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Benedetto Giardina

Come il St. Pauli è tornato in Bundesliga

La squadra di Amburgo ha scritto un'altra grande pagina di storia.

C’è un vessillo dei pirati che sventola alto, nel nord della Germania. Non dalla cima di un vascello, ma nelle case, nei pub e chissà cos’altro, tra Sankt Pauli e dintorni. Il motivo probabilmente già lo sapete: il St. Pauli torna in Bundesliga, Amburgo torna in Bundesliga e lo fa con la più improbabile delle due squadre che da anni stanno lì a battagliare in Zweite, al termine di un weekend che la città anseatica ha vissuto ai poli opposti della sfera emozionale. Lo fa in una domenica iniziata con più di cinquemila persone in strada, da Gänsemarkt fino al Millerntor, un chilometro e mezzo di parata tra fumogeni, striscioni e pinte di Astra. Proprio come sul terreno di gioco, al fischio finale del match vinto col già retrocesso Osnabrück, con i quasi 30mila presenti riversati in campo. Un’invasione pacifica che fa scorrere i titoli di coda del campionato e alza il sipario su una festa destinata a durare giorni. 

 

Festeggia una parte di Amburgo, proprio quando l’altra parte, più blasonata, continua a chiedersi dove stia sbagliando. Non ha nemmeno avuto il tempo di celebrarsi come Derbysieger il ben più titolato HSV, condannato al settimo anno di fila in seconda serie. Andate a scorrere l’albo d’oro della Champions League: tolto il Nottingham Forest, non c’è una squadra che abbia disputato così tanti tornei di Serie B dopo essersi laureata campione d’Europa. Ma oltre al danno, per la seconda squadra più antica di Germania c’è la beffa di assistere alla gioia di quegli altri, i fricchettoni che sono diventati un fenomeno internazionale ben prima di questo storico momento. La Amburgo degli after al porto e quella dei boschi in periferia si tingono di marrone e bianco, al termine di una stagione vissuta interamente ai vertici del campionato, per chiudere un cerchio dopo 13 anni di alti e bassi, da quell’ultima stagione in Bundesliga chiusa con un punto nelle ultime dodici giornate e una retrocessione praticamente annunciata.

 

Fabian Hürzeler e Jackson Irvine hanno cambiato la storia del St. Pauli

Da dove nasce questa promozione? Innanzitutto dal coraggio nelle scelte. Ne ha avuto tanto, il St. Pauli, nel 2022, dopo aver visto sfumare sul finale la promozione in Bundesliga. Sembrava l’anno buono, da campione d’inverno, invece sono tornate su le nobili decadute, Schalke e Werder. Non l’Amburgo, “il Dinosauro” impantanato da sei anni in seconda serie. Ma se l’HSV riparte ogni anno con l’obiettivo di vincere, i “Kiezkicker” devono ripartire da zero: via il capocannoniere Burgstaller, salutano anche Dittgen e Makienok – meteora in Serie A con la maglia del Palermo – ma soprattutto due bandiere come Christopher Buchtmann e Philipp Ziereis, a St. Pauli rispettivamente dal 2012 e dal 2013.

 

Il processo di ricostruzione è a dir poco traumatico. La stagione 2022/23 inizia con 3 vittorie, 8 pareggi e 6 sconfitte al giro di boa, penultimo posto in campionato. Timo Schulz, allenatore cresciuto in casa nonché ex giocatore dell’FCSP, viene esonerato. È in questo momento che succede qualcosa. Il prescelto per sostituirlo è il suo vice Fabian Hürzeler, tedesco nato in Texas, precedentemente nel giro dei tecnici federali come assistente nell’Under 20 e nell’Under 18 della Germania. Anni al momento della promozione in panchina: 29. Quattro giocatori in rosa sono più grandi di lui, tra cui il capitano Jackson Irvine, l’icona più cool del calcio mondiale, nonché leader carismatico in totale sintonia con l’ambiente. 

 

Provate a smentirmi.

 

Irvine incarna al 100% ciò che si respira in quello scorcio di Amburgo e non solo. Giocatore atipico, che arrossisce quando riceve i complimenti da Casemiro e che utilizza i mezzi pubblici per muoversi in città, ma soprattutto, che non ha alcun timore nel prendere posizione su argomenti che per tanti calciatori sono ancora un tabù. Nel novembre 2022 ha prestato volto e voce ad una campagna di FIFPro sui diritti della comunità LGBTQIA+ e ha invitato i colleghi a fare altrettanto in vista del Mondiale in Qatar, a cui ha preso parte con la Nazionale australiana. Irvine è St. Pauli e St. Pauli è Irvine. Lo è al Millerntor quanto al Jolly Roger, nelle notti caotiche della Reeperbahn e nelle mattine insonni del Fischmarkt di Altona, sulle rive dell’Elba così come sui muri del Gängeviertel: tutti luoghi che dalla sera del 12 maggio hanno fatto da teatro ai festeggiamenti di gente che, fino a un anno e mezzo prima, temeva addirittura il ritorno in terza serie.

 

In una situazione del genere, Irvine si è messo a totale disposizione di Hürzeler e la squadra ha seguito il suo esempio. C’era da salvare il St. Pauli e non si poteva più rischiare. Anche con un tecnico giovane, la cui unica esperienza aveva a che fare col dilettantismo della Bayernliga Süd e della Regionalliga Bayern, da allenatore-giocatore del Pipinsried. Ma già da giovane calciatore nel vivaio del Bayern Monaco, qualcuno aveva previsto per Hürzeler un gran futuro in panchina: il suo allora compagno di squadra Emre Can, quello che vediamo oggi in campo in finale di Champions League col Borussia Dortmund. Aveva ragione? Sembra di sì: dieci vittorie consecutive per inaugurare il girone di ritorno, una scalata dal penultimo al quarto posto, a tre punti dallo spareggio per la promozione con la terzultima della Bundesliga. Un sogno, dal quale St. Pauli si sveglia perdendo prima in casa con l’Eintracht Braunschweig, poi nel pirotecnico 4-3 del Volksparkstadion che fa definitivamente scappare via l’Amburgo. L’impresa sfuma, ma almeno c’è la consapevolezza di avere un allenatore da cui ripartire.

 

L’obiettivo del St. Pauli per il 2023/24, d’altronde, non è la promozione. Non lo è mai, in estate. Quello è l’obiettivo di chi è retrocesso, come lo Schalke che è tornato in seconda serie, ma con una situazione economica ai limiti del catastrofico. È l’obiettivo dichiarato dell’HSV, capace per l’ennesima volta di mancare il ritorno in Bundesliga – stavolta nel modo più atroce, con i tifosi in campo a Sandhausen per festeggiare mentre l’Heidenheim piazzava la beffa in pieno recupero. Alla settima giornata, però, “i Freibeuter” (ovvero “i bucanieri”) agganciano il secondo posto e da allora non mollano più il podio. Senza particolari stravolgimenti in organico: il centrale Wahl in sostituzione di Medic, andato all’Ajax, e lo sfortunatissimo Treu, fuori nel finale di stagione per la frattura del perone, al posto di Paqarada, trasferitosi al Colonia.

 

Nel 3-4-3 di Hürzeler, ciò che spicca maggiormente è il ruolo degli esterni d’attacco. Saad e Afolayan, quest’ultimo passato in 7 anni dalle non-league inglesi alla Bundesliga, eroe nella vittoria decisiva con l’Osnabrück con due gol e un assist per il capocannoniere della squadra, quel Marcel Hartel che da fantasista è riuscito a mettere a segno 17 gol e 13 assist. E ovviamente, con Irvine a orchestrare tutto e perché no, a sfruttare ogni tanto gli spazi per qualche incursione a rete.

 

La strada verso la promozione del St. Pauli in Bundesliga

Non è una giornata normale per il St. Pauli. Non può esserlo, dopo aver bruciato 11 punti di vantaggio sul terzo posto, con tre sconfitte in cinque partite. Imbattuto fino alla ventesima giornata, il club di Amburgo crolla contro Magdeburgo e Schalke, trovando però nel mezzo la vittoria col Braunschweig e quella pesantissima in casa dell’Holstein Kiel, diretta concorrente per la vetta, pur rischiando grosso (dallo 0-3 dell’intervallo al 3-4 finale).

 

La risposta della società, in questo periodo di appannamento, è quella di rinnovare il contratto a Hürzeler, in scadenza nel 2024. La marcia riprende battendo Hertha, Norimberga e Paderborn, ma appena si fanno i calcoli per i festeggiamenti, qualcosa si incrina. Non tanto con la sconfitta di Karlsruhe, contro la seconda miglior squadra per rendimento casalingo del campionato, quanto nel successivo 3-4 interno contro l’Elversberg. Il +11 dal Düsseldorf, di botto, diventa un +5 con due match complicati in programma: la trasferta di Hannover e quel derby di Amburgo che fino a pochi giorni prima era segnato in rosso sul calendario per la possibile promozione matematica. 

 

Contro l’Hannover, che in casa ha perso una sola partita, il St. Pauli è in balia dell’avversario. Subisce sette tiri in porta nel primo tempo e ne trova solo uno, un colpo di testa centrale di Afolayan a pochi minuti dall’intervallo. Basta e avanza, perché Ron Zieler – uno che dieci anni fa finiva nelle foto dei campioni del mondo come terzo portiere della Germania – si fa sorprendere. Uno a zero. Due giri di lancette e l’Hannover risponde con Lars Gindorf, all’esordio da titolare. Nella ripresa, ancora: angolo di Hartel, incornata centrale di Eggestein, ma Zieler probabilmente vede il pallone all’ultimo e di fatto, lo butta in porta. Tre punti che sono ossigeno puro, così come quelli casalinghi presi contro un Hansa in lotta per non retrocedere. Una partita storica, perché da quando in Germania esiste il calcio professionistico – e dunque la Bundesliga – il St. Pauli non ha mai chiuso una stagione davanti all’HSV. Lo fa quest’anno e lo farà anche l’anno prossimo, dato che il derby di Amburgo non si giocherà in campionato almeno per i prossimi 12 mesi.

 

Poteva festeggiare già nel derby del Volksparkstadion, la squadra di Hürzeler, ma le motivazioni maggiori dei padroni di casa hanno preso il sopravvento. Appuntamento rinviato di nove giorni, contro un Osnabrück senza più speranze di salvezza, curiosamente ospitato al Millerntor nella giornata che ha sancito la retrocessione, per l’inagibilità del proprio impianto. Rimasta ad Amburgo, la matricola biancoviola non ha mai rappresentato un reale pericolo alla festa del St. Pauli. Al triplice fischio, il 3-1 finale vale nuovamente la vetta della classifica, ma soprattutto l’inizio del pandemonio. Finisce con Irvine che sfoggia la sua retrò 2000/01 targata Robe di Kappa dopo essersi congedato dai microfoni dicendo di «non aver mai provato qualcosa del genere». E parliamo di uno che ha portato l’Australia ai Mondiali. Finisce con Hürzeler che si ritrova sugli spalti con un fumogeno in mano, a cantare cori per una folla in totale adorazione.

 

Don’t call it a Kultclub

Negli anni il St. Pauli si è costruito (suo malgrado?) la fama di club di culto. Il motivo è chiaro a tutti: il St. Pauli ha un’enorme impronta sociale e il club stesso si rivede nelle idee dei propri tifosi, che fanno dell’antifascismo, della lotta all’omofobia e di ogni genere di discriminazione una vera e propria ragione di vita. Questo ha fatto sì che la macchia bianca e marrone si espandesse ben al di là dei confini tedeschi: ci sono club di tifosi provenienti da tutta Europa – Italia inclusa, con le Brigate Garibaldi – e basta fare un giro sui social network per vedere come anche al di là dell’Oceano si seguano con passione le partite, specie in Sudamerica.

 

Quello che spicca, però, è come un club del genere sia stato in grado di emergere in una realtà come quella tedesca, dove la voce dei tifosi ha sempre avuto un ruolo di rilievo e dove vige la regola del 50+1, che resiste nonostante diversi casi limite (vogliamo definire così il Lipsia?) e permette ai membri di un club di mantenere la maggioranza. Questa regola esiste dal 1998: prima i club tedeschi erano delle no profit, St. Pauli incluso, ma nel febbraio 1990, nasce qualcosa di diverso. Il tifoso non è più un semplice socio sottoscrittore, è parte integrante della società. Il Fanladen nasce così, autonomo rispetto al club benché legato a doppio filo a ciò che lo circonda, anche perché all’epoca non si intuiscono le potenzialità di questo movimento. Fino alla fine degli anni ’70, d’altronde, il St. Pauli era una squadra di quartiere, capace di qualche incursione in Bundesliga, senza connotazioni extrasportive. 

 

La breccia nel muro si apre nel 1979, con la revoca della licenza per i troppi debiti e la retrocessione in Oberliga. In quel periodo emergono i primi movimenti di sinistra all’interno della tifoseria, benché la gestione del club sia sempre vecchio stampo, anche negli anni della risalita. Nel 1988, il St. Pauli torna un’altra volta in Bundesliga. Due anni dopo, l’architetto amburghese Heinz Weisener viene eletto presidente. È una fase di momentaneo equilibrio dal punto di vista finanziario, ma la gestione non rispecchia l’impegno sociale dei propri tifosi.

 

Le stagioni di saliscendi tra massima serie e seconda divisione portano nuovamente il St. Pauli sull’orlo del fallimento: nell’aprile 1999, il club si vede revocare la licenza per la 2. Liga, salvo poi ottenerla un mese dopo, con Weisener che si fa carico di un prestito da 7 milioni di marchi. È il suo ultimo atto da presidente, di fatto. Nell’ottobre 2000 si dimette dalla carica e pochi mesi dopo, al Millerntor, si festeggia nuovamente la promozione in Bundesliga. Millerntor che giusto da un anno era tornato a chiamarsi così. Prima portava il nome di Wilhelm Koch, ex presidente del club, ma anche un iscritto al Partito Nazionalsocialista: è quello che scopre il giornalista René Martens, come pubblicato sul suo libro FC St. Pauli – Youll never walk alone.

 

Via quindi il nome del vecchio presidente dallo stadio, via il presidente-patriarca con i bilanci nuovamente in rosso, la stagione in Bundesliga si rivela un incubo e nel giro di due anni, il St. Pauli finisce addirittura in Regionalliga. Il rischio di sparire, stavolta, è concreto. La società, per sopravvivere, deve vendere il centro sportivo di Brummerskamp alla città di Amburgo e non basta, perché per salvare il club servono anche fondi raccolti tramite varie iniziative dei tifosi. Tra queste, la vendita di magliette con su scritto “Ritter” (soccorritori) nel match benefico col Bayern Monaco e “Saufen für St. Pauli”, ovvero “Bere per il St. Pauli”. Nello specifico, non si intende certo acqua: si tratta di una sovrattassa di 50 centesimi per ogni bevanda nei bar aderenti da destinare alle casse del club. HSH Nordbank a quel punto garantisce 1,95 milioni di euro e il St. Pauli si salva, ripartendo dalla Regionalliga con 11.700 abbonati, fino a ritrovare – per un solo anno, nel 2011 – il paradiso della Bundesliga.

 

Il messaggio del Millerntor, intanto, inizia a valicare i confini della Germania. Nascono fan club in tutto il mondo: dall’Inghilterra all’Italia, dalla Scozia alla Spagna, passando per New York e persino l’India. Ufficialmente se ne contano oltre 400, uniti dall’antifascismo, dall’antirazzismo e dalla lotta alle discriminazioni di genere, anche se nell’ultimo periodo le varie frange globali della tifoseria sono entrate in contrasto con la base ad Amburgo. L’oggetto del contendere, nello specifico, è la posizione del St. Pauli sul conflitto israelo-palestinese: «Come club sportivi non risolveremo le sfide politiche globali. Ma insieme possiamo esprimere la nostra solidarietà contro il terrore di Hamas e contro l’antisemitismo dilagante», si legge in un tweet ufficiale del club.

 

Dallo scorso 7 ottobre, nella pagina Twitter ufficiale del St. Pauli sono apparsi messaggi di condanna all’attacco di Hamas, di vicinanza agli amici dell’Hapoel Tel Aviv, di sostegno per l’appello di Aktion Deutschland Hilft in aiuto alla popolazione civile nei luoghi del conflitto «indipendentemente dalla nazionalità», fino alla richiesta di fermare tutte le guerre, dall’Ucraina a Gaza. Inoltre, a marzo, uno degli ostaggi israeliani successivamente liberati (per il quale sia St. Pauli che Hapoel avevano lanciato un appello congiunto) è stato ospite al Millerntor. Tante tifoserie politicamente vicine alla realtà amburghese e alcuni fanclub esteri non si rivedono in questa posizione. Il gruppo di tifosi di Bilbao, ad esempio, a novembre ha annunciato lo scioglimento, stessa strada intrapresa dal gruppo Glasgow St. Pauli a gennaio. L’impegno politico, dopo tutto, rimane sempre una storia di conflitto.

 

Quanto e se inciderà tutto questo sull’appeal internazionale del St. Pauli, non è dato sapere. Di certo rimane solida la fanbase locale, talmente fidelizzata da permettergli di fatturare 62 milioni di euro in 2. Liga, pur registrando perdite per quasi 5 milioni di euro nel 2023 e con una situazione economica ancora distante dalla ripresa post Covid. Sul St.Pauli si potrebbe dire molto altro. Per esempio, che dal 2020 produce autonomamente le proprie divise col brand DIY, o che dallo scorso dicembre ha pubblicato un bilancio sul bene comune (prima società professionistica in Germania a farlo), ovvero un report volontario sulla responsabilità sociale dell’azienda. Nel calcio tedesco, dove la sensibilità verso certi temi da anni trova sempre maggiore spazio, il St. Pauli – che si è anche opposto al progetto della DFL per aprire a investimenti di private equity – è da sempre stato un apripista. E da quest’anno, ha pure sovvertito le gerarchie sportive di una città che fino al 2018 è stata ininterrottamente in massima serie.

 

Il St. Pauli è quindi tornato in Bundesliga. Ma il Bayern di Harry Kane, il Leverkusen degli invincibili, il Borussia Dortmund e tutte queste non giocheranno di fronte ai 57mila del Volksparkstadion, come erano abituate a fare quando affrontavano l’Amburgo: i loro pullman passeranno dall’Hamburger Dom per poi entrare nel catino infernale del Millerntor, 29.546 posti disponibili e 29.416 spettatori di media in seconda serie. Forse, in quel momento, i giocatori di queste grandi squadre capiranno perché quelli del St. Pauli vengono chiamati “pirati”.

 

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Benedetto Giardina è nato a Palermo nel 1991, si occupa di sport ed economia sportiva.