«Le squadre della NFL sono state informate oggi che sabato ad Atlanta si terrà un workout privato per Colin Kaepernick […] Tutte le squadre sono invitate a presenziare, e video del workout e dell’intervista saranno resi disponibili a tutte le squadre» La notizia è arrivata all’improvviso martedì pomeriggio, e c’è voluto qualche controllo per essere sicuri non fosse nata da qualche account fake.
https://twitter.com/AdamSchefter/status/1194376317749354502?s=20
Invece era tutto vero, il tweet proveniva dall’account verificato di Adam Schefter, l’insider di punta di ESPN. Colin Kaepernick. Il nemico pubblico numero uno del commissioner Roger Goodell, il volto di una protesta che da tre anni divide l’America e il suo gioco preferito, è stato invitato dalla NFL a un provino. Come se Stalin avesse richiamato Leon Trotzky dal Messico per proporgli di rientrare nel partito.
Talmente assurdo che infatti le cose hanno finito per prendere una piega imprevedibile. Per comprenderla a pieno, però, vale la pena ripercorrere le tappe che ci hanno portato fino a questo snodo decisivo.
The National Football League vs Colin Kaepernick
Lo sappiamo tutti: inginocchiandosi durante l’inno americano Colin Kaepernick ha squarciato il velo del politicamente corretto tirato su dalla NFL su questioni scomode, come quella della diseguaglianza razziale. La situazione precipita il 21 settembre 2017, quando dal palco di una Convention repubblicana in Alabama Donald Trump suggerisce ai proprietari delle squadre di licenziare i “figli di puttana” che, seguendo l’esempio di Kaepernick, hanno deciso di inginocchiarsi durante l’inno.
Mentre il caso mette a nudo il conflitto socio-ideologico tra le due anime degli Stati Uniti, Kaepernick, che in quel momento è senza contratto, inizia la propria battaglia legale con la NFL, portando in tribunale la lega e accusando i 32 proprietari di aver colluso per tenerlo fuori dal football professionistico nonostante le sue abilità gli permetterebbero di giocare.
Insomma, Kaepernick sostiene di essere stato vittima di “blackballing”, o, per dirla con Shannon Sharpe, ex giocatore e ora personalità televisiva di successo, di “whiteballing”. Lo scorso 15 febbraio la vicenda legale si conclude con un esito clamoroso: Kaepernick e la lega concordano un settlement che, per una cifra mai divulgata, sana il contenzioso a pochi giorni dalla sentenza decisiva.
Nonostante si vociferasse che una clausola di questo settlement impegnasse Kapernick a rinunciare per sempre a tornare in NFL, l’ex quarterback dei 49ers inizia a mandare segnali sempre più diretti circa la sua volontà di tornare nel football professionistico.
La scorsa estate Kaepernick spezza il suo tipico silenzio radio sui social media con una serie di video che si aprono, in modo molto esplicito, con un conto dei giorni di esilio forzato dai campi di football. Ad agosto ne viene pubblicato uno ambientato in una palestra di Manhattan, nella quale Colin Kaepernick solleva pesi alle cinque del mattino, dichiarando di essersi allenato costantemente nei suoi anni fuori dalla lega, proprio per farsi trovare pronto.
https://twitter.com/Kaepernick7/status/1159148971106942981?s=20
In un altro, caricato ai primi di settembre, alle porte della stagione regolare, lo si vede lanciare a Odell Beckham Junior, uno dei migliori wide receiver della lega. Lo scorso 10 ottobre l’agente di Kaepernick, Jeff Nailey, dichiara di aver contattato ogni singola franchigia per offrire almeno un provino al suo assistito, ma di aver ottenuto per risposta un silenzio fin troppo esplicito.
Un mese dopo quel comunicato, la NFL ha annunciato questo workout, prendendo tutti in contropiede. Non se l’aspettava Adam Schefter, il ragno tessitore della NFL, che pure è stato il primo a twittare lo scoop. Non se l’aspettavano nemmeno le 32 franchigie, che sono state notificate il giorno stesso. Cosa ancora più assurda, non se l’aspettava lo stesso Kaepernick, che è stato contattato alle 10.15 della mattina di quel martedì, poche ore prima che la notizia venisse data in pasto al pubblico.
Perché organizzare un provino per un giocatore che si è già proposto alle varie squadre senza successo? Perché organizzarlo adesso? Perché tutta questa fretta?
Visto che nessun rappresentante della NFL si offre di fare chiarezza attraverso una conferenza stampa, si resta nel campo delle speculazioni, che iniziano a fioccare grazie agli spifferi di fonti anonime. Una di queste parla di un’intercessione di Jay Z. Il rapper/produttore/imprenditore ha da poco firmato una collaborazione con la lega e si dice che proprio J-Hova, preoccupato dal danno d’immagine presso la black community conseguente alla sua partnership con la NFL, abbia persuaso Roger Goodell ad offrire una possibilità a Kaepernick. Un’altra, twittata dal reporter dell’area di Boston Albert Breer, pone alla base dell’iniziativa della lega il fatto che alcune squadre avrebbero mostrato sincero interesse per Kaepernick, ma avevano desistito dal contattarlo per paura che, espandendosi singolarmente, avrebbero attirato le ire della frangia anti-Kaepernick e avrebbero perciò chiesto alla NFL di offrire un ombrello mediatico prendendo iniziativa come lega.
Qualunque fosse la ragione dietro, la NFL ha fatto la sua mossa e ha atteso la risposta di Kaeprnick, che non si è fatta attendere.
https://twitter.com/Kaepernick7/status/1194415935890894848?s=20
«È da tre anni che sono pronto fisicamente e mentalmente per questo momento. Non vedo l’ora d’incontrare gli head coach e i General manager questo sabato».
Un vero provino?
Questa è stata la prima reazione di Kaepernick alla proposta della NFL. Una risposta istintiva e per questo forse troppo ottimistica. Probabilmente si aspettava una fair shot, una vera possibilità. Quella della NFL è stata invece una “palla curva”, perché mano a mano che i dettagli venivano pubblicati è emerso sempre più chiaramente che, com’era prevedibile, il provino era programmato in modo da mettere in difficoltà Kaepernick e ridurre al minimo le possibilità di un esito positivo, tale da suscitare l’interesse degli scout presenti.
Innanzitutto, la lega ha ridotto qualunque margine di negoziazione con l’entourage di Kaepernick: la proposta era immodificabile per data, location e modalità. È stato sabato, ad Atlanta e secondo un canovaccio prestabilito, prendere o lasciare. Tutti e tre gli aspetti mostrano dubbi sul reale interesse della NFL a facilitare il compito di Kaepernick.
Innanzitutto, il workout è stato fissato di sabato anziché di martedì, un giorno che avrebbe permesso di partecipare anche a head coach e General manager, che invece il sabato devono preparare la partita della domenica successiva e non possono esserci. La NFL, così, si sarebbe assicurata di limitare al minimo la presenza di decision makers e aumentare quella di scout di basso profilo e senza potere decisionale.
La NFL ha imposto poi non solo che il workout si disputasse di sabato, ma che si tenesse proprio sabato 17 novembre, lasciando a Kaepernick solo 4 giorni per prepararsi a un evento che la NFL in realtà non aveva ancora organizzato nei dettagli. Per vincere lo scetticismo degli scout, Kaepernick avrebbe dovuto svolgere un work out praticamente improvvisato, con poco tempo per assimilare il lavoro mentale invisibile che c’è dietro a ogni singolo passing concept che avrebbe dovuto eseguire e senza poter contare su una preparazione con ricevitori ai quali avrebbe lanciato.
Insomma, il messaggio subliminale della NFL è stato più o meno il seguente: «Dici di essere in forma da football? Ok, allora dimostralo subito, nelle peggiori condizioni possibili che noi ti imporremo. Se non accetti sei un codardo e un bugiardo. Se accetti in bocca al lupo, molto probabilmente fallirai e non potrai più dire che ti stiamo boicottando».
Molto probabile a questo punto che la NFL sperasse che le condizioni proibitive portassero Kaepernick a rifiutare l’invito e a non presentarsi ad Atlanta. In quel caso il rifiuto, per quanto giustificato, avrebbe fatto crollare la colonna portante della narrativa di Kaepernick, quella di essere stato escluso senza possibilità di venire reintegrato. La NFL quindi è andata “all in”, probabilmente sperando di indurre Kaepernick a passare la mano. Kaepernick invece ha giocato la sua mano con pazienza, si è presentato ad Atlanta e ha aspettato fino all’ultimo per fare il suo rilancio. Ed è stato un rilancio clamoroso.
La vigilia del workout sembra scivolare via in modo tutto sommato tranquillo. All’interno del centro di allenamento degli Atlanta Falcons, gli scout delle 25 squadre accorse sono pronti ad attendere l’arrivo di Kaepernick. Sui due lati della strada d’ingresso si formano spontaneamente due gruppi di manifestanti. Quelli su un lato sono pro-Kaepernick e vestono maglie con il numero 7, quelli sull’altro sono anti-Kaepernick e sventolano bandiere americane. Una metafora perfetta della frattura degli USA su questa vicenda.
A pochi minuti dall’inizio programmato, l’ennesima bomba mediatica spariglia di nuovo le carte in tavola. Questa volta non arriva da Schefter, ma dai rappresentanti di Kapernick, che una volta preso atto della fermezza della lega emettono un comunicato che si apre con una notizia clamorosa: Kaepernick ha deciso di disertare il workout proposto dalla NFL nel centro di allenamento dei Falcons per tenerne uno gestito alle sue condizioni, sempre ad Atlanta ma questa volta completamente aperto ai media, programmato per le 4, un’ora dopo quella prevista. La comunicazione prosegue illustrando le motivazioni della scelta, tutte incentrate sulla mancanza di trasparenza dimostrata dalla lega su diversi punti, tra i quali:
- Segretezza sulle generalità degli scout inviati dalle squadre,
- Richiesta di firmare una liberatoria sugli infortuni diversa da quella standard che invece era stata proposta dai legali di Kaepernick,
- Divieto tassativo d’ingresso ai media e a qualunque tipo di film crew indipendente.
Quest’ultimo è stato il vero punto di rottura per il camp di Kaepernick, e il motivo è piuttosto semplice: senza occhi imparziali a giudicare e senza riprese disponibili per il pubblico, la NFL avrebbe detenuto il monopolio sulla narrativa dell’allenamento, e avrebbe avuto gioco facile nel far circolare voci negative sull’andamento del workout, voci che Kaepernick, in assenza di prove video, non avrebbe potuto smentire.
La notizia prende di sprovvista la lega, il cui ufficio stampa nei minuti seguenti emette a sua volta un comunicato nel quale, oltre a sottolineare alcune le concessioni marginali che la lega ha garantito a Kaepernick (possibilità di girare uno spot e di lanciare a ricevitori di sua scelta) esprime delusione per la scelta di Kaepernick di aver cambiato idea all’ultimo minuto, sostenendo, e questo è il punto chiave, di essere stati chiari dall’inizio circa il fatto che si sarebbe trattato di un workout privato, ma senza specificare perché fossero opposti a tenerne invece uno aperto.
Visto l’atteggiamento dei rappresentanti della lega, quindi, Kaepernick decide (anche se non è da escludere che la mossa fosse premeditata) di prendere in mano la situazione e di lanciare con i suoi ricevitori, alle sue condizioni e sotto gli occhi dell’intero paese.
Attorno alle 4 e trenta del pomeriggio, quindi, il manipolo di scout che ha accettato il cambio di location e i giornalisti presenti hanno visto apparire Colin Kaepernick, in canottiera nera come la pista d’atletica che circonda il campo della High School di Riverdale, nei sobborghi di Atlanta. Dopo una breve fase di stretching, l’hanno finalmente visto lanciare per la batteria di ricevitori composta da Brice Butler, Bruce Ellington, Jordan Veasy, and Ari Wertz.
Sono stati in totale sessanta lanci, tutti completati tranne 7, che hanno dimostrato che il braccio c’è, abbastanza preciso e potente al netto di qualche limite che c’è sempre stato - anche quando ha portato i 49ers al superbowl non è mai stato un passatore chirurgico- e di qualche errore che comunque è inevitabile quando non si ha tempo di sviluppare l’intesa necessaria con i propri ricevitori.
Kaepernick in ogni caso ha fatto una buona impressione agli scout presenti, tanto che un executive della NFL ha confidato ad Adam Schefter di aver trovato le capacita di lancio di Kaepernick identiche rispetto a quando è entrato nella lega.
Dopo aver concluso il workout, Kapernick ha ringraziato gli scout presenti, che rappresentavano otto squadre, ai quali ha chiesto di riferire ai rispettivi proprietari il messaggio “stop being scared” e poi si è presentato davanti alle telecamere, dove ha rivolto un altro appello: “stop running”, smettetela di scappare.
https://twitter.com/GBPdaily/status/1195861838405259270?s=20
È sempre questione di soldi
Il futuro di Colin Kaepernick nella lega non dipende da questo workout, nel senso che non sarà la qualità dei passaggi che ha lanciato a determinare il suo eventuale ritorno. Certo, era importante dimostrare di non essere arrugginito, ma Colin Kaepernick è quello che era prima di questo sabato, un buon quarterback in campo e un personaggio incredibilmente polarizzante fuori.
Qualunque cosa si pensi delle sue posizioni politiche, comunque, è difficile dire non abbia diritto a livello tecnico di far parte di uno dei 53 men roster. Ha sicuramente più diritto di atleti ai quali è stata data una possibilità recentemente. Se l’anno scorso gli Washington Redskins piuttosto che contattare Kaepenrick hanno riesumato personaggi come Josh Johnson, un quarterback pessimo che aveva la stessa età attuale di Kaepernick (32 anni) e non lanciava un pallone dal 2014, e addirittura Mark Sanchez, il cui momento più iconico in NFL è stato perdere un pallone schiantandosi contro il fondoschiena di un compagno, non c’è nemmeno da discutere sul lato tecnico della questione.
Il motivo per cui Colin Kaepernick si trova fuori dalla lega non è - e non sono mai state - le sue abilità, e nemmeno in modo diretto le sue posizioni politiche, nel senso che i proprietari non si sono opposti al suo reintegro per questioni ideologiche, ma per motivi di opportunismo prettamente finanziari. È stata la reazione alle posizioni di Kaepernick di una larga fetta dell’opinione pubblica, quella tendenzialmente conservatrice, che ha terrorizzato la NFL e ha indotto la lega a proseguire l’esilio forzato. Sono state le minacce di boicottaggio che hanno tenuto fuori dalla lega Kaepernick, non un presupposto razzismo dei proprietari e dei quadri dirigenziali.
Certo, i 32 owner condividono visioni politiche conservatrici e avverse alla battaglia di Kaepernick, ma condividono sopra ogni cosa l’aspirazione a massimizzare i profitti delle loro squadre e il terrore che associarne il nome a quello di Kaepernick comporti un crollo delle entrate miliardarie generate dalla lega.
Non bisogna dimenticare che l’agenda politica della NFL è dettata spesso da questioni di opportunismo economico. Facciamo un esempio molto semplice. Il momento dell’inno americano prima della partita ora è considerato una sorta di liturgia civile, e qualunque giocatore non lo ascolti sull’attenti e con la mano sul cuore è bollato come eretico, ma non è sempre stato così.
Fino a non molto tempo fa l’inno non era visto con la sacralità di adesso. Anzi, spesso le emittenti televisive sfruttavano il momento per andare in pubblicità, e fino al 2009 i giocatori della NFL non erano tenuti ad essere in campo durante la sua esecuzione. Il senso è cambiato quando il Dipartimento della Difesa ha iniziato a inondare di dollari la NFL per far passare, soprattutto attraverso il culto del pre-game anthem, un messaggio patriottico fondamentale per tenere alto il livello di popolarità delle guerre in Medio Oriente e favorire l’afflusso di arruolati volontari nelle fila dell’esercito.
La NFL ha abbracciato ancora più strettamente la causa patriottica (cui pure ha sempre aderito con entusiasmo) per ragioni economiche e sempre per ragioni economiche ha ostracizzato Kapernick e la sua protesta. La battaglia in corso quindi ha per la lega ha un valore finanziario molto prima che ideologico, e in questo senso va letto il progetto del workout di sabato, che verosimilmente doveva essere una una sorta di crash test per valutare l’impatto mediatico - e di conseguenza economico - di un eventuale reintegro di Kaepernick.
Se le cose sono veramente andate così, più che di un crash test si è trattato di un test nucleare, che ha sprigionato una nube radioattiva di polemiche che ci metterà tempo a dissolversi e che paradossalmente potrebbe giocare contro il ritorno di Kaepernick.
Se la sua volontà era quella di rientrare in NFL, le polemiche generate sabato, soprattutto se dovessero portare a un tweet al vetriolo inviato dalla Casa Bianca, rischiano di riportare i veleni al livello del 2017, creando una situazione troppo tossica per pensare di riportare nella lega il nemico giurato dell’America conservatrice. Se però Kaepernick con le sue mosse mediatiche puntava anche a ribadire l’ipocrisia del sistema che lo ha messo all’angolo, almeno questo obiettivo è stato centrato in pieno.
Quindi, cosa succede a questo punto? Kaepernick tornerà in NFL a breve? Tornerà la prossima stagione? Non tornerà mai? Difficile, se non impossibile, prevedere gli sviluppi futuri di una storia che a ogni capitolo continua a ribaltare aspettative e previsioni.