Antonio Gagliardi è il responsabile dell’Area Match Analysis di tutte le nazionali, oltre ad essere il Match Analyst della Nazionale A. Questa intervista completa l’approfondimento sul settore giovanile federale cominciato con l’intervista a Maurizio Viscidi che potete leggere qui.
Gagliardi è uno dei precursori in Italia dell’uso delle statistiche applicate al calcio e con lui abbiamo approfondito proprio tutti gli aspetti del lavoro che coinvolgono l’uso delle statistiche nelle varie nazionali. Antonio, l’intervista con Viscidi si concludeva con un riferimento all’Indice di Pericolosità (o IDP), che avete sviluppato insieme. Di cosa si tratta?
«È un modello ideato da Maurizio Viscidi e messo a punto da me e da Marco Scarpa. L’idea alla base è quella di misurare oggettivamente la pericolosità offensiva di una squadra per dare una risposta alla domanda: “Chi ha meritato di vincere la partita?”.
In tutti gli sport il riferimento è sempre il punteggio, lo è sicuramente anche nel calcio. Però i gol sono un evento molto raro, e volendo avere una comprensione maggiore del gioco non possiamo considerare i soli gol. Agli albori della nostra ricerca abbiamo quindi iniziato a contare le occasioni da gol, quelle che maturano quando una squadra libera l’uomo davanti al portiere. Successivamente abbiamo incluso tutta una serie di eventi che avvengono negli ultimi 30 metri, e ha preso corpo l’Indice di Pericolosità, nel quale ad ogni evento di un determinato tipo associamo un punteggio.
È come se una partita di calcio fosse un incontro di pugilato, nei quali i giudici associano un punteggio per ogni tipo di colpo andato a segno. Per ogni partita registriamo la quantità degli eventi e a ciascuno di essi associamo il relativo coefficiente. A fine partita avrò un punteggio differente per valutare la differente performance offensiva delle due squadre.
Oltre a raccoglierlo manualmente per la Nazionale A, nel 2014 SICS ha iniziato a raccogliere i dati per la Serie A e per la Serie B sfruttando il nostro modello. A quel punto abbiamo osservato una grandissima correlazione tra i dati del modello e la classifica finale dei due campionati, e questa è stata la prima conferma che la nostra risposta alla domanda iniziale era corretta».
È lo stesso tipo di correlazione che abbiamo notato anche noi per i nostri Expected Goals.
«Ho notato che quasi sempre l’Indice di Pericolosità e gli Expected Goals arrivano alla stessa conclusione, pur partendo da basi completamente diverse: gli xG hanno una base matematica più solida e includono l’informazione sulla posizione; l’IDP fa una valutazione più precisa, anche se soggettiva, della situazione di gioco, c’è una maggiore aderenza tattica rispetto agli Expected Goals, per così dire. Ad esempio nell’IDP valutiamo anche le occasioni in cui non c’è stato un tiro. Comunque la convergenza tra IDP e xG, per noi che abbiamo pensato e sviluppato il modello in proprio, è stata una grande conferma della bontà del lavoro svolto.
Ci sono state poi tutta una serie di evidenze statistiche che hanno confermato ulteriormente la bontà del nostro modello. Ad esempio, abbiamo notato che mediamente si segna un gol ogni 30-33 punti di IDP. È un numero che non varia da campionato a campionato, e non varia di stagione in stagione. Ovviamente ci sono dei distinguo, rappresentativi dei rapporti di forza tra le squadre: quelle molto ciniche, o con attaccanti migliori, impiegano 20 punti per segnare un gol; quelle in fondo alla classifica hanno bisogno di 45 punti per arrivare a marcare una rete. Come prima, la forbice 20-45 non varia di campionato in campionato, o tra una stagione e l’altra.
Gli Indici di Pericolosità di Brasile e Belgio in questa partita sono stati rispettivamente di 80 e 21. Oppure, tradotto in gol attesi, Brasile e Belgio avrebbero dovuto segnare in media 2,5 e 0,7 gol. La valutazione mediante Indice di Pericolosità è quindi molto simile a quella fatta attraverso gli Expected Goals.
L’IDP nel corso degli anni è stato ulteriormente migliorato. Abbiamo ricalcolato i pesi in maniera matematica, basandoci sui dati del passato, mentre prima il punteggio assegnato a ciascuna situazione era arbitrario, basato sulla nostra esperienza. Abbiamo iniziato a registrare nuove situazioni di gioco, ad esempio l’IDP da palla inattiva. Oggi in FIGC raccogliamo i dati per l’IDP in autonomia per tutte le nazionali giovanili, mentre ci appoggiamo ad aziende esterne per la raccolta dati di Serie A e B, per la Nazionale A, per la Nazionale femminile e per la Under 21».
Come aiuta l’IDP il vostro lavoro? Quanto è utile nel migliorare la performance del singolo atleta?
«Un coordinatore ha sotto controllo quasi 100 partite l’anno, se consideriamo le rappresentative dalla Under 15 alla Under 21. Quando non riesce a vedere tutte le partite dal vivo, riceve i nostri report tattici, supportati dalla video-analisi e dai numeri. In ogni caso i numeri servono a rendere le nostre valutazioni più oggettive. Non solo quelle del coordinatore o delle mie, ma anche quelle dei nostri allenatori, che hanno un riferimento durante l’anno di come sta andando la stagione.
L’IDP valuta la performance collettiva. Se per gli Expected Goals è possibile estrarre una lettura sul singolo, attraverso l’IDP si valuta un’occasione per come la si costruisce collettivamente. Gli allenatori coinvolgono i singoli, condividono i dati con la squadra, e cercano di far capire ai ragazzi l’importanza di un calcio propositivo, perché producendo più punti abbiamo maggiori possibilità a lungo termine di vincere più partite.
Nell’ottica di una crescita individuale, abbiamo sviluppato un secondo modello, che registra i passaggi chiave. Nasce dall’idea di non contare i passaggi, ma di pesarli. Una verticalizzazione che supera una qualsiasi linea avversaria non è un passaggio come tutti gli altri. Quindi non è importante valutare solo l’ultimo passaggio del trequartista per la punta; è altrettanto importante, se non di più, considerare la trasmissione di palla dal difensore al trequartista tra le linee. Questo ha grande impatto sullo sviluppo tecnico del calciatore: contando i passaggi chiave, un difensore può misurare i propri progressi di partita in partita nella comprensione del gioco, nella capacità di scelta, nella pulizia tecnica della giocata.
I leader per passaggi chiave all’ultimo Mondiale.
Uno strumento del genere può essere utile anche per l’individuazione del talento, perché i passaggi chiave sono molto correlati con il nostro modello di gioco: se un calciatore ha delle lacune su altri aspetti ma riesce comunque a generare grossi numeri sui passaggi chiave, magari gli dedichiamo un’attenzione specifica in allenamento, ma sicuramente non lo escludiamo, perché sappiamo che quel tipo di talento per noi è molto importante».
Valutate i ragazzi tutti allo stesso modo, indifferentemente dalla loro età?
«Sì, il modello e la raccolta dati sono uniche su tutte le Nazionali. L’intera Area Match Analysis conta in questo momento 6 analisti per le Nazionali di calcio, più uno dedicato al calcio a 5. Raccogliamo qualche dato in più durante le competizioni internazionali, come sta accadendo con l’Europeo U19 che è in corso. Sulla Under 21 abbiamo una ricchezza maggiore di dati perché ci appoggiamo a un’azienda esterna».
Registrate anche la performance dei ragazzi della nazionale nei rispettivi club?
«Al momento no, ma è una cosa che ci piacerebbe molto fare. Aziende che raccolgono quella tipologia di dati non ce ne sono ancora. È un punto aperto, sul quale abbiamo discusso, ma il La in questo caso deve venire dall’esterno. Non potremo mai raccogliere da soli i dati per tutto il campionato Under 17, dovremo sempre e comunque stringere accordi con altre aziende. Occorre anche il benestare dei club, che otterrebbero comunque un vantaggio, cioè l’avere a disposizione i dati per i propri giocatori. Oggi solo la Juventus, il Milan, la Roma e pochissime altre raccolgono i dati e producono le analisi in proprio per le squadre giovanili.
È qualcosa che ci piacerebbe avere nella Serie A femminile. Avremmo la possibilità di monitorare tutte le atlete del campionato, sarebbe utile sia per monitorare i rendimenti delle giocatrici attualmente nel giro della Nazionale, sia per lo scouting di nuove giocatrici da aggregare».
Hai la sensazione che con i giovani si faccia qualcosa in più in altre Federazioni utilizzando l’analisi coi numeri?
«Non ho conferme certe in tal senso. Sono sicuro che in Germania c’è una grandissima attenzione: nella loro Federazione esiste un dipartimento specifico per raccogliere e analizzare i dati e sono sicuramente avanti per l’analisi del dato in generale. Credo siano più avanti di noi nel lavoro svolto con la loro Nazionale A. Non sono così sicuro però che abbiano la nostra stessa organizzazione per quanto riguarda le squadre Under dalla 15 alla 21».
Nella sua intervista a L’UltimoUomo, Alessandro Bastoni ha parlato di come nell’Under 19 si lavora supportati dalle statistiche. Quanti dei ragazzi che hanno beneficiato di questo nuovo approccio analitico saranno pronti per la Nazionale A nel giro di qualche anno?
«Bastoni è il difensore che negli ultimi tre anni ha giocato più passaggi chiave di tutti. L’evidenza dei numeri lo ha aiutato a sviluppare il suo gioco e secondo noi, potenzialmente, può diventare un giocatore da Nazionale A.
Più in generale, è difficile valutare l’impatto del lavoro che fai quando hai a disposizione i ragazzi una volta al mese. Abbiamo la fortuna di avere dalla nostra il supporto del nostro coordinatore, che crede nelle cose che facciamo, e che ci permette di svolgere un lavoro analitico che nella maggior parte dei club coi ragazzi non si fa».
Invece per quanto riguarda il tuo lavoro con la Nazionale A, qual è la tua mission? Ci racconti la giornata tipo del match analyst degli Azzurri?
«La mia mission è in tutto e per tutto simile a quella di un match analyst di un club di alto livello, che si occupa dell’analisi oggettiva di tutto quello che avviene in campo, che riguardi la propria partita o quella degli avversari. Per analisi oggettiva in pratica si intende: un’analisi video, con un occhio alla tattica collettiva più che alla tecnica, sia della propria squadra che dei propri avversari; oltre a un report statistico della propria squadra e degli avversari.
Il lavoro giornaliero del match analyst è al 90% dedicato alla preparazione dei video per il supporto alla tattica, e per il 10% è dedicato ai dati statistici. Questa proporzione vale per la Nazionale A, ma è così in tutti i grandi club del Sud Europa.
In preparazione di un incontro, il Match Analyst guarda dalle 5 alle 10 partite degli avversari di turno, e prepara una sintesi video nella quale mostra: come gli avversari costruiscono dal basso, come sviluppano il gioco, come potranno attaccare. Un’analisi nella quale mette in evidenza quali sono i giocatori migliori e i punti di forza dell’altra squadra.
La stessa cosa la fa dal punto di vista difensivo, capisce cioè se e come gli avversari ti vengono a prendere, come escono sui terzini, chi va a prendere il tuo playmaker. Soprattutto il match analyst fa uno studio dei punti di debolezza difensivi, che poi andrai ad attaccare. Questo lavoro è svolto sempre con un occhio di riguardo alle partite che l’avversario ha già giocato contro il tuo modulo di riferimento. In un esempio recente: dell’Olanda e del suo 3-5-2 abbiamo valutato soprattutto la capacità di affrontare un 4-3-3 come il nostro.
Dopo l’incontro, inizia l’analisi del proprio match, con l’ausilio di telecamere che riprendono tutto il campo dall’alto in stile Football Manager. Sono riprese per le quali fai fatica a riconoscere un gesto tecnico, ma sono di eccezionale aiuto per lo studio dei movimenti collettivi.
Sull’analisi della propria partita, il rapporto tra il match analyst e l’allenatore si inverte: se prima della partita il match analyst ha molta voce in capitolo, perché all’interno dello staff è quello che meglio conosce l’avversario, nel dopo-partita il campo d’azione del match analyst è ridotto, perché sono il pensiero e le sensazioni del Mister ad avere la priorità.
L’allenatore conosce l’aspetto psicologico del singolo e del collettivo meglio di tutti e sa interpretare le situazioni di gioco in maniera più ampia rispetto al solo punto di vista analitico.
Con i dati numerici funziona un po’ al contrario: sono molto importanti per valutare la propria partita mentre, riguardo agli avversari, l’analisi video e gli aspetti individuali sono più che sufficienti per la preparazione della strategia di gara. Il dettaglio dei dati aiuta nella comprensione di ciò che è successo in campo: per esempio, posso segnalare al Mister che nell’ultima partita abbiamo recuperato 11 palloni nella metà campo avversaria, quando di solito in media ne recuperiamo 18».
La prevalenza nell’utilizzo dei video nel pre-partita e quella dei dati nel post-partita è una costante nel lavoro di un match analyst?
«Per dirla sinteticamente: sì. Poi ci sono i distinguo del caso: ci sono allenatori di grandi squadre che studiano moltissimo l’avversario, ma non lo mostrano mai ai propri calciatori.
Anche qui conta il discorso psicologico: non ti faccio vedere l’avversario, perché noi siamo superiori e andiamo a fare la nostra partita indipendentemente da loro. Però in realtà con il loro staff lo studio dell’avversario è molto serio e approfondito, e sulla base dello studio scelgono quale terzino con determinate caratteristiche schierare, o studiano il posizionamento migliore in campo della propria mezzala.
Questi stessi allenatori, comunque, mostrano sempre la propria partita ai propri calciatori, perché il modello di gioco è ipoteticamente in continua evoluzione e teso verso un’ideale di perfezione. Quindi attraverso il video si valutano pregi e difetti di quello che si è fatto in campo, in un’ottica di miglioramento continuo».
Il tuo modus operandi quindi non è influenzato dall’allenatore?
«No, il mio modello di lavoro sostanzialmente non varia. Ad esempio l’introduzione dei report statistici per ogni giocatore avversario è una novità che ho introdotto in Nazionale quando sono arrivato con Prandelli e che è stata confermata da tutti gli allenatori che lo hanno seguito.
Le esigenze di ogni allenatore però sono diverse e il suo occhio “tattico” va assecondato. Di conseguenza cambiano alcuni dettagli nelle presentazioni o nella reportistica. Ci sono allenatori che danno più valore ai video e meno valore ai dati. Altri che preferiscono non avere più una singola riunione tattica pre-partita, ma la spezzettano durante la settimana per coniugarla con le esercitazioni.
In una settimana tipo, al martedì posso mostrare all’allenatore come difende la Germania, per supportare le esercitazioni d’attacco di quel giorno. Per il giovedì invece preparo un video che mostra il modo di offendere della Germania, per preparare meglio le nostre esercitazioni difensive.
C’è chi mi chiede di guardare esclusivamente la costruzione degli avversari, perché gli interessa di più il come andarli a prendere alti; chi invece mi chiede di studiare i movimenti della linea avversaria, per sapere se accorciano sugli attaccanti, e quindi puoi provare l’attacco della profondità; oppure se scappano all’indietro, e allora è meglio dare palla addosso alle punte. I fondamenti del mio lavoro, però, non cambiano».
E i calciatori invece? Come valutano l’opportunità di analizzare la propria prestazione con i video o di quantificarla attraverso la lente dei dati?
«Soprattutto i difensori, ma anche qualche centrocampista, sono molto attenti allo studio degli attaccanti avversari, e in generale chiedono sempre il video della propria prestazione per rivederlo.
Tendenzialmente gli attaccanti sono meno attenti a questi aspetti, credo che il ruolo li porti ad una consapevolezza dello stare in campo differente: gli attaccanti credono di poter risolvere i duelli individuali attraverso il talento e la tecnica. Al contrario, i difensori e i centrocampisti sono più attenti all’aspetto collettivo. L’istinto per la giocata da piazzare resterà, per fortuna, fondamentale, soprattutto nel gioco di una punta.
Per gli altri credo che l’analisi del contesto sia sempre più importante: una squadra deve saper ragionare, leggere le situazioni, per costruire le occasioni che poi possono essere risolte anche attraverso l’istinto.
Tra tutti, in Nazionale i difensori della Juventus sono i più attenti a questi aspetti, probabilmente perché sono più abituati ad un certo metodo di lavoro. Sono quelli che hanno spiegato di più a loro volta ai giovani l’importanza dello studio degli avversari o della propria partita.
L’esempio è tutto per un giovane che viene da un club che non partecipa alle coppe e che non è abituato ad un certo tipo di lavoro, se vede un campione del mondo passare del tempo a guardare i video o a leggere i report».
Dall’osservatorio privilegiato della Federazione, quale pensi che sia lo stato dei nostri club? Si può dire che ormai quasi tutte le squadre hanno un’analista nello staff?
«La situazione italiana non è così malvagia e la Federazione negli ultimi anni ha incentivato un certo tipo di cambiamento culturale. A livello di top club siamo abbastanza vicini: la Juventus, l’Inter, la Roma hanno tutte strutture simili a quelle delle grandi d’Europa.
La qualità media invece deve sicuramente salire, non ci sono tantissime squadre fortemente strutturate dal punto di vista della match analysis: in Inghilterra, il retrocesso Stoke City ha una struttura di match analysis vicina a quella di Tottenham e Manchester City. In Italia, la struttura della Juventus, che è la squadra italiana più simile a una inglese, non è replicabile per una squadra di Serie A di bassa classifica.
Al di fuori dei top club, come dicevi tu, gli allenatori aggregano un match analyst nel proprio staff, perché ne riconoscono il valore. La cultura dei match analyst e degli allenatori c’è, il problema è ancora la cultura a livello dirigenziale. Il Bayern Monaco ha investito lo scorso anno 2 milioni di euro nell’area di match analysis; la squadra italiana che ne investe di più probabilmente spenderà un decimo di quella cifra.
Un aspetto da non sottovalutare oggi è il turnover dei dirigenti: una volta un direttore generale o sportivo restava in carico nella stessa squadra dai 5 ai 10 anni; oggi stiamo assistendo a passaggi di consegne tra direttori molto più rapidi, anche nell’arco di 5-6 mesi nei casi più deteriori. Un direttore generale, oggi, non è più interessato a fare investimenti di lungo termine, sulle strutture o sul settore giovanile. Investirà la totalità delle sue risorse sulla prima squadra perché è più interessato al risultato immediato, che può valergli la conferma nel suo club o un contratto migliore in un altro club. Non è un caso che le squadre che stanno dando una continuità dirigenziale stanno vedendo i frutti della loro programmazione.
I media possono aiutarci: il lavoro che fa l’UltimoUomo sulle analisi tattiche con l’utilizzo dei dati aiutano la diffusione di un certo tipo di cultura. Se iniziassero a farlo anche i media televisivi nazionali, ci aiuterebbe ancora di più».
Come immagini il futuro della match analysis?
«Migliorerà l’aspetto grafico, immagino che in futuro possano essere utilizzati gli ologrammi e la realtà aumentata per migliorare la presentazione dei dati. Un altro aspetto importante sarà l’utilizzo della realtà virtuale: abbiamo già visto dei prototipi in uso in Inghilterra, abbiamo in progetto di portarla anche in Federazione.
L’idea alla base è quella di permettere al calciatore di rivivere in soggettiva la sua partita, con le distanze giuste dai compagni e dagli avversari, migliorando così il suo processo decisionale. L’efficacia della didattica di insegnamento, rispetto a un video, è notevolmente maggiore.
La figura del match analyst subirà ancora un’altra evoluzione, diventerà cioè sempre più una figura di campo, perché ci sarà sempre più integrazione tra l’analisi e la preparazione degli allenamenti, come già accennavo prima, quando ho fatto l’esempio della Germania.
Ti faccio un esempio di cosa accadeva in Nazionale già qualche tempo fa: al giovedì organizzavamo la classica partitella contro la Under 18, e prima ci limitavamo a dire all’allenatore della Under: giocheremo contro la Croazia che porterà in campo il 4-3-3, giovedì metti i tuoi col 4-3-3.
Successivamente ho iniziato a istruire la Under 18 utilizzando l’analisi video della Croazia, perché magari il loro 4-3-3 presentava delle peculiarità: Perisic è un’ala che viene molto dentro al campo; la Croazia all’epoca schierava una seconda punta come Olic dal lato opposto, con un terzino molto propositivo alle sue spalle. Cioè preparavo la Under 18 a interpretare il sistema specifico, non un 4-3-3 generico. Questa integrazione tra campo e analisi sarà sempre maggiore.
I dati poi entreranno a tutti i livelli, cambierà la raccolta dati che sarà integrata con sistemi di tracking in stile NBA.
Cioè verrà fatta un’integrazione del dato posizionale, registrato fino a 24 volte al secondo, con il dato tecnico. Da questa integrazione nasceranno nuove tipologie di dati, nuove metriche che attualmente non esistono: potranno essere contate le riaggressioni, i raddoppi, le corse senza palla per liberare uno spazio.
Il cambiamento totale della raccolta dei dati porterà ad una maggiore oggettività tra il dato e ciò che accade in campo dal punto di vista tattico. E dunque ci sarà un’esplosione dell’importanza dell’aspetto statistico nei riguardi della partita, degli avversari, della prestazione dei singoli e anche dello scouting.
Questo sviluppo del dato statistico porterà ad una divisione dei ruoli in cui il match analyst si occuperà dell’aspetto video tattico e di gestione dell’intera area, mentre ci saranno delle figure apposite – sport scientist o data scientist, già presenti in Inghilterra – che si occuperanno esclusivamente del lavoro coi dati. Chi non si adeguerà morirà, chi oggi sta facendo ostruzionismo all’utilizzo dei dati è un dinosauro destinato ad estinguersi».