibile che la palla non entri in porta. Ed è stupendo che i commentatori non riescano a capire, nonostante i potenti mezzi tecnologici della contemporaneità, come esattamente la palla sia entrata.

Ecco una frase di William Faulkner, intervistato dalla Paris Review, che sarebbe piaciuta a Mandzukic: «Che tecnica usa per arrivare al suo standard qualitativo?». «Se a uno scrittore interessa la tecnica, allora è meglio che vada a fare il chirurgo o il muratore».

3. Franco Brienza vs. Atalanta. 1 novembre. Assist: James Blake

Il primo novembre 1512 la Cappella Sistina fu mostrata per la prima volta al pubblico. Il primo novembre del 1604 fu messo in scena per la prima volta Otello, e il primo novembre 1614 La Tempesta. Il primo novembre 1755 Lisbona fu distrutta da un terremoto + tsunami e poi ricostruita, nella sua attuale bellezza, dal Marchese di Pombal. Il primo novembre 1880 nasceva il giornalista sportivo americano Grantland Rice, il primo novembre del 1905, invece, è nato Aldo Fabrizi e il primo novembre 1953 Lello Arena. Il primo novembre è la festa cristiana Ognissanti in cui si celebrano i Santi canonizzati e no e per molti anni il primo novembre è stato il giorno in cui nel mio palazzo accendevano i termosifoni.

Il primo novembre di quest'anno Franco Brienza a 36 anni ha segnato uno dei suoi più bei gol in carriera (per la parabola non convenzionale, con un collo esterno innaturale per la sua generazione, che è anche la mia). Non ho un'opinione definita su Brienza, nonostante sia uno dei pochi giocatori in attività più vecchi di me, nonostante sia un feticcio di chissà quanti giocatori di FIFA, nonostante abbia già raggiunto platee internazionali per aver segnato un gol “identico a quello di Messi”, nonostante con il sinistro abbia già dimostrato di poter colpire la mela sulla testa di suo figlio.

Non si può dire di conoscere un giocatore se non si sono viste almeno una decina di sue partite, e in questo senso mi dispiace non aver potuto seguirlo ai tempi della Reggina, di Siena, o anche solo della sua prima stagione a Palermo. Di Brienza mi resterà un'impressione vaga che questo gol riassume bene, di una leggenda locale—da provincia, da quartiere quasi—che ha giocato in Serie A, annullando per pochi istanti, tipo questo, la distanza che lo separa dai giocatori che davvero hanno creato un solco nella mia/nostra memoria. Ma non basta per vincere questo Classificone. E neanche per arrivare secondo.

2. Blanchard vs. Genoa. 8 novembre. Assist: la versione più sfigata di Blanchard

Tornando ai gol sporchi, questo mese ne è stato segnato uno in cui le “forze invisibili” del calcio sono ancora più presenti. Uno dei gol, anzi, più unici e irripetibili della Storia del Calcio. Nello sport cerchiamo l'eccellenza umana, ma viviamo un periodo, calcisticamente parlando, in cui l'eccellenza è diventata la norma, e guardando tutto il calcio che guardiamo siamo in grado di apprezzare gol di questo tipo, come i collezionisti apprezzano i francobolli sbagliati o gli exogini rari. Non vedremo mai più un gol in rovesciata dopo che, quello stesso giocatore, ha sbagliato una rovesciata.

Per quanto possa cambiare le nostre vite, è così. Se volete una morale più spendibile pensate che se Blanchard non avesse tentato la prima rovesciata, scoordinata, fuori tempo, impossibile anche solo da pensare per un atleta che si guadagna da vivere coordinando il proprio corpo in funzione di un oggetto sferico e determinate coordinate spaziali, be', poi non avrebbe avuto l'occasione di segnare in rovesciata da terra. La classe di questa seconda rovesciata riscatta la goffagine della prima e adesso Blanchard potrà dire di aver segnato un gol in rovesciata in Serie A.

1. Sergio Pellissier vs. Genoa. 18 ottobre. Assist: Federico Mattiello

Ma il primo posto va a quello che, per anni, troppi anni, per pudore, per paura di spararla troppo grossa, perché aspettavo una qualche forma di consacrazione, non sono riuscito a chiamare pubblicamente il mio giocatore italiano preferito. Ma lo è, ancora oggi controllo il suo minutaggio dopo ogni partita del Chievo, ho esultato per il suo gol in Nazionale (nella sua unica convocazione!), ogni tanto guardo, seppur in bassissima qualità, lo splendido gol alla Lazio, ho sofferto quando qualche tempo fa sembrava finito ai margini, ho esultato quando ha segnato con il Cesena nel giorno del suo 36.esimo compleanno.

Vorrei poterlo chiamare solo “Sergio” con le persone che conosco, vorrei che esistesse un suo culto come esiste per giocatori che a Pellissier dovrebbero pulire gli scarpini. E magari un culto di Sergio esiste e sono io a non aver avuto la fortuna di incrociarlo, magari non sono stato abbastanza persistente... scusa Sergio, avrei voluto dedicarti più tempo, avrei voluto venire almeno una volta a Verona per vederti giocare, e adesso ho paura che sia troppo tardi...

Sono un frequentatore del suo sito umile, quasi ridondante per la semplicità, e non credo che il video di paragone con Sergio Agüero sia insensato quanto quello di confronto tra Falcao e Possanzini o altri simili. Credo che non esiste modo in cui Sergio Pellissier non abbia segnato o, con una carriera diversa, occasioni diverse, compagni di squadra diversi, avrebbe potuto segnare. Se nel Classificone scorso, parlando del suo compagno di squadra Meggiorini, dicevo che il termine “sottovalutato” ormai è abusato, sento di poter dire tranquillamente che Pellissier, in effetti è stato sottovalutato. Che se avesse vestito altre maglie oltre a quella del Chievo forse ne parleremmo in un altro modo, mi sembra, anzi, una banalità. E vorrei chiudere dedicando a Sergio alcune delle mie citazioni preferite da personaggi famosi:

«Nonostante tutte le inquietudini, riposo sul mio romanzo come una statua che guarda lontano, riposa sul suo zoccolo» (Kafka).

«Il fine della vita è la felicità, e reagire alla vita come se fosse perfetta è il cammino della felicità» (Agnes Martin).

«Alla fine della fiera uno fa esperienza solo di sé stesso» (Nietzsche).

Non è una questione di durata, dice

di Fabrizio Gabrielli (@conversedijulio)

Giunti a questo punto del campionato, l’assioma consolatorio valido per gli amplessi—non è una questione di durata, ma di qualità—si rivela inapplicabile all’esperienza sportiva e umana dei calciatori.

Ho scelto cinque calciatori che in limine alla 13.esima giornata non sono riusciti a mettere insieme neppure 90 minuti: giocatori che nell’economia delle rispettive squadre dovevano, potevano, era lecito aspettarsi che fornissero un apporto maggiore.

Ivan Strinic - SSC Napoli. Minuti effettivi: 77 (meno della durata canonica di un CD musicale)

Se c’è un motto che Sarri ha saputo incarnare al meglio in questi quattro mesi di Serie A è quello secondo il quale «solo l’imbecille non cambia idea tre volte al giorno». Peraltro vale sia per lui che per chi ha tirato conclusioni affrettate nei suoi confronti.

Sarri conosce a memoria i meccanismi dell’entropia, valuta la resilienza dei suoi uomini con la perizia con la quale Giotto disegnava cerchi a mano libera e sì, Ghoulam non lo convinceva prima dell’inizio del campionato ma poi no, ha scoperto che su Ghoulam si sbagliava e ora l’algerino mette a fuoco e fiamme la fascia sinistra, basculando tra difesa e attacco, mentre Ivan torna a casa senza salutare nessuno e corre in camera sua, getta la testa sotto il cuscino con la melodrammaticità di una cheerleader e non riesce a togliersi dalle orecchie quel suono fastidioso di Faouzi che fa swoooosh sulla fascia.

Poi, per farsi ancora un po’ del male, mette un CD di Céline Dion, si strugge sulla sua versione di "All by myself" e quando il CD finisce, ecco, realizza che è durato quasi quanto la sua permanenza in campo quest’anno. Lacrime one more time.

Ravel Morrison - SS Lazio. Minuti effettivi: 51 (meno della sinfonia n. 8 in do minore op. 65 di Dmitrij Shostakovich)

Nel provare a tirare un po’ di somme sull’effettivo impatto di Ravel Morrison nell’organico della Lazio bisognerebbe tener conto del fatto che per mettere insieme una compila di Goals’n’Skills da caricare su YouTube han dovuto per forza di cose inserirci anche le partitelle d’allenamento ad Auronzo. Il livello di mito è così drammaticamente sotto l’asticella delle aspettative da spacciare per un altisonante RAVEL VS FELIPE ANDERSON questa cosa imbarazzante qua, in cui Marchetti para una punizione di Ravel di testa.

⚽️

Una foto pubblicata da @1ravel in data: 27 Ott 2015 alle ore 06:59 PDT

«Hey capitan Biglia, ciao, sono Ravel, gioco con voi, hai presente?».

Se Ravel fosse la brezza sul litorale di Zara, la melodia che l’organo marino canterebbe un senso generale di diffidenza: Pioli ha puntato le sue fiches altrove, e a noi resta la sensazione che ci stiamo perdendo qualcosa di grande per colpa delle fissazioni di un allenatore che ha però sempre dimostrato quanto alla lunga le sue fissazioni ripaghino. Che Ravel possa essere l’angelo dalle ali nere che plana sulle macerie di quella mezza-tabula-rasa che è la Lazio post-derby per guidare la riscossa?

Nel frattempo c’è un sacco di tempo libero per preparare in anticipo l’albero di Natale o farsi tatuaggi autocelebrativi che attingono da un background pop discutibile. O per caricare clippini su Instagram. Ovviamente delle session d’allenamento.

Assane Gnoukouri - FC Internazionale. Minuti effettivi: 45 (meno della durata della traversata da Pointe-à-Pitre a Marie-Galante, in Guadalupa, da dove sto scrivendo questo classificone)

Intendiamoci: eccezion fatta per Strinic, ormai ventottenne, gli altri sottoutilizzati di questa classifica son tutti poco-più-che-ventenni: Gnoukouri, poi, è il più giovane in assoluto, diciannove anni. Giocano in squadre di vertice e ci può stare che le occasioni a disposizione siano dispensate con il contagocce piuttosto che con il secchio. È un discorso sempre molto delicato, che finirebbe, approfondendolo, per surrogare la tesi che la Serie A dovrebbe dotarsi di seconde squadre in cui queste mie picks dovrebbero poter avere l’opportunità di mettersi alla prova tutte le domeniche.

Chi vuole guardare Gnoukouri in campo meriterebbe la possibilità di poterlo fare anche ad Appiano Gentile a novembre, non necessariamente in Cina ad agosto (e poi basta).

Gnoukouri, semplicemente, è l’uomo giusto nel momento sbagliato, perché il suo mix di tecnica e muscolarità è esattamente ciò che Mancini ha nei due rinforzi principali richiesti e ottenuti per affrontare la stagione, vale a dire Kondogbia e Felipe Melo. E gli scudetti si vincono, o ci si prova, con un’esperienza che a diciannove anni non puoi avere.

Salih Uçan - AS Roma. Minuti effettivi: 39 (il tempo che ci ha messo Federer per sbarazzarsi di James Duckworth negli ultimi Internazionali di Brisbane)

Se si osservano e mettono a confronto i video dei play-by-play di Salih nei precampionati dell’anno scorso e di quello in corso non si faticherà a carpire una verità imbarazzante: è possibile che Uçan sia regredito?

Per illustrare la sintomatologia ho scelto questo no-look perso nel nulla, di rara inefficacia.

Ormai la sua presenza in campo è oggetto di scommesse sfrenate al picchetto. Keita, De Rossi e Pjanic inutilizzabili al derby? Stai a vedere che non tocca a Uçan, ci voglio buttare cinque euro. A Uçan, in verità, non tocca mai: qualche spezzone contro il Carpi, e il Palermo (dove ha servito l’assist a Gervinho per il suo gol, ma non ci si fa troppo caso perché la palla è partita dalla metà campo giallorossa e Gervinho ha fatto praticamente tutto da solo).

Sembra che Dan Brown stia pensando al prossimo romanzo sui misteri romani e che voglia far cimentare Robert Langdon tra Vatileaks e Trigoria. Anche Chiarelettere ha in mente un reportage sulle motivazioni di Rudi Garcia. La gente vuole sapere perché Salih stia diventando roscio, e c’è da credere che dipenda dal fatto che chiunque gli stia passando avanti, pure l’ultimo arrivato Vainqueur. All’occorrenza, in assenza di contendenti e senza volontà di cambiare modulo, c’è da credere che lo scavalcherebbe pure Machín.

Daniele Rugani - Juventus FC. Minuti effettivi: 0 (se si considerano i 2’ in Champions, comunque meno della metà del pezzo completamente silenzioso di John Cage)

Allegri ha detto che il ragazzo è giovane e avrà tutte le possibilità di questo mondo. Certo, la trimurti difensiva juventina ha radici così salde nella sua trequarti (e nelle idee di Allegri) da sembrare un baobab ineradicabile. Ma i bianconeri hanno pur sempre subito quasi un gol a partita.

Stante questa la situazione, sognare l’Europeo, per Rugani, con tutta la buona volontà del mondo (e di Conte) comincia a essere complicato.

Obiettivo: altri due minuti almeno. Così da onorare il numero di maglia.

Ciò che trovo comunque desolante è che se fate la conta di quanto ci avete messo a leggere questo pezzo (voglio dire: anche senza concentrarvi sui video, diciamo che avete pensato di farlo dopo, con calma), in ogni caso ci avrete senz’altro messo di più del tempo che Daniele Rugani ha speso in campo quest’anno. Rifletteteci un po’ e ditemi se non vi mette una tristezza che lévati.

Top 5 attacco e difesa della NFL

di Francesco Casati (@FranklinCasati)

Top 5 Offense

Quarterback: Cam Newton

Le statistiche non impressionano come quelle di altri quarterback (Brady su tutti), ma quello che emerge decisamente nelle partite dei Panthers è la sua presenza in campo, la sua indiscussa leadership, la voglia di vincere e la padronanza con cui gestisce l’attacco, con schemi e audibles per cambiare gli assegnamenti di bloccaggio. Come rappava Prodigy su un pezzo di Pete Rock, «separate the bullshit from the authentic», qui possiamo separare le statistiche da fantasy football dalle prestazioni fenomenali. Cam in questa stagione è molto più a suo agio nella tasca e corre in modo selettivo e intelligente. Il problema di molti quarterback dinamici è la prevedibilità nel voler far correre la palla sfruttando le proprie doti fisiche. Cam è inarrestabile, e dannatamente spettacolare, nelle situazioni di corto e di goal line. Traduzione: Panthers imbattuti a metà campionato nonostante il talento del roster, a livello offensivo, sia buono, ma non eccezionale.

https://www.dailymotion.com/video/x37k0uj_jogada-imperdivel-da-semana-cam-newton-carolina-panthers_sport

Running back: Todd Gurley

Il rookie più impressionante dai tempi di Adrian Peterson. Molti lo paragonano a una leggenda della storia dei Rams, Eric Dickerson, per la potenza, la velocità, la maniera di correre al contempo violenta e fluida. La visione delle linee di corsa e la capacità di cambiare direzione in spazi stretti, nonostante il fisico possente, sono il valore aggiunto dell'attacco dei Rams. Ancora più impressionante il fatto che viene da 10 mesi di stop a causa della rottura del crociato subita nella stagione da junior a Georgia. Da quando il bulldog ha ripreso ritmo e confidenza l’attacco ha iniziato ad avere una propria identità.

https://www.dailymotion.com/video/x30i0zs_ultimate-todd-gurley-highlights-hd-run-this-town_sport

Wide receiver: Julio Jones

Il più dominante atleta nel ruolo, quello che gli americani definiscono "freak" per le doti fisiche irreali persino per la NFL. Julio mette sul campo un paio di mani che sembrano cosparse di colla, etica del lavoro e una capacità sottovalutata di correre le tracce. La dimensione atletica è così appariscente da distogliere dal fatto che nel suo gioco c’è tanto studio. È in ritmo per avvicinare i record di Jerry Rice, vuol dire che testa e corpo viaggiano sullo stesso binario.

Antonio Brown

Il più incredibile ricevitore NFL. L’atletismo non è quello di Jones, il che lo rende umano ai nostri occhi, ma quello che lo separa dagli altri ricevitori (compreso Jones) è la fluidità e la precisione con cui corre le tracce, la capacità di liberarsi dal corner back anche in poche yard e in qualsiasi situazione difensiva (press o zone coverage) e il sesto senso con cui "sente" arrivare la palla per poi riceverla con mani da pianista. Gli Steelers hanno una grande tradizione di corsa e Brown viene inserito spesso nei trick play, dove si trasforma in un running back aggiunto.

https://www.dailymotion.com/video/x3163j8_antonio-brown-steel-city-hero_sport

Tight end: Tyler Eifert

La sorpresa dell’anno nel ruolo. Pur essendo una prima scelta, nei primi due anni in NFL ha avuto grossi problemi di infortuni, tanto da “guadagnarsi” l’etichetta di "injury prone" ("sempre rotto"). Finalmente sano, nella sua terza stagione è, dopo Rob Gronkowski (un capitolo a parte), il più produttivo e completo tight end della lega, e anche il primo per td ricevuti. I suoi stessi compagni lo definiscono un ricevitore aggiunto per la sua capacità di correre le tracce e di farsi trovare libero. Oltre a essere una macchina da punti è un grande bloccatore. Grazie a lui l’attacco dei Bengals ha cambiato marcia rispetto allo scorso anno e Dalton sta avendo numeri da incorniciare. Ma fino a quando non vincerà una partita di playoff avrà le scarpe piene di sassi.

Top 5 Defense

Defensive tackle: Aaron Donald

Per dimensioni fisiche un po’ sottodimensionato rispetto agli standard per un DT. È però considerato il più rapido di tutti al momento dello snap, tanto che in pochi riescono a mettergli le mani addosso per limitarlo. Il suo spin move è tecnica pura e gli uomini della linea di attacco avversaria giocano ogni possesso sotto pressione. Artista del sack, insieme al compagno Gurley rappresenta un buon motivo per guardare i Rams. Consiglio da appassionato: prendete carta e penna o un tablet e segnate quante volte l’attacco è costretto a improvvisare per contenere Donald, uno che fa saltare gli schemi offensivi senza sforzi.

Defensive end: Carlos Dunlap

Insieme a Geno Atkins forma una formidabile coppia difensiva, che ricorda il giovane Julius Peppers. Dunlap è fra i più produttivi defensive end della NFL (8,5 sacks in 8 partite). Costituisce da solo la pass rush della difesa di Cincinnati. Tradotto: è in grado di azzerare il tempo tecnico dell’attacco e mettere pressione al quarterback. La specialità della casa è quella che gli americani definiscono "setting the edge", in pratica dalla sua parte non si corre.

Linebacker: Jamie Collins

Come Jones anche lui è un atleta di un altro mondo. I Patriots lo usano indifferentemente sia da inside che da outside linebacker. È grosso, potente, intelligente, veloce e cambia direzione con la stessa facilità di un playmaker NBA. È migliorato notevolmente nell’efficacia della sua pass rush e nella capacità di copertura. Attualmente è un’arma totale per coach Belichick, che ne sfrutta la versatilità per creare vantaggi tattici irrisolvibili per gli attacchi avversari. È con Chandler e Hightower il cuore e la colonna portante di una giovane e sottovalutata difesa dei Patriots. Sottovalutata perché l’attacco è così automatico da mettere in ombra tutto il resto in casa Pats.

Cornerback: Josh Norman

Norman è attualmente il miglior Cornerback livello statistico. Il suo rendimento è nettamente superiore a quello di altri pari ruolo più noti e titolati (Revis, Sherman, Peterson) ed è divenuto un autentico shutdown corner, cioè dalla sua parte non nasce nulla per l’attacco avversario. Fisicamente rappresenta l’archetipo del cornerback moderno: alto, ma fluido, con grandi doti di lettura, tecnica in presa e mani eccellenti. Sfiga per i Panthers: è il suo ultimo anno di contratto, per cui rischiano di perderlo a fine stagione. Il suo prossimo contratto sarà davvero pesante.

Intercetto niente male.

Safety: Charles Woodson

Classe '76, ha vissuto due vite in NFL: da cornerback prima e, quando ha perso mezzo passo, da safety. Charles per entrare nella Hall of Fame di questo gioco deve solo appendere le scarpe al chiodo. Doveva, nei piani dei Raiders, fare da chioccia ai giovani talenti e fornire solida presenza nel backfield difensivo. In realtà Woodson è il cuore e l’anima della difesa: un placcatore perfetto sulle corse, non ha perso il feeling con i blitz ed è la miglior safety della prima metà stagione in copertura, con già 5 intercetti. La capacità di lettura dell’attacco avversario, la leadership e la voglia di vincere sono addirittura superiori di quando fu rapinato della chiamata decisiva per andar al Super Bowl nel gennaio 2002. Questo è Woodson al college, vent’anni fa.

Questo è sempre lui, la scorsa stagione.

Lo scorso anno si è battuto come un leone per dare dignità a un contesto perdente e se i Raiders ora sono una squadra lo devono a lui.

Il borsino delle società

di Francesco Lisanti (@effelisanti)

↓ Palermo

Nel momento in cui il direttore sportivo Gerolin dice alla stampa: «Se Zamparini ha deciso così, vuol dire che questa era la miglior decisione da prendere», e Zamparini afferma in conferenza: «La decisione è stata lunga, ponderata, supportata da tanti consulenti», qualche dubbio sulla comunione d'intenti è legittimo porselo.

I numeri descrivono uno scenario grottesco: esonero numero 53 per Zamparini, il 27.esimo nei 13 anni di presidenza del Palermo. Prima di Iachini, solo Guidolin nel 2004-2005 era riuscito a completare un'intera stagione. In Serie A, per l'ultimo esonero successivo a una vittoria bisogna tornare al 1998, Gigi Simoni nell'Inter di Moratti. Soprattutto, il Palermo ha 14 punti dopo 12 giornate, esattamente come nella passata stagione.

Zamparini ha fornito motivazioni di natura tattica («La prestazione non mi è piaciuta e io guardo soprattutto le prestazioni») e psicologica («Non è mia abitudine avere un allenatore che non è contento»). È stato anche restio nel riconoscergli i meriti: «Sono favole che Iachini abbia fatto diventare grandi Vázquez e Dybala», che era invece la tesi sostenuta da Enzo Maresca, cui ha replicato con ammirevole sobrietà.

= Roma

«Le cose stanno andando bene, ma senza i nostri tifosi non è la stessa cosa, ci mancano». Dopo le vittorie cruciali contro Bayer Leverkusen e Lazio, James Pallotta ha ribadito il suo impegno nel farsi garante delle richieste dei tifosi, in seguito alle misure di sicurezza ordinate dalla Prefettura (innalzamento di barriere divisorie, riduzione dei posti in curva, multe per posti non rispettati).

La Roma si trova così nel singolare ruolo di mediatore in disaccordo con entrambe le parti in causa. Il d.g. Baldissoni si era pronunciato già ad agosto sia sulle misure di sicurezza («I responsabili dell'ordine pubblico non si confrontano con chi le deve mettere in pratica, cioè noi e la Lazio»), sia sulle contromisure dei tifosi («Le proteste di tifo sono qualcosa che va in contraddizione col ruolo del tifoso»). In assenza di Pallotta, proprio Baldissoni è stato incaricato di portare queste istanze sui tavoli di prefetto e questore.

Contestualmente all'organigramma giallorosso si aggiunge la figura dello SLO, responsabile del club per le relazioni con i tifosi, istituzionalizzata dall'ultimo regolamento UEFA, ma presente fin dagli anni Novanta nelle società tedesche. Il ruolo è stato affidato a Sebino Nela: a lui toccherà convincere i tifosi a tornare allo stadio, a Baldissoni convincere la Prefettura a non impedirlo.

↑ Frosinone

Il Frosinone non rappresenta il terzultimo posto che attualmente occupa in classifica, ma una rivendicazione culturale. Maurizio Stirpe, presidente-patron, non parla d'altro: «Il calcio è nato dalla passione, dalla necessità di far parlare del territorio in termini più lusinghieri e di restituire al territorio quello che il territorio ci ha dato»—e si premura di specificare: «Prima la passione era un costo, oggi è un investimento».

Nonostante le fortune alterne in campionato (benino in casa, malissimo in trasferta), non c'è comunicato del Frosinone che affronti il tema “fiducia” o “supporto” verso Stellone. In compenso non c'è intervista in cui non compaia la parola “territorio”, vedi anche: «Reputo la nostra società molto simile all’Udinese per modello di gestione aziendale e per il valore identificativo che ha col territorio».

Frasi che si ripetono puntuali nello stesso mese in cui Franco Carraro, durante la presentazione di un libro, ha posto un gigantesco “però” sull'ormai celebre argomento-Lotito, glissando «se dici a un inglese Frosinone, ti serve la carta geografica».

Quantomeno, sulla mappa inglese di Carraro dovrebbero presto comparire: un nuovo centro sportivo nel comune di Ferentino, il cui progetto è stato approvato all'unanimità in consiglio comunale, e uno stadio in concessione per 60 anni al privato che investirà gli 8 milioni di euro necessari alla riqualificazione dell'area del Casaleno (ovvero lo stesso Stirpe, e i lavori sono già iniziati).

Stellone al momento non è in discussione, e la sua posizione viene consolidata proprio dalla noncuranza con cui la dirigenza affronta la questione. Come se firmare accordi che influenzeranno a lungo termine il futuro del Frosinone Calcio contribuisse a restituire senso della misura a un pareggio contro il Genoa, e a ricordare che la passione, da sola, non basta mai.

Gli esiziali errori delle World Series

di Nicola Palmiotto (@npalmiotto)

Gli americani li chiamano bloopers, in Italia sarebbero “papere”, anche se nel mondo del baseball il termine tecnico è errori. Nelle ultime World Series se ne sono visti alcuni pazzeschi, e che hanno peraltro contribuito pesantemente alla vittoria dei Royals.

1. Lucas Duda in gara 5

Nono inning. I Mets sono avanti 2-1 con un eliminato. Perez batte una rimbalzante che viene raccolta da David Wright e spedita in prima base per eliminare il battitore. Duda la afferra. Deve solo servire una facile assistenza a casa base per eliminare anche il corridore e spedire tutti sotto la doccia, consegnando ai suoi la vittoria che riaprirebbe la serie. Invece accade questo:

Duda va un tantino largo. Hosmer riesce a segnare, i Royals pareggiano. La giugulare di New York viene recisa da Kansas City qualche inning dopo.

2. Daniel Murphy in gara 4

Il mondo è fatto a scale. Chiedere per conferma a Daniel Murphy, l’eroe dei playoff con i sei fuoricampo consecutivi, finito nella polvere nel giro di pochi giorni per questo errore:

Ottavo inning, Kansas City conduce la serie 2-1. Mets avanti 3-2 con un eliminato. Hosmer colpisce una “grounder”, il marchio di fabbrica dei Royals. Daniel Murphy si avvicina per raccoglierla. Il doppio gioco, che consentirebbe di chiudere l’inning avvicinando New York alla vittoria, sembra cosa fatta. Murphy però la liscia. Il seconda base dei Mets probabilmente non ha fatto in tempo a fare i conti che Fangraphs ha invece messo nero su bianco (questo errore da solo ha ridotto del 13% le possibilità di vittoria finale per i Mets), ma a occhio e croce ha capito subito il guaio che aveva combinato. I Royals non si fanno pregare, correndo come dannati sulle basi e permettendo a Zobrist di firmare il punto del pareggio. Inutile dire che Kansas City si è portata a casa anche questa partita. Murphy per non farsi mancare niente ha commesso un errore anche in gara 5.

3. Yoenis Céspedes e Michael Conforto in gara 1

Non accadeva dalle World Series del 1929 che un giocatore realizzasse un ossimorico fuoricampo inside-the-park, ovvero da quando George William Haas, detto “Il Mulo”, lo mise a segno durante gara 4 della serie tra Philadelphia Athletics e Chicago Cubs. Haas realizzò 3 punti che diedero il là alla rimonta di Philadelphia, che sotto 8-0 vinse poi 10-8. Chissà se l’episodio centra qualcosa con il giovedì nero di Wall Street, accaduto solo 12 giorni dopo. L’epigono di Haas si chiama Alcides Escobar, che però deve senz’altro ringraziare l’aiutino di Céspedes e Conforto.

Primo inning, primo lancio. Il giro di mazza di Escobar, altrimenti detto #EskyMagic, spedisce la pallina verso la recinzione. Céspedes e Conforto si intralciano a vicenda; Cespedes tenta una maldestra presa dietro la schiena, colpisce involontariamente la pallina che schizza via. Escobar segna l’1-0. I Mets avrebbero dovuto intuire da questo episodio l’andamento della serie. Anche questa partita è stata vinta dai Royals al 14.esimo inning.

4. La Fox e Google Fiber in gara 1

Nel bel mezzo del quarto inning di gara 1 sugli schermi dei telespettatori è apparsa questa immagine:

https://twitter.com/FOXSports/status/659178214435241984

Dopo un paio di minuti la trasmissione è ripresa dallo studio di Fox annunciando problemi tecnici. L’errore, assolutamente imperdonabile per l’esigente audience televisiva americana (personalmente ricordo con affetto la comparsa del monoscopio colorato utilizzato dalla Rai), ha causato uno stop alla partita di 5’, perché gli arbitri si sono accorti che non era possibile visionare gli instant replay, qualora gli allenatori avessero voluto richiederli. La notte stregata del Missouri ha coinvolto anche Google Fiber, il servizio di internet ultraveloce attivo solo in alcune città americane, causando l’interruzione della trasmissione della partita per gli utenti di Kansas City.

5. La signora con il cappello di pelliccia in gara 1

Gara 1 delle World Series è stata una delle partite più lunghe della storia. Qualche spettatore si è fatto distrarre da personaggi, alcuni un po’ inquietanti, come questa signora:

https://twitter.com/jeremynewberger/status/659184478468886528

Ribattezzata “Fur Hat lady”, la cui visione ha scatenato su twitter una ridda di commenti salaci che biasimavano l’outfit della inconsapevole signora.

Vita in breve di Kristaps Porzingis

di Valerio Coletta (@inesatto)

1. Nasce

Nekas nav mainiijies.. @porzingis #18yearslater

Una foto pubblicata da Kristaps Porzingis (@kporzee) in data: 16 Ago 2013 alle ore 02:30 PDT

L'Ordine dei Fratelli della Casa Ospitaliera di Santa Maria dei Teutonici in Gerusalemme, più amichevolmente detto Ordine dei Cavalieri Teutonici, aveva due compiti: combattere le crociate e assistere i bisognosi. Inoltre, intorno al 1200 fonda la città di Liepaja, in Lettonia, dove 700 anni dopo nasce Kristaps Porzingis. Un caso? Mmmmmh.

2. La palla

Started from the bottom

Un video pubblicato da Kristaps Porzingis (@kporzee) in data: 4 Ago 2013 alle ore 08:34 PDT

L'ingresso nella Chiesa cristiana avviene attraverso il sacramento del battesimo e avviene il più delle volte quando sei piccolo e sono gli altri a voler decidere del tuo destino. Allo stesso modo nel basket il sacramento della "Consegna della palla" avviene quando ancora bagni il letto e non hai idea di nulla, al di là della merenda. Kristaps, come ogni iniziato al basket, è già un giocatore a 6 anni, ma non lo sa.

3. Riduzione patologica di emoglobina o di globuli rossi nel sangue

Me and @krabiic swaggin back in the day

Una foto pubblicata da Kristaps Porzingis (@kporzee) in data: 20 Gen 2015 alle ore 03:32 PST

A 15 anni Kristaps è 2.01 ma pesa 71 chilogrammi. Soffrire di anemia in piena crescita e quando il primo grande club della tua carriera ti fa firmare un contratto non è il massimo. Ma il Sevilla è convinto delle potenzialità di Kristaps e lo trattiene affiancandogli un nutrizionista che lo segue, individua i suoi problemi e lo sottopone a un programma di riabilitazione e guarigione.

4. Ok con l'emoglobina e i globuli rossi

Shodienas piedziivojumi wet n wild parkaa haa paldies @porzingis par editu #whathappensinVegasstaysinVegas #akocitudarītjavēlnav21?

Un video pubblicato da Kristaps Porzingis (@kporzee) in data: 27 Lug 2014 alle ore 21:27 PDT

Yeeeeeeeeee.

5. Draft

«Lo spilungone europeo bianco tonto moscio con il nome impronunciabile» questo è l'incubo del tifoso NBA americano. Questa figura è ormai un topos radicato nella narrazione del basket USA. È quello a cui tutte le stelle avversarie faranno gara a schiacciare in testa, è quello che non schiaccia ma appoggia, è quello che tira benissimo i liberi, ma che è noioso da morire in tutto il resto, che viene stoppato, che è lento, di cui escono meme infinite alla prima goffaggine che fa in campo. Questo giocatore virtuale probabilmente neanche esiste più, ma è una prospettiva che lampeggia sempre nelle ansie del tifoso, soprattutto nel tifoso dei Knicks e soprattutto quando si era penato tanto per ottenere una delle prima scelte in un draft molto goloso. I New York Knicks selezionano come quarta scelta assoluta al Draft NBA 2015 Kristaps Porzingis. E questo è quello che è successo.

6. L'abito

Needed to get a new phone

Una foto pubblicata da Kristaps Porzingis (@kporzee) in data: 15 Ott 2015 alle ore 15:09 PDT

Kristaps è un ragazzo sereno, serio sul lavoro, a cui piace diramare le piccole matasse della vita con calma, un filo alla volta. Mi hanno giudicato per l'abito, per così dire, e allora cambierò d'abito.

7. Il monaco

Dietro l'abito di Kristaps, però, c'è un monaco. Ecco il video in cui simbolicamente Porzingis entra in NBA. Come in un film di Lynch una tenda bianca divide simbolicamente i cliché, gli stereotipi e le proiezioni, dalla realtà concreta in cui il giovane lettone entra con un sorriso, vagamente spavaldo, come per dire: non ho paura di un fottuto niente, men che meno di voi stronzetti.

8. Il cavaliere teutonico

Come ho scritto all'inizio, il cavaliere teutonico ha due compiti: combattere le crociate e assistere i bisognosi. La NBA è una crociata e i New York Knicks hanno tanto bisogno.

Le tre migliori entratacce di Roy Keane del mese

di Simone Vacatello (@SimoneVacatello)

Chi ha amato Roy Maurice Keane, chi l'ha odiato o l'ha anche solo intravisto come giocatore, fatica a immaginare che oggigiorno non riesca a trovare modo di causare del male fisico a qualcuno, anche solo da bordocampo, ora che è vice allenatore dell'Irlanda da poco qualificata agli Europei del 2016.

E infatti, nonostante non giochi più a pallone dal 2006, oggi Roy benedice le caviglie spirituali degli appassionati di calcio dal suo trespolo di pundit, uno di quelli con meno peli sulla lingua della storia del calcio inglese raccontato. Per esempio un paio d'anni fa, in risposta alle critiche riservategli da Sir Alex Ferguson nella sua autobiografia, quando disse che il suo ex manager «non conosce il significato della parola lealtà».

Con Roy Keane è possibile stilare una classifica di dichiarazioni clamorose anche solo concentrandosi sugli ultimi 30 giorni. Ecco le migliori tre da ottobre a novembre.

3. Keane vs. Arsenal

Dopo la sconfitta subita circa un mese fa dai "Gunners" in Champions League contro l'Olympiakos, Roy stende i rivali di sempre definendoli «molli, deboli, senza carattere, senza leader, senza vincitori. Ti divertiresti parecchio, giocandoci contro. Sono deboli mentalmente».

2. Keane vs. Ashley Young

Roy non è più il capitano dei "Red Devils", ma ci lascia immaginare cosa volesse dire avercelo nello spogliatoio ai tempi, dato che nel censurare un tuffo di Ashley Young si fa prendere la mano ballando sul suo cadavere: «Questo tizio è una disgrazia. Se lui è un giocatore da Manchester United io sono un cinese. Non dovrebbe essere accettato nello United. Gli altri giocatori dovrebbero liberarsene e dirgli che non ci si comporta così giocando per il Manchester United».

1. Keane vs. Cristiano Ronaldo

«Sì, io ho creato Ronaldo. Se non fosse per me ora non sarebbe dov'è». Una sberla sulla nuca a bocce ferme, di quelle che ricordano ai compagni di squadra più appariscenti chi è che comanda. Forse.

In realtà invece si tratta solo di una battuta e tutto—dal tono di voce alle stesse parole che seguono alla boutade—evidenzia come si tratti solo di uno scherzo. Tuttavia Roy è sempre Roy, gli occhi sgranati da bestia feroce sono gli stessi, che scherzi o che sia serio, e per pochi secondi possiamo provare l'ebbrezza di ascoltare Roy Keane dire che lui ha creato Cristiano Ronaldo.

Le 4 cose che la gara di Sölden ci ha insegnato

di Gianluca Pizzutelli

1. La prima gara può essere bellissima

La gara d’esordio di Sölden è tradizionalmente accompagnata da molta tensione e poco spettacolo. La gara si tiene sempre l’ultimo weekend di ottobre, a patto che non comprenda la festività di Ognissanti, per cui, almanacchi alla mano, si oscilla tra il 22 e il 29 ottobre. Gli atleti invece programmano la preparazione per entrare in forma nel vivo della stagione, per cui non è raro vedere campionissimi contratti come tronchi di quercia. Tina Maze lo scorso anno mise i brividi con quel ventiduesimo posto fatto di traversi e legnosità.

La pista Rettenbach si trova sull’omonimo ghiacciaio situato nel comune di Sölden, il più vasto di tutta l’Austria, il secondo (solo a Vienna) per numero di visitatori, pari a due milioni l’anno. Il fatto che si corra su un ghiacciaio comporta due ordini di problemi. L’altitudine di 3000 metri, innanzitutto, che ne fa una gara estremamente probante a livello fisico. Ma a questo gli atleti sono abituati. E l’incognita meteo, tanto che spesso si è gareggiato con una nebbia fittissima o con un manto nevoso troppo morbido e lento. Qualche anno fa i concorrenti furono costretti a una sorta di passo-spinta per ricercare la velocità sul piano finale.

Questa volta, invece, tutti i protagonisti più attesi si sono fatti trovare pronti alla prima prova della stagione e l’organizzazione è stata a dir poco perfetta. Il meteo è stato ideale, la visibilità buona e il manto verglas, una superficie estremamente liscia e dura, come una rampa di lancio per qualsiasi oggetto ci scivoli sopra.

Non solo oggetti: vedere per credere.

Finalmente la tappa di Sölden è apparsa come la prima, vera, gara di Coppa del Mondo, e non un insipido antipasto che non riempie lo stomaco e lascia un cattivo sapore in bocca.

2. La parità dei sessi non è un’eresia

«Voglio correre con gli uomini». Quando Lindsey Vonn espresse questa sua volontà alla vigilia della stagione 2012-2013, in molti strabuzzarono gli occhi. Non solo, l’americana fece espressa richiesta alla FIS di poter gareggiare nella discesa libera maschile di Lake Louise in Canada. Oltre a rimediare un secco rifiuto dalla FIS, che non le aveva riservato neanche la gentilezza di valutare in modo reale la proposta, si beccò anche i commenti infastiditi delle colleghe, che la reputavano senza speranza.

Quando la FIS rifiuta la sua richiesta, come era intuibile, pensa a diverse cose. Innanzitutto lo sci alpino è uno sport di velocità in cui lo sciatore usa al meglio il suo corpo e l’attrezzo per sfruttare delle forze fisiche. Va da sé che uomini e donne hanno masse e strutture fisiche diverse, di conseguenza gli uomini hanno un motore con cilindrata maggiore.

Ecco perché ci sono scarponi e sci diversi a seconda del genere. La FIS distingue di solito anche le piste dove gareggiano uomini e donne: in effetti quale responsabile dell’incolumità degli atleti permetterebbe a una donna di fare la discesa libera di Kitzbühel, così pericolosa, quando anche la maggior parte degli uomini fatica a non volare al di là delle protezioni a bordo pista? Mettere le donne di fronte a prove troppo impegnative pone anche il rischio opposto, quello di non lasciare loro esprimere il proprio sci migliore. Insomma, lo sci non è il korfball.

A Kitzbühel non si scherza. La Vonn era in evidente delirio da onnipotenza agonistica.

L’appuntamento sul ghiacciaio Rettenbach è una peculiarità anche per questo: entrambi i sessi gareggiano sulla stessa pista. Ogni anno si osserva come le donne accusino diverse difficoltà, ed è vero, ma neanche gli uomini se la passano troppo bene su questa pista. Il fattore positivo è che, una volta a stagione, nelle donne ci sia una selezione tecnica seria, capace di invertire i soliti rapporti di forza nel circuito femminile: non vince più l’atletismo sfrenato o solo il coraggio di far correre lo sci più delle altre, ma anche la tecnica pura, che spesso passa in secondo piano in situazioni troppo agevoli. Inoltre non hanno sfigurato di fronte ai colleghi maschi, in primis Federica Brignone, che ha proposto un’interpretazione del tracciato tanto azzeccata da far invidia ad almeno la metà dei maschietti.

3. Lo sci rosa italiano è vivo e lotta insieme a noi

2824 lunghissimi giorni separano la vittoria di Federica Brignone dall’ultima vittoria italiana femminile in slalom gigante. Era il 26 gennaio 2008 quando Denise Karbon vinse la quinta gara della sua stagione, e al termine di questa anche la Coppa del Mondo. Più di 7 anni.

Nel mezzo qualche podio di chi quel lontano giorno c’era, cioè Manuela Moelgg, e di chi ha interrotto questo digiuno, cioè Federica. Ma soprattutto l’evidente difficoltà di trovare ricambi generazionali. Questa gara rappresenta una boccata di aria fresca per il nostro movimento, visto che oltre alla vittoria, abbiamo anche altre 4 atlete tra le prime 15. Certo, tra Irene Curtoni, Nadia Fanchini e la Moelgg fanno più di 90 anni in tre, ma c’è anche Elena Curtoni, classe ’91 e Sofia Goggia, sedicesima, classe ’92. Inoltre la scorsa stagione abbiamo assistito alle gesta di una scalpitante Marta Bassino, classe ’96, che rappresenta il prospetto più roseo di questa covata.

Mai vista una Brignone così matura, nonostante la sua postura naturale ricordi quella dei concorrenti della categoria cuccioli al Pinocchio sugli sci.

Tornando a Federica, a stupire è stata soprattutto la prima manche, dove commette solo qualche imprecisione nel primo tratto, per poi galleggiare tenendo un’ottima linea e con l’impressione di non fare fatica. In seconda c’è un errore grossolano sempre nel primo settore, ma quando entra nel muro si dimostra più fluida e coraggiosa del fenomeno Shiffrin, rifilandole nel finale ben 85 centesimi. Un’eternità. Dietro di lei le altre italiane si collocano nell’alta borghesia, così lo sci rosa può sorridere alla nuova stagione.

4. Il titolo di Mr. Gigante sarà un affare a due

Dalla stagione 2007/2008 lo slalom gigante è stato appannaggio esclusivo di Ted Ligety. A parte Didier Cuche, oggi ritirato, che ha trionfato nel 2009, l’unico altro sciatore ad avere interrotto il regno di Ligety, conosciuto anche come "Mr. Gigante", è Marcel Hirscher, nel 2012 e nel 2015, due stagioni che sanno tanto di lesa maestà. Infatti l’incarnazione universalmente riconosciuta dello slalom gigante è l’americano, che a detta di molti ha inventato un nuovo modo di sciare: base d’appoggio molto larga, angolazioni tali da far toccare il bacino per terra e linee molto rotonde. Unico e immediatamente riconoscibile, l’anno scorso è incappato in diverse uscite che gli sono costate il titolo a favore di uno strabiliante Hirscher, mentre gli altri loro malgrado si sono attestati su un gradino inferiore, o almeno lo sono quando entrambi sciano al massimo delle loro possibilità.

Tutto Ted Ligety in una sola manche. Quando non disegna traiettorie che vanno a spasso è devastante.

È successo anche a Sölden, solo che Thomas Fanara è riuscito a issarsi sul gradino dei due contendenti, rompendo le uova nel paniere all’austriaco che è arrivato terzo. E per farlo ha dovuto sfoderare quella che, probabilmente, è stata la miglior gara della sua vita. Per quanto siano numerosi i grandi sciatori capaci di star davanti all’asse Washington-Vienna (Pinturault, Kristoffersen, Neureuther, Dopfer, e se vogliamo essere ottimisti, anche il nostro Roberto Nani), nessuno sembra avere le carte in regola per farlo lungo tutta la stagione. Più che altro, la novità rispetto all’anno scorso è che Ligety è in forma e renderà la vita difficile alla sua nemesi, forse anche in ottica Coppa del Mondo generale. L’identikit del campione si riduce a due soli volti.

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