Uno, due, tre. La banda attacca a suonare le prime note di “Drink a highball”. Immediatamente dagli spalti del Franklin Field, lo stadio che ospita le partite dei Quakers, squadra di football dell’Università della Pennsylvania, si scatena una pioggia di fette di pane. Niente di strano per i tifosi di “Penn”, il nomignolo di una delle otto ultra-prestigiose Università del nord-est degli Stati Uniti, altrimenti dette Ivy League (una metonimia dal nome della conference in cui sono raggruppate), che alla fine del terzo quarto delle partite di football gettano in campo dei toast per incitare la propria squadra.
Originariamente l’usanza era bere un “highball”, un bicchiere con qualcosa di alcolico dentro (in genere un Pennsylvanian cocktail), prendendo proprio alla lettera l’ultimo verso della canzone («Drink a highball and be jolly. Here’s a toast to dear old Penn!»); ma trattandosi della migliore gioventù del Paese, l’amministrazione della scuola, fedele al motto "Leges sine moribus vanae", decise di proibirne il consumo allo stadio. A qualcun altro è venuto in mente di sostituire il brindisi fatto con i bicchieri (to toast in inglese), con un toast.
Il bimestre dicembre - gennaio è il periodo clou del college football: si giocano i Conference Championships, i Bowl games e il National Championship, che determina la scuola campione. Ecco alcune istruzioni per apprezzare il fascino di questo sport.
Premessa
La National Collegiate Athletic Association raggruppa 1200 scuole americane organizzando programmi sportivi per college e università, ovvero campionati in cui c’è in palio il prestigio dalle scuola e la possibilità per i giovani atleti (in realtà per un ristretto numero di essi) di guadagnarsi un contratto tra i professionisti. In realtà a metà del 1800, quando cominciarono i primi tornei di college football, la NFL non esisteva ancora e lo stesso gioco non era ancora perfettamente codificato. In un certo senso il college football è il capostipite di questo sport in America.
La Division I-A FBS (Football Bowl Subdivision), il campionato che raggruppa le squadre più forti (esistono infatti altre tre divisioni di prestigio minore), è un torneo che sta un livello sotto ai professionisti, ma che conserva una tradizione del tutto peculiare. A partire dal complesso sistema con cui si mettono in fila le varie scuole. In base ai risultati ottenuti dalle squadre nei diversi incontri viene stilata una graduatoria che stabilisce chi sono le 25 più forti. Il compito di stilare la classifica è affidato a un comitato, di cui fa parte anche l’ex Segretario di Stato Condoleezza Rice, che misurando una serie di parametri non necessariamente oggettivi (il calendario, gli scontri diretti, ma anche gli infortuni) determina le quattro che andranno ai playoff. Un sistema che da questo lato dell’oceano sarebbe inconcepibile, considerando la nostra naturale inclinazione a “pensare male”.
Il sistema dei playoff, in vigore dalla scorsa stagione, sublima in un certo senso l’antica tradizione dei Bowl games, che comunque vengono ancora disputati. Rose, Sugar, Fiesta, Orange, Cotton e Peach, con la cui disputa si chiudeva una stagione, adesso sono a stagioni alternate le semifinali del College Football Playoff.
Il pathos
Jim Harbaugh se ne sta sulla sideline con un golfino blu e un cappellino su cui campeggia una M gialla. Ad Ann Arbor è una fresca serata di metà ottobre. Fresca per modo di dire, ci sono solo quattro gradi, ma in riva ai grandi laghi sono abituati a ben altro. Soltanto tre anni fa da capo-allenatore dei San Francisco 49ers ha sfiorato il Super Bowl, sconfitto dai Ravens allenati da suo fratello John. Quest’anno, dopo quattro stagioni in riva alla Baia, ha deciso di tornare al college, ripartendo dalla sua alma mater, l’Università del Michigan, convinto di poter riportare i Wolverines ai fasti di un tempo. In parte c’è riuscito, nonostante una bruciante sconfitta contro Utah all’esordio: ha infilato 5 vittorie issandosi al 12esimo posto del ranking. Ma stasera, in casa contro la numero 7 Michigan State, si sta comunque giocando la stagione oltre che il Paul Bunyan Trophy (l’orrenda nonché prestigiosa statuetta del boscaiolo in palio nel derby interstatale).
Mancano 10 secondi alla fine della partita e i suoi ragazzi sono avanti di 2 punti. La vittoria è a un passo. I quasi 112mila tifosi sugli spalti dell’enorme Michigan Stadium sono pronti a festeggiare la fine della supremazia degli Spartans, che dura ormai da due anni.
Finisce il time-out e i giocatori tornano in campo. È un 4 & 2, la palla è sulle 48 iarde avversarie. Basta un punto e un poco di attenzione sul loro ritorno ed è finita comunque. Ecco lo snap. Il calciatore prende l’ovale, anzi no gli cade dalle mani. Non ha nemmeno il tempo di provare paura che gli avversari gli sono già addosso, gli tolgono la palla e la riportano in meta. Il cronometro segna quattro zeri. Gli Spartans hanno vinto ancora.
A mettere la parola fine alle speranze di Michigan ci ha pensato, quattro settimane dopo, Ohio State, un’altra arcirivale, che ha asfaltato i Wolverines 42-13. Con un record di 9-3 Michigan adesso può sperare solo in qualche Bowl di seconda fascia. Jim Harbaugh si potrà però consolare con i 7 milioni di dollari a stagione di stipendio, il doppio rispetto al suo predecessore, ma sempre qualche spicciolo in meno di Nick Saban, il venerato capo-allenatore di Alabama. Potremmo qui aprire una piccola parentesi sugli stipendi milionari degli allenatori del college football, in costante aumento grazie alle montagne denaro che sponsor e media continuano a spargere su questo sport. Un fiume di dollari che, in uno dei paradossi che rendono inimitabile l’America, finisce dappertutto tranne che nelle tasche dei giocatori, i quali invece rischiano multe e sospensioni anche solo per pochi spiccioli derivanti dall’apposizione, a volte inconsapevole, di autografi su gadget e memorabilia.
In questo sport i giocatori rimangono strettamente ancorati allo status di amatori in un contesto che in realtà di amatoriale ha ben poco. L’unica cosa dilettantistica che resta è forse quel tremolio negli arti durante le situazioni decisive, come ha dimostrato il povero punter dei Wolverines; esitazioni che i cyborg della NFL hanno rimosso dal proprio codice genetico. Tra i professionisti infatti è praticamente impossibile vedere field goal sbagliati da una manciata di iarde o errori grossolani che consentono incredibili big-plays. Ma in fondo sono queste cose a rendere elettrizzanti le partite di college e a gonfiare i punteggi e il numero abnorme delle iarde totalizzate dagli attacchi.
A rendere il tutto ancora più drammatico è lo spietato sistema del ranking, che punisce in modo sproporzionato i passi falsi. In determinate conference una sola sconfitta stagionale può precludere gli obiettivi più importanti e non a caso le prime quattro squadre quest’anno hanno perso tutte insieme solo due partite (dati aggiornati alla settimana 14). Ogni settimana è un continuo dentro-o-fuori e la buccia di banana, o “upset”, quello per cui una scuola non classificata batte una delle top 25, è sempre dietro l’angolo. Perciò ogni down conta, ogni centimetro di terra conquistata può essere fondamentale. E non è finita finché il cronometro non segna lo zero.
Auburn batte Alabama allo scadere riportando in meta un field goal sbagliato con una corsa di oltre 100 yards.
Le rivalità
Il campanilismo esiste anche negli Stati Uniti, pure in un Paese emblema del cosmopolitismo e della mescolanza razziale. Le sfide più calde sono quasi tutte concentrate nel sud del Paese. E infatti, in mezzo alle centinaia di rivalità scolastiche, la più forte è l’Iron Bowl, la sfida interstatale tra Alabama e Auburn. Per citare un esempio, qualche anno fa un tifoso dei Crimson Tide è finito in galera per aver tentato di avvelenare l’albero simbolo del campus di Auburn.
Suona piuttosto sinistra anche la celebrazione dei tifosi dell’Università della Carolina del Sud, che prima del match contro la rivale Clemson bruciano una enorme tigre, emblema dell’università nemica, in grado di rievocare il clima di intolleranze del passato.
La gran parte delle rivalità del college football è una questione di Stato, intesa come la supremazia sportiva di una scuola sulle altre interstatali, simboleggiata talvolta da trofei di dubbio gusto come il Crab Bowl (in palio tra Maryland e Navy). L’intensità e la passione cresce laddove il numero dei tifosi di college football è in maggioranza, dove cioè le scuole sono tradizionalmente vincenti e dove mancano le franchigie professionistiche. Non a caso l’Alabama (i Crimson Tide hanno vinto tre titoli negli ultimi 7 anni) è lo Stato che secondo uno studio del New York Times raccoglie il maggior numero di tifosi di college football tra tutti gli altri 50. Teoria confermata dal fatto che tutte le metropoli del nord-est e la California si trovano agli ultimi posti della classifica.
A causa di queste rivalità nascono delle situazioni assolutamente inedite per il pubblico americano, dove solitamente le persone di fede contrapposta siedono paciosamente l’uno accanto all’altro.
Il tailgate party
Non è dentro lo stadio che si consuma la parte più affascinante di una partita di college football. Nei parcheggi o nei pressi del campus che ogni sabato si celebra il tailgate, una festa a base di birra e barbecue, che rende i due eventi (partita e tailgate) consustanziali. Non a caso il match negli USA è chiamato “gameday”, una parola che descrive un arco temporale che va oltre le due o tre ore della partita, dilatandosi a tutta la giornata.
Prima e dopo la partita ci si riunisce, di solito con addosso capi d’abbigliamento con inciso il simbolo della scuola per cui si fa il tifo, si apre il portabagagli (tailgate) dell’auto e si tira fuori tanta roba (considerando che l’auto in America difficilmente è un’utilitaria), in genere quella di cui l’OMS consiglia un moderato consumo, che spesso finisce sulla griglia in un trionfo di salse piccanti e altre cose scandalosamente caloriche.
Il tailgate si declina poi in maniera peculiare in ogni scuola, a seconda delle tradizioni culinarie del posto. Per cui negli Stati del sud non potrà mancare il Southern bbq pulled pork (la spalla di maiale affumicata), così come ai party di Louisiana State University domineranno i cibi della tradizione cajun come il gumbo. Qualche tifoso di LSU ha però pensato di portare il rito del tailgate party a livelli estremi arrostendo dei piccoli alligatori, cioè la mascotte dell’avversaria Florida University.
https://twitter.com/taylor_TM/status/655426290724548608
Le marching band
Un superman che si cambia nella cabina del telefono e vola verso un grattacielo che sta per cadere. Harry Potter sulla scopa e un T-Rex che prende vita avanzando, con tanto di fauci che si spalancano, verso la end zone. Tutto ciò nei 15 minuti di intervallo di una partita di college football.
A chi interessa sapere come andrà a finire la partita? Probabilmente è questo il vero motivo per cui vale la comprare un biglietto. Una volta assistito allo show della “Best damn marching band” di Ohio State si può tranquillamente abbandonare il proprio posto e tornarsene a casa, chiedendosi come sia possibile che oltre 200 elementi, in un Paese che non sia la Corea del Nord, siano capaci di creare simili coreografie continuando a suonare.
Le coreografie spaziano dagli omaggi a classici come West Side Story o Star Wars, ai tributi alle stelle del pop fino al tormentone di PSY.
Eravamo partiti con le note di una banda e concludiamo con le note di una banda, questo viaggio parziale nel meraviglioso mondo del college football. Un universo per certi versi lisergico dove, una volta entrati, è molto difficile uscirne.