Il pressing di solito è definito come un’azione di tattica collettiva, che coinvolge almeno due calciatori, si svolge in fase di non possesso e consiste nella limitazione del tempo e dello spazio a disposizione del giocatore avversario con la palla, e nella riduzione delle possibili connessioni tra quest’ultimo e i suoi compagni di squadra potenzialmente destinatari di un passaggio. In concreto, aumenta le difficoltà di scelta e di giocata al portatore della palla e conseguentemente le probabilità di un suo errore e della riconquista della palla. In ogni caso ritarda lo sviluppo della manovra avversaria orientandola verso soluzioni meno efficaci. Semanticamente va distinto dalla pressione, termine che con maggiore precisione definisce l’azione di un singolo giocatore sul possessore di palla avversario.
Come funziona il pressing?
L’azione di pressing presuppone quindi il movimento coordinato, nello spazio e nel tempo, di tutti i giocatori di una squadra, al fine di portare pressione sul portatore, limitare gli appoggi e mantenere una struttura stretta e compatta, senza buchi che potrebbero facilitare il compito alla fase di possesso avversaria. Per questo è fondamentale una fase di preparazione al pressing, che può comprendere un momento in cui la squadra organizza la propria struttura posizionale e uno in cui invita la manovra avversaria verso una zona, oppure può esserci un calciatore scelto per iniziare la fase di pressing vera e propria.
Generalmente l’inizio dell’azione di pressing vera e propria è codificato da specifici “trigger” (inneschi) che danno il via alla pressione sul portatore di palla e al conseguente movimento coordinato del resto della squadra. Possono essere diversi trigger, per fare alcuni esempi tra i più comuni: un retropassaggio verso il portiere, un controllo spalle alla porta o sbagliato di un avversario, la trasmissione della palla dal centro verso l’esterno - sfruttando così la linea laterale, che restringe le opzioni di gioco e riduce il tempo e lo spazio a disposizione del giocatore con la palla.
L’azione può avere inizio a diverse altezze di campo, definendo così un pressing offensivo, medio e difensivo. La differenza tra un’azione di pressing, quando avviene in zone meno avanzate di campo, e una semplice difesa posizionale è sottile e passa nella linea che separa la volontà attiva di riconquistare il pallone (o, quantomeno, forzare un errore) dalla semplice azione di contenimento passivo della manovra avversaria, senza la chiara volontà di recuperare il possesso.
Proprio il campionato di Serie A e le squadre italiane hanno fornito storicamente i migliori esempi di difesa posizionale e con ogni probabilità, ancora oggi, la scuola italiana degli allenatori rimane complessivamente la più abile nel preparare la propria squadra a giocare una fase di non possesso centrata più sulla reazione all’avversario che alla ricerca della riconquista aggressiva del pallone.
Tuttavia, sempre più spesso, anche in Italia le squadre adottano il pressing come mezzo per la riconquista del pallone. Per studiare come e quanto si pressa in Italia sarebbe utile partire da qualche dato il più possibile oggettivo.
La creazione di un indice numerico capace di misurare in qualche maniera l’intensità del pressing di una squadra non è un problema di semplice e univoca soluzione. Il più utilizzato in questo momento è l’indice PPDA ideato inizialmente da Colin Trainor.
Per avere una maggiore coerenza tra tutte le squadre, i dati presi in esame si fermano alla fine del girone d’andata.
Cos’è il PPDA
Il PPDA (Passed allowed Per Defensive Action) è il rapporto tra i passaggi effettuati dalla squadra avversaria in una determinata zona di campo (per convenzione i primi 60 metri di campo avversari) e gli interventi difensivi effettuati (tackle, intercetti) nella medesima zona di campo dalla squadra in questione. Pertanto, per come è costruito, più basso è il valore del rapporto, maggiore è l’intensità del pressing della squadra.
Secondo il PPDA, ad esempio, la squadra che pressa di più in Italia è il Torino di Walter Mazzarri, seguito dall’Atalanta di Gian Piero Gasperini. Parma e Frosinone, invece, secondo il PPDA sono le squadre che maggiormente lasciano giocare gli avversari nei primi 60 metri di campo.
Va detto subito che i limiti del PPDA sono parecchi. Innanzitutto, fornisce solo un indice quantitativo della volontà di una squadra di pressare gli avversari in una zona di campo ben determinata, ma le informazioni qualitative sono piuttosto scadenti. Inoltre, in maniera piuttosto paradossale, una squadra che rinunci a difendere alto, potrebbe consentire agli avversari di risalire il campo con pochi passaggi e il numeratore del rapporto potrebbe diminuire in maniera maggiore del denominatore, diminuendo il valore del PPDA a fronte di una diminuzione dell’intensità del pressing. Infine, la modalità di costruzione dell’indice non consente di discriminare tra pressing e gegenpressing.
Il valore del PPDA, però, può essere integrato con alcuni dati aggiuntivi. Il numero di palle recuperate nella medesima porzione di campo in cui è calcolato il PPDA fornisce un’altra utile indicazione della tendenza delle squadre a difendere in zone avanzate del terreno di gioco.
Napoli e Lazio sono le squadre che recuperano il maggior numero di pallone all’interno dei 60 metri avversari, mentre il Torino (che come abbiamo visto è la squadra con il minor PPDA) è quarto in classifica. Anche il numero di palle recuperate conferma la volontà del Frosinone di difendere basso nella propria metà campo.
Così, incrociando l’indice PPDA con il numero di palle recuperate nella porzione di campo d’interesse dell’indice, possiamo avere una misura dell’efficacia delle azioni di pressing delle squadre.
Le squadre che nel grafico stanno sopra la linea (Napoli, Lazio, Atalanta…) hanno un’efficienza di recupero della palla elevata rispetto al loro PPDA. Viceversa, le squadre al di sotto della linea mostrano una capacità di recuperare il pallone inferiore all’intensità del loro pressing. Il Sassuolo e l’Udinese sono le squadre che più di tutte mostrano uno scostamento negativo dalla linea.
Non c’è un solo tipo di pressing
Come detto, il PPDA e il numero di palle recuperate forniscono informazioni quantitative dando pochissime indicazioni su come viene effettuato il pressing.
A fini esemplificativi possiamo definire due estremi: il primo prevede un pressing basato sulla marcatura a uomo degli avversari, il secondo sul controllo degli spazi utili allo sviluppo della manovra avversaria. Nel primo caso ogni uomo della squadra marca più o meno da vicino un avversario e il pressing può essere visto quasi come la somma di tante pressioni individuali. L’accesso agli appoggi è limitato dalla marcatura individuale sugli stessi, ma la struttura della squadra è determinata, in grande misura e in maniera reattiva, dalla posizione degli avversari.
All’estremo opposto, un approccio basato integralmente sulla copertura degli spazi, prevede che gli appoggi siano resi indisponibili sia tramite la pressione individuale al portatore di palla che per mezzo della specifica posizione assunta dai compagni di squadra, che possono schermare il ricevitore o tagliare le linee di passaggio verso il ricevitore stesso. Come dice Pep Guardiola: «Non marcare l’uomo, copri lo spazio tra due giocatori».
Un sistema di pressing centrato sulla copertura degli spazi può, in maniera più naturale, predisporre inviti e provare a indirizzare la manovra avversaria verso zone di campo dove provare a recuperare il pallone (ad esempio la linea laterale) o ritenute meno pericolose. La struttura della squadra deve rimanere compatta ed è determinata dalla propria volontà.
Nella pratica, spessissimo, il pressing applicato dalle squadre contiene elementi di entrambi gli approcci, collocandosi in un punto intermedio tra i due estremi. In quest’ottica entra perfettamente il concetto di fluidità, tanto ricercato nel calcio moderno, che modificando la struttura nelle due fasi di gioco rende più agevole trovare un compromesso tra il controllo degli uomini e quello degli spazi.
Un esempio piuttosto tipico è quello delle squadre che in fase d’attacco non hanno un trequartista centrale, ma, affrontando un centrocampo a 3 con un mediano davanti la difesa, modificano la propria struttura per marcare-schermare proprio il mediano avversario. Ecco quindi che il 4-3-3 della fase offensiva può tramutarsi in un 4-2-3-1 in fase di non possesso o che il 3-4-3 muti in un 3-4-1-2, adottando quindi una struttura il più possibile speculare a quella avversaria (pur non adottando integralmente le caratteristiche di una difesa/pressing a uomo).
Pressare tenendo l’uomo come riferimento
Andando ad analizzare nel dettaglio il pressing delle diverse squadre di Serie A, troviamo esempi che coprono tutto lo spettro compreso tra gli estremi.
L’Atalanta di Gasperini (come detto, dopo il Torino, la squadra con l’indice PPDA più basso) attua una modalità di pressing molto vicina a un sistema puro di marcature individuali, che prevede coraggiose e aggressive scalate in avanti per tamponare le falle create da una marcatura «saltata». I giocatori dell’Atalanta ricercano con continuità l’anticipo, e per questo il numero di passaggi intercettati dai nerazzurri è molto più elevato di quello che ci si potrebbe aspettare da una squadra che gioca praticamente marcando a uomo. L’anticipo è anche utilizzato in funzione offensiva, perché ogni giocatore, compresi i difensori, seguono in avanti gli anticipi andati a buon fine per sfruttare in transizione positiva il vantaggio numerico acquisito dall’azione difensiva.
Pur in maniera meno radicale, anche il Torino basa il suo pressing su un’attenzione molto accentuata alle marcature individuali degli avversari. Rispetto al sistema di Gasperini, quello di Mazzarri più che puntare su delle proprie marcature fisse preferisce adottare un controllo molto stretto degli avversari che, a inizio azione, sono nella propria zona di competenza. Alle spalle della pressione individuale di attaccanti e centrocampisti, i difensori granata hanno tutti caratteristiche di grande aggressività e tendenza a seguire da vicino, con grande impeto, i propri riferimenti offensivi.
Una filosofia di pressing abbastanza simile è quella di Stefano Pioli alla Fiorentina, centrata su una grande attenzione alla marcatura individuale degli appoggi al portatore di palla. La differenza più evidente con il Torino di Mazzarri riguarda il comportamento della linea difensiva: lo schieramento a 3 dei granata garantisce un uomo in più in copertura e consente ai centrali di marcare con grande aggressività gli attaccanti avversari; la scelta di Pioli di giocare con una linea difensiva a 4 implica una maggiore attenzione al controllo degli spazi e l’utilizzo tattico dei movimenti dell’intera linea per restringere il campo utile agli avversari.
Il pressing uomo su uomo della Fiorentina.
I sistemi più ibridi
Tra le squadre che secondo il PPDA pressano alto con maggiore intensità in Serie A troviamo quindi, ai primi quattro posti, ben tre squadre che in maniera più o meno marcata fanno della marcatura individuale il centro della loro filosofia di pressing.
La Juventus, che si posiziona al terzo posto tra Atalanta e Fiorentina, può essere collocata in una zona mediana tra la scelta di pressare uomo su uomo e un pressing orientato al controllo degli spazi. La squadra di Allegri tende a mantenere la propria struttura cercando di tagliare le linee di passaggio e, al contempo, pone particolare attenzione alla posizione degli avversari, a cui i calciatori bianconeri tentano di stare il più vicino possibile.
Fondamentale è il contributo della linea difensiva, che accetta anche situazioni di parità numerica dietro la pressione dei reparti più avanzati, giocando aggressive marcature uomo su uomo.
Pur se non identificabile dal PPDA, è probabile che per i bianconeri un grosso contributo ad abbassare il valore dell’indice sia fornito dal gegenpresssing, quasi sempre presente dopo le fasi di possesso palla consolidato nella metà campo avversaria. Il pressing è invece discontinuo per intensità sia nel match che di partita in partita.
Anche l’Inter, la quinta squadra in classifica nel PPDA, mescola elementi di controllo degli spazi ad altri più riconducibili a una marcatura individuale, agevolati frequentemente da un’opportuna rotazione del centrocampo a 3.
De Sciglio gioca la palla all’indietro verso il proprio portiere e l’Inter reagisce a questo trigger alzandosi in pressing. Le due mezzali Joao Mario e Gagliardini vanno a marcare stretto i due centrocampisti avversari.
Pressare avendo come riferimento la palla
Tra le squadre che hanno un PPDA inferiore alla media del campionato, quella che maggiormente gioca un pressing orientato alla posizione della palla e attento al coordinamento tra i compagni di squadra è forse la Sampdoria di Giampaolo.
I blucerchiati si muovono compatti sia orizzontalmente che verticalmente, tenendo la linea arretrata alta e il loro rombo di centrocampo li aiuta a proteggere il centro e a indirizzare il gioco avversario sull’esterno. Le uscite e le scalate dei giocatori di Giampaolo sono predeterminate e dipendenti dalla posizione del pallone.
Il pressing della Sampdoria contro la costruzione bassa della Juventus. Si noti la struttura del 4-3-1-2 di Giampaolo, la linea difensiva alta e il rombo di centrocampo pronto a muoversi compatto verso sinistra per andare a pressare l’uscita palla avversaria da quel lato di campo.
Anche l’organizzazione della Roma di Di Francesco tiene come riferimento la posizione del pallone, ma nel corso di questa stagione i giallorossi hanno abbassato l’intensità del pressing che, lo scorso anno, mostrava generalmente un carattere ultra-offensivo. E chissà se proprio l’abbandono di una delle caratteristiche fondanti l’identità tattiche della Roma della passata stagione possa essere in parte responsabile delle difficoltà della squadra di Di Francesco.
Alla categoria delle squadre che attuano un pressing orientato dalla posizione del pallone è ascrivibile anche il Sassuolo di De Zerbi che, indipendentemente dal modulo proposto, prova a complicare la vita al portatore di palla avversario accompagnando la pressione individuale a una struttura di squadra che si muove compatta per coprire gli spazi e negare linee di passaggio.
È interessante però notare come il Sassuolo, nonostante abbia il nono valore PPDA più basso del campionato, abbia un numero basso di palle recuperate e sia la squadra che più si posiziona sotto la linea nel grafico che incrocia il PPDA, mostrando una scarsa efficienza del proprio pressing a recuperare il pallone. Come descritto bene da Federico Principi in un pezzo di qualche giorno fa, gli emiliani vogliono pressare in alto ma la qualità del loro pressing è piuttosto scadente e consente così agli avversari di risalire il campo con pochi passaggi, trovando spazi dietro la linea della prima pressione.
La squadra che recupera più palloni nei primi 60 metri è il Napoli, che occupa il sesto posto nella classifica del PPDA: la squadra di Ancelotti muove il suo 4-4-2 in funzione dei movimenti del pallone, occupando le linee di passaggio, ma il tecnico non disdegna soluzioni ad hoc in determinate situazioni, adattando pressioni particolari su specifici giocatori.
Il 4-4-2 del Napoli in pressing contro la costruzione bassa del Liverpool non marca gli appoggi, ma copre gli spazi pronto, eventualmente, a intercettare il pallone.
La Lazio, che a dispetto del settimo posto nel valore dell’indice PPDA è la squadra che recupera alto più palloni dopo il Napoli, tende, con il suo 3-5-2, a coprire il centro del campo e a indirizzare la manovra avversaria verso l’esterno grazie al lavoro dei due attaccanti per poi provare poi a riconquistare il pallone comprimendo il campo con l’aiuto della linea laterale, e il lavoro congiunto di mezzala, esterno e terzo di difesa.
I due attaccanti della Lazio indirizzano la costruzione bassa del Milan verso l’esterno. L’esterno Lulic copre la linea di passaggio verso Calabria, SMS e Radu marcano gli appoggi centrali e in profondità.
Tra le squadre che hanno cambiato allenatore va segnalato l’Empoli, che con Iachini in panchina ha peggiorato di più di 4 unità il valore del PPDA rispetto alla gestione Andreazzoli; mentre l’Udinese di Nicola presenta un valore superiore di 1.5 unità rispetto a quella di Velazquez.
Al contrario, il Chievo di Di Carlo, probabilmente perché alla ricerca di vittorie per risollevare la disperata posizione di classifica, ha aumentato l’intensità del proprio pressing abbassando di 3 unità il valore di PPDA rispetto alle precedenti gestioni. La stessa tendenza sembra esserci a Frosinone, con l’avvento di Baroni al posto di Longo, ma ancora il numero di partite giocate dal nuovo allenatore è troppo basso per essere certi che si tratti del risultato di una scelta precisa del tecnico dei ciociari.
Quindi, come si pressa in Italia?
In generale l’intensità del pressing della Serie A, misurata col PPDA, è assolutamente in linea con quella dei maggiori campionati europei e in questa prima metà della stagione il valore medio dell’indice della Serie A (10.4) si colloca sopra quello della Liga (9.8) e al livello di Premier League (10.3) e Bundesliga (10.4). Già due anni fa la Liga era il campionato dove si pressava di più e la Serie A aveva valori migliori della Premier League; in Bundesliga alcuni valori sono diminuiti negli ultimi anni (il Borussia Dortmund, ad esempio, è passata da 7.5 a più di 12 con il passaggio di panchina da Tuchel a Favre; anche il Lipsia ha perso 2 punti da quando non c’è più Hasenhuttl).
In accordo con la scuola italiana, sempre prodiga di aggiustamenti specifici alle particolari situazioni tattiche e alle caratteristiche degli avversari, una tipicità del nostro campionato può essere rintracciata nel fatto che il pressing delle squadre di Serie A subisce notevoli influssi e aggiustamenti in funzione delle peculiarità della partita e dello specifico contesto di gioco.
Si notano quindi, anche all’interno di filosofie centrate sulle letture delle linee di passaggio, marcature più ravvicinate contro alcuni centrocampisti o, addirittura in alcuni casi sui difensori, al fine di escluderli dal gioco perché ritenuti fondamentali all’avanzamento della manovra della propria squadra. Oppure, al contrario, si sceglie di lasciare libero uno specifico giocatore avversario, ritenuto meno abile nell’impostazione, negandogli gli appoggi e garantendosi superiorità in un’altra zona di campo. E ancora, persino squadre generalmente votate al pressing alto possono scegliere in un particolare match di difendere basse per sfruttare eventuali difficoltà avversarie ad attaccare in spazi angusti o perché spaventati da una transizione offensiva particolarmente efficace; e viceversa: squadre che non amano pressare possono decidere di attuare tattiche più aggressive contro avversari in difficoltà nella costruzione bassa.
Quello della Serie A rimane comunque un pressing generalmente molto fisico e basato su un’attenzione particolare alla marcatura degli appoggi e meno al controllo delle linee di passaggio. Un’impostazione che riflette anche la priorità data all’utilizzo del pressing come arma difensiva, con meno enfasi sulla possibilità di utilizzarlo come base di partenza per un successivo contrattacco.
Il Napoli marca tutti i possibili appoggi di Handanovic su un calcio di rinvio per l’Inter. Chiaramente l’obiettivo non è provare a rubare più alto possibile il pallone, ma costringere gli avversari al lancio lungo.
Come viene evidenziato dalla pressoché costante scelta di negare agli avversari il gioco corto sui calci di rinvio, è più importante negare agli avversari la costruzione bassa che, magari, invitarli proprio a giocare il pallone e preparare le trappole riconquistare il pallone. La maniera migliore per recuperare il pallone efficacemente e preparare una ripartenza che sfrutti lo sbilanciamento avversario, sarebbe invece quella di invitare gli avversari a giocare il pallone verso una zona scelta di campo, dove poi fare scattare il pressing e provare a riconquistare la sfera.
Nella patria della difesa posizionale e del catenaccio e contropiede, il pressing è ormai una realtà del tutto paragonabile, specie quantitativamente, a quello degli altri campionati europei. È stato sviluppato dai diversi allenatori utilizzando diverse filosofie, ma fino ad oggi è stata esplorata principalmente la sua dimensione puramente difensiva. Rimane un ampio spazio per una maggiore elaborazione di meccanismi di pressing orientati alla successiva fase di possesso e al suo utilizzo come arma offensiva. Chissà che la futura evoluzione del calcio italiano non stia proprio lì.