Tra i ventitre allievi della “Promo 98” – la classe dell’Institut National de Football composta dai ragazzi nati nel 1998 – ce n’è uno con degli incisivi che sporgono fuori dalle labbra. I compagni lo chiamano Chicons d’Or, Denti d’Oro. Il ragazzino arriva dall’AS Bondy, un minuscolo club della provincia parigina. Ha appena compiuto tredici anni ed è già chiaro a tutti che le sue doti sono fuori dal comune: va al doppio della velocità dei compagni e con la palla tra i piedi è semplicemente inarrestabile. «Mbappè era uno degli allievi più promettenti della Promo», ricorda oggi il Direttore dell’INF, Jean Claude Lafargue «Lo avevamo notato subito, fin dalle prime selezioni».
Il percorso dei giovani calciatori però non dipende solo dal talento individuale, che spesso non basta per emergere nel calcio professionistico. Non si poteva prevedere che già nel 2015, appena due anni dopo la fine del corso, Mbappé avrebbe debuttato in Ligue1 con la maglia del Monaco, diventando il calciatore più giovane ad aver giocato una partita ufficiale con il club monegasco. Guardando in tv i suoi primi, inevitabili gol con la maglia del PSG, ci si chiede quanto i due anni passati a Clairefontaine abbiano contribuito a renderlo così forte. Le sue qualità sono innate o sono invece il frutto del lavoro svolto all’INF? È uno dei dubbi archetipici del calcio, che si ripropone ogni volta ci si ritrova di fronte ad un giocatore fuori dal comune.
Secondo alcuni, doti come quelle di Mbappé non s’insegnano su nessun campo da calcio. Eppure Mbappé è solo l’ultimo prodotto di Clairefontaine: prima di lui ci sono stati William Gallas, Thierry Henry, Jérome Rhoten, Nicolas Anelka, Philippe Christanval, Louis Saha, Jimmy Briand, Hatem Ben Arfa, Abou Diaby, Mehdi Benatia, Blaise Matuidi, Yacine Brahimi, Raphael Guerreiro, Alphonse Areola.
Possiamo considerare tutti questi nomi come delle semplici coincidenze ma forse c’è davvero qualcosa di più. Per esserne certi, però, dobbiamo tornare indietro di circa cinquant’anni.
La storia dell’INF
Il 15 Ottobre 1969, a Stoccolma, la Francia si gioca la qualificazione ai Mondiali messicani. I “Bleus” perdono 2-0 contro la Svezia e dicono addio alle fasi finali della competizione, inaugurando una lunga e dolorosa serie di assenze consecutive: fino al 1976, infatti, non riusciranno più a qualificarsi per un Mondiale o per un Europeo.
In mezza a quella che è di fatto una tragedia nazionale, Fernand Sastre, presidente della Federazione francese (la FFF), cerca di trovare una soluzione. Crea quindi la Direction Technique National (DTN), a cui affida poteri illimitati nella gestione del calcio transalpino, nominando come responsabile Georges Boulogne. Boulogne – che è stato il CT della nazionale fino al 1973 - diventa responsabile del coordinamento dell’attività di tutte le rappresentative nazionali.
Con il suo appoggio nel 1972 Sastre inaugura a Vichy un’accademia calcistica d’eccellenza dedicata ai calciatori più promettenti del paese. Il centro viene chiamato, molto accademicamente, Institut National du Football.
Sastre e Boulogne sanno che il calcio francese è rimasto indietro. I modelli di riferimento al tempo erano l’Inghilterra e la Germania, che schiantavano gli avversari grazie alla loro forza fisica. Per questo decidono che all’INF i giovani calciatori francesi dovranno lavorare soprattutto sull’aspetto atletico.
Francisco Filho, ex calciatore brasiliano con una discreta carriera in Ligue1 e poi tecnico federale all’INF, ricorda: «A quei tempi le squadre francesi avevano una buona organizzazione e sapevano difendersi bene, ma erano indietro a livello fisico. Così, fin dai primi giorni, iniziammo ad allenare i ragazzi con sessioni durissime. A Vichy gli allievi indossavano giubbotti anti-proiettile che rendevamo ancora più pesanti aggiungendo dei pesi d’acciaio. Eravamo un gruppo di bulldozer. Non ci stancavamo mai».
Foto AFP.
In quei primi mesi l’INF assomiglia a un campo di addestramento militare. Nonostante gli allenamenti infernali, i ragazzi tra i sedici e i diciannove anni fanno la fila per entrare a Vichy. Boulogne chiede ai club francesi di dare una mano, organizzando meglio i loro settori giovanili. La prima squadra a seguire le indicazioni della Federazione è il Nancy che, nel giro di pochi anni, ha anche la fortuna di ritrovarsi tra le mani un giocatore destinato a cambiare la storia del calcio francese: Michel Platini. Il suo esempio convince gli altri club a rafforzare i vivai, che iniziano a diventare sempre più competitivi, costringendo l’INF ad abbassare a tredici anni l’età d’ingresso dei suoi allievi.
Ma i bambini di quell’età non possono essere allenati con metodi troppo duri. Per questo motivo, a partire dagli anni ’80, la filosofia dell’INF cambia. André Merelle, ex direttore dell’Institut, ricorda: «Dopo aver abbassato l’età d’ingresso ci concentrammo meno sull’aspetto fisico e più sulla tecnica individuale. Perché se non sai controllare il pallone e non sei in grado di passarlo al compagno nel modo giusto, non potrai mai essere un giocatore di alto livello. Ho sempre pensato che ogni minuto passato ad allenarsi senza palla sia un minuto sprecato». Questo cambio di filosofia avviene nello stesso periodo in cui l’INF trasloca da Vichy a Clairefontaine, nel 1990, diventando il principale centro di reclutamento calcistico dell’area parigina, la più popolosa di tutta la Francia.
Nel giro di pochi anni, grazie ai metodi innovativi e a una struttura all’avanguardia, Clairefontaine si trasforma in un modello di riferimento. La Federazione finanzia la creazione di altri tredici centri di pre-formation (i cosiddetti Pôles Espoirs) sparsi su tutto il territorio nazionale e, contemporaneamente, molti club della Ligue1 strutturano i loro settori giovanili secondo principi simili a quelli dell’Institut, ottenendo risultati eccellenti. Il Nantes, ad esempio, in quegli anni lancia Didier Deschamps, Marcel Desailly e Christian Karembeu, che lasceranno un segno indelebile sul calcio francese degli anni ‘90.
Dopo anni di magra, il calcio francese passa all’incasso già nel 1983, con il trionfo continentale della Nazionale Under 18 (che si ripeterà anche nel ‘96 e poi ancora nel ‘97). Nel 1984 la Francia vince l’Europeo con la nazionale maggiore e nel 1998 la Coppa del Mondo viene alzata al cielo di Parigi da una generazione di calciatori cresciuta secondo una rivoluzione studiata e messa in atto quasi trent'anni prima.
Luci e ombre di una selezione spietata
Il segreto del successo dell’INF è semplice e spietato al tempo stesso. Le selezioni iniziano a maggio: i candidati devono risiedere nell’Île de France, avere tredici anni ed essere in regola con gli studi. Ogni anno si presentano più di duemila ragazzi, ma solo 23 di loro hanno l’opportunità di allenarsi a fianco della Nazionale maggiore per i due anni successivi, da settembre a luglio.
Foto di Henri Szwarc / Stringer.
La vita di questi ragazzini, una volta entrati all’INF, non sarà più la stessa. Molti sono cresciuti nelle zone più difficili di Parigi e spesso i loro genitori - immigrati dalle ex colonie francesi in Africa - non guadagnano abbastanza per mantenerli. Entrare a Clairefontaine è quindi anche un modo per cambiare il proprio status sociale, dato che l’Institut garantisce per due anni vitto, alloggio e istruzione.
Il calcio giovanile, però, è spietato e per ogni Mbappé ci sono almeno venti N’Siabamfumu, che dopo aver vinto l’Europeo Under 19 assieme a Diaby, oggi gioca nella terza serie francese. La concorrenza è altissima e la paura di fallire non aiuta gli allievi di Clairefontaine a gestire pressioni e aspettative eccezionali per un adulto, figuriamoci per un tredicenne. All’INF i ragazzi sono costretti a dimenticarsi della loro età, impegnati a dimostrare di essere i più bravi per non perdere l’opportunità di emergere. Solo nei migliori dei casi, però, al termine del corso firmeranno il primo contratto della loro carriera.
Non è difficile immaginare gli effetti che il fallimento può comportare: secondo uno dei pochi studi clinici prodotti a riguardo, il 55% dei calciatori britannici che non riescono a diventare professionisti iniziano a mostrare segni di sofferenza psicologica ventuno giorni dopo essere stati esclusi dalle giovanili. Se, come scrive David Conn sul Guardian, i ragazzi provenienti dalle classi medie riescono spesso a trovare la loro strada fuori dal mondo del calcio, per chi proviene da contesti svantaggiati il percorso di inserimento nel mondo reale è molto più difficile. Disoccupazione e criminalità sono le alternative più comuni, soprattutto se si cresce sulle strade delle periferie parigine.
L’INF, in questo senso, svolge un’importante funzione sociale anche a livello simbolico, al di là del percorso di formazione calcistica. Clairefontaine è infatti una delle poche istituzioni francesi in cui il colore della pelle e il credo religioso hanno un peso minore rispetto al talento (anche se la vicenda delle quote proposte sotterraneamente qualche anno fa da Blanc per i giocatori di colore ha gettato un’ombra anche su questo). Una volta selezionati, i ragazzi sanno di far parte di una élite che non ha nulla a che fare con il background socio-culturale di origine.
Un aspetto che però può avere anche ripercussioni negative. Secondo Merelle: «È normale che gli allievi di Clairefontaine si sentano diversi dai loro coetanei. Il trattamento privilegiato che ricevono qui contribuisce a rafforzare questa convinzione. Ma se i ragazzi si montano troppo la testa, i colpevoli non siamo noi. Spesso hanno già un agente perché i loro genitori sono convinti di avere in casa il nuovo Henry».
Per aiutare i ragazzi a rimanere con i piedi per terra, quindi, a Clairefontaine si adotta ancora oggi uno stile da caserma. La sveglia suona ogni mattina alle 6:30 e i ragazzi vanno a scuola nella vicina Rambouillet. Terminate le sei ore di lezione, rientrano all’INF per le due ore di allenamento quotidiano, dal lunedì al venerdì. Poi doccia, cena e compiti per il giorno dopo.
Foto di Ben Radford / Getty Images.
Se qualcuno rimane indietro con gli studi, corre il rischio di essere espulso dall’Institut. L’ex Direttore dell’INF, Gerard Prêcheur, ricorda: «Negli anni abbiamo perso alcuni grandi potenziali giocatori per colpa dello scarso impegno a scuola. Un ragazzo che potrebbe diventare il miglior calciatore francese non può rimanere a Clairefontaine se la sua pagella non è all’altezza».
Gli esempi di Matuidi e Areola
Proprio per questa ragione, secondo Jean Claude Lafargue, per sopravvivere all’interno dell’INF la solidità mentale è più importante della sensibilità tecnica. Neanche il ragazzo più talentuoso può sopravvivere alla quotidianità dell’INF senza sacrificio e impegno.
L’esempio da seguire, per Lafargue, è quello di Blaise Matuidi, allievo di Clairefontaine nella “Promo 87”. Al suo arrivo all’Institut, il centrocampista della Juventus non aveva doti tecniche sopra la media ma era spinto da una motivazione straordinaria. È in casi come questo che si nota di più il lavoro dei tecnici dell’INF. Matuidi viene reimpostato da attaccante a centrocampista per sfruttarne la resistenza fisica e il tempismo negli inserimenti offensivi e, grazie all’intuizione di Lafargue, diventa uno dei centrocampisti più forti della sua generazione.
«Non possiedo il talento di Messi» dice Matuidi. «Senza gli anni all’INF probabilmente sarei diventato un calciatore professionista ma di certo non avrei potuto giocare in Champions League o in Nazionale. Coach Lafargue mi ha indicato la strada da percorrere dandomi i consigli giusti per diventare quello che sono oggi». Anche Alphonse Areola considera il biennio all’Institut decisivo per la sua formazione calcistica: «Senza Franck Raviot [storico preparatore dei portieri a Clairefontaine, oggi nello staff di Deschamps] non sarei arrivato a questi livelli. All’INF ho messo le basi per diventare quello che sono oggi». Per Lafargue: «i ragazzi sono come delle case in costruzione a cui dobbiamo fornire delle fondamenta solide». Se la qualità del materiale lascia a desiderare, il lavoro dell’INF diventa fondamentale per costruire un edificio solido.
Dall’INF alla Masia
Per farlo, l’INF non può ignorare l’evoluzione che il calcio ha vissuto negli ultimi anni. Lafargue non è infatti un discepolo di Jacquet e crede in uno stile di gioco diverso da quello reattivo di Santini e Domenech, in cui la prima mossa spettava sempre all’avversario e i due centrocampisti difensivi in mezzo al campo erano un mantra non negoziabile.
Oggi Vieira e Makelele, Toulalan e Diarra non indossano più la casacca dei Blues e in Nazionale - nonostante Deschamps non faccia molto per nascondere il suo legame con Jacquet - la capacità di creare gioco è sempre più importante. La Nazionale francese non è che un riflesso di questo processo, con i giocatori tecnici e creativi che sono diventati la regola (Pogba, Griezmann, Lemar, Mbappé, Coman, Dembélé, Payet) e quelli fisici e d’interdizione come Kantè (che ha avuto un percorso atipico e per via della bassa statura è rimasto fuori dai radar fino all'esordio nelle categorie inferiori) quasi l’eccezione.
Foto di Franck Fife / Getty Images.
In questo senso, il sistema francese è stato precursore di quello catalano e tedesco, che oggi sono presi a esempi in tutto il mondo, almeno nella capacità di indirizzare un intero movimento verso idee innovative. «Il Barcellona ci ha copiato» dice Merelle. «Hanno replicato quello che noi abbiamo iniziato a fare anni fa. Il loro responsabile era sempre qui, a guardare come si allenavano i nostri ragazzi».
Filho ricorda di una conversazione avuta con Guardiola quando il tecnico catalano non allenava ancora. «Eravamo alle Canarie per non so quale torneo giovanile. A un certo punto Pep si avvicinò e mi disse che ammirava molto il nostro lavoro all’INF, i metodi che utilizzavamo. Mi disse che una volta diventato allenatore, avrebbe allenato i suoi ragazzi esattamente come facevamo noi a Clairefontaine».