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Come resuscitare una squadra in 4 mosse
05 ott 2017
Il Valencia era una squadra allo sbando ma in pochissimo tempo Marcelino è riuscito a rianimarla.
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11 min
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Come tutti i piatti le cui origini si perdono nella lontana tradizione, anche la paella ha un passato che si tende a ignorare: era un piatto povero, poverissimo. Al riso si aggiungeva tutto ciò di cui si disponeva, e all’Albufera, la laguna vicino Valencia da cui ha origine, c’erano due animali in abbondanza: anguille, e ratas de agua, dei particolari roditori della famiglia dei Cricetidi. Altro che pollo e coniglio.

Marcelino García Toral è cresciuto in un paese di 100 abitanti nelle Asturie: il padre tagliava gli eucalipti e li portava con un camion alle aziende cartarie dei Paesi Baschi. Un allenatore che conosce il valore del lavoro, e che sa distinguere l’utile dal futile. Dopo tre stagioni e mezza nel Villarreal, e un anno sabbatico, Marcelino è stato chiamato da un club vicino, dal grande passato ma dal presente malridotto: il Valencia. Un’impresa molto complicata, allenare la squadra di di Peter Lim, per una serie di problemi dirigenziali e ambientali.

Marcelino ha dimostrato idee chiare sin dall’inizio: bisognava tornare a mangiare anguille e roditori, farsi bastare quello che c’era, ma cucinarlo bene, benissimo.

Il Valencia arriva alla sosta da terzo in classifica, davanti al Real Madrid e a pari punti con l’Atleti. E anche se sono passate solo 7 giornate, a vederlo giocare si può già dire: Marcelino ha resuscitato il Valencia, una squadra che veniva da un 12esimo posto e 4 cambi di allenatore.

Come ci è riuscito? In quattro semplici mosse: la semplicità di chi è abituato ad arrangiarsi, del paesano che non si preoccupa delle luci - e delle pressioni - della città.

I. Scegliere gli uomini giusti

Per riassumere tutti i problemi del Valencia della passata stagione c’è una sola parola: caos. Quello dirigenziale, con l’ombra di Jorge Mendes dietro molte operazioni apparentemente sballate, aveva condotto all’utilizzo di ben 33 giocatori.

Per riportare ordine, la proprietà del club ha nominato Mateu Alemany, ex presidente del Mallorca, come Direttore Generale: e proprio lui sembra sia stato decisivo nella scelta di Marcelino. Insieme, i due hanno gestito la campagna acquisti seguendo la sottile arte della sottrazione: la squadra del futuro era già in quel blocco indistinto di caos, bisognava solo levare le parti inutili.

Quando l’allenatore si stira un muscolo per esultare.

In un’intervista a El Pais, Marcelino descrive con una particolare sottigliezza questa strana attività di selezione, basata tra l’altro sulle informazioni di “Mister Wolf” Voro, l’allenatore tuttofare chiamato a salvare la squadra dal disastro nella passata stagione: «Per modificare una dinamica negativa (come quella dell’anno scorso), bisogna prendere delle decisioni. Ci sono giocatori di cui bisogna fare a meno. L’unico aggettivo per questi giocatori è prescindibili, non problematici, e secondo la nostra analisi dovevamo cederli».

Di prescindibili ce n’erano tanti, in effetti, addirittura 17, che si possono raggruppare come per una convocazione della Nazionali. Tra i principali: Abdennour, Mangala, Perez, Nani, Munir, Negredo.

Oltre al costoso riscatto di Zaza, le operazioni in entrata puntavano a inserire giocatori di livello internazionale ma vogliosi di riscatto, possibilmente giovani, senza poter spendere: con Kondogbia come sintesi perfetta di questa strategia, e l’unico grande sforzo per arrivare a Gabriel Paulista, pallino dell’allenatore (che lo aveva lanciato ai tempi del Villarreal). Inoltre, Marcelino ha voluto dare grande importanza ai giocatori della cantera: recuperare Gayà, lanciare definitivamente Nacho (terzino destro) e Toni Lato (terzino sinistro), migliorare il livello competitivo di Soler, il più grande talento dell’Under 21 spagnola dopo Ceballos.

A livello tattico, le linee guida per gli acquisti sono state ben chiare: giocatori dinamici, capaci di giocare in verticale, sia con il pallone che senza. Lavorare pochi, lavorare bene, il metodo Marcelino per uscire dalla spirale della confusione.

II. Controllare tutto

L’anarchia valenciana arrivò nella passata stagione al culmine del mancato allenamento: Prandelli dovette cercare i giocatori nel centro sportivo perché non si erano presentati in campo.

Con Marcelino la storia è cambiata: regole chiare, a prescindere dalle individualità. Si tratta del classico allenatore - tiranno illuminato, che vuole controllare tutta la gestione sportiva, e anche di più (tipo l’altezza dell’erba del campo).

Temuto da tutti i giocatori in Spagna per la sua gestione nutrizionale, l’asturiano ha subito riproposto il suo regime da “7 chili in 7 giorni”: in particolare, i giocatori devono bere continuamente (alcuni addirittura prima di dormire) dei frullati di frutta, verdura e cereali. Inoltre, il cuoco del centro sportivo è stato incaricato di preparare le cene “para llevar” ai giocatori, affinché non sgarrino una volta tornati a casa. Si può mangiare solo pasta integrale, per la disperazione di Zaza, e chi esagera fuori dal campo viene punito: difficile rivedere le immagini di Parejo ubriaco in discoteca, quest’anno.

Marcelino ha chiesto di remare tutti dalla stessa parte, pretendendo sacrifici e impegno, ma comportandosi sempre con nettezza, come una bussola che segna sempre il nord: nessun giocatori ha dubbi sulla chiarezza del proprio allenatore.

III. Princìpi tattici chiari

Considerato da tempo come un pragmatico di scuola sacchiana, Marcelino ha ricominciato dal 4-4-2 anche a Valencia. Secondo la sua visione, è un modulo che copre bene il campo ed è tatticamente più facile da interpretare per i giocatori: si richiede meno specificità nei loro compiti. In sostanza, è il discorso del piatto povero: per giocare con altri sistemi si richiedono giocatori con caratteristiche (fisiche e tecniche) particolari, che richiedono un esborso economico notevole. Siccome l’allenatore asturiano ha sempre lavorato con il materiale che gli mettevano a disposizione, ha capito che il 4-4-2 è come una grande paellera in cui si può amalgamare tutto. Anche perché i suoi principi di calcio verticale rendono necessario giocare con due punte mobili: Marcelino dice di rinunciare volentieri a un uomo a centrocampo, pur di ritrovarsi spesso in 2 vs 2 contro i difensori centrali avversari.

Al di là dei moduli, l’allenatore asturiano ha uno stile di gioco ormai ben preciso: la squadra si deve muovere come un blocco unico, partecipando alle quattro fasi con tutti i giocatori, accorciando sul pallone quanto più possibile. In fase offensiva si ricerca sia l’ampiezza con le ali molto larghe, sia la profondità con i classici movimenti ad elastico delle due punte: e per questo le sue squadre sono sempre molto verticali.

Il Valencia però non è un prodotto finito, ed ha ancora molte difficoltà nel controllare la partita con il pallone (la vertigine verticale finisce per rendere frenetica la manovra), e altrettante difficoltà in difesa posizionale. La solidità difensiva tipica delle squadre di Marcelino è già evidente, con la porta inviolata tre partite su sette: la compattezza verticale e orizzontale, le linee strette per prevenire passaggi tra le linee, si notano spesso durante le partite ma non ancora con l’armonia e la continuità di un’orchestra. Per realizzare un tiro in porta contro il Valencia, gli avversari devono effettuare in media 45 passaggi verso gli ultimi 30 metri: meglio anche dell’Atletico di Simeone.

il 4-4-2 del Valencia che accorcia sul lato palla: ci sono pochi metri tra linea difensiva e attaccanti, e tutti i giocatori sono nella propria metà sinistra del campo (il numero 18 Soler è appena fuori), l'unico giocatore che manca è il terzino destro Nacho, rimasto ampio perché la Real Sociedad tiene un uomo largo sul lato debole.

Le due fasi davvero fondamentali nel sistema di Marcelino sono quelle di transizione: quella offensiva sta migliorando grazie anche alla velocità di Guedes (un grande impatto per ora dal punto di vista tecnico) e Pereira, le due ali acquistate in estate. A volte però la squadra non riesce a ricompattarsi e si spacca, con i due centrocampisti centrali costretti agli straordinari in transizione difensiva: per questo la forza fisica di Kondogbia sta diventando fondamentale. La vittoria ad Anoeta contro la Real Sociedad ha mostrato tutti i pregi e i difetti del Valencia finora: grande capacità di attaccare la profondità, difficoltà nel controllare la partita e difendere in area. Una squadra ancora all’inizio di un processo di apprendimento, ma con ottimi risultati già ottenuti, contro squadre complicate: Real Madrid, Atletico, Real Sociedad, Athletic.

4. Responsabilizzare i giocatori

«Il fattore umano è molto importante, perché il solo talento non garantisce un buon rendimento: è un elemento, ma non è l’unico. Il talento egoista, infatti, ti aiuta a vincere singole partite, ma non a raggiungere obiettivi comuni».

Nel Valencia di Marcelino, le individualità hanno senso solo all’interno di un sistema collettivo. In questa prospettiva, il miglior talento della cantera valenciana, Carlos Soler, ventenne centrocampista offensivo, è costretto a sacrificarsi sulla fascia: non c’è spazio per un trequartista, e come centrocampisti centrali gli vengono preferiti Kondogbia e Parejo. Inizialmente sulla fascia sinistra, poi sulla fascia destra, Soler non ha la fisicità dell’ala, ma sta imparando (1 gol e 4 assist in 7 partite) a giocare in ampiezza. Ad aiutarlo, anche i movimenti del sistema, che prevedono l’accentramento dell’esterno, per lasciar spazio al terzino: in questo modo Soler riesce ad occupare i mezzi spazi, da dove può risultare letale.

Un altro esempio del culto di Marcelino per il collettivo è il rendimento di Zaza. Da subito considerato titolare, con la fiducia massima, tanto da spingere l’allenatore a non chiedere un’altra punta. Zaza è l’attaccante ideale per questi principi di gioco: molto abile nel movimento a elastico, sia per andare incontro alla palla che per attaccare la profondità; ipercinetico e sempre pronto ad attaccare il possesso rivale (con i suoi 2,5 falli per 90 minuti è il terzo giocatore più falloso della squadra); capace di tenere occupati entrambi i centrali avversari per liberare spazio alle incursioni di Rodrigo, seconda punta agile. Ma quando Zaza è stato messo in panchina (nel derby contro il Levante), non l’ha presa bene: è entrato e non ha brillato, e stava scappando nel tunnel degli spogliatoi. Marcelino lo ha ripreso e lo ha “costretto” ad andare a salutare i tifosi, ed ha ribadito pubblicamente che le individualità non possono mai avere il sopravvento.

Nella partita successiva, Zaza è stato schierato titolare e ha segnato una tripletta in 8 minuti. Era dal 2009 che un attaccante del Valencia non segnava 6 gol in 7 partite, e quell’attaccante era David Villa. Il tandem con Rodrigo Moreno sta funzionando talmente bene che anche l’ispano-brasiliano continua a segnare: 4 gol nelle ultime 4 partite, e addirittura convocazione nella Nazionale spagnola. A inizio stagione, per molti, il vero problema del Valencia era l’attacco: è vero che non c’è un bomber (i due insieme hanno realizzato solo 11 gol l’anno scorso), ma le caratteristiche tecniche dei giocatori si adattano perfettamente alle richieste di Marcelino. Tanto che l’allenatore, per difendere i suoi attaccanti, ha detto che è ingiusto valutarne il rendimento solo dal numero di gol segnati.

Ma il vero capolavoro di Marcelino potrebbe essere il recupero di Parejo, che l’anno scorso era arrivato a picchi di indolenza da sembrare un turista per il campo. Oltre ad averne bloccato la cessione (Parejo aveva chiesto di andarsene anche a causa dei problemi con i tifosi), l’allenatore ha deciso di farne un perno della squadra, rinominandolo capitano: quasi a replicare l’importanza di Bruno Soriano nel Villarreal.

E con la sua andatura caracollante e felpata, Parejo sta giocando un inizio di stagione straordinario. Da vero regista della squadra, è anche il centrocampista che ha completato più passaggi lunghi nella Liga, addirittura davanti a Kroos (8,1 per 90 minuti): sia per cambiare campo che per attivare il movimento delle due punte.

La stagione è appena iniziata ed è difficile capire quale sarà il ruolo del Valencia in questa Liga: per un posto in Champions c’è una concorrenza molto più attrezzata (Atleti e Siviglia), ma nella medio-alta borghesia del campionato, gli uomini di Marcelino sembrano tra i più affamati (oltre a non avere impegni europei).

L’armata Brancaleone dell’anno scorso si è trasformata già in un gruppo organizzato, deciso e combattivo: sono bastati pochi acquisti di rilievo (nell’ultima partita, solo quattro nuovi nell’undici titolare), ma soprattutto un allenatore attento a tutti gli aspetti della gestione di una squadra, non solo quelli tecnici. Una dimostrazione pratica dell’importanza di allenatori capaci non solo nell’aspetto tecnico-tattico, ma anche in ambiti apparentemente meno importanti.

Un profilo caratteriale che ricorda grandi allenatori del passato valenciano, come Rafa Benítez (due campionati e una Coppa Uefa vinti a Valencia): dittatoriali, poco mediatici, lavoratori infaticabili e amanti dell’organizzazione tattica, anche su un sentiero diverso rispetto alla tradizione calcistica spagnola.

E come Marcelino, anche Benitez, da debuttante su quella panchina (2001-02), rimase imbattuto per le prime 7 giornate: a fine stagione vinse la Liga. Solo un auspicio, per una squadra che non ha i mezzi per lottare al vertice: ma il ritorno in Europa sarebbe già un risultato inaspettato, per una società che l’anno scorso sembrava vicina al naufragio.

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