Il 13 novembre 2017 rimarrà nella storia del calcio italiano principalmente per il motivo sbagliato, perché la prima volta dopo 60 anni gli Azzurri non saranno presenti alla fase finale di un Mondiale, dopo essere stati eliminati dalla Svezia ai playoff. Le analisi sulla disfatta sono state varie e per l’ennesima volta si è parlato del declino dei settori giovanili in generale e dello sport a livello scolastico; ma c’è stato anche chi, ovviamente, ha dato la colpa all’eccessiva presenza degli stranieri nei settori giovanili, capro espiatorio che ha portato alcuni ad evocare la chiusura delle frontiere sportive.
Ma il fallimento del calcio italiano, ammesso sia da dare per scontato il collegamento diretto tra la contingenza dell'eliminazione della nazionale e i limiti di un intero movimento, non riguarda solo i risultati in campo o la gestione dei settori giovanili, ma anche da altri fattori più intangibili ma ugualmente importanti, come l’internazionalizzazione del brand Serie A, che negli ultimi anni ha perso appeal sui mercati internazionali. I soldi portano competitività e la competitività aiuta tutti a migliorare. Il brand del nostro campionato è lontano da quello della Premier League, ma anche dalla Liga e dalla Bundesliga, e in prospettiva anche la Ligue 1 potrebbe presto scavalcarci.
In questo senso è interessante analizzare i dati riguardo alla penetrazione della Serie A nei due mercati più importanti a livello commerciale al momento, cioè quello americano e quello cinese, sia per quel che riguarda le televisioni che i social media, con la Cina che ha preso nettamente il sopravvento negli ultimi tre anni, in quanto ha ricevuto maggiori attenzioni da parte delle varie Federazioni europee e club alla costante ricerca di partnership e nuovi accordi commerciali. Il quadro che ne esce è per molti versi desolante e in un certo senso certifica il fallimento economico del nostro calcio negli ultimi anni, mettendo in luce le responsabilità della Federazione Italiana e delle varie istituzioni sportive, praticamente immobili su questo fronte mentre il resto del mondo va a velocità sostenuta.
Le ragioni di De Laurentiis
Lo scorso ottobre la Lega di Serie A ha festeggiato il raddoppio per i ricavi dati dalla vendita di diritti TV all’estero, passando dai 180 milioni annui dello scorso triennio ottenuti con MP Silva, ai quasi 371 milioni venduti in un’unica soluzione all’americana IMG. Nonostante quello che all’apparenza è stato un succeso, il presidente del Napoli Aurelio De Laurentiis ha trovato comunque di che lamentarsi, parlando di offerte mortificanti: «Lo sapevo che avremmo aperto delle buste che decretavano magari la soddisfazione e la fame di alcuni club di avere dei soldi, ma avrebbero impedito alle cinque più importanti di diventare competitive nei prossimi quattro anni. Abbiamo ottenuto offerte a dir poco mortificanti, per un grande errore fatto da Tavecchio, Nicoletti e Infront».
Analizzando la situazione più in profondità, i dati sui diritti TV internazionali pongono in effetti la Serie A in secondo piano rispetto alle principali leghe europee. La cifra che guadagnerà la Serie A nei prossimi anni, infatti, rimarrà comunque nulla in confronto a quanto ricava attualmente la Liga (636 milioni) e la Premier League (1.3 miliardi). Alle spalle del nostro campionato la Ligue 1 è ancora molto lontana, ma intanto incalza pericolosamente la Bundesliga, che si attesta al momento a quota 240 milioni, presentando però dei ritmi di crescita molto maggiori sui mercati asiatici, Giappone e Cina su tutti. La Bundesliga, per dire, lo scorso aprile ha raggiunto un accordo con la PPTV, il broadcaster cinese gestito dalla Suning Commerce Group, per la vendita dei diritti in esclusiva a 235 milioni per il triennio 2018-2023, con una media di quasi 40 milioni a stagione.
Come sottolineato giustamente da De Laurentiis, la nostra Lega ha delegato ad un’agenzia la vendita dei diritti TV esteri validi per tutto il globo, a differenza di Inghilterra e Germania, che invece gestiscono da sé la vendita dei diritti TV paese per paese, con la possibilità di seguire più da vicino e personalizzare efficacemente il prodotto. La Lega Serie A invece si affida a IMG per rilanciare il proprio brand con una strategia ad hoc sui mercati più importanti, quello Nord Americano e quello cinese, dove il nostro calcio fa fatica ad attrarre pubblico.
La Serie A negli States
Il calcio negli ultimi anni è cresciuto enormemente negli Stati Uniti. La MLS attrae sempre più pubblico negli stadi, tanto che, la stagione 2017, oramai prossima a concludersi, ha visto un’affluenza media allo stadio da 22.112 spettatori (superiore alla Serie A), con lo strabiliante record fatto segnare dall’Atlanta United di 71.874 spettatori in un singolo match.
Con il calcio che si sta ritagliando un ruolo sempre più importante nell’industria sportiva statunitense, cresce di conseguenza anche il numero di spettatori attratti dal calcio europeo. I dati che emergono dallo studio Nielsen, e contenuti nel piano di sviluppo di IMG per il calcio italiano, evidenziano però che la Serie A è un prodotto quasi del tutto snobbato dal pubblico americano.
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Nella stagione 2016/2017, la Serie A ha goduto solo di 22mila spettatori tv medi a partita nei canali in lingua inglese, meglio solo della Ligue 1 con 16 mila spettatori. Il nostro campionato è stato più che raddoppiato dalla Bundesliga (che conta una media di 51mila spettatori), mentre la Liga Spagnola sfiora il tetto dei 100mila utenti. Totalmente su un altro piano, poi, c’è la Premier League, con 369 mila spettatori.
Lo studio prende in considerazione anche gli ascolti sulle emittenti televisive statunitensi che trasmettono in lingua spagnola, e in questo caso il campionato più seguito è poco sorprendentemente la Liga messicana. L’aumento degli ascolti nei canali in lingua spagnola è invece quasi irrilevante per la Serie A, che passa da 22mila a 24mila spettatori. I campionati che fanno registrare il più alto tasso di crescita in lingua spagnola sono ancora una volta la Premier League (+42 mila telespettatori a partita) e la Liga spagnola (+66 mila).
Il mercato statunitense, comunque, risulta piuttosto impermeabile ai campionati europei. Le cinque principali leghe europee hanno fatto tutte registrare un decremento nell’audience rispetto all’anno passato. Anche in quest’ambito il campionato italiano è uno di quelli che si comporta peggio, con la Serie A che ha subito un calo di telespettatori del 26%, di molto maggiore a quello della Premier League, che è calata del 18% rispetto la stagione 2015/2016. Le uniche due competizioni ad aver presentato un incremento di telespettatori sono state la MLS (+12%) e la Liga Messicana (+29%), segno di come la cultura calcistica locale stia crescendo sensibilmente negli Stati Uniti, persino a discapito di prodotti televisivamente più attraenti come i campionati europei.
Il disinteresse del pubblico americano nei confronti del calcio italiano, d’altra parte, era già stato evidenziato quest’estate durante l’International Championship Cup, quando la sfida tra Juventus e Roma giocato al Gillette Stadium in Massachusetts ha fatto registrare un’affluenza di poco più di 33mila persone, in un impianto che ne può accogliere oltre 68 mila. Cifre molto distanti dalla grande affluenza fatta registrare per altri match, con il record di 93 mila spettatori registrato nel confronto fra il Manchester City e il Real Madrid a Los Angeles.
La Serie A in Cina
Se il calcio italiano negli Stati Uniti va male, in Cina non va certo meglio. Sul valore del calcio italiano in Cina ci sono innanzitutto alcuni miti da sfatare. Prima di tutto, non è vero che è uno dei campionati più seguiti: lo era fino ad inizio anni 2000, al pari della Premier League, ma per l’incapacità di rinnovare le strategie di marketing negli ultimi anni la Premier League ha perso terreno ed ora siamo indietro non solo al campionato inglese, ma anche al resto dei grandi campionato europei. Non è altrettanto vero che i grandi club italiani, a partire da Milan e Inter, hanno oltre 100 milioni di fan a testa in Cina, cifra che viene ripetuto da ogni club che vanta una nomea globale.
Nonostante ciò, il calcio italiano in Cina ha comunque un valore culturale che ancora non viene sfruttato. Per esempio, sono tanti i gruppi ultras in Cina che portano dei nomi italiani, come ad esempio i LFAM (acronimo di “Lotta fino alla Morte”), gruppo ultras del Beijing Guoan o gli Ultras Aquila Destra dello Shandong Luneng. La cultura del tifo italiano ha influenzato notevolmente quella cinese negli anni scorsi, quando il nostro campionato era ancora molto seguito in Cina.
Il calcio italiano, nonostante la grande influenza di personaggi come Marcello Lippi e Fabio Cannavaro, che hanno scritto un pezzo di storia in Chinese Super League, è ormai regredito ad un prodotto nostalgico, del quale conserva un ricordo molto vivo solo chi è cresciuto tra gli anni ’90 e l’inizio dei ‘2000.
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Oggi il pubblico cinese si focalizza soprattutto sul campionato locale e la Premier League, e inoltre, come rivelato in una ricerca effettuata dal prof. Simon Chadwick (China Policy Institute), tifa la Nazionale tedesca, garanzia di risultati e bel gioco. Secondo quanto evidenziato da Chadwick, molti cinesi sono arrivati a tifare la Nazionale tedesca dall’Arsenal, attraverso alcuni giocatori molto amati come Podolski ed Özil.
Uno dei punti cruciali per la promozione di un brand in Cina è l’utilizzo dei social network, non Facebook o Twitter, poco graditi alla censura di partito, ma Sina Weibo e We Chat. Se non si è presenti in queste due piattaforme sostanzialmente in Cina si è invisibili. E, come sottolineato dallo studio annuale “Red Card”, pubblicato dalla Mailman Group, i club italiani possono vantare ancora pochissimi follower su Sina Weibo.
Ad ottobre il numero di follower di Milan e Inter (le due squadre italiane più popolari su Sina Weibo) si attestava sulle 500mila unità a testa, molto distanti dalle big del calcio europeo che si attestano intorno ai due milioni di follower su Weibo. Le due squadre di Manchester, per dire, hanno infranto il muro degli otto milioni, seguite da Bayern Monaco, Liverpool e Arsenal.
Non sono solo i club ad essere colpevoli, però. La Serie A, infatti, è ancora l’unico campionato europeo a non avere un profilo ufficiale su Sina Weibo, indice di come la Lega e la Federazione abbiano clamorosamente trascurato la promozione nel mercato cinese in queste ultime stagioni. Il report arriva ad affermare che, in ambito social, la popolarità della Serie A è inferiore a quella della Premier League Scozzese e dell’Eredivisie.
La situazione non migliora in televisione, anzi. Secondo quanto evidenziato dal report di Yutang Sports, la Serie A viene trasmessa solo per 319 ore a stagione tra partite e approfondimenti, numeri ancora una volta insignificanti in confronto a quelli di Bundesliga (quasi 1500 ore), Liga (1700 ore) e Premier League (3800 ore).
Sullo scarso peso della Serie A nella tv cinese pesano anche gli orari delle partite. Se in Inghilterra Arsenal-Tottenham viene trasmesso alle 13:30 italiane, cioè le 19:30 cinesi, il derby di Milano va in onda invece di domenica alle 20:45, che corrispondono alle 03:45 di Pechino, a poche ore dall’inizio della settimana lavorativa.
Questi sono i dettagli che poi vanno ad influire maggiormente sugli introiti derivanti dai diritti TV: attualmente la Serie A guadagna solo 10 milioni di euro, mentre la Premier League, grazie all’accordo siglato con il broadcaster controllato da Suning, guadagnerà 220 milioni di euro per tre stagioni a partire dal 2019. In media, ogni club inglese dalla Cina percepirà 10.2 milioni di euro l’anno.
Come già detto, la Serie A si affiderà all’advisor americano IMG per rilanciare il brand della Serie A in Cina: il piano è quello di raggiungere in un primo momento la maggior parte degli spettatori sull’emittente di stato CCTV, per poi espandersi alle reti regionali ed infine alle televisioni online, in particolar modo alla PPTV di Suning, che attualmente non presenta il campionato italiano nel proprio palinsesto.
La Federazione fantasma
Spostandosi dal livello economico a quello più istituzionale continuiamo la forza del brand del calcio italiano continua ad apparirci di secondo piano. Negli Stati Uniti non sono mai stati attivati programmi di cooperazione da parte della FIGC, ma questo è in linea con le altre principali federazioni internazionali, maggiormente orientate verso il mercato cinese: come dimostra l’accordo siglato fra Cina e Germania in ambito calcistico alla presenza di Angela Merkel. Solo alcuni grandi club hanno deciso di prendere delle iniziative concrete negli USA, tra cui il Bayern Monaco, che ha instaurato un ufficio di rappresentanza a New York.
Il 20 novembre del 2016 l’ex presidente della FIGC Carlo Tavecchio si è recato a Pechino per sottoscrivere un protocollo d’intesa con la Chinese Football Association (CFA). «Esporteremo la filosofia di Coverciano», aveva dichiarato Tavecchio.«Attueremo una collaborazione di principio sull'utilizzo del nostro know-how dell'organizzazione piramidale del sistema calcio e l'organizzazione tecnico-applicativa e agonistica del calcio. Uno dei nostri maggiori interessi sarà esportare qui gli studi che abbiamo fatto, con la collaborazione di aziende locali, ma con l'indirizzo strategico delle nostre aziende».
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Quella italiana era l’unica Federazione italiana a non aver siglato ancora accordi con la Cina (il Ghana, per dire, li ha sottoscritti nel 2012) e ad un anno da quell’accordo nessun progetto è stato ancora attuato. La FIGC è attesa in Cina per firmare un documento che delinea nel dettaglio le strategie di cooperazione fra le due federazioni da quest’estate, ma Tavecchio e il resto delle istituzioni sono rimaste immobili, rimandando di volta in volta questo viaggio, che a seguito dell’esclusione dell’Italia dai Mondiali premusibilmente verrà posticipato ancora a lungo.
La Federazione Francese aveva stipulato un accordo con la CFA quasi nello stesso periodo (marzo 2016) ma già a settembre aveva aperto un ufficio di rappresentanza a Pechino per le attività commerciali e la promozione del calcio francese in Cina, e stabilito una partnership con la Beijing Women’s Phoenix FC, per la crescita del movimento calcistico femminile nella capitale.
Ogni giorno si legge si nuovi accordi commerciali fra enti esteri e cinesi nel mondo dell’industria sportiva, non solo calcistica: recentemente il Wolfsburg ha stretto una partnership con la Beijing Sports University per l’istituzione di una academy a Qinhuangdao, la Dinamo Zagabria è approdata a Chengdu, mentre la Liga ha annunciato una serie televisiva per il mercato cinese e l’espansione del programma di formazione nella provincia di Anhui.
Queste notizie non riguardano quasi mai realtà italiane, e forse manca un piano reale per l’internazionalizzazione del prodotto Serie A da parte delle istituzioni sportive. Se la Serie A vuole sfondare nel mercato cinese, insomma, una buona fetta di responsabilità, oltre che all’immobilismo dei club, è anche delle istituzioni sportive italiane, che negli ultimi anni non sono riusciti ad adattarsi a nuove realtà. Alla fine, come si dice, il pesce puzza sempre dalla testa.