
Roma, maggio 2080.
Nonno e nipote escono alla fermata della Metro H "C. Verdone", su Via Quattro Novembre, dietro Piazza Venezia.
«Nonno, mi racconti di Totti?»
«Ancora? Te lo racconto ogni santo giorno, oggi cambiamo, ti voglio raccontare di un altro giocatore, ti racconto di Miralem Pjanic».
«E chi è Miralem Pjanic?»
Le due figure, mano nella mano, scendono la grande via assolata, superando alcuni palazzi solari; edifici completamente neri che fungono da enormi impianti fotovoltaici, convertendo energia solare in energia elettrica e distribuendola nel rispettivo quadrante della città.
«Pjanic giocava nella Roma quando io ero molto giovane, il Piccolo Principe lo chiamavano. Piccolo perché era piccolo, ma non piccolo e tozzo, non un piccolo toro di quelli con le gambone e il collo largo, era piccolo come un ragazzino, anche con la faccia piccola e il naso piccolo e stava in mezzo al campo insieme a tutti quei giganti, ma la palla arrivava sempre a lui».
«E come faceva a giocare se era così piccolo?»
«Perché aveva i piedi di un principe, hai capito adesso? Toccava la palla con le punte, la portava in giro per il campo, dalla difesa verso l'attacco, a volte faceva le finte solo con le spalle o con la testa, non gli servivano i muscoli, aspetta che ti faccio vedere».
Il nonno tocca un anello bianco che ha sul mignolo e accende il suo iPhone-Mano 3S, poi apre il palmo e un piccolo schermo super HD si materializza tra i cinque polpastrelli. Dopo qualche frazione di secondo, senza che nessuno abbia fatto una ricerca o abbia dato un comando vocale (per via di un legame con le frequenze del sistema nervoso centrale) parte un video:
«Nonno, ancora usi quel vecchio smartphone?»
«Ascoltami invece di rompere. La storia di Pjanic è una delle più spaventose e misteriose del calcio postmoderno, molti risvolti di quella maledetta vicenda sono rimasti inspiegati e oscuri e ancora oggi i vecchi tifosi come me, se interrogati su quei fatti, ammutoliscono o cambiano discorso».
«Che vuoi dire nonno, racconta»
«Devi sapere che quando Pjanic è arrivato alla Roma non sapeva giocare a calcio, non riusciva ad entrare nel gioco, non riusciva ad incidere sulle partite, non segnava, perdeva tutti i palloni ed era lo zimbello del calcio europeo, ogni giorno era bersaglio di migliaia di meme e di conseguenza lo era la Roma. Contemporaneamente il malcontento di noi tifosi cresceva, fino a toccare attimi di pura frustrazione e di aggressività. Di contro Pjanic soffriva immensamente e di giorno in giorno sprofondava nella depressione più nera e pericolosa. Ecco, guarda questo terribile filmato d’epoca»:
«E tutte quelle storie sul Piccolo Principe?»
«Abbi pazienza e ascolta. Un giorno Totti decise che la situazione stava prendendo una piega inaccettabile e scelse di intervenire personalmente. Avendo il Capitano nella sua lunghissima carriera subito innumerevoli infortuni e interventi, fisioterapie e massaggi, superato infinite problematiche e guarito da ogni tipo di lesione fisica e mentale, all’epoca era considerato uno dei maggiori esperti sul trattamento del corpo umano, sui flussi di energia che lo attraversavano e di come incanalarli positivamente sul corpo e sulla mente. Era anche un grande studioso di antiche arti orientali e di misteriosi trattamenti arabi, grazie ai continui contatti con calciatori amici che chiudevano le loro carriere in quei luoghi esotici e ambigui. Quindi una domenica, durante una partita, all’insaputa di tutti, il Capitano decise che avrebbe aiutato Pjanic a diventare un calciatore vero, applicando una delle pratiche più pericolose e misteriche dell’antica medicina mediorientale, l’unico colpo conosciuto in grado di risolvere quella dolorosa questione. Un colpo tanto miracoloso quanto delicato e rischioso, che andava applicato in modo perfetto su un punto di pressione molto fragile, vicino al cervello. Solo decenni dopo gli studiosi riuscirono a recuperare il filmato di quello che accadde quella fatidica domenica».

«Wow! E poi cosa accadde?»
«Nulla, per una settimana. E poi accadde tutto»
Nonno e nipote sbucano a piazza Venezia e svoltano a sinistra, camminando all'ombra di Palazzo Wikipedia (ex Palazzo delle Assicurazioni Generali), godendosi qualche soffio di vento che attraversa l'ampia piazza romana.
«La domenica seguente Pjanic entrò in campo tra gli ormai consueti mugolii di malcontento e una volta presa la palla sembrò toccarla come per la prima volta, in modo diverso, muovendosi in modo armonioso con la squadra, poi d’un tratto fece un passaggio assurdo, con un gesto secco e naturale, facendo filtrare il pallone tra 9 giocatori schierati e mettendo praticamente in porta un attaccante dell’epoca. Lo stadio si paralizzò, ricordo che ero in curva all’epoca e mi salì un brivido sulla schiena, era successo qualcosa di inspiegabile».
«La domenica dopo ancora, dopo aver subìto fallo vicino all'area di rigore, prese il pallone e volle battere la punizione. Accadde di nuovo qualcosa di magico. La mise sotto al sette con estrema facilità, una facilità quasi sospetta. Da quel momento cominciò a battere tutte le punizioni e la cosa pazzesca è che non ne sbagliò più neanche una, sembrava telecomandato, sembrava sotto uno strano incantesimo».
«Da quel momento Pjanic diventò un giocatore pazzesco che cresceva di partita in partita, migliorando esponenzialmente in ogni aspetto del suo gioco, è in quel periodo che venne soprannominato il Piccolo Principe. Ormai era in controllo di ogni centimetro di campo e gli avversari non sembravano esistere per lui. Il peso del pallone, le distanze tra i difensori, le misure del campo, la consistenza del terreno, sembrava tutto parte di una sua proiezione mentale, che montava e smontava a piacimento».
Sull’iPhone-Mano del nonno partirono diversi filmati di gol sensazionali del giocatore bosniaco.



«Che bello nonno, è una storia bellissima!»
«Anche noi lo credevamo, ma non avevamo capito quello che stava accadendo realmente. Pjanic sembrava in una continua evoluzione senza controllo. Cominciarono a fargli regolarmente controlli anti-doping. Dalle radio e dai giornali trapelavano strane storie sulla sua vita personale. Per i compagni era difficile avvicinarlo, viveva in un mondo tutto suo. Si dice che imparasse una lingua al giorno, anche le più strane ed arcaiche, senza una ragione precisa».
«Cosa gli stava accadendo?»
«Il colpo di Totti, che apparentemente aveva liberato tutto il suo talento, ora stava mostrando la sua ignota faccia oscura. Il povero Miralem non riusciva a dominare tutte quelle energie e ne era sopraffatto, fino a venirne trasfigurato completamente nella mente e nello spirito. Gli ultimi mesi alla Roma aveva sfaldato ogni rapporto umano, non dormiva più, non si allenava più, era aggressivo ed emanava una nuova energia buia e gelida, che provocava un terrore irrazionale in chi gli stava attorno».
«Cosa accadde poi?»
«La sua ultima apparizione con la Roma fu un derby. Partita di per sé nefasta e nervosa. Pioveva. Tutti noi avevamo la sensazione che stesse per accadere qualcosa di orribile. Ci stringevamo nei cappotti fradici. Perdevamo. Totti era in tribuna, con il volto teso e inespressivo, ma gli occhi azzurri sembravano tristi. Pjanic era stato messo in panchina, fatto assolutamente inedito. Quando entrò in campo era visibilmente strano e pallido. A cinque minuti dalla fine della partita, sotto di 3 gol, tirò una punizione da quaranta metri, segnando, ma nessuno esultò, la partita era persa e tutti sapevano che era la fine di qualcosa. Pjanic cominciò a parlare da solo in una lingua sconosciuta, voltandosi avvelenato verso la panchina. Durante quella scenata demoniaca però ebbe la lucidità di salutare tutti i tifosi, indicandoli e battendosi il cuore, forse nell’ultimo barlume di umano che gli era rimasto».
«Dopo la partita sparì nel tunnel. Non fu trovato negli spogliatoi, né fuori dallo stadio. Casa sua era vuota, sembrava abbandonata e spoglia, con strane bruciature sui muri. Non fu mai più visto da nessuno nella capitale. In estate la Roma si inventò che aveva bisogno di denaro per pareggiare il bilancio e lo mise in vendita ma tutti sapevamo che qualcosa di più complesso e spaventoso era accaduto e tacemmo. Qualche mese dopo era un giocatore della Juventus. Sorrideva, era tranquillo, si muoveva negli uffici cristallini di Vinovo con una leggerezza fantasmagorica, eppure gli occhi erano diversi, più scuri».
Il nonno si ammutolì e i due continuarono a camminare, imboccando Via dei Fori Imperiali 3D.
«Nonno sei sicuro che sia accaduta tutta questa roba che mi hai detto?»
«Certo, avrò pure ottant’anni ma tutte le storie della Roma me le ricordo»
Attorno alle due piccole figure i giganteschi ologrammi dei templi, delle basiliche e dei fori dell’età imperiale superano gli alberi e si fanno attraversare dalla luce del sole che si disperde in migliaia di spettri arcobaleno.
«Nonno quando arriviamo?»
«Siamo arrivati, guarda laggiù»
“Ma quello è il Colosseo»
«Non guardare il Colosseo, guarda sopra»
Sopra l’Anfiteatro Flavio si staglia enorme il nuovissimo stadio volante della Roma, costruito nel 2079, circondato da un complesso sistema di 27 palloni aerostatici giallorossi e sorretto da un motore ad antigravità che ne stabilizza il galleggiamento. È un’arena di ultimissima generazione, completamente ecologica e gratuita (pagata dai Like dei fan e dagli sponsor).
«Nonno ma oggi Totti gioca?»
«Vediamo come si sente»