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Conor e Khabib hanno rovinato tutto
09 ott 2018
Subito dopo che Nurmagomedov ha vinto l'incontro.
(articolo)
16 min
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Ci sono due parti in questa vanagloria:

cioè lo stimarsi troppo,

e il non stimare abbastanza gli altri.

(Michel de Montaigne, Della presunzione)

Sabato notte c’è stato uno degli eventi più attesi nella storia della UFC, capace probabilmente di rompere il record di pay-per-view della storia delle MMA, con un main event in grado, per una volta, di mettere d’accordo tutti gli appassionati. Occasionali come fan della primissima ora e praticanti.

Chi voleva vedere Conor e Khabib darsele di santa ragione nell’ottagono? Tutti.

Quelli che a malapena distinguono le MMA dalla boxe e dal combattimento tra galli, attratti dall’eco mediatica, forse persino incuriositi.

Quelli che seguono unicamente la star multimediale, l’imprenditore sportivo, il brand internazionale, Conor McGregor. Quelli che, al contrario, pensavano che McGregor dopo quasi due anni di pausa fosse ormai un attore, un pagliaccio, uno che aveva venduto il proprio talento per dieci denari (perché c’è solo una cosa che McGregor ama sicuramente almeno quanto combattere: i soldi).

Quelli per cui Khabib Nurmagomedov era ancora un mistero, che di lui sapevano solo che a nove anni il padre lo faceva allenare contro i cuccioli di orso (aneddoto che, rispetto al valore che normalmente hanno gli aneddoti, permette comunque di sapere quanto basta su Khabib Nurmagomedov), non vedevano l’ora che entrasse in contatto con McGregor.

Quelli che in Khabib non ci vedono niente di affascinante, perché è un musulmano russo in un mondo per lo più americano, che ha rifiutato di combattere incontri importanti durante il ramadan. Quelli secondo cui il record con cui Nurgamedov si è presentato all’incontro (26-0) non restituiva il suo valore a pieno perché costruito in parte in Russia, e perché è stato via per due anni interi (due anni fa) per un infortunio.

Sabato notte, per quanto valgano definizioni così assolute in uno sport in cui ogni combattimento rimette in questione tutto, si sono affrontati lo striker e il grappler più forte della storia dei pesi leggeri. Il migliore a combattere in piedi, il migliore a combattere a terra. Un fighter capace di far perdere la coscienza a un suo avversario in una manciata di secondi, con un solo colpo, e un fighter capace di schiacciare i suoi avversari con la schiena al tappeto come una preda finita nella tela di un ragno.

Foto di Harry How / Getty Images.

E l’incontro (ne ha parlato Giovanni Bongiorno in un pezzo a parte) ha soddisfatto almeno parte delle aspettative, fornendo una risposta chiara a ognuno dei quesiti della vigilia.

Chi è il più forte peso leggero al mondo? Khabib Nurmagomedov.

Il wrestling di Conor McGregor ha resistito ai tentativi di Nurmagomedov di portarlo a terra? No.

La mascella di Khabib ha retto al potente sinistro di McGregor? Non ha preso abbastanza colpi per poterlo sapere.

Conor McGregor era preparato dal punto di vista della lotta a terra? Sì, ma non abbastanza per affrontare l’equivalente umano di un pezzo di montagna che si stacca e ti viene addosso; di una mantide religiosa che incastra tra le proprie zampe il proprio partner e lo divora pezzo a pezzo; di quella camera degli orrori in cui le due pareti si avvicinano progressivamente fino a schiacciarti. Conor McGregor si era preparato per affrontare Khabib Nurmagomedov quanto Michael Phelps potrebbe prepararsi a gareggiare con uno squalo in mare aperto.

Ah, e c’era un’ultima domanda.

Il trash-talk di Conor McGregor, così spinto e maniacale, violento e dettagliato, offensivo oltre ogni limite e approfondito al punto da far pensare che abbia assunto un detective, è entrato sotto la pelle di Khabib? Sì, ma non ha generato gli effetti che McGregor avrebbe sperato.

https://twitter.com/ChrisK_OH/status/1048810096120291328

Sabato notte, dopo aver demolito in quattro riprese Conor McGregor, costringendolo alla resa per evitare che gli spezzasse il collo, dimostrando in maniera inequivocabile, indiscutibile, la sua superiorità di fighter e allungando il proprio record a 27 vittorie e zero sconfitte, Khabib Nurmagomedov ha scavalcato la rete che delimita l’ottagono - è uscito dalla gabbia - per continuare a combattere con parte del team di McGregor, scatenando una rissa più grande.

Khabib si è gettato su Dillon Danis, compagno di squadra di McGregor, davvero come un’aquila (che è il soprannome che si è scelto Nurmagomedov). Seppur a un altro livello, Dillon Danis è specializzato in quegli aspetti del combattimento (grappling, bjj) in cui è specializzato anche Nurmagomedov, ha un solo incontro di MMA e su internet è descritto come uno “sfigato”, come un “doppelganger” di McGregor. Rafael Dos Anjos, ex campione dei pesi leggeri, lo ha definito «un nessuno che sa solo succhiare le palle di McGregor e nascondersi dietro di lui».

E mentre Nurmagomedov dava più importanza a Dillon Danis di quanta nessun altro nel mondo delle MMA gliene abbia mai data prima, Conor ha provato a scavalcare la rete per unirsi alla rissa e, già che c’era, ha colpito con un pugno il cugino di Khabib, Abubakar Nurmagomedov, che lo aveva preso per la caviglia mentre scavalcava. Poi ha scambiato anche un paio di colpi anche con Asadullah Emiragaev e Zubaira Tukhugov.

https://twitter.com/NickHammer0/status/1048823966574542848

Asadullah Emiragaev è il tizio che nei video che hanno girato su internet scavalca la recinzione con una maglietta rossa e colpisce McGregor da dietro. Poco importa se - come su Facebook e Twitter si discute in queste ore - sia stato meno leale Conor, a colpire Abubakar più o meno all’improvviso, o Asadullah a colpire Conor alle spalle, la cosa grave è l’aggressione a un fighter che aveva appena combattuto venti minuti ed era stato finalizzato.

Abubakar e Zubaira, invece, sono fighter UFC, o meglio ex fighter UFC se Dana White manterrà quanto detto dopo la rissa. A fine mese, Zubaira Tukhugov (ceceno, che Conor aveva offeso su Instagram usando la leva politica del conflitto con il Daghestan) avrebbe dovuto affrontare Artem Lobov, compagno di squadra di McGregor all’origine di quell’altra specie di rissa di sei mesi fa, finita con McGregor che in un parcheggio di Brooklyn ha tirato un carrello per i bagagli contro il pullman che trasportava Nurmagomedov. Come dire, torna tutto.

McGregor da parte sua non ha denunciato nessuno. Anzi ha parlato subito di un rematch, prima di fare un post su Instagram in cui sostiene di aver perso il match ma di aver vinto la battaglia (quale?).

Visualizza questo post su Instagram

We lost the match but won the battle. The war goes on.

Un post condiviso da Conor McGregor Official (@thenotoriousmma) in data: Ott 8, 2018 at 5:38 PDT

Nella foto, Conor McGregor sembra un manichino appoggiato a una ringhiera con un bicchiere di plastica incastrato in mano, ha la stessa aria svuotata con cui lo aveva lasciato Khabib nell’ottagono, come se qualcosa di intimo e profondo gli fosse stato sottratto in quelle quattro riprese, come se Khabib lo avesse trasformato in una versione ridotta di sé stesso, cosa che Khabib fa a tutti i suoi avversari.

La Commissione Atletica del Nevada ha trattenuto la borsa di Khabib (1,5 milioni; mentre pare che Conor ne abbia guadagnati 2,5) in attesa di un’indagine: potrebbero multarlo e persino sospenderlo, all’interno dei confini della loro giurisdizione, ma non possono ad esempio togliergli la cintura: quella è una decisione della promotion. Dana White si è detto disgustato, come sempre in questi casi, ma a parte prendersela con i daghestani che hanno scavalcato la rete non è chiaro che conseguenze avrà l’accaduto.

Dopo poco l'UFC ha smesso di inquadrare la rissa, ma chi sa, magari sarà tutto usato nel promo del rematch: Khabib vs Conor II, diciamo il prossimo marzo?

Sabato notte, subito dopo la rissa, la comunità di fedeli alle MMA si è nuovamente divisa.

Se per alcuni si è trattato di una notte nera per la crescita dello sport, perché comunque non ci sono casi comparabili a questo per portata mediatica e importanza degli attori coinvolti, per altri le responsabilità di quanto successo non vanno esclusivamente a Khabib, che in fondo si è limitato a far seguire i fatti alle parole di Conor.

Qualcuno, sull’onda di quanto ha detto Khabib stesso nella conferenza stampa dopo l’incontro, pensa che ci siano cose di cui non si può parlare quando si promuove un incontro. Che McGregor abbia sbagliato a tirare in ballo la famiglia di Nurmagomedov (i legami del padre con Ramzan Kadyrov, leader ceceno accusato, tra le altre cose, di aver aperto un campo di concentramento dove la sua milizia tortura omosessuali) e la sua religione (offrendogli un sorso del whisky che produce, costringendo Khabib ad allontanare imbarazzato e infastidito il bicchierino).

Ma fare un’eccezione, nel caso delle MMA, all’idea che non ci siano argomenti di cui non si possa parlare, significa ammettere che le MMA sia per loro naturale più pericolose di altri sport. E non solo non è così (anche Materazzi in fondo ha detto una parolina di troppo sulla sorella di Zidane, e nel mondo della NBA ancora si ricorda la rissa di Ron Artest con i tifosi di Detroit), ma questo è anche uno degli stereotipi per cui di fatto le MMA sono ancora un tabù per molti. Semmai ha ragione Ben Fowlkes, che in un pezzo sulla storia del trash-talk nelle MMA sottolinea come negli altri sport la violenza è "un vicolo cieco. Il segno che le regole e il decoro sono finiti".

https://twitter.com/benfowlkesMMA/status/1048946526599499776

Conor McGregor non è certo l'unico ad alzare i toni prima di un incontro per attirare l'attenzione, e non ha sbagliato a parlare di certe cose (sottinteso: di cui non si dovrebbe parlare se poi non si vuole venire picchiati da uno o più daghestani), piuttosto ha sbagliato nel tipo di spettacolo con cui ha provato a promuovere l’incontro con Khabib e, al tempo stesso, a demolire le certezze psicologiche di Khabib. È stato troppo violento, il suo copione era troppo diretto e offensivo, troppo intimo. Ha aggredito troppo direttamente Nurmagomedov, in un campo in cui non aveva gli strumenti per difendersi. Nel trash-talk come in amore, bisogna essere in due. E invece in questo caso è stata una frustrazione per Khabib ma anche per quegli spettatori che l’hanno vissuta come una semplice ingiustizia fuori luogo.

Non c’è niente di bello, o di spettacolare, nel vedere una persona che ne insulta un’altra, se la persona offesa sembra un paziente in attesa dal dentista. D’altra parte, che McGregor non fosse in grado di limitarsi da solo si sapeva dallo scorso aprile, quando ha rotto il vetro del pullman in cui era seduto Khabib ferendo altri due fighter. E l’UFC che ha fatto? Ha usato le immagini di quella notte a Brooklyn per promuovere questo incontro.

C’è un limite alla manipolazione della realtà, prima che la realtà ti si ribelli contro. Dana White per le foto rituali a fine conferenza stampa chiedeva: «Dove sono le cinture di Conor?», pur sapendo benissimo che Conor non aveva più nessuna cintura che fosse sua. Perché, dopo essere diventato campione non ha più combattuto tra i pesi Piuma, e dopo essere diventato campione dei pesi Leggeri si è dedicato all’incontro di boxe con Floyd Mayweather (con tour promozionale internazionale). Una delle cinture “di Conor” era quella di Khabib, l’altra ce l’ha Max Holloway. Se l’UFC può inventare delle cinture in più a scopo promozionale, allora a cosa valgono quelle ufficiali?

Un’altra piccola rottura della routine: Conor McGregor è entrato per primo, come di solito entrano gli sfidanti in UFC, ma lo ha fatto in un ottagono riempito di nebbia, illuminata da una luce verde.

https://twitter.com/ufc/status/1048792918339678209

In questo senso, che sia finita così male, è una sconfitta per l’immaginario di Conor McGregor ma anche dell’UFC: se l’odio è la componente fondamentale delle MMA a che serve spendersi per rendere interessanti i singoli atleti, per costruire narrazioni? Oppure, magari pensavano che l’odio fosse l’unico elemento con cui costruire il personaggio di Khabib Nurmagomedov. Che non fosse degno di un’altra narrazione. Lo hanno inchiodato nel ruolo di cattivo perché era troppo diverso dai loro canoni.

Conor McGregor ha sottovalutato l’autenticità di Khabib Nurmagomedov, dando troppa importanza al proprio senso dello spettacolo e, in definitiva, a sé stesso. Quando Khabib è andato via dall’ultima conferenza stampa senza aspettare McGregor (come al solito in ritardo), lui si è lamentato con il pubblico: «Non vuole stare qui, non vuole stare con questa gente». Poi ha aggiunto che tanto nella conferenza precedente Khabib non aveva detto praticamente nulla di rilevante. Conor McGregor, l'artista del trash-talk, sembra non capire che differenza c’è tra farsi fare il ritratto da Picasso, e farsi insultare da lui.

È ovvio, però, che Conor non voleva farsi odiare sul serio, che la sincerità e l’orgoglio di Khabib sono andati oltre la sua immaginazione. Come se non facessero (più) parte del suo mondo. Su Reddit circola la teoria secondo cui, alla fine del terzo round, dopo aver commesso più di un’infrazione tirando i pantaloncini di Khabib e trattenendogli i guantini, Conor gli abbia detto “it’s only business”.

Vero o no, è lo sguardo di Conor successivo alla fine dell’incontro, quando Khabib non voleva mollare la presa sul suo collo in torsione e poi ha continuato a stargli sopra, a tradire una nuova consapevolezza. Conor McGregor è uscito umiliato dall’incontro con Khabib: più che nel senso comune della parola (sentirsi privato della dignità, reso ridicolo), in quello biblico: è tornato umile, è stato costretto a riconoscere i propri limiti.

Foto di Harry How / Getty Images.

L’annuncio di Bruce Buffer in un ottagono pieno di agenti di sicurezza e polizia, senza né il vincitore né lo sconfitto, è stata forse la cosa più assurda di tutte (più di quanto non lo sia Bruce Buffer di suo, se lo immaginate fuori contesto, tipo alla vostra destra, adesso).

Quando le acque si sono calmate, Dana White (insieme a molte altre persone) ha provato a far capire a Khabib che non gli avrebbe messo la cintura intorno alla vita per ragioni di ordine pubblico, perché temeva venisse giù lo stadio pieno di irlandesi incazzati. In realtà, a nessuno fregava più niente della cintura a quel punto.

A nessuno, tranne che a Khabib.

Come ne esce Nurmagomedov da tutto questo? Al di là delle conseguenze che avrà il suo scatto d’ira su di lui e sui suoi compagni di team; al di là della condanna più o meno unanime per un gesto che avrebbe potuto causare molti più danni di quanto abbia veramente fatto (quasi nessuno)?

La prima cosa che mi è venuta in mente, quando ho visto le istantanee di Nurmagomedov che mentre, a mezz’aria, carica l’atterraggio su Dillon Danis, è stato il calcio volante di Eric Cantona a Matthew Simmons, durante una partita esterna del Manchester United contro il Crystal Palace. Anche in quel caso c’è stato lo sconfinamento della soglia simbolica che separa pubblico e atleti, e la motivazione era una parola di troppo (una cosa tipo “sporco bastardo francese”, poi accomunata al razzismo in campagne pubblicitarie che miravano più che altro a ripulire l’immagine di Cantona). La differenza è che Cantona faceva il calciatore e il suo gesto fu interpretato immediatamente come estraneo allo sport che gli faceva da cornice.

Forse, allora, il gesto di Khabib è più vicino a quello di Mike Tyson, che quando morde Evander Holyfield staccandogli un pezzo di orecchio dimostra che il pugilato, per lui, in quel momento, non era abbastanza.

Quello che ha fatto Khabib, però, è un fraintendimento altrettanto grande del significato profondo delle MMA. Sia Jonathan Gottschall (che ha combattuto un incontro ufficiale prima di scrivere il libro Il professore sul ring) che il sociologo italiano Alessandro Dal Lago (nel saggio Il senso della brutalità) concordano sul fatto che le MMA hanno più a che fare con i duelli otto-novecenteschi che con la logica sportiva. Quei duelli, cioè, che servivano a risolvere i conflitti, canalizzando e contenendo la violenza entro certi limiti definiti. Impedendo alle persone di uccidersi a vicenda o, ad esempio, a tre persone di picchiarne una.

Addirittura, Gottschall spiega in questo modo la ragione per cui gli incontri si pubblicizzano puntando sulla rivalità autentica dei due fighter che si affronteranno (e non, ad esempio, sulla differenza del loro stile): «Nel combattimento ciò che davvero vende non è lo sport, bensì la teatralità di un duello artefatto».

A Khabib sfugge la natura ibrida, al tempo stesso autentica e finta, delle MMA (come sfugge a molti altri fighter e fan che in questi giorni chiedono il ritorno a un rispetto marziale, senza tenere conto della storia recente di questo sport, del fatto ad esempio che il primo progetto per l'ottagono dell'UFC comprendeva un fossato con i coccodrilli e il filo spinato). È significativo il fatto che quattro round, il dominio e l’umiliazione di Conor McGregor, fino a una resa pubblica, non siano bastati a placare il suo senso dell’onore.

Da dove partiva la rabbia di Khabib? Dallo scorso aprile, quando Conor da Dublino ha preso un aereo con una ventina di amici per andare a dargli fastidio a Brooklyn prima di un incontro? Due anni fa, quando l’UFC ha dato a Conor l’incontro che aveva promesso prima a Khabib contro Eddie Alvarez, con in ballo la cintura? O magari da prima ancora, da quando Khabib, pur essendo stato infortunato dal 2014 al 2016, lamentava un trattamento ingiusto, inferiore alle sue aspettative da campione? Perché Khabib sembra infastidito dal dover dimostrare di essere il migliore di tutti, non è esattamente così funziona nelle MMA? Che differenza c’è tra essere orgogliosi e non ascoltare gli altri, come fa Khabib quando zittisce Daniel Cormier e Luke Rockhold, suoi compagni di palestra, chiedendo in maniera capricciosa: «Dov’è la mia cintura? I made him tap!».

Non c’è stata comunicazione tra il trash-talk di Conor e il senso dell’onore di Khabib, ma con Khabib sembra non poterci essere nessuna comunicazione in assoluto, al di fuori del combattimento (per questo, mentre colpiva McGregor ripeteva: "Let's talk, let's talk now"). Khabib non ha provato neanche una naturale empatia per un avversario annullato (come in passato gli è successo, in un contesto maggiormente rispettoso), che non rappresentava più una minaccia di nessun tipo e che, anzi, aveva dimostrato coraggio anche solo scegliendo di affrontarlo.

Come quando, nel bel mezzo della punizione che gli stava infliggendo, ha sussurrato a Michael Johnson di arrendersi anziché riconoscerne il coraggio e la resistenza. Allo stesso modo, Nurmagomedov non ha visto niente di buono in McGregor neanche quando, persino dopo il massacro della seconda ripresa, dopo che gli tremava la mano con cui portava la borraccia alla bocca, si è alzato dallo sgabello e gli è andato incontro a testa alta.

Non c’è stato neanche un attimo di gioia in Khabib alla fine dell’incontro più importante della sua vita e, forse, della storia dello sport a cui ha dedicato la sua vita. Neanche un sorriso tra la fine di un combattimento e l’inizio di un altro. Forse per Khabib non c’è niente, a parte il combattimento stesso.

È come se il sudore e il sangue che condivide con i suoi avversari nella gabbia non avesse significato. È come se per Khabib niente avesse significato oltre a portare a terra i suoi avversari e schiacciarli con il proprio peso, aggiustare la posizione a ogni loro movimento finché sono intrappolati e poi colpirli, finché non rimane più un briciolo di combattività in loro.

Quando tutto era ormai finito e McGregor era stato portato via, il pubblico fischiava e il ring era pieno di gente che non c’entrava niente, Khabib è rimasto da solo a chiedere la cintura. «Datemi la mia cintura e poi vado in prigione».

Se l’era meritata, in fondo. È lui il miglior peso leggero al mondo, adesso, uno dei migliori di sempre, non ci sono più dubbi. Eppure eccolo lì, al centro del ring a supplicare che gli portino la cintura che tanto ha faticato per avere.

Prima dell’incontro Khabib ripeteva che per lui si trattava di una “una questione personale”. Chissà se dopo tutto, alla fine, si è reso conto che in realtà non era così.

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