I playoff NBA sono quel momento dell’anno in cui il gioco si fa più duro, la posta il palio si alza e i margini di errore si fanno più sottili. È in questo clima di grande tensione e suspance che il gioco cambia e l’attenzione di tutti si sposta verso la metà campo difensiva: se in regular season gli occhi di tutti sono rivolti a studiare come una squadra gioca ed esegue in attacco, è sulla capacità di fermare l’avversario che si decidono le serie di playoff. Le squadre che vi partecipano hanno avuto 82 partite di tempo per studiare nel dettaglio gli schemi, le abitudini e le caratteristiche degli avversari, oltre ad aver collaudato i propri meccanismi per prepare i rispettivi piani partita dal punto di vista difensivo. Fare canestro, partita dopo partita, possesso dopo possesso, diventa un’impresa: le cose che per gli attacchi NBA funzionavano in stagione regolare smettono di essere efficaci semplicemente perché le difese fanno di tutto per eliminarle.
Non fraintendete, non stiamo dicendo che nei playoff si difende e in regular season no, ma con un calendario lungo e dispendioso, fatto di impegni ravvicinati, trasferte, spostamenti ecc... è necessario gestire le energie dei giocatori consci del fatto di avere la possibilità di riscattare una brutta prestazione o una serie di brutte prestazioni già la partita successiva. Inoltre non c’è modo di scendere troppo nei dettagli quando ogni sera l’avversario è diverso da quella precedente. Nei playoff il discorso cambia: per un ciclo di almeno quattro partite l’avversario è sempre lo stesso, e per questo il livello di preparazione e cura dei dettagli diventa sempre più accurato e maniacale. In più non ci sono appelli: perdere significa andare in vacanza, ogni singolo possesso può fare la differenza tra la vittoria e la sconfitta.
In un’epoca di attacchi super efficienti che operano in spazi larghissimi difendere è diventato estremamente complicato. Molto spesso di tratta di scegliere il minore dei mali, decidendo a priori di che morte morire.
La priorità della difesa dei Thunder è quella di collassare in area per non far arrivare palla a Gobert anche a patto di lasciare un tiro da tre aperto sul perimetro, che per il loro piano partita era il minore dei mali.
Diffidate da chi sostiene che “la difesa sia SOLO una questione di voglia”: è una sentenza che può trovare riscontro nei campionati amatoriali, ma al massimo livello è anche e soprattutto tattica, comunicazione, regole, letture ed esecuzione, al pari di uno schema offensivo. Un difensore che ha troppa voglia di difendere rischia di essere deleterio quanto un difensore svogliato se non rispetta i suoi compiti e le sue competenze all’interno della strategia di squadra.
I Raptors eseguono in modo molto solido in difesa contenendo il pick and roll Beal-Gortat e rimanendo con i tiratori, fino a quando Anunoby non va a portare due aiuti di grande voglia ma con angoli e tempi sbagliati, che aprono vantaggi per l’attacco laddove erano stati annullati.
Fare una buona difesa significa costringere l’attacco a prendersi il peggior tiro possibile, senza aver garanzia che lo sforzo sia premiato da uno stop difensivo. Il talento di alcuni giocatori troverà sempre il modo di vanificare lo sforzo immane di una difesa quasi perfetta: chiedete pure ai tifosi dei Pacers che hanno giocato una serie di grande sacrificio difensivo che non ha impedito a LeBron James di viaggiare a 34 punti di media con il 55% dal campo.
I Celtics non permettono mai ad Antetokounmpo di mettere piede in area e costringono l’attacco a prendersi un tiro da due in step back allo scadere dei 24 secondi. Gli Warriors invece a causa del pessimo closeout di Thompson che salta alla finta di tiro di Rondo (?) concedono ai Pelicans un tiro da tre aperto. La difesa dei Celtics non è stata premiata da uno stop difensivo ma è stata migliore di quella degli Warriors, che invece non ha subito canestro.
In questo pezzo andremo quindi a discernere nel dettaglio alcune tra le situazioni difensive più interessanti e particolari emerse nelle serie e nelle singole gare di playoff fin qui giocate, cercando di fare un po’ di contesto sui motivi di alcune scelte e soppesando i pro ed i contro di una strategia difensiva piuttosto che un’altra.
Il cambio sistematico dei Golden State Warriors e degli Houston Rockets
Da quando gli Warriors hanno imposto il Death Lineup come modello di riferimento per lo Small Ball, il cambio sistematico su tutti i blocchi è diventato parte integrante della strategia difensiva di ogni squadra NBA. Si tratta di un concetto difensivo che è sempre esistito ed è diventato basilare per contenere attacchi sempre più spaziati per il campo alla ricerca di vantaggi per creare linee di penetrazioni e tiri aperti, o per imporre le proprie peculiarità fisiche e comandare il ritmo del gioco.
I parziali pazzeschi che gli Warriors riescono a piazzare in pochi minuti - tipo il 24-2 contro i Pelicans in gara-1 a metà secondo quarto - arrivano grazie ai canestri di Klay Thompson o di Kevin Durant, ma nascono dall’applicazione difensiva, in particolare dall’efficacia con cui eseguono il cambio sistematico, e l’intensità su cui modulano tale strategia. I Warriors anche quando vanno piccoli possono permettersi quintetti composti da cinque giocatori di oltre 2 metri che possono cambiare sempre e su chiunque senza subire mismatch.
In queste due clip i difensori coinvolti nel cambio lottano per stare in anticipo sui blocchi lontano dalla palla e per contenere quelli sulla palla. Poi come parte un tiro si fiondano almeno in tre a rimbalzo per azzerare ogni possibile svantaggio di taglia derivante dal cambio e volare in attacco. Nella prima clip gli Warriors vanno in cambio per tre volte e permettono il ribaltamento di lato solo in palleggio ma mai in passaggio; nella seconda cambiano per due volte tenendo la palla su un lato fino alla penetrazione.
I Rockets in questa stagione, oltre ad aver il miglior attacco NBA, sono diventati una delle migliori difese della lega grazie agli accorgimenti sviluppati dal vice di Mike D’Antoni, Jeff Bzdelik, per rendere efficace il cambio sistematico. Contrariamente a quanto fanno gli Warriors, per i Rockets cambiare non è una virtù, ma una necessità derivante dal fatto che l’assetto e il credo tattico di D’Antoni è quello di stare “piccoli” il più possibile per avere un vantaggio enorme in attacco. È quindi un sistema di cambi che coinvolge tutti e cinque i difensori, che devono collaborare e ruotare in modo da eliminare i vantaggi provocati da mismatch sfavorevoli.
Per i Rockets cambiare, in un sistema difensivo di squadra e organizzato, ha anche il vantaggio di indurre gli avversari a smettere di eseguire i propri giochi e concedere a Harden e Paul di potersi “riposare” in difesa: un conto è spremerli sul perimetro cercando di farli passare sopra tutti i blocchi o coinvolgerli attivamente nelle rotazioni difensive, un altro è averli “freschi” a fare a sportellate in post basso in situazione più statica o “nasconderli” lontano dalla palla.
Sui pick and roll che coinvolgono Harden i Rockets cambiano per contenere - Harden può tenere i lunghi avversari in uno contro uno spalle a canestro, anzi è più bravo in quello che a contenere le penetrazioni - e collassare in area da lato debole. Se è Chris Paul a essere messo in mezzo ai pick and roll, i Rockets sono pronti anche a eliminare il mismatch che si crea cambiando ulteriormente con un giocatore dal lato debole, in questo caso Capela. In situazioni come queste si parla di “cambio a tre”.
Nel primo turno le idee confuse e le cattive spaziature offensive dei Timberwolves hanno facilitato il compito. Contro la sapidità dell’attacco dei Jazz i Rockets hanno sofferto a tratti le contromisure di coach Snyder, che già in gara-2 ha fatto “slippare” i lunghi prima ancora che portassero il blocco, mandando in confusione la difesa di Houston prima di raddrizzare la barca in gara-3 e 4, prendendo il controllo della serie.
L’escamotage difensivo dei Cavaliers
Gli attacchi NBA nel corso degli anni hanno trovato il modo di stare un passo avanti il cambio sistematico ed esporre le difese, specialmente quelle più pigre, per isolare gli abbinamenti difensivi per loro sfavorevoli. Ad esempio i Cavaliers per tutta la serie contro Indiana sono stati uccisi dal pick and roll centrale che aveva come bloccanti Turner o Sabonis per la capacità dei due lunghi Pacers di aprirsi o rollare dopo il blocco. Sui pick and roll che non prevedevano Oladipo come portatore di palla i Cavaliers hanno quindi deciso di cambiare, e i Pacers hanno giocato contro questa scelta.
Nella prima clip i Cavaliers come da piano partita cambiano sul pick and roll iniziale e poi cambiano a tre per evitare il mismatch Turner-Calderon, ma i Pacers sono pazienti e cinici nel creare un altro accoppiamento favorevole Young-Calderon con gli altri quattro giocatori che si spaziano sul perimetro per lasciare spazio e togliere il tempo per eventuali aiuti difensivi. Nella seconda clip Sabonis gioca da subito contro il cambio tagliando fuori un apatico Jeff Green per poi rollare indisturbato a canestro.
I Cavaliers da un punto di vista difensivo sono stati un casino nelle prime partite della serie, specialmente con George Hill che ha dovuto saltare alcune gare, J.R. Smith sempre altalenante e Tristan Thompson “Kardashianed” prima del risveglio in gara-7. Eppure ogni volta hanno trovato il modo di sopravvivere - in gran parte grazie alle spalle larghissime del numero 23 da Akron, Ohio - e trovare il bandolo della matassa in difesa osando il raddoppio sistematico sulla palla.
Sono anni che i Cavs buttano in campo questa tattica con successo: nelle finali del 2016 raddoppiarono sistematicamente Steph Curry e lasciarono a Harrison Barnes, Andre Iguodala e Draymond Green il compito di decidere la serie; lo scorso anno fu grazie al raddoppio che mandarono nel caos i Raptors di DeRozan e Lowry incapaci di produrre gioco con il supporting cast. Contro i Pacers questo trattamento lo hanno riservato a Victor Oladipo, il nemico pubblico numero uno.
L’idea è quella di togliere la palla dalla mani del terminale offensivo di riferimento e costringe l’attacco a cercare soluzioni altrove, facendo perdere secondi cruciali nella ricerca del vantaggio e rompendo la fluidità offensiva degli avversari. In alcuni frangenti di gara-4 - in caso di vittoria i Pacers avrebbero ipotecato la serie - non appena Oladipo riceveva la palla i Cavs mandavano due giocatori a raddoppiare mentre gli altri tre si disponevano a zona pronti a uscire sulla palla e tamponare la situazione in attesa che le rotazioni difensive chiudessero i sovrannumeri dell’attacco.
Nella prima clip le rotazioni sono precise e puntuali e l’attacco dei Pacers deve prendersi un tiro contestato allo scadere dei 24 secondi. Nella seconda clip, dopo essersi accoppiati tempestivamente in seguito al raddoppio, i Cavaliers cambiano per contenere e costringere i Pacers a un altro tiro contestato.
Questa difesa è un’arma tattica molto utile per una squadra come Cleveland e permette loro di creare inerzia laddove rischiano di precipitare in una disastrosa deriva fatta di pigrizia e cattive abitudini difensive.
La disciplina difensiva degli Utah Jazz
Gli Utah Jazz sono invece una squadra estremamente disciplinata e multi-accessoriata dal punto di vista difensivo, grazie alla presenza minacciosa del probabile miglior difensore NBA (Rudy Gobert) ma anche di schemi e regole difensive molto strutturati. La capacità di combinare più difese in relazione ai propri punti di forza e alle caratteristiche degli avversari è uno dei talenti di coach Quin Snyder, un altro candidato al premio di Allenatore dell’Anno. I Jazz contro i Thunder hanno offerto una prestazione difensiva di alto livello limitando una ad una tutte le bocche da fuoco avversarie grazie a strategie difensive pensate ad hoc.
Contro una squadra infarcita di talento ma estremamente disfunzionale, progettata per creare vantaggi rapidi a discapito della circolazione di palla, i Jazz hanno imposto la loro difesa e costretto i Thunder a pensare, o peggio ancora a leggere e uscire dalla loro comfort zone.
Nella prima clip il blocco al bloccante è fatto da un esterno (Paul George) per un lungo: i Jazz intercettano il pick and roll finale facendo “ice” per spingere la palla verso il lato opposto al blocco dove a sbarrare l’area c’è il contenimento di Gobert. (I Jazz per tutta la serie hanno concesso a Westbrook il palleggio-arresto-tiro dalla media distanza senza pagarne dazio). Nella seconda clip lo stesso blocco al bloccante è portato da un lungo (Jerami Grant) a un esterno (Josh Huestis) e per non dare vantaggi in penetrazione a Westbrook i Jazz cambiano sul primo pick and roll e infine contengono ruotando da lato debole sul secondo. In entrambi i casi i Thunder non riescono a costruire il tiro che volevano e devono prendersi due tiri da tre contestati.
Quando la posta in palio è così alta ogni giocatore viene tirato da un filo invisibile che lo lega agli altri, e basta un errore per far saltare il banco. I Jazz hanno sviluppato la capacità di correggere i propri errori di possesso in possesso, sintomatico di una preparazione scrupolosa del piano partita e di un’attenzione ai dettagli quasi maniacale.
Nella prima clip Favors si fa tagliare fuori da Carmelo Anthony mandando all’aria il piano difensivo sul pick and pop. Nell’azione successiva la difesa Jazz aggiusta il tiro con Favors che rimane dietro ‘Melo consentendogli di spingere Westbrook lontano dall’area con lo “show” difensivo. Quello che accade dopo è una splendida sequenza che mostra tutto il potenziale difensivo dei Jazz.
I tranelli difensivi dei Boston Celtics
La mentalità “plug and play” della squadra di Stevens ha permesso ai Celtics di far fronte all’emergenza-infortuni responsabilizzando gli altri componenti del roster: fuori Hayward si sono fatti avanti Brown e Tatum; persi Irving e Smart sono emersi Rozier, Ojeleye e Larkin.
Per tutta la stagione l’unica immutabile e concreta certezza dei Celtics è stata la difesa, la più versatile della lega. Per dire: contro i Bucks i Celtics hanno predisposto quattro coperture diverse del pick and roll in relazione alla locazione della palla e le caratteristiche dei giocatori coinvolti. Tutta questa varietà è dovuta al fatto che i Celtics non dispongono di un intimidatore a centro area come ad esempio i Jazz, ma hanno lunghi molto rapidi negli spostamenti laterali e possono costantemente schierare cinque giocatori diligenti, intelligenti e ben allenati da un punto di vista cestistico.
Per proteggere il pitturato dalle incursioni degli esterni dei Bucks e contrastare la supremazia fisica di Antetokounmpo, coach Brad Stevens si è spinto oltre e in modo molto creativo ha messo in campo difese miste, abbinando alla difesa uomo standard principi di difesa a zona.
I Celtics eseguono i loro schemi difensivi a uomo, ma quando la palla cambia lato vengono attivati i dettami della zona 2-3. Nella clip finale invece i C’s si dispongono a zona 2-3 da subito per contrastare il pick and roll laterale che coinvolge Antetokounmpo come rollante, togliendo all’attacco dei Bucks un’arma tattica su cui facevano grande affidamento.
Sventata la minaccia dei Bucks, i Celtics si sono trovati di fronte i Sixers: fare zona contro una squadra che fa della circolazione di palla uno dei suoi punti di forza e che può mettere sul perimetro sempre almeno tre tiratori per aprire l’area alle incursioni di Simmons sarebbe un suicidio.
I Celtics quindi hanno confezionato un nuovo piano partita difensivo ponendo enfasi sulla transizione difensiva per “mangiare” spazio a Simmons riempiendo la corsia centrale del campo e accoppiandosi velocemente con i tiratori anche a discapito di qualche abbinamento difensivo svantaggioso.
Baynes è stato particolarmente prezioso nelle prime due partite in fase di transizione difensiva con la sua mole a riempire la corsia centrale del campo e permettere di fermare la palla, dando modo ai suoi compagni di accoppiarsi velocemente ai tiratori.
Rallentare Simmons è una parte importante del piano, ma non è l’unica. I tiratori dei Sixers se non trovano vantaggi dagli spazi che genera il rookie australiano sanno procurarseli dai blocchi, in particolare il nostro Marco Belinelli e soprattutto J.J. Redick che in questi playoff viaggia a 20 di media e funge spesso da prima opzione offensiva per coach Brown. Dopo aver subito 20 punti da Redick nei primi tre quarti in gara-2 (scivolando sul -22 a fine primo tempo), i Celtics hanno iniziato a stringere le maglie sul tiratore ex Duke per non farlo ricevere del tutto.
Nella prima clip Smart cerca il contatto per forzare (con successo) il primo blocco, ma non potendo fare altrettanto con il secondo lo taglia. I lunghi dei Celtics hanno ricevuto l’ordine di stare incollati ai bloccanti, per far passare Smart e per non permettere ai lunghi Sixers di aprire i blocchi. In tutto questo Redick non riceve e Covington deve sparare da tre punti con le mani di Morris in faccia. Nella seconda clip i Celtics vanno in cambio sistematico per stare assieme a Redick e anticipare qualsiasi tentativo di fargli tornare la palla in mano. Infine nella terza clip Redick è usato come bloccante nel pick and pop, una soluzione molto utilizzata dai Sixers nei finali di partita, ma la difesa dei Celtics è attenta e cambia sempre per non farlo ricevere.
La difesa dello Spain Screen
Negli ultimi anni lo Spain Screen si è diffuso come uno dei modi più creativi di giocare il pick and roll. Il blocco cieco portato sul difensore del bloccante innesca un meccanismo a cascata praticamente indifendibile che espone la difesa a un canestro ad alta percentuale da sotto o da tre punti. Ogni squadra NBA - Rockets in primis - utilizza la propria versione dello Spain Screen per rubare un canestro in situazione di ultimo tiro, in uscita da timeout o come giocata standard quando si presenta l’occasione.
Le difese più attente e ciniche dei playoff hanno trovato il modo di rendere inerme il blocco cieco dando indicazioni al lungo che difende il pick and roll di “passare in quarta” - ovvero dietro a portatore di palla, bloccante del cieco e difensore del bloccante - per poi ricongiungersi alla palla per contenere. In tutto questo gli altri due difensori coinvolti devono rallentare la palla per dare modo al lungo di tornare in posizione.
Nella prima clip i Pacers vanno in cambio di emergenza sull’accelerazione di James mentre Bogdanovic aiuta sul roll ma senza staccarsi troppo da Korver che, sul closeout, è costretto a mettere palla per terra e a commettere un’infrazione di passi. Nella seconda clip Anunoby riesce a rompere il tempo dello Spain Screen indirizzando James sul lato opposto e dando modo a Poeltl di evitare il blocco cieco per contenere la penetrazione del Prescelto. L’esecuzione offensiva dei Cavaliers è mediocre e i Raptors possono tornare agli accoppiamenti originali senza bisogno di cambiare marcature.
Se vi aspettavate le difese arcigne degli anni Novanta, dove i colpi proibiti (oltre a essere più concessi dagli arbitri) erano all’ordine del giorno, probabilmente sarete rimasti delusi. Le situazioni di gioco erano molto più statiche, dove la fisicità era il requisito minimo per intimidire gli avversari. Oggi il gioco è più dinamico e le difese NBA sono molto più versatili, e difendere è fondamentalmente una questione di scelte: chi prende ripetutamente le decisioni migliori ha maggiori chance di portarsi a casa una partita o la serie. Mano a mano che andremo avanti nei playoff fare la scelta o l’aggiustamento tattico giusto farà la differenza tra vincere l’anello o andare in vacanza anticipatamente.