Alla fine della diretta televisiva delle gare di atletica agli European Championships, Franco Bragagna, storica voce Rai della disciplina, e Dino Ponchio, allenatore e in un momento storico importante anche commissario tecnico della Nazionale, battibeccano. Il motivo del contendere è la valutazione della spedizione italiana agli Europei di Berlino. Bragagna afferma che era stata la solita Italietta degli ultimi anni e questa volta forse era andata anche peggio perché eravamo arrivati a Berlino con maggiori speranze rispetto al passato recente.
Ponchio contraddice il giornalista, dicendo che non tutto era andato male e che soprattutto non si può vedere il bicchiere mezzo vuoto perché se alcuni settori, come i lanci, sono all’anno zero, in altri settori si sono visti miglioramenti da parte di atleti giovani.
Come considerare gli Europei 2018 per la nostra squadra di atletica? Bisogna essere bragagnisti o ponchisti? Le loro analisi cosi diverse partivano da punti di vista antitetici. L’atletica italiana presente può essere analizzata guardando al passato o proiettendosi nel futuro.
Quando eravamo specialisti
Partiamo dal passato. Che risultati ebbe l’atetica leggera italiana agli Europei di venti anni fa, a Budapest 1998? L’Italia chiuse settimana nel medagliere complessivo, con 2 medaglie d’oro, 4 d’argento e 3 di bronzo. Davanti a noi le stesse potenze di oggi, ai primi posti Gran Bretagna, Francia, Polonia e ovviamente Russia. Riuscimmo in un’impresa rimasta epica, come quella di piazzare tre maratoneti ai primi tre posti, Stefano Baldini, Danilo Goffi e Vincenzo Modica. Non era un exploit passeggero. Baldini vincerà le Olimpiadi di Atene nel 2004 e di nuovo gli Europei del 2006 a Goteborg, oltre a due bronzi mondiali nel 2001 e 2003, Danilo Goffi veniva da un campionato europeo Junior vinto sui 10000 metri e dalla vittoria della Maratona di Venezia nel 1995, Vincenzo Modica sarà secondo ai Mondiali di Siviglia dell’anno successivo.
Sempre nella maratona femminile vincemmo un altro bronzo con Maura Viceconte, anche lei grande campionessa con vittorie a Venezia, Monaco, Roma, Praga. Eravamo una forza della specialità, il meglio in Europa con un grandissimo campione mondiale.
Le altre medaglie furono di Fabrizio Mori, bronzo nei 400 metri ostacoli, anche se sarà il successivo l’anno di grazia con la vittoria dei Mondiali, l’argento di Alessandro Lambruschini, totem dei 3000 siepi, il quale riuscì nell’impresa di togliere una medaglia olimpica ai keniani ad Atlanta 1996, dopo due quarti posti a Seul 1988 e Bercellona 1992, segno di una grandezza e una costanza di risultati fuori dal comune, la doppietta oro-argento di Annarita Sidoti e Erica Alfridi nella 10km di marcia, e infine l’argento di Fiona May nel lungo, la quale da quel momento in poi vincerà medaglie in tutte le competizioni, oro mondiale compreso ad Edmonton nel 2001.
Questo veloce resoconto dimostra quanto era vitale l’atletica leggera italiana, ma anche quanto eravamo specialisti. Maratona, marcia e il fondo con i 3000 siepi su tutti erano da anni nostri campi di conquista, Fiona May non veniva dalla scuola italiana, era un regalo che il destino ci ha fatto per tanti meravigliosi anni.
Stavamo per scomparire definitivamente nella velocità. Stefano Tilli è stato l’ultimo nostro grande velocista e in quell’edizione fu uno splendido quarto per pochi centimetri nei 100 metri. All’arrivo replicò il gesto di Baggio, che quel’estate sfiorò il palo alla destra di Barthez per tanto così. Sarebbe stato il golden goal che ci avrebbe portato in semifinale mondiale. Tilli distanziò allo stesso modo e per la stessa lunghezza pollice e indice, imprecando anche lui contro il fato.
Nel fondo e mezzofondo stavamo calando in maniera preoccupante, noi che eravamo stati la nazione di Panetta, Antibo, Cova e, perché no, Genny Di Napoli. Nei concorsi abbiamo avuto storicamente campioni immensi, come Sara Simeoni o Nicola Vizzoni, ma mai una continuità di scuola. E anche in quell’edizione, al netto della May, ottenemmo nulla. Tra le donne in generale eravamo molto deficitari. Le ragazze dell’Est continuavano a dominare, noi in quel momento non avevamo grandi prospetti.
Da quegli Europei 1998 tutto sommato buoni, l’atletica leggera italiana non è calata in maniera drastica e repentina, abbiamo continuato a vincere, però non abbiamo mai sfruttato la crescita di alcuni grandi talenti e grazie a loro strutturare una scuola, come potevamo fare ad esempio nel lancio del martello intorno a Vizzoni o con Donato nel triplo. Le nuove specialità sono state snobbate, come il salto dell’asta femminile, le staffette non sono state più preparate come nostro solito e, il problema poi più grande di tutti, è stato il nostro lento tramonto nelle discipline che facevano da traino come la marcia, a cui bisogna collegare il rapido emergere di tante nazioni inesistenti prima in queste specialità.
Tutto questo ha portato ai disastri degli Europei 2014, dove siamo stati noni nel medagliere con solo 3 medaglie vinte e pochi altri risultati di valore, e soprattutto a quelli delle ultime due Olimpiadi, con 1 bronzo di Fabrizio Donato nel triplo a Londra 2012 e lo zero spaccato di Rio 2016. Negli ultimi due Mondiali poi abbiamo vinto solo un bronzo con Antonella Palmisano nella 20 km di marcia a Londra 2017.
Quando Bragagna parlava di poca cosa, non poteva non pensare a quello che siamo stati fino all’altro ieri. Ponchio invece ci proponeva un’altra prospettiva per analizzare i risultati 2018, lui ci invitava a guardare al futuro. Per capirlo dobbiamo fermarci al presente e capire come siamo messi nelle diverse discipline.
Cosa siamo e cosa saremo?
Nella velocità abbiamo Filippo Tortu, e non è poca cosa. Record italiano con 9’’99, argento ai Mondiali Under 20 del 2016, oro agli Europei Under 20. Non avevamo un velocista così da troppo tempo. In Europa ha il quarto tempo stagionale e nettamente davanti a lui ci sono Vicaut, Hughes e Prescod, che sarebbe dovuto essere il podio europeo se il francese non si fosse infortunato. Il fatto che Tortu sia arrivato quinto agli Europei è quindi una piccola delusione, ma alla sua età piccoli e determinanti errori ci possono stare.
Se in Europa Tortu potrà dire la sua, nel mondo, il campione del mondo Under 20, Noah Lyles, che lo ha battuto a Bydgoszcz nel 2016, oggi è primo nelle liste mondiali dei 100 metri con 9’’88, seguito da un altro giovane fenomeno americano come Ronnie Baker. Per arrivare ai 9’’99 di Tortu nella lista bisogna scorrerla fino in 45esima posizione, segnale che nel mondo c’è chi cresce ancora più velocemente del milanese. E personalmente sono abbastanza convinto che Tortu possa dire la sua soprattuto nei 200 metri, ma anche lì in questo momento abbiamo Lyles a 19’’65 e siamo su altri pianeti.
Se nella velocità abbiamo un prospetto, nel mezzofondo continuiamo a stare male. L’unica nostra speranza resta Federica Del Buono, che è stata anche bronzo agli Europei indoor di Praga nei 1500 metri, ma poi una serie di infortuni l’ha così fiaccata che rivederla ad alto livello è più un enigma che una speranza.
Nel fondo c’è Crippa e non solo. Yeman Crippa è il nostro atleta dal miglior avvenire, anche in relazione al parco atleti presenti nelle sue specialità. Nelle categorie juniores e Under 23 ha vinto tanto e anche a Berlino ha dimostrato sia con il bronzo sui 10000 che con la bella gara e il quarto posto nei 5000 che ha margini di miglioramento e un grande potenziale. Nelle sue distanze nel mondo dominano etiopi e keniani (segnatevi questo nome: Selemon Barega, nato il 20 gennaio 2000), ma in Europa può crescere fino a diventarne il riferimento.
Sempre nel fondo e in particolare nei 3000 siepi, e questo fa particolarmente piacere per la nostra storia nella disciplina, abbiamo almeno altri tre ottimi e giovani atleti, Yohannes Chiappinelli, Ahmed Abdelwahed e Osama Zoghlami. Se per Crippa siamo più fiduciosi, qui il lavoro sui tre deve essere costante e anche la fortuna ci deve dare una mano. Emergere in questa specialità nel contesto mondiale, con i keniani che ne fanno da sempre un motivo d’onore riempire ogni podio dei 3000 siepi, diventa impossibile. Ma tenere alto il livello dei tre e magari provarli anche in altre specialità del fondo, potrebbe portare a buoni risultati. Nel fondo femminile si può fare un solo nome sensato, Giulia Viola, che però è gia 27enne.
Se nel fondo abbiamo atleti interessanti, probabile che siano però ancora una volta la marcia e la maratona a farci gioire in futuro. Nelle due discipline abbiamo atleti ancora non sbocciati ma su cui tutti i tecnici puntano, primo fra tutti Stefano Baldini, Direttore dell’area sviluppo.
Fra i marciatori c’è Massimo Stano, 26enne, quarto già a Berlino nella 20km, Giacomo Brandi, nato nel 1998, con un buon 42:46 nella 10km quest’anno, e Riccardo Orsoni, ancora più giovane, essendo nato nel 2000. Il prospetto più interessante fra gli uomini per la 50km è Andrea Agrusti, che quest’anno ha un buon 3:58:08.
Tra le donne Antonella Palmisano continua a fare risultati, mentre fra le giovani abbiamo almeno due atlete d’interesse: Eleonora Dominici e Diana Cacciotti. La Spagna nella marcia sembra però un passo avanti a noi e sia nelle donne che negli uomini hanno atleti giovani già molto forti. Nel mondo stanno arrivando giapponesi fortissimi, come Toshikazu Yamanishi, e le ragazze cinesi fanno paura.
Baldini non può che puntare forte sulla maratona e i primi risultati si sono visti con il bronzo europeo di Yassine Rachik e la Coppa Europa per la bellissima prova di squadra. Emergere da giovnissimi in maratona è quasi impossibile, per cui i 24 anni di Rachik fanno davvero ben sperare. Con lui Alessandro Giacobazzi, quest'anno con un ottimo 2:15:25, e soprattutto Eyob Faniel, l'uomo su cui Baldini punta di più. Tra le ragazze la nostra migliore atleta per tempi quest’anno è Catherine Bertone, nata il 6 maggio 1972. Detto questo, un po’ di speranze le riponiamo in Giovanna Epis.
Anche qui il mondo propone atleti inarrivabili, almeno nei tempi. Dalla prima alla quattordicesima posizione nelle liste stagionali ci sono solo keniani ed etiopi, il quindicesimo è l’americano Rupp, che ha lasciato la pista definitivamente. Tra le donne, la prima non etiope o keniana è ancora una volta americana, Amy Cragg, in dodicesima posizione.
Nei concorsi abbiamo il vero grande campione maturo di questa generazione e poi... più nulla. Gianmarco Tamberi si sta ricostruendo dopo l’infortunio terribile del 15 luglio 2016, a Montecarlo, quando, come scrisse nel tweet appena conosciuto il danno alla caviglia, il sogno olimpico era ormai svanito. Nei prossimi anni Tamberi tornerà fra i grandi, anche perché la specialità dopo i botti di qualche anno fa tra Barshim e Bondarenko è un po’ calata, anche se il qatariota è ancora ad alti livelli. In realtà la nostra speranza femminile in questi Europei era proprio nell’alto, Elena Vallortigara, ma ha ciccato la qualificazione, forse per troppa pressione.
Nei lanci e nei salti in estensione siamo inesistenti o poca cosa, e fa male pensare che dopo la caviglia di Tamberi, anche Daniele Greco è dovuto ripartire da zero nel triplo dopo la rottura del tendine di Achille. In ultima analisi, sospendere semplicemente il giudizio sugli European Championships di atletica non ha senso. Bisogna stare da un parte. Personalmente sono con chi vede una fase ricostruittiva già ad un livello medio. Avere atleti di talento e giovani è una base importante. Il mondo in alcune discipline ci è stato sempre lontanissimo, ma sapendo curare bene alcuni atleti possiamo ritornare a contare soprattutto in Europa.
Poi, come sempre è successo, deve arrivare un campionissimo, che vince perché non può fare altro. E magari si tira dietro tutto il movimento.