La mossa del coccodrillo non è stata inventata da Marcelo Brozovic, come qualcuno potrebbe pensare, ma è come se lo fosse. Come quelle cover che hanno più successo dell’originale (sapevate ad esempio che Twist and Shout non è un canzone originale dei Beatles?) l’esibizione del croato al Camp Nou è riuscita a fare ombra su chi lo ha preceduto diventando contemporaneamente genesi storica e moda che non sembra tramontare. Ma partiamo dall’inizio.
L’origine
Correva l’anno 2013 e per fronteggiare una punizione dello specialista Alan Kardec in un Figueirense-Palmeiras, Ricardinho si sdraiò sotto i compagni in barriera per creare un argine rasoterra. Dovrebbe essere questa la prima apparizione della “mossa del coccodrillo” ma il mito, lo sappiamo, ha origini fosche. Non è facile ricostruire l’avvento di una giocata tanto strana per un campo da calcio: chi l’ha pensata, come l’ha pensata, perché l’ha pensata. Se è stato Ricardinho davvero, non l’ha rivendicato ai quattro venti, se già da quel giorno ha preso il nome di mossa del coccodrillo allo stesso modo è impossibile da capire. Più facile invece è tracciarne l’espansione, come un culto partito da una regione remota e arrivato in maniera capillare in tutto il pianeta.
Forse non a caso a portare l’idea in Europa fu un brasiliano, nel 2017. Dico idea e non mossa, perché Coutinho cercò una sintesi tra efficienza e comodità, evitando di sdraiarsi orizzontale come un coccodrillo, ma inginocchiandosi dietro i suoi compagni schierati in fila per fronteggiare una punizione di Eriksen. A volerne fare una questione pratica, con questa postura il giocatore del Liverpool perde in superficie di spazio coperto - ma la posizione angolata del punto di battuta glielo permetteva - guadagnando però in rapidità a rialzarsi qualora avesse dovuto prendere parte a un'azione di gioco.
Probabilmente Coutinho aveva mutuato la sua mossa - che potremmo chiamare la “mossa del promesso sposo” o “la mossa del cavaliere” - da Marcelo, che l’aveva realizzata uguale durante un Argentina-Brasile valido per le qualificazioni al Mondiale del 2018. In quel caso si trattava di togliere una possibile soluzione di tiro a Lionel Messi e a nessuno era sembrato strano farlo, perché comunque si trattava di Lionel Messi.
Insomma l’idea di mettere un uomo dietro la barriera sembra arrivare dal Brasile, come molte delle giocate più impensabili del calcio. Ma se solitamente i brasiliani si sono distinti per invenzioni proattive, la mossa del coccodrillo nasce per rompere alla radice una giocata controintuitiva dell’avversario. Perché, lo dice la storia, le punizioni calciate sotto la barriera sono una rarità, una soluzione tentata al massimo da qualche specialista così in fiducia da provare la magata. Hanno segnato così Rivaldo, Ronaldinho (almeno 3 volte), Cristiano Ronaldo, Xabi Alonso, Messi, Pirlo, Coutinho e Saponara. Capite bene che tipo di giocatore può permettersi questa giocata.
Senza arrivare al centro dell’attenzione, in quegli anni ogni tanto l’uomo dietro la barriera fa capolino sui campi da calcio. Ci prova Sanson con la maglia del Marsiglia; Hirving Lozano - ancora al PSV - la esegue (nella versione inginocchiata) in una partita contro il Barcellona, vedendo, anzi non vedendo a causa della postura, Messi spedire il pallone sotto l’incrocio dei pali. E sempre da Barcellona la storia dell’uomo (dietro alla barriera) cambia per sempre.
La svolta Brozovic
Inter e Barcellona stanno giocando l’andata della fase a gironi della Champions League 2018/19, Messi è assente per infortunio e quando ai blaugrana viene fischiato un calcio di punizione appena un metro fuori l’area di rigore, leggermente spostato sulla sinistra, sul pallone ci va Luis Suarez. Vista la posizione ravvicinata la barriera è molto folta: sei giocatori dell’Inter e due del Barcellona ad allungarla. Alla loro destra c’è Brozovic, quasi disinteressato. Gli passa accanto Coutinho (che in questa storia è come il prezzemolo) e non lo segue. Poi, all’improvviso, il colpo di genio. Mentre Suarez parte per la sua esecuzione, Brozovic scivola alle spalle della barriera per lungo, ergendosi a frangiflutti umano.
In una frazione di secondo il croato sintetizza tutto quello che l’uomo dietro la barriera voleva essere, ma non era mai stato in grado di fare, reinventando totalmente la mossa del coccodrillo. Nelle altre esecuzioni, infatti, sdraiarsi o inginocchiarsi alle spalle della barriera aveva funzionato come deterrente, ovvero si copriva in anticipo uno spazio di tiro per impedire all’avversario di farla passare lì, cosa che dopotutto fa la barriera normalmente. Brozovic invece scivola all’improvviso, lasciando all’avversario l’idea di poter calciare sotto la barriera.
Se l’idea è brillante, è l’esecuzione a renderla immortale. Se allo scivolamento di Brozovic Suarez avesse risposto con una punizione sopra la barriera, avremmo avuto un paio di secondi di follia di un calciatore altre volte sopra le righe. Sarebbe finito su Twitter e Instagram ma come esempio di come a volte si possa essere scemi pure in Champions League, pure al Camp Nou contro il Barcellona. Ma Suarez calcia sotto la barriera. La mossa del coccodrillo di Brozovic trascende quindi la sua dimensione ipotetica per trasformarsi in un ostacolo reale tra il pallone e il gol. Non ricapiterà mai più.
Come è venuto in mente a Brozovic di fare quella cosa lì? Era preparata? Avevano studiato le punizioni di Suarez? È vero che da quella posizione, con poco spazio per farla scendere una volta superata la barriera, può avere senso calciare così; ma l’uruguaiano non lo aveva mai fatto prima e solitamente calcia le sue punizioni di potenza sul palo del portiere. È possibile che Brozovic avesse pensato a questa mossa preparandosi a fronteggiare Messi - che aveva già calciato così - ma si sapeva dell’assenza dell’argentino da diversi giorni. Un anno dopo Politano ha provato a prendersi il merito, dicendo che Brozovic aveva inventato la mossa del coccodrillo a causa sua, visto che con la maglia del Sassuolo aveva battuto Handanovic proprio calciando rasoterra sotto la barriera. Ma era successo ben cinque mesi prima e il rapporto di causa-effetto sembra molto debole.
Se è impossibile ricostruire il germe dell’intuizione di Brozovic, lo si può fare con la catena di eventi che ne scaturisce. Subito in campo Suarez reagisce ghignando infastidito dall’essersi visto negato un gol che lo avrebbe fatto passare per un genio da uno che si è sdraiato per terra. Gli altri ventuno si mostrano freddi, nessuno grida al miracolo, nonostante la stranezza di quello che è appena avvenuto davanti ai loro occhi, con la palla che oltre tutto schizza fino a passare pochi centimetri sopra la traversa rendendo il momento ancora più drammatico, c’è da dire che a vederlo rallentato sembra quasi che la deviazione sia stata invece del piede di Skriniar. Anche Trevisani e Adani - al commento quel giorno - non sembrano capire subito cosa è accaduto.
Diversa invece la reazione di Messi in tribuna: le telecamere raccolgono la gustosa risata dell’argentino che prende il salvataggio di Brozovic con lo spirito di chi avrà anche visto la sua squadra mancare il gol di un pelo, ma ha anche e soprattutto assistito alla storia in costruzione.
Tuttavia è lontano dal Camp Nou che il gesto di Brozovic diventa leggenda. Il croato aveva già raccolto un piccolo culto social dopo aver postato una foto in macchina insieme alla sorella e a un'amica in una posa da ganzo: la testa inclinata, il mento alzato con l’indice a reggerlo. Grazie a quella posa era diventato Epic Brozo, epico nel modo di fare, nel contesto, come spiegato dal giocatore quando gli hanno chiesto il significato di quel gesto: «Sono un tipo giusto». La mossa del coccodrillo però lo porta su tutto un altro livello perché - c’è poco da obiettare - l’esecuzione è epica, nel senso più virale e meno accademico del termine. Brozovic che sembra disinteressarsi della vita e poi salva tutti scivolando alle spalle della barriera come Tom Cruise che scivola sul parquet di spalle in Risky Business, quel tipo di coolness lì che non si può insegnare.
I commenti a caldo erano stati tra l’impazzito e il basito. Se l’Inter aveva finito per perdere quella partita, a scorrere i social ci si imbatteva solo sul video della punizione o sul fermo immagine di Brozovic sdraiato. Tutti avevano un commento pronto. Tutti parlavano della mossa del coccodrillo, come se fosse l’ultima release di qualche rockstar. Ma non era finita qui. Brozovic l’aveva ripetuta anche nella successiva partita contro la Lazio, sempre scivolando all’improvviso. Questa volta era stata la barriera a deviare la punizione di Cataldi, ma il marchio su questa mossa ormai era ben impresso. Qualche giorno dopo, sulla scia di un entusiasmo che faticava a scemare, Brozovic si era fatto immortalare sdraiato sul pavimento di casa con indosso un costume-pigiama da coccodrillo.
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Come se fosse un passaparola uno dei primi a imitare il croato era stato Immobile contro la Spal appena una settimana dopo. Poi era stato il turno di Kimmich in Nations League contro l’Olanda. In quei giorni era comparsa un po’ dappertutto, ma sempre come imitazione. L’account della Germania aveva scritto che “Kimmich guarda le partite dell’Inter”, quello del Bayern Monaco "Kimmich ha deciso di imitare Marcelo Brozovic stasera".
In quelle settimane sembrava davvero una moda passeggera, come le sigarette elettroniche o Clubhouse; e invece con il passare del tempo la mossa del coccodrillo è diventata parte di una partita di calcio.
La mossa del coccodrillo oggi
Senza arrivare alla follia di Brozovic, ovvero senza la scivolata improvvisa che rende la mossa tanto spettacolare quanto rischiosa, sempre più giocatori si sdraiano alle spalle della barriera per chiudere lo spazio sotto l’eventuale salto dei compagni. Diventando la “normalità”, la mossa del coccodrillo ha perso il suo afflato virale: probabilmente l’avrete vista recentemente, ma non ci avete fatto caso. Solo nell’ultima settimana l’ha fatta l’Everton nei minuti finali della vittoria per 5-4 con il Tottenham in FA Cup, Spinazzola nella partita contro l’Udinese e Brozovic, senza scivolare, contro la Lazio. L’ha fatta anche Verratti contro il Barcellona, sempre contro Messi. Non ci sono statistiche, ma nell’ultimo anno sembrano quasi essere aumentate, come se gli allenatori avessero iniziato a inserirla nei loro schemi, trasformando l’intuito di un singolo in una strategia di squadra.
A farla tornare al centro dell'attenzione è stato Zinchenko, che l’ha usata nella partita contro il Liverpool. Prima della battuta, l’ucraino è stato trascinato per la testa da Ruben Dias per aggiustarne la posizione. La scena è stata indubbiamente comica, con il portoghese che tratta Zinchenko come un coccodrillo di pezza muovendolo a piacimento. Commentando l’episodio al Sky Calcio Club, Fabio Caressa aveva sostenuto che - sdraiati a terra - i giocatori perdono di dignità: «Non sei più un calciatore sdraiato a terra». Sandro Piccinini gli aveva fatto notare: «Attenzione, abbiamo visto il coccodrillo fatto da una squadra allenata da Guardiola, non proprio l'ultimo… quindi cosa dobbiamo dedurne?». Caressa aveva risposto che anche Fabio Capello lo aveva ripreso: se c’è una tattica che funziona - era il pensiero del tecnico friulano - bisogna utilizzarla, riaffermando però che, se ti sdrai, non sei un calciatore. Poi il discorso era virato su chi deve occuparsi di fare la parte del coccodrillo. Bergomi aveva declinato la possibilità, mentre Costacurta aveva detto che nei primi anni di carriera probabilmente l’avrebbero costretto, liquidandolo come uno sfumato atto di nonnismo. Era uscito fuori che a fare il coccodrillo deve essere il più sfigato della squadra, dopotutto Zinchenko - avevano sostenuto - è una delle ultime ruote del carro del Manchester City.
Caressa aveva chiuso il discorso ipotizzando che «se ci saranno sette sostituzioni tra poco, ci sarà uno enorme che entra solo a fare il coccodrillo. Lo sdraiano lì, prende 10 metri quadrati» dando, almeno implicitamente, importanza alla scelta di sdraiare un uomo dietro la barriera, anche se sicuramente aiuta di più essere alti che larghi.
Al di là delle sfumature ironiche, il fatto che si sia parlato di modi di fare la barriera nel salotto più importante del giornalismo sportivo italiano è un segno dei tempi che cambiano. Forse un tempo anche la barriera era considerata una soluzione poco virile, diversi uomini tutti attaccati per coprire spazio all’avversario, oggi però nessuno penserebbe di farne a meno. Come per altri aspetti del gioco, sempre più spesso stiamo assistendo a squadre che sperimentano quando si tratta di calci da fermo (la testa di ponte è il calcio d’angolo corto, vero trigger dei reazionari).
Per quanto riguarda la barriera è dovuto anche al nuovo regolamento: da circa due anni quando è formata da tre o più difensori, gli avversari non possono disturbarla in alcun modo e sono costretti a restare a un metro di distanza. Per adattarsi a questa regola le squadre provano a essere innovative: l’Atalanta mette spesso tre uomini davanti al tiratore, che poi si staccano al momento della battuta. Nel derby di Coppa Italia, l’Inter ha piazzato una barriera davanti alla barriera per disturbare Tatarusanu. Al momento del tiro si erano tutti spostati e Eriksen aveva segnato. Non è facile stabilire quanto sia servita, vista la precisione della parabola disegnata dal danese, ma insomma: è la dimostrazione di come neanche una cosa immobile come la barriera sia davvero immobile.
Negli anni 2000, le squadre di Zenga erano all’avanguardia per quanto riguarda gli schemi per distrarre i portieri su punizione. Contro il Torino i giocatori del Catania avevano creato una barriera a ridosso di Sereni, poi prima che Mascara impattasse erano corsi in avanti per togliersi dal fuorigioco, prima di farlo però Plasmati si era abbassato i pantaloncini. Mascara aveva segnato e visto di quanto poco non ci era arrivato Sereni era lecito pensare che il gesto del giocatore del Catania potesse aver avuto un ruolo nel gol. Dopo la partita il designatore arbitrale Collina era rimasto senza risposte: il regolamento non prevedeva una situazione del genere. Provò a etichettarlo come un comportamento antisportivo, ma il DS del Catania Lo Monaco provò a difendere il suo giocatore: «Una furbata? Ci sono le regole, il buon gusto è relativo...». La polemica si chiuse lì e negli anni successivi pochissime squadre hanno sperimentato con la barriera.
Se il gesto di Plasmati è ai limiti del cabaret - ed è rimasto confinato in quel mondo - la mossa del coccodrillo non può essere liquidata come altrettanto ridicola. Quando un calciatore si sdraia sotto i compagni, non sta perdendo la dignità (cos’è poi la dignità? Come la disegnereste?) ma sta eseguendo un compito, come quando non spazza la palla sotto pressione. Se le squadre la usano, insomma, avranno fatto le loro valutazioni. Ormai sulle punizioni in zona centrale nel raggio di una ventina di metri dalla porta - un tipo di occasione che non capita spesso in una partita - c’è quasi sempre un giocatore sdraiato dietro la barriera. Magari non è esteticamente piacevole, ma è difficile pensare che non sia utile. Al massimo possiamo essere tristi perché è un gesto che ha ucciso le punizioni calciate sotto la barriera, che comunque erano un colpo di teatro con un certo fascino. Ma lo sappiamo, a ogni azione corrisponde una reazione e forse un giorno qualcuno troverà il modo di battere la mossa del coccodrillo. In attesa di quel giorno, non ci resta che abituarci.