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Come la Pro Recco è diventata la Pro Recco
14 giu 2023
Dopo una lunga storia, la squadra ligure di pallanuoto ha vinto la sua terza Champions League consecutiva.
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14 min
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IMAGO / Xinhua
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Il 3 giugno 2023, dopo aver battuto il Novi Beograd per 14 a 11, la Pro Recco ha vinto la sua undicesima Champions League di pallanuoto maschile, la terza consecutiva, la nona negli ultimi venti anni. Lo ha fatto dopo aver conquistato in questa stagione il trentacinquesimo Scudetto della sua storia, titolo che, con eccezione del 2021, vince ininterrottamente dal 2006, e la sedicesima Coppa Italia (che vince sempre dal 2006, con eccezione del 2012). Per prendere in prestito una terminologia usata soprattutto nel calcio, si tratta del secondo triplete consecutivo (Campionato, Coppa Italia e Champions League nella stessa stagione) e, se dovesse vincere anche la Supercoppa Europea, completerebbe il secondo Grand Slam consecutivo.

In questi ultimi anni, la Pro Recco ha ottenuto risultati eccezionali, ha spesso dominato le competizioni alle quali ha partecipato, a volte ha fatto sembrare le cose perfino troppo semplici. Come sempre accade, però, dietro un successo così ampio e duraturo c’è un lavoro che parte da lontano, di programmazione sportiva e manageriale, che ha trasformato la Pro Recco da squadra di serie A1 con un onorevole passato a club di pallanuoto più titolato del mondo.

La calottina azzurra

Pietro Figlioli, trentanovenne attaccante italo-brasiliano che con la Pro Recco ha vinto dodici scudetti e sette Champions League, ha detto di recente che «giocare per questa squadra equivale ad essere un calciatore del Real Madrid, perché sai di essere dove tutti vorrebbero ma sai anche che sei costretto a vincere». Sono parole che corrispondono alla realtà se pensiamo che, soprattutto negli ultimi venti anni di pallanuoto, praticamente qualsiasi campione di questo sport ha indossato la calottina azzurra della Pro Recco, così come molti dei migliori calciatori del mondo hanno vestito la camiseta blanca del Real Madrid. Anche i palmares dei due team, se messi a confronto, sono simili: il Real Madrid ha vinto 14 Champions e la Pro Recco 11, mentre per gli scudetti il computo è 35 pari. Lampante, invece, è la differenza ambientale, di origine delle due realtà: la storia della Pro Recco è talmente peculiare da rendere la società ligure un esempio praticamente unico nel mondo dello sport.

Recco è una cittadina di neanche 10mila abitanti, situata a pochi chilometri da Genova, che come molte delle città della costa vive tra l’Aurelia e il Mar Ligure, incastonata sotto i monti ma fortemente legata al mare. È diventata nel tempo una località turistica, apprezzata soprattutto per la vicinanza con Genova e per la famosa focaccia al formaggio. Durante la Seconda Guerra Mondiale è stata quasi totalmente distrutta dai bombardamenti Alleati, che puntavano all’interruzione dei collegamenti ferroviari, e come molti paesi italiani ha faticato molto nella ricostruzione del dopoguerra. Da subito, però, ha trovato forza ed unione intorno ad una realtà che appariva già speciale, quella della squadra di pallanuoto della città.

Per dare un’idea, nel 1953 la squadra ottenne la vittoria del campionato di serie B e quindi la promozione in serie A. La stessa cosa era successa anche l’anno precedente, ma per la mancanza di un campo gara adeguato (ai tempi si giocava in mare ma era necessario almeno un molo sul quale posizionare gli arbitri) la Pro Recco fu costretta a rigiocare la B, serie nella quale gli arbitri potevano stare sulle barche, insieme ai tifosi. Per evitare un’ulteriore annata nel campionato secondario, la popolazione si prodigò donando alla Pro Recco svariate centinaia di sacchi di cemento, con le quali la società costruì un rudimentale molo a Punta Sant’Anna (ricordatevi questo nome) rendendo così possibile la partecipazione alla Serie A.

Erano anni in cui la pallanuoto era uno sport estremamente popolare, dominato da grandi squadre come la Canottieri Napoli o la Lazio, che sorgevano in città ben più grandi ed attrezzate della piccola Recco. Nonostante ciò, in soli sei anni e con un sette titolare completamente composto da recchelini (così si chiamano gli abitanti di Recco), la Pro Recco vinse il suo primo storico scudetto, inaugurando un ciclo che durò fino al 1984 con la conquista del diciottesimo titolo e della seconda Champions. Protagonista assoluto di quel primo ciclo fu Eraldo Pizzo, detto "il caimano", da molti riconosciuto come il più forte pallanotista di sempre, sicuramente il più forte della sua generazione. Per tornare al paragone col Real Madrid, Pizzo è stato il Di Stefano della Pro Recco, un giocatore talmente dominante da far crescere intorno a sé un intero movimento, sia a Recco che nell’Italia campione Olimpica di Roma 1960. Basti pensare che a lui viene attribuita la prima applicazione della pallanuoto in movimento, cioè l’utilizzo nel gioco non solo dei pallanotisti originali, forti nel tiro ma piuttosto statici, ma anche di giocatori mutuati dal nuoto, veloci nelle fasi di transizione delle azioni tra i due lati del campo.

Una foto di Eraldo Pizzo nel 1965.

Nel 2000, quasi venti anni dopo l’ultimo scudetto e durante un periodo di poche fortune sportive e societarie, Eraldo Pizzo è stato richiamato in società da un altro recchelino, che nel frattempo aveva acquistato la società con l’intenzione di riportarla sul tetto del mondo: Gabriele Volpi.

Il ritorno della grande Pro Recco

“Nelle altre città italiane c’è il calcio, qui da noi c’è la pallanuoto” ha detto Niccolò Figari, recchelino di nascita che in calottina azzurra ha vinto undici scudetti e quattro Champions, “tutti da bambini hanno provato la pallanuoto sognando di giocare per la Pro Recco”. La tradizione, forse, si era solo assopita, nei diciotto anni trascorsi tra lo scudetto del 1984 e quello del 2002, ma nel frattempo era anche cambiato il mondo della pallanuoto. Pur rimanendo uno sport fortemente legato ad una zona geografica ben precisa, e quindi molto tradizionale, anche la pallanuoto ha conosciuto la sua globalizzazione. Le società si sono trasformate da associazioni di paese a vere e proprie aziende, le organizzazioni si sono fatte sempre più meticolose e gli sponsor hanno incominciato a introdursi nel discorso, sostenendo i progetti con le loro risorse economiche. Anche in questo, tuttavia, la Pro Recco ha qualcosa di diverso dalle altre squadre, qualcosa che la lega ancora una volta alla sua storia ed al suo territorio. Non a caso, l’imprenditore che nel 2000 ha deciso di farsi carico della società per riportarla ai vertici italiani ed europei non è un “foresto”.

Gabriele Volpi è nato a Recco nel 1943 e come tutti i suoi conterranei ha giocato a pallanuoto. Nella Pro Recco ha fatto le giovanili e per la Pro Recco ha tifato negli anni d’oro del primo grande ciclo di vittorie. È stato allenato dal fratello di Eraldo Pizzo, Piero, che per lui è stato quasi un secondo padre, vista la prematura scomparsa del suo. Quando le fortune imprenditoriali lo porteranno in Nigeria e poi in tutto il mondo, chiamerà Eraldo a lavorare con lui, e lo stesso farà nel suo ritorno alla Pro Recco, nei primi anni 2000. “Eraldo non è solo la bandiera della società” ha detto Volpi ricordando quella decisione, “per me è famiglia. Chiamarlo è stato naturale, ed è servito per instaurare nella squadra lo spirito che c’era negli anni d’oro. Chi viene qui deve sapere che dare il 100% è la normalità”. Per tornare a questi standard, però, non sono certo bastate le parole; ci sono voluti gli investimenti economici che da subito sono andati in due direzioni, strutture e area tecnica.

Sulle strutture il lavoro è stato complicato e farraginoso, ed è tutt’altro che completato. Pur avendo un centro sportivo di altissimo livello dedicato completamente alla squadra, la Pro Recco ha dovuto per anni peregrinare nelle piscine liguri per giocare le proprie partite, e per anni ha festeggiato i propri trionfi lontano da Recco. Solo recentemente, si è tornati a giocare il campionato nello storico impianto di Punta Sant’Anna, la piscina all’aperto adagiata sotto la scogliera sul lato ovest del golfo, proprio a ridosso del mare dove Pizzo e compagni vincevano negli anni sessanta.

Lo stadio, che è stato ristrutturato, è suggestivo e storico e nel mondo della pallanuoto rimanda, con le dovute proporzioni, ai grandi stadi del calcio, quelli che fanno tremare le gambe ai giocatori. Tuttavia, non è una struttura all’avanguardia come richiede lo status della società, e da tempo l’entourage di Volpi lavora per la riqualificazione di un’area ex industriale nell’entroterra dove costruire un impianto più moderno e funzionale. Se per ora il progetto della nuova struttura resta un sogno, sotto la gestione Volpi i sogni sono diventati realtà nell’aera tecnica.

Le scelte tecniche

Il primo allenatore vincente dell’era Volpi è stato Marco Baldineti, messicano di origine che a Recco è cresciuto ed ha giocato e vinto nei primi anni ’80, e che ha avuto il merito di traghettare la squadra dalla difficile situazione di fine millennio (quando la Pro Recco rischiò il fallimento) alla Champions del 2003. Essendo stato anche in acqua nella vittoriosa Champions del 1984, Baldineti è di fatto una leggenda della Pro Recco, perfetto legame tra passato e presente del club. Ma per costruire la Pro Recco del futuro, dopo Baldineti, Volpi si affida a tecnici provenienti da dove la pallanuoto, in quegli anni, è stata vincente, ovvero la Campania.

Nell’ordine Enzo D’Angelo, Paolo De Crescenzo e Pino Porzio, tre napoletani, portano a Recco la mentalità europea necessaria per diventare una realtà consolidata in campo internazionale. Con Porzio, in particolare, la Pro Recco si ritrova ad essere la squadra dominatrice in Italia (otto campionati) ed Europa (quattro Champions) proprio come Volpi aveva sognato e proclamato al suo insediamento. “La vera difficoltà nei primi tempi è stata quella di costruire un gruppo amalgamato e con lo stesso obiettivo” ha detto Porzio nel docufilm sulla Pro Recco prodotto da Amazon Prime, “avere tanti stranieri nella squadra non era una cosa usuale nel nostro mondo, ma ci siamo riusciti”.

Proprio in quegli anni la Pro Recco diventa la meta più ambita dai giocatori internazionali più forti, come i serbi Filip Filipović (quattro volte Len Player of the year) e Vanja Udovičić, ma anche italiani, come Stefano Tempesti e Maurizio Felugo. Quest’ultimo, dopo essere stato capitano ed icona della squadra, è passato dall’altra parte della barricata, diventando prima direttore sportivo e poi presidente, carica che ricopre dal 2016. Ancora una volta, quindi, per proiettarsi al futuro la Pro Recco si è affidata al suo passato, e Volpi può dire di averci visto giusto: nonostante l’inesperienza manageriale, le scelte tecniche di Felugo sono state tutt’altro che sprovvedute, soprattutto nelle ultime tre stagioni.

Dopo il biennio con il guru Radko Rudic, che alla sua prima da allenatore in un club (dopo una vita alla guida delle Nazionali) ha vinto il Campionato e la Coppa Italia, nel 2021 Felugo decide di cambiare prospettiva e si affida a Gabriel Hernández, tecnico più giovane e dalle idee innovative, scelto con l’intento di aprire un ciclo sul lungo periodo. La stagione di Hernandez è però ambigua: perde la finale scudetto con Brescia (unica sconfitta della Pro Recco dal 2003) ma vince la Champions contro i favoriti del Ferencváros, riportando il trofeo in Liguria dopo sei anni. Al termine della stagione, il tecnico spagnolo rassegna le dimissioni per motivi personali, spiazzando un pò tutti tranne Felugo, che fa la scelta che nessuno si aspetta, nominando come nuovo coach il trentenne ex giocatore Sandro Sukno.

Due anni incredibili

Sukno viene da un Paese, la Croazia, dove la pallanuoto è una religione. Figlio di un pallanotista oro Olimpico, anche Sandro diventa un campione nello sport di famiglia, e da giocatore arriva ai massimi livelli sia con la sua Nazionale che nei club. Nemmeno a dirlo, è proprio nella Pro Recco che gioca le stagioni migliori, diventando fondamentale per le vittorie di quattro scudetti e una Champions. Nel 2017, appena dopo aver vinto il Mondiale da trascinatore della sua Croazia, un problema cardiaco mette fine alla sua carriera in vasca, e a trent’anni si trova già a fare l’allenatore.

Quando Felugo lo chiama alla Pro Recco, ha alle spalle una sola stagione da head coach, sulla ben meno scottante panchina dei montenegrini del Primorac Kotor. “So di essere giovane e di dover allenare tanti miei ex compagni” ha detto alla prima intervista da coach della Pro Recco, “ma ho già le idee chiare, e sono convinto che riusciremo a trovare la distanza giusta per costruire qualcosa di importante”. Anche Felugo predica serenità, e dice di aver seguito Sukno nei suoi primi passi da allenatore, vedendo in lui “il profilo giusto per continuare il lavoro di Hernandez ed aprire un ciclo con la Pro Recco”. Nonostante le rassicurazioni dei protagonisti, si tratta di un vero azzardo.

Nella sua squadra, Sukno deve allenare giocatori che in molti casi sono più vecchi di lui, a partire per esempio dal capitano Leka Ivović, 37 anni, che dopo la finale di Belgrado ha detto “Sandro è un allenatore incredibile, vinciamo perché siamo una famiglia, per l’ambiente che abbiamo saputo creare in questi anni. Siamo nati per partite così”. Sembra in effetti che la Pro Recco non sia semplicemente gruppo di grandi giocatori messi insieme da un budget importante, ma una vera squadra, con un intento comune e la voglia di lavorare per raggiungerlo. Tuttavia, ridurre i risultati della Pro Recco ad un pur importantissimo discorso ambientale sarebbe un grave errore. La finale di Champions League 2023, da questo punto di vista, ci può aiutare a capire davvero il lavoro tecnico che Sukno ha fatto con i suoi giocatori, e che ha portato la Pro Recco ad essere una squadra quasi imbattibile.

La finale di Champions 2023

Il Novi Beograd è alla seconda finale di Champions consecutiva, è una squadra giovane ed ambiziosa, piena di ottimi giocatori e con una punta, lo spagnolo Álvaro Granados Ortega, giovane (1998) e in rampa di lancio. L’allenatore è Živko Gocić, ex giocatore dal profilo simile a quello di Sukno, che ha sostituito lo sconfitto della finale dell’anno scorso, Igor Milanović, uno che nel 2015 alla guida della Pro Recco ha fatto il triplete.

Nonostante ciò, la Pro Recco ha fatto sembrare i padroni di casa una squadra sprovveduta, spaesata, semplicemente non adatta al contesto in cui si giocava. Da subito, ha difeso meglio gli spazi, concedendo pochissimo in fase di parità numerica e sfruttando le superiorità in maniera chirurgica, mettendo in mostra l’abilità delle sue punte di diamante, Di Fulvio, Ivovic e Zalanki. Il tutto in una serata non splendida della stella Gonzalo Echenique, che a metà del secondo tempo è stato punito per una brutalità, fallo per il quale il giocatore viene espulso per quattro minuti e viene concesso un tiro di rigore agli avversari.

Poteva essere la svolta della partita: quattro minuti in superiorità numerica sono un’eternità, e il Novi Beograd aveva tutte le chance per ritrovare la parità (Recco era sul +2) e avvantaggiarsi nel punteggio. Ma la Pro Recco ha dimostrato proprio in quel frangente la sua maturità mentale e la superiorità fisica, riuscendo a contenere gli attacchi degli avversari e concludendo il parziale con un 2-1 che ha di fatto ammazzato la gara. Sukno, inquadrato nel momento di maggiore difficoltà della Pro Recco, è sembrato più calmo di ognuno dei suoi rivali, ed riuscito a trasmettere questa sicurezza alla squadra, che ha recepito ed applicato alla perfezione le indicazioni date per contenere l’ondata avversaria.

Ad un certo punto, per esempio, il Novi Beograd si è affidato al modulo di difesa ad “M”, una tattica che lascia liberi i tiratori avversari per poter ripartire più velocemente in contropiede e poter incidere sulla difesa scoperta avversaria. Anche in quel caso, gli slavi hanno subito la maggior precisione ed attenzione degli uomini di Sukno, che hanno giocato di sacrificio, non permettendo mai ai rivali di ritornare in partita. All’intervallo lungo, sul 9 a 5 di punteggio, la coppa aveva di fatto già preso la via per la Liguria.

A pochi giorni da una vittoria così, e a seguito di stagioni altrettanto vincenti, il futuro della Pro Recco non può che essere improntato sulla continuità. Le basi per continuare a vincere ci sono, a partire dal roster, profondo e ben assortito tra veterani e giovani, con alcune punte di diamante che in pochi possono vantare, su tutti Di Fulvio, Ivovic ed Echenique. “Abbiamo molto spazio per i trofei nella nostra sede” ha detto scherzando Maurizio Felugo ai microfoni di Sky appena dopo la finale di Champions, “l’intenzione è quella di continuare a vincere con il nostro metodo”.

Ed il metodo prevede ancora la guida di Sukno, che insieme al suo staff (su tutti il preparatore atletico Miros Ciric) ha fatto in poco tempo un lavoro di indubbia qualità. “Dopo ogni stagione cerchiamo sempre di resettarci” ha detto Felugo all’Ansa, “di ripartire analizzando anche le cose che non sono andate come volevamo. Questo gruppo ha le caratteristiche che aveva il nostro allenatore quando giocava, compattezza e freddezza. Stiamo costruendo tanto anche nelle categorie giovanili”. Non si tratta, quindi, di avere solo i giocatori migliori, ma anche di crescerli nel proprio storico vivaio, per poi farli approdare in prima squadra, come successo a Matteo Iocchi Gratta (2002) e Stefano Cannella. La sfida più grande, forse, la lancia proprio Felugo: “Puntiamo ad essere un brand riconoscibile dello sport in generale, non solo della pallanuoto”.

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