
È una classica serata di fine autunno al centro sportivo Cavalieri di Colombo, buia e fitta di nebbia. Una fastidiosa pioggerellina batte sull’erba sintetica, dove il riscaldamento dei calciatori della Santississimi Pietro e Paolo procede pigro e svogliato. «Le condizioni meteo non ci sono favorevoli», si lamenta tra il serio e il faceto uno dei giocatori, forse impressionato dall’arrivo della squadra avversaria che presenta caratteristiche del tutto peculiari.
Sull’altro lato del campo, niente tute e berretti per proteggersi dal freddo, nessuna corsetta riscaldante. Pronti via, si parte subito con un torello dove si mescolano imprecazioni in tedesco e incoraggiamenti in francese, conditi a volte da esclamazioni in un italiano di chiaro stampo romanesco. Questi atleti poliglotti, che sembrano non temere le intemperie, sono i componenti della selezione delle guardie svizzere.
Ancorati a quota 0 punti, i protettori del Santo Padre necessitano di una vittoria scaccia-crisi stasera, ma dopo un minuto scarso, la loro partita è già in salita. «È fuorigioco!», protesta il numero quattro elvetico dopo il primo e precoce gol della Santissimi Pietro e Paolo. «Non c'è il fuorigioco a calcetto!», lo corregge, seccato, Eliah Cinotti, capitano della squadra svizzera. Sembra già svanire il sogno di una qualificazione al turno successivo della coppa vaticana.
Sì, avete capito bene: esiste una coppa vaticana. E nelle terre del fu Stato Pontificio si gioca anche un campionato.
«La prima competizione ufficiale si è svolta nel 1972, anche se già negli anni addietro vi erano state partite a livello amatoriale tra i dipendenti», racconta Nicola Vignola, presidente da marzo 2024 dell’ASD sport in Vaticano, l’associazione che organizza il campionato. Contrariamente a quel che si potrebbe pensare, non si tratta di una competizione tra preti, vescovi e cardinali, «anche se partecipano anche alcuni sacerdoti», ma di un campionato dove si affrontano soprattutto impiegati «laici» che tramite il loro lavoro contribuiscono al buon funzionamento del Vaticano. Per capirci: negli anni passati sono state iscritte squadre di rappresentanti della gendarmeria, delle poste e dei musei vaticani.
Vi sono poi formazioni più misteriose, emanazioni di organismi e istituzioni legate alla Santa Sede sconosciute ai più. Come ad esempio la rappresentativa dell’Archivio vaticano, quella della PACAO (Primaria associazione cattolica artistico-operaia di carità reciproca), ritenuta squadrone del torneo dai suoi avversari, oppure della fabbrica di San Pietro, che secondo le parole del Papa stesso «si occupa di tutto ciò che riguarda la Basilica di San Pietro… sia per la conservazione e il decoro dell’edificio, sia per la disciplina interna dei custodi, dei pellegrini e dei visitatori».
Altra rappresentativa dal nome suggestivo, la squadra del Coro della cappella Sistina, coriacea, ma meno titolata e ambiziosa della potente Dirseco, la Direzione dei servizi economici, presenza ricorrente nell’albo d’oro del torneo. Scorrendo quest’ultimo, si scopre che anche il Bambino Gesù, celeberrimo ospedale pediatrico capitolino legato alla Santa Sede, e l’Osservatore romano, quotidiano ufficiale del Vaticano, hanno avuto proprie squadre che hanno giocato (e vinto) campionati fino a tempi recenti. Insomma, ogni squadra rappresenta un frammento del più piccolo stato al mondo, e ricomponendoli si ottiene una sorta di mappa in miniatura del Vaticano stesso.
Sulla falsariga di ciò che avviene nelle altre nazioni europee, in Vaticano la stagione agonistica è composta da un campionato e da una coppa. Tuttavia, le due competizioni non si svolgono in contemporanea, ma in due momenti distinti : la coppa, che ha luogo da settembre a dicembre, funge da antipasto al campionato, che inizia con l’anno nuovo e termina a giugno. I vincitori delle due competizioni si affrontano in seguito nella classica Supercoppa, prima che la “festa delle famiglie” suggelli la fine della stagione calcistica.
Chi fa bene in ambito locale, tra l'altro, può coltivare il sogno di una convocazione in Nazionale. Il Vaticano infatti dispone di una sua rappresentativa - non riconosciuta dalla FIFA - che gioca amichevoli internazionali a scopo di scambio interculturale.
«Negli ultimi anni abbiamo affrontato le vecchie glorie del Borussia Mönchengladbach, il principato di Monaco, e la squadra della comunità italiana del Lussemburgo», mi dice Nicola Vignola che tra le trasferte più emozionanti cita quella a Wittenberg: «il paese di Martin Lutero», dove si è giocato una sorta di derby interreligioso tra cattolici e protestanti. Oltre agli spostamenti all’estero, la rappresentativa vaticana partecipa anche a eventi benefici all’interno dei confini italiani, affrontando varie squadre corporativistiche come la Nazionale sindaci, quella dei diplomatici, o dei parlamentari. Spesso e volentieri, i risultati non sono dei migliori, ma questo, come potrete capire, importa poco. La competitività non è certo tra i requisiti essenziali per praticare calcio in Vaticano (che si tratti di campionato o di Nazionale).
«Si gioca per divertimento, per stare insieme, per fraternità, che sarebbero valori sportivi, ma anche cristiani, perché la religione è importante per ognuno di noi». Un’affermazione che trova una sua concretizzazione in alcune regole specifiche di coppa e campionato: come la classifica della sportività, dominata dalle guardie svizzere, o la ferrea intransigenza nei confronti di ogni espressione blasfema proferita sul campo da gioco. «Se ci sono bestemmie arrivano sanzioni», mette in guardia Vignola «Qualche anno fa, causa un'espressione blasfema dopo un fallo di gioco, abbiamo escluso un giocatore per tutto il campionato. Dobbiamo dare l’esempio, no?».
La severità nei confronti di qualsiasi offesa al sentimento religioso può essere dettata, oltre che dal buon senso, anche dal timore dell'incidente diplomatico. Campionato e coppa vaticana sono in effetti aperti anche agli ecclesiastici, che rappresentano certo una minoranza, ma sono comunque presenti. Tali regole ferree servono dunque a tutelarsi da “incidenti”, quale potrebbe essere una bestemmia proferita davanti a padre José Miguel Cardoso, uno dei sacerdoti che è solito svestire la tunica per infilare i pantaloncini.
Figura istituzionale di rilievo in Vaticano, dove è responsabile per lo sport all’interno del dicastero per la cultura e l’educazione, l’uomo di chiesa non intende menzionare i suoi exploit sul rettangolo verde, ma parla volentieri del rapporto filosofico tra fede e sport, che è uno dei suoi ambiti di lavoro e di riflessione.
«In una società individualista, lo sport riesce a fare uscire le persone, a fare radunare i diversi tra di loro: è una metafora anticipatrice della società che vogliamo costruire», afferma il sacerdote portoghese che evoca anche il «valore spirituale dello sport, nel confronto con i propri limiti, che può aprire a un rapporto col trascendente».
Per questo, il dicastero delle cultura e dell’educazione si adopera per «promuovere lo sport, che avendo questi valori positivi, riesce a creare una società più forte». «Potremmo quasi dire che una società si può misurare tramite il livello della sua pratica sportiva», arriva a dire padre Cardoso «Un'importante pratica sportiva è la manifestazione di una società strutturata e sana».
Ritorno sui campi del centro sportivo Cavalieri di Colombo dove, a fine primo tempo, il parziale racconta di un pesante 0 a 4, «o forse cinque», a sfavore delle guardie svizzere. Capitan coraggio della squadra, il ventiseienne Eliah Cinotti, sprona le sue truppe in un misto di italiano e tedesco, ma il gap tecnico-tattico con la Santissimi Pietro e Paolo - associazione composta da volontari che offrono un servizio di accoglienza, sicurezza e cerimoniale all’interno della basilica di San Pietro - pare incolmabile. Prima del fischio d’inizio, Cinotti ci aveva avvertito. «Per noi è difficilissimo questo campionato, gli italiani sono abituati al calcetto, mentre noi veniamo dal calcio a 11, più fisico, meno tecnico».
A disagio nelle tele dei rigidi schemi del calcio a 5 nostrano, le Guardie subiscono l’abilità nel breve dei Santissimi. «Noi non possiamo mai allenarci, e, a causa dei turni che cambiano e del fatto che si lavori anche di notte, non siamo mai gli stessi tra una partita e l’altra», prova a giustificarsi Mathieu, originario del cantone bilingue di Friburgo. In effetti, l’esercito del Papa - «che è anche il più antico al mondo, fondato nel 1506», rivendica Cinotti - deve garantire la sicurezza del pontefice 24 ore al giorno, e non si tratta solo di una mansione simbolica. L'uniforme dai colori sgargianti che alcune guardie portano in Vaticano (e che tanto incuriosisce i turisti) fa spesso pensare ad un lavorosimil-decorativo, ma in realtà, «abbiamo anche una divisa moderna e siamo armati e addestrati alle tecniche di combattimento. Se c’è un problema non è che andiamo a combattere con l'alabarda».
Squadra storica del campionato vaticano, la rappresentativa delle guardie svizzere esiste da non meno di cento anni, ribadisce orgoglioso Cinotti: «La primissima squadra di cui si ha traccia negli archivi risale al 1924, abbiamo festeggiato il centenario qualche settimana fa». In questo secolo di storia italiana e religiosa, che ha visto succedersi ben otto Papi, le guardie svizzere hanno sviluppato una rivalità di stampo derbistico con la gendarmeria, anche se, attualmente, tale inimicizia sportiva si è alquanto affievolita.
«In realtà è tutto il torneo che è diventato molto amatoriale», interviene severo Sandro Troiani, proprio mentre Wüthrich, il numero quattro delle Guardie svizzere accorcia finalmente le distanze. «Prima, quando si giocava a 11, il torneo era molto sentito, ma ormai saranno una decina di anni che non è più cosi». Vice-presidente dell’ASD Sport in Vaticano, Troiani, che ha militato in passato con varie compagini, tra cui le Poste, la Dirseco, o i servizi tecnici, serba il ricordo di sfide infuocate che si sono progressivamente fatte più rare. Soprattutto da quando il torneo ha incominciato a giocarsi a 8 e infine a 5.
Un declino constatato da tutti, ma a cui ognuno attribuisce un motivo diverso. «Semplicemente, oggi ci sono meno dipendenti che lavorano in Vaticano», spiega Troiani, applicando un semplice teorema matematico che non convince del tutto Vignola. «C’è stato un calo dell’interesse verso il calcio, ma penso sia un fenomeno generazionale», afferma il 44enne presidente che ha dovuto rinunciare al pallone, causa un non meglio precisato incidente. «Le nuove leve non sono interessate al calcio quanto lo eravamo noi. La tecnologia ha portato tanto ragazzi alla pigrizia, a non fare sport in generale».
Tra una discussione e l’altra sulla crisi delle vocazioni (che è dunque sia religiosa che calcistica) la partita tra la Santissimi Pietro e Paolo, e le Guardie Svizzere volge al termine. Il sonoro 8 a 2 incassato non fa perdere il sorriso ai protettori del Papa, già proiettati con la testa nell’imminente "trasferta apostolica" al seguito del santo padre, che li porterà in Corsica.
Al momento degli addii, con spirito tipicamente elvetico, Matthieu commenta la sconfitta con un tocco di ironia: «In Svizzera funziona tutto bene, tranne quando giochiamo a calcio». Che poi, a giudicare dagli ultimi risultati dell'Italia, non si direbbe.