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Come è arrivato il City a giocare con due falsi nove
14 mag 2021
L'ultima evoluzione di Guardiola lo ha portato in finale di Champions League.
(articolo)
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Questo articolo scritto in collaborazione con Wyscout è apparso originariamente sul blog di Hudl, in lingua inglese.

Durante i tredici anni di carriera di Guardiola, concetti come la funzionalità che viene prima del ruolo, la partecipazione collettiva, le diverse declinazioni del possesso palla, il valore delle transizioni, sono entrati nel nostro modo naturale di immaginare il gioco. Parliamo di un allenatore che è stato un acceleratore incredibile del cambiamento, che non ha solo guidato squadre straordinarie vincendo molti trofei, ma che ha cambiato i paradigmi con cui pensiamo il gioco, le sue strategie, le sue tattiche.

Una delle cose più affascinanti di Guardiola è la sua capacità di rimescolare le convenzioni all’improvviso. Guardiola viene fuori con una soluzione nuova, innovativa, imprevedibile come un’illusionista che durante il suo numero ha tenuto l’attenzione del pubblico su un diversivo mentre si preparava al grande colpo di scena. Ogni volta che pensiamo di aver visto ormai tutto, o che il suo “overthinking” lo stia portando a limitare il rendimento della squadra, ecco un nuovo colpo da maestro.

L’inizio di stagione peggiore della sua carriera ha portato Guardiola a ridiscutere alcuni aspetti del suo Manchester City, senza mettere da parte tutti i tentativi che aveva fatto e le dinamiche che si erano create, ma piuttosto spostando pochi tasselli per permettere a tutto di fluire meglio, per creare nuove dinamiche mettendo insieme nuovi spunti o rispolverando soluzioni che aveva già provato lungo il suo percorso. Ad esempio, l’utilizzo dell’inverted fullback, cioè del “falso terzino” (o “falsi terzini”) che lasciava la classica posizione di terzino per stringersi al fianco del mediano, o nell’halfspace, è uno dei tratti più distintivi della sua squadra, ma non è una novità recente, si vedeva già ai tempi del Bayern Monaco.

La scelta di non schierare punte di ruolo è una delle strategie più antiche della sua carriera e quella ancora più radicale di utilizzare ben due “falsi nove” è una strada percorsa con il Manchester City per la prima volta già lo scorso anno, in occasione dell’ottavo di finale di Champions League contro il Real Madrid di Zidane (partita in cui Bernando Silva e De Bruyne partivano in posizione centrale per abbassarsi ai fianchi di Casemiro per sfuggire al pressing alto dei "Blancos").

Pensare di poter dissezionare ogni aspetto di una squadra di Guardiola è per certi versi un’intenzione futile, ma è comunque interessante soffermarsi su alcune dinamiche più o meno costanti, pur nella loro fluidità, pur sapendo che con le parole è impossibile riuscire a restituire anche solo in minima parte la complessità delle interazioni in campo.

Che forma ha questo City?

Dicevamo, quest'anno la prima apparizione del doppio falso nove risale al febbraio 2020, in una cornice però abbastanza diversa rispetto a quella della stagione in corso: ai fianchi di De Bruyne e Silva c’erano Gabriel Jesus e Mahrez, e dietro di loro Walker e Mendy. Per via delle caratteristiche dei giocatori utilizzati, sia lo sfruttamento delle fasce negli ultimi metri di campo, sia le rotazioni nella parte centrale, si sono rivelate meno flessibili rispetto a quello che si vede oggi. «Non mi piaceva il modo in cui stavamo giocando. Nelle stagioni precedenti avevamo le ali più in alto e più larghe, così abbiamo deciso di tornare ai nostri principi», ha detto poi Guardiola, «sentivo che con ali larghe e alte potevamo avere più stabilità. La qualità dei giocatori ha fatto il resto. Quando abbiamo la palla, corriamo meno».

Questo probabilmente è il punto migliore da cui partire per provare a dare una forma più tangibile al miglioramento delle prestazioni del City: una squadra che nonostante la sua abilità a muovere il pallone e occupare gli spazi, aveva raggiunto uno stallo nella sua pericolosità offensiva e, di conseguenza, aveva anche problemi a difendersi. Guardiola è ripartito dall’occupazione simmetrica dell’ampiezza, ma i due esterni alti non devono restare esclusivamente con i piedi sulla linea laterale, ma si tengono pronti ad attaccare la profondità anche correndo verso l’interno. Il principio attorno a cui ruota tutto è la manipolazione dello spazio, cioè la capacità di creare e occupare spazi in maniera irregolare e dinamica.

Questo è un aspetto che lo stesso Guardiola ha ribadito nella sua intervista dopo la semifinale col PSG a Sky Italia: «Arriviamo in area, non siamo già lì». Per questa attitudine Guardiola ha rinunciato a schierare una “punta pura” (anche se si tratta di giocatori associativi e perfettamente integrati nel suo sistema, come Gabriel Jesus e Aguero, che è stato anche infortunato) e lo spazio centrale dell’attacco è stato affidato alla coppia De Bruyne - Bernardo Silva.

Non possiamo limitarci a usare un solo sistema per descrivere il City: quando pressa alto lo scaglionamento somiglia a un 4-2-2-2; quando difende più in basso a un 4-1-4-1; quando attacca inizia l’azione con un rombo di costruzione (3+2 o 2+3) con uno o entrambi i terzini sulla linea del mediano, oppure mandandoli avanti lateralmente entrambi, ad altezze diverse, come contro il PSG. Qualcuno ha cercato di riassumere tutte queste trasformazioni in 3-2-3-2, altri in 3-2-2-3 o 3-3-1-3. Ma forse è superfluo stabilire quale sia la formula più indicativa.

Occupare per attrarre, svuotare per riempire

Partendo da zolle interne, De Bruyne e Bernardo Silva cercano di muoversi in relazione al comportamento dei difensori, per sovraccaricare una determinata zona o tirare fuori posizione un avversario, al fine di avere spazio da attaccare alle spalle della linea difensiva, o per creare un isolamento sul lato debole. Ma vengono anche incontro ai compagni, per fare da riferimento a chi sta impostando.

De Bruyne si propone come soluzione a Walker, aprendosi di lato. Mahrez, davanti a lui, può tornare a smarcarsi alle spalle del terzino sinistro del PSG.

I falsi nove possono posizionarsi nello spazio tra terzini e centrali, tendendo più verso l’esterno se possono attrarre l’attenzione del terzino per liberare Mahrez e Foden, oppure più verso i centrali per creare i presupposti di un attacco interno, ad esempio con una triangolazione a uno o a due uomini.

Con questa grande mobilità è naturale che le funzioni cambino anche nel corso delle stesse azioni, così può capitare che anche Foden o Mahrez o Gundogan si trovino ad agire con gli stessi compiti, quando i compagni si sono spostati. Il punto, però, è che il City tende a non riempire immediatamente il centro dell’attacco.

De Bruyne e Bernardo Silva larghissimi, Foden e Gundogan dentro.

L’interpretazione dei singoli è legata ai movimenti dei compagni: se De Bruyne, Silva, Mahrez e Foden, o chi per loro, sono molto decentrati ed è necessaria un’invasione centrale, tipicamente è Gundogan a inserirsi. Il tedesco ex Dortmund ha avuto la stagione più prolifica della carriera sotto il punto di vista dei gol, e ha potuto liberarsi in avanti soprattutto nelle partite in cui lo spazio al fianco di Rodri (che rimane prevalentemente a protezione) è stato occupato da uno o entrambi i terzini.

Non si tratta di piani strettamente codificati: all’interno di una trama posizionale più o meno larga a seconda della partita, i giocatori hanno una sostanziale libertà di interpretazione. Nella metà campo del City la situazione è più definita, ma quello che succede dall’altra parte è sempre di difficile lettura per l’avversario.

Il pallone viaggia all’indietro da Gundogan che si era defilato a sinistra. De Bruyne si trova sull’halfspace sinistro, Bernardo Silva è già a destra. Il centro è svuotato.

Ci sono partite e situazioni in cui De Bruyne e Silva possono arretrare insieme fino a portarsi ai fianchi dei mediani avversari, davanti a loro, uno alla volta o anche contemporaneamente. Scegliendo la zona di campo da occupare, il City decide anche quali avversari attrarre e quali spazi liberare per gli sviluppi successivi.

Nella prima immagine vediamo De Bruyne e Silva persino più larghi dei due esterni, che a loro volta si portano leggermente verso l’interno. E Cancelo ha spazio per sovrapporsi. Nella seconda, Silva riceve libero di girarsi alle spalle della prima linea di pressione del Gladbach, mentre De Bruyne si è allargato a destra per creare un sovraccarico laterale.

De Bruyne e Silva si posizionano, rispetto ai due giocatori davanti alla difesa, formando talvolta un rombo, talvolta un quadrato. Altre volte il City tiene un riferimento centrale addosso alla linea (che può anche fare da classico falso nove, da solo), insieme a due esterni larghi. Oppure può anche succedere che sia uno solo dei due attaccanti a fungere da falso nove, con l’altro più occupato ad abbassarsi a supporto del centrocampo, e a volte persino Gundogan è partire dal centro dell’attacco anziché inserirsi da dietro.

Bernardo Silva va incontro nell’halfspace destro, De Bruyne occupa il centro ed è pronto a scivolare verso il lato forte, Gundogan si apre sul lato opposto.

Quando De Bruyne e Silva si spostano entrambi verso lo stesso lato del campo, solitamente il City vuole consolidare il possesso per liberare spazio sul lato opposto. Una dinamica che torna utile anche quando in campo c’è Cancelo a sinistra, che può cambiare il gioco in avanti, di destro, trovando sulla corsa l’esterno dall’altra parte del campo.

Foden stringe, il terzino sale. De Bruyne e Silva sovraccaricano a destra insieme a Mahrez, Gundogan è appena fuori, pronto a scivolare a supporto o inserirsi.

In tutte queste varianti, la costante è data (oltre al dinamismo di Gundogan e all’interpretazione creativa di Cancelo) dalla capacità di manipolare lo spazio di Silva e De Bruyne. Ma perché Guardiola ha puntato in maniera così radicale su di loro, a costo di rinunciare a un giocatore magari più diretto nell’attaccare la profondità?

Innanzitutto, si tratta di due giocatori che si stanno esprimendo ad un altissimo livello, diventati fondamentali nella risalita del pallone e nella capacità di determinare lo sviluppo dell’azione fino agli ultimi metri. Soprattutto, però, sono i due giocatori più a loro agio nel gestire i possessi nello stretto in zone centrali di campo, e che non hanno problemi ad arretrare o allargarsi se serve a venir fuori dal pressing alto.

Bernardo Silva e De Bruyne sono giocatori versatili: hanno la capacità di ricevere e girarsi, di giocare a muro, di proteggere il pallone, ma soprattutto hanno acquisito una consapevolezza spaziale determinante per percepire in anticipo la giocata successiva. Si tratta di due registi offensivi che operano ad altezze diverse e influenzano direttamente e indirettamente la riuscita delle azioni. Ma tutto ciò non funzionerebbe se il City non fosse in grado di mutare continuamente atteggiamento.

Un esempio concreto lo abbiamo avuto nella partita di andata contro il PSG, dopo un primo tempo inconcludente, quando Pep ha deciso di allargare il terzino riportando Gundogan al fianco di Rodri, puntando a spostare il palleggio (e dunque della fase difensiva del PSG) al centro del campo, per avere più spazio in ampiezza. L’influenza di giocatori come Foden e Mahrez su canali più interni ha fatto il resto.

Le partite della fase a eliminazione diretta non hanno restituito, forse, un’immagine esaustiva del potenziale offensivo di questa squadra, ma è difficile restare indifferenti davanti a una dimostrazione così impressionante di fluidità e adattamento. Guardiola è ripartito da un aspetto che poteva dare più stabilità a tutta la struttura – gli esterni larghi – ma il fulcro della questione è sullo svuotamento degli spazi centrali da riempire, in relazione al tipo di avversario e di partita.

C’è la struttura posizionale da mantenere per attaccare efficacemente, ci sono gli scambi di posizione, ma se possibile è tutto ancora più fluido, ancora meno leggibile. Ancora una volta, Guardiola ha fatto un passo indietro per farne tre in avanti, e ora può finalmente provare a giocarsi una finale di Champions col Manchester City.

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