
La sera di domenica 28 luglio non tutti nella città di Roma sono a cena sul litorale, o a casa a vedere Martinenghi vincere l’oro. Un gruppo di persone si ammassa nell’area arrivi dell’aeroporto di Fiumicino: sta per atterrare Matias Soulé, nuovo acquisto della Roma. Chi stava all’entrata del terminal è riuscito ad incrociare il nuovo DS della Roma, Florent Ghisolfi, arrivato per l’occasione.
Ghisolfi viene sommerso dalla folla festante e viene aiutato dai collaboratori a uscire dalla calca. Ha la camicia bianca fuori dai pantaloni e prova a sistemarsi i capelli scompigliati da un tifoso che lo saluta stropicciandolo. I romanisti scandiscono il suo nome, i giornalisti cercano di estrargli qualche parola. Lui sorride e tira avanti, muto.
Due settimane prima Ghisolfi era a Fiumicino in corrispondenza dello sbarco di Enzo Le Fee. Interrogato dai giornalisti si era limitato a precisare che non era lì per raccogliere il nuovo acquisto ma sua figlia, che stava arrivando a Roma in visita. Sono le sole parole di Ghisolfi che abbiamo potuto ascoltare. Dopo il suo arrivo il club lo ha presentato con quattro righe e una foto in cui lo si vede al microfono con una camicia bianca, la sua divisa ufficiale.
Uomo nell'ombra
Ghisolfi è misterioso. È difficile trovare sue interviste in giro per internet, sui giornali o sui canali ufficiali delle squadre in cui è stato. Le interviste più lunghe delle solite 7-8 domande di rito sono un evento.
Ne ha rilasciata una all’anno, le ultime due di questo tipo per il giornale corso Corse Matin nel febbraio del 2023 e una per quello provenzale Nice Matin, nel marzo del 2024.
I giornalisti sono consapevoli della rarità e glielo fanno notare appena possono. «È nella mia natura. Lavorare nell’ombra, costruire con persone che stanno sanguinando tanto quanto me, piuttosto che mettermi in mostra». Ha detto per esempio in un'intervista al Nice Matin. La figura dell’uomo nell’ombra gli piace, la evoca spesso, si sente rappresentato da quella definizione.
Ghisolfi è nato ad Aubagne, una cittadina fuori Marsiglia, ma è di origini corse. Da piccolo sogna di fare il calciatore, passione trasmessagli dal padre: «che mi tirava palloni in testa prima ancora che potessi iniziare a camminare». Per farlo si trasferisce adolescente in Corsica ed entra nelle giovanili del Bastia: «Mio padre e io pensavamo che questo fosse il luogo in cui sarei cresciuto meglio. E non ci sbagliavamo». È un mediano difensivo, ha una carriera di una decina d’anni divisa tra il Bastia in Ligue 2 e lo Stade de Reims, dove nelle ultime due stagioni da riserva gioca 11 partite in Ligue 1: «Ho avuto una carriera modesta, ma ne sono molto orgoglioso».
L’ingresso in una delle sue 2 partite in carriera giocate contro il PSG. Lo Stade de Reims ha segnato il gol vittoria con Krychowiak una manciata di minuti dopo. È una delle 4 vittorie totali della sua squadra a cui ha partecipato in Ligue 1.
A nemmeno 30 anni si ritira, stanco degli infortuni. Decide di rimanere nel calcio, vuole diventare ds, un lavoro che considera “ideale”: «combina le conoscenze calcistiche con quelle gestionali e commerciali». Ci arriva dopo una particolare gavetta: «Volevo conoscere tutti i vincoli di un allenatore e di un assistente. E ho fatto bene a farlo, perché mi ha permesso di fare molta esperienza su come si compone uno staff, su quali aspettative si hanno nei confronti della direzione sportiva e così via. È stato importante per me sviluppare diverse sensibilità, così come è stato importante essere un giocatore per capire il funzionamento interno di uno spogliatoio. Tutto quello che ho fatto fino a quel momento mi ha dato il background necessario per arrivare dove volevo».
Rimane quindi nel mondo del calcio, e la sua squadra lo nomina allenatore della sezione femminile, in seconda divisione. Dopo un anno e mezzo da allenatore passa a fare l’assistente della sezione maschile, con cui chiude la stagione 2016/17. L’allenatore Olivier Guégan lascia la squadra dopo la retrocessione, e lo fa anche lui, ma per andare a fare l’assistente nella sezione femminile del PSG. La stagione successiva entra nello staff di Mikael Landreau (l’ex portiere di Nantes, PSG e Lille) nel Lorient in Ligue 2. Trascorre due stagioni al Lorient senza riuscire a centrare la promozione; ha 34 anni e sembra poter diventare allenatore. Passa un treno diverso.
Il Lens, in Ligue 2, vuole rilanciarsi dopo anni di fallimenti, con un progetto “passo dopo passo”. Cerca un profilo giovane e lo prende non come allenatore, ma nel ruolo di coordinatore sportivo. Eredita una squadra guidata da Philippe Montanier e che da tanti anni vivacchia in seconda divisione. A metà stagione viene esonerato Montaner e Ghisolfi prende la decisione di promuovere l’allenatore della seconda squadra, Frank Haise; è la scelta che ne lancia la carriera da dirigente perché risulta vincente. La squadra esplode. Con Haise il Lens raggiunge prima la promozione in Ligue 1 e arriva fino alla sorprendente qualificazione in Champions League alla sua terza stagione: «più velocemente del previsto». Tra i giocatori più importanti presi da Ghisolfi in quel periodo ci sono Jonathan Clauss, Kevin Danso e soprattutto Seko Fofana: «Straordinario. C'erano dietro grandi club, ma lui ha creduto nel nostro progetto e ne è diventato una pietra miliare».
Qual è la strategia di Ghisolfi? «Da quando Joseph Oughourlian e Arnaud Pouille mi hanno permesso di prendere in mano il progetto sportivo, la nostra base immutabile è il carattere di ogni singolo individuo. È quello che creerà il carattere collettivo. Non è una scienza esatta, ma cerchiamo di perfezionare le scelte a ogni mercato. Oggi questa è la nostra più grande soddisfazione». Sono parole alla sua prima stagione da DS in Ligue 1: «Stiamo cercando di costruire la nostra squadra con giocatori di carattere. Vogliamo una squadra che non si arrenda mai. Vogliamo giocatori che rispettano l’istituzione del club e la nostra visione a lungo termine. Giocatori con valori umani, giocatori ambiziosi».
Nella stessa intervista spiega qual è per lui la funzione del DS di un club: «Assemblare lo staff e la squadra, gestire l'unità di reclutamento, il tutto in costante collegamento con Joseph e Arnaud. Sono un ingranaggio tra le varie componenti e ho la responsabilità di garantire il rispetto del club. È un ruolo nell’ombra, che mi si addice».
L'ascesa
Al Lens trova l’affermazione. Viene riconosciuto come uno dei migliori ds sulla piazza, uno che parla poco e sbaglia ancora meno: «È un lavoro in cui non ti godi mai il momento. Ci sono sempre problemi da affrontare, non stacchi mai».
Passa al Nizza a stagione in corso, arriva a ottobre e la prima intervista al giornale di Nizza la rilascia a dicembre. Per capire il personaggio. Sembra chiaro che Ghisolfi ha occhio per gli allenatori di talento. Ereditato un nuovo progetto ci mette subito mano con una sceltta fortea forte, facendo arrivare Francesco Farioli in panchina.
Al Nizza lavora in una squadra con ambizioni conclamate di classifica. Per quanto il tifo sia passionale e la squadra si sia classificata per la Champions League, il Lens era in un ciclo quasi irripetibile, da dove oggi sono infatti andati praticamente tutti via.
È l’esperienza al Nizza che potrebbe averlo fatto uscire tra i profili sottolineati dall’algoritmo “Retexo”, che a quanto pare usa la proprietà della Roma per trovare i suoi dirigenti. Nell’estate 2023 Ghisolfi ha usato il budget soprattutto su due profili in attacco al picco della carriera: la punta 24enne Terem Moffi (22,5 milioni al Lorient) e l’ala 26enne Jérémie Boga (17 milioni all’Atalanta), per una spesa totale, al netto delle cessioni, di 34 milioni. Il Nizza è stata una delle storie della stagione: ha chiuso quinto, dopo un inizio incredibile in cui è stato a lungo al primo posto, ed è stato una delle storie calcistiche dell’anno. Farioli è stato assunto come allenatore dall’Ajax.
Mentre il Nizza volava, Ghisolfi restava nell’ombra. Se le cose andavano bene non si vedeva, se andavano male interveniva per difendere Farioli: «non discuterò mai pubblicamente le scelte dell'allenatore» dice in un momento di flessione di risultati.
Nella seconda parte, quando le cose vanno meno bene, compare più spesso ai microfoni, davanti alle telecamere, rilascia più interviste. Alla sua prima stagione a Nizza aveva detto: «Sono calmo, è la chiave del mio modo di operare, soprattutto in club forte e rispettato. I giocatori e lo staff devono sentirlo». Ora bisogna soprattutto notare che questo atteggiamento è in linea con quello della proprietà della Roma. Una proprietà silenziosa fino al mutismo, che ama mostrarsi allo stadio quando le cose vanno male e la piazza ribolle, ma senza parlare. Un atteggiamento che non piaceva a Mourinho, che si è lamentato pubblicamente di sentirsi un parafulmine, di dover mettere troppo la faccia.
Che squadre costruisce Ghisolfi
Ghisolfi non è un altro Monchi; non è una figura carismatica e totalizzante, come era lo spagnolo. Uno che aveva scritto libri sul proprio metodo di lavoro. Per capire Ghisolfi non bastano le parole, bisogna guardare ai fatti. Dalle sue operazioni bisogna ricostruire il suo metodo e le sue idee. Quel che è certo è che si parte sempre dall’allenatore, e dall’identità che vuole dare alla squadra. Parte da lì per costruire la rosa: non è di quei ds che prendono i giocatori e lasciano poi all’allenatore il compito di farne una squadra coerente.
«Al di là dell'occhio, bisogna avere un progetto sportivo e trovare il profilo del giocatore che si adatta a quel progetto. Tutto dipende dal sistema di gioco e dall'identità del club. Uno stesso giocatore potrebbe adattarsi bene al Lens ma non al Nizza. Da qui, dobbiamo puntare ai profili giusti. Poi è necessaria un'ottima organizzazione del reclutamento, che sto sviluppando in questo momento, per arrivare al profilo migliore. Dobbiamo creare una struttura che li accolga e li faccia crescere nel club. E poi dobbiamo creare uno staff di alto livello per garantire il successo di questi reclutamenti». È un discorso fatto nel suo periodo al Nizza, quando voleva lavorare su tutti i livelli. «L'identità va intesa anche in senso più ampio: il giocatore che arriva deve corrispondere ai valori del club e all'identità del gioco». Dice questo quando gli chiedono cosa intende con la sua idea che il giocatore che cerca deve corrispondere a una certa identità.
Ghisolfi sembra quindi appartenere a quella scuola di DS tipica della Ligue 1, che vuole creare valore nel tempo e innestare un circolo di crescita che porta magari a risultati maggiori rispetto a quanto la rosa dica sulla carta: «Non ho esempi, ma posso trarre ispirazione da alcuni. Ho studiato molto il modo di lavorare di Luis Campos e sono in contatto con lui. Mi piace la sua filosofia, non insegue le stelle. Negli ultimi dieci anni, è l'unico ad aver vinto il campionato fuori Parigi, con due club diversi [Monaco e Lille nda]. Ha costruito una squadra di alta qualità, altamente complementare, e ha gettato le basi di un club». Una crescita incrementale che però deve essere lanciata da investimenti iniziali. Aveva funzionato nel Lens, nel Nizza e ora anche alla Roma stiamo vedendo grossi investimenti subito.«È onesto, franco e diretto» così l’ha descritto un agente francese: «Quello che mi piace di lui è che non stiamo a girarci intorno per ore. Quando parliamo di un giocatore, si tratta di un sì o di un no, è chiaro ed efficace».
Chi fa il mercato nella Roma?
In questi primi giorni a Roma è verosimile abbia scelto lui questi nuovi acquisti? È difficile da credere. Le società pianificano il mercato estivo con mesi di anticipo; lavorano con le relazioni dei vari osservatori, pianificano insieme all’allenatore, vengono a patti con i paletti e le richieste della dirigenza. È più semplice credere che in questa sessione Ghisolfi abbia operato insieme a Daniele De Rossi. La tipologia di investimenti tradisce il gusto che De Rossi aveva già mostrato in passato: un centrocampista tecnico, Enzo Le Fée, un rifinitore che parte sull’esterno, Matias Soulé, un centravanti possente, Artem Dobvyk - che deve ancora arrivare ma su cui la Roma sta lavorando molto. Anche gli arrivi “minori”, come quello del giovane Dahl, rispondono all’esigenza mostrata da De Rossi di rafforzare il ruolo di terzino con giocatori tecnici e più associativi di quelli ereditati.
Negli ultimi mesi De Rossi è stato la faccia e la voce della Roma; un ruolo che gli si addice e in cui ha mostrato una certa padronanza. L’allenatore della Roma ha parlato di Ghisolfi qualche giorno dopo il suo arrivo a Roma: «Stiamo lavorando bene, è una fortuna. Non ci conoscevamo, parliamo due lingue diverse anche se comunichiamo in inglese, poteva succedere di tutto e invece ci siamo incastrati bene: Ghisolfi, il suo collaboratore Simone, Lina, Maurizio e tutte le persone che già hanno lavorato con me. Ieri abbiamo fatto una riunione lunga e bella su quelli che sono i nostri obiettivi e quello che sarà il nostro futuro».
Dopo le prime operazioni il tecnico si è esposto ulteriormente: «Mancano delle posizioni da coprire e dei giocatori ma la sensazione è che verranno giocatori forti, la squadra sarà forte al 1° settembre, prima arrivano meglio è però il mercato è così. L'anno prossimo per me dovremo cambiare molto meno». La strategia di mercato di Ghisolfi sembra opposta a quella seguita finora dalla Roma. Sembra disposto a spendere molto nei cartellini (23 milioni per Le Fee, più di 25 per Soulé, 4.5 per Dahl e pare almeno una trentina per Dobvyk) ma per giocatori che non hanno stipendi di prima fascia. Punta ad abbassare il monte ingaggi già nel breve periodo, aumentando il talento in una squadra che non gioca la Champions League da qualche anno. Non vuole andare sulle stelle già formate, come potevano essere Lukaku o Dybala: «Che cos'è una stella? Un grande giocatore è un giocatore che ha intenzione di fare bene. Quando firma, può essere sconosciuto e poi diventare un grande giocatore da noi. D'altra parte, si può ingaggiare un nome che incanta la gente con un'ottima prestazione e poi sparisce. Lo abbiamo visto succedere in ogni club».
I rischi esistono. Se queste spese non si trasformassero in valore allora la Roma avrebbe grossi problemi, competitivi ed economici. Si innesterebbe una spirale negativa che rischierebbe di portare a fondo anche Ghisolfi. La sua strategia è basata sull’idea che l’allenatore riesca a tirare fuori il meglio dai giocatori: costruisce la rosa per lui, seguendo le sue esigenze. È un metodo che responsabilizza l’allenatore e, vista la poca esperienza di De Rossi, gli getta sulle spalle un peso non da poco.
Al Lens e al Nizza la strategia ha funzionato, ma le dimensioni delle ambizioni della Roma sono altre. Vedremo se Ghisolfi riuscirà nell’intento di rimanere nell’ombra mentre tutto l’ambiente romanista vorrebbe averlo vicino, toccarlo, fargli sentire l’entusiasmo.