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L'inquietante Copa America 2021
18 giu 2021
Il torneo è iniziato tra contagi, sponsor di vaccini e politici pronti a metterci il cappello.
(articolo)
10 min
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La vita dei giocatori non vale niente?

Trentaquattro anni è un’età piuttosto importante, per un calciatore, perché coincide spesso con il momento di massimo fulgore, di consolidamento del proprio status quo: trentaquattro anni è la fase successiva a “sono nel mio prime” e quella subito prima di “dovrò cominciare a pensare al ritiro” (a meno che non vi chiamate Sebastian Abreu, ovviamente).

Marcelo Moreno Martins, capitano e feticcio della Bolivia, massimo goleador nella storia della Verde, ha compiuto trentaquattro anni in isolamento dopo essere risultato positivo a uno dei tamponi che scandiscono regolarmente la quotidianità dei partecipanti a questa Copa America 2021. Nel cuore della notte, mentre con il suo smartphone riprendeva le strade spettrali di Goiania da uno dei piani altissimi di un hotel, si è cantato la canzoncina rincuorante con cui ci si augura un buon compleanno, ringraziando di averci la salute, che di questi tempi, alla fine della fiera, vale più di un gol in effetti.

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Una manciata di ore prima di spegnere le candeline, Marcelo Moreno si è trovato nel mezzo di un ciclone per aver pubblicato, sui suoi social, un messaggio assai diretto: «Grazie a voi della CONMEBOL per tutto questo. La colpa è solo vostra!». «E se muore qualcuno, che farete? Vi importa soltanto IL DENARO. La vita dei giocatori non vale niente?». A smuovere la rabbia di Moreno è stato il bollettino COVID, che a quattro giorni dall’inizio della competizione, a esser sinceri, è abbastanza allarmante: da quando la Copa America ha preso il via, il numero dei contagiati si assesta a 53, la metà dei quali calciatori. In un Paese, il Brasile, che viaggia peraltro su numeri spaventosi, oltre 80mila contagi giornalieri e un picco di decessi, 2468, raggiunto nel giorno dello sfogo di Moreno.

Il Sud America è un continente strambo, massimamente imbevuto di drama, folklore e weirdness in una maniera così compiuta e amalgamata che solo il Sud America è capace di produrre; e le sue competizioni calcistiche, spesso, ne sono il riflesso più cristallino. Ma mai come quest’anno il la sua Coppa per Nazionali ha saputo farsi così rappresentativa delle incoerenze, assurdità e problematiche di un subcontinente che ha scoperto le proprie vene, oltre che aperte, pure infette.


Weirdness, dal principio

La quarantasettesima edizione della Copa América, che era inizialmente prevista per il 2020, si sarebbe dovuta tenere in Colombia e Argentina: i due Paesi si sarebbero equamente divisi le partite, Messi avrebbe cercato di portare a casa il primo trofeo con la Albiceleste in casa, la mise en place narrativa, insomma, aveva già una propria compiutezza. Ma stiamo sempre parlando del Sud America, e della CONMEBOL, cioè dell’ambientazione e del team di autori che un po’ come quelli di Boris, spesso e volentieri, sembrano scrivere sceneggiature guidati dal principio cardine del «così, de botto, senza senso».

Lo slittamento di un anno, ovviamente, come sarebbe potuto essere diversamente, non poteva essere pacifico, altrimenti non sarebbe stato sufficientemente Copa América, e ha cominciato a vacillare intorno ad aprile, quando cioè Ivan Duque, il presidente colombiano, ha introdotto un aumento delle tasse come parte del piano di risanamento pandemico. Il Paese è stato scosso da una serie di proteste di piazza e la turbolenza politica ha spinto la CONMEBOL, il 20 maggio, ad affidare l’organizzazione della manifestazione alla sola Argentina. L’ultima mossa della Presidenza Duque per cercare di convincere la CONMEBOL a ragionare è stata quella di proporre un ulteriore slittamento a dicembre, così da permettere al piano vaccinale di compiersi e, magari, disputare la competizione in presenza di pubblico. In fin dei conti un’idea coerente. Forse è per questo che non ha convinto la CONMEBOL.

Quindi è il 21 maggio e l’Argentina è il solo Paese ospitante. Ma l’Argentina non è pronta, il tasso dei contagi è altissimo, sembra inarrestabile, e dopo essersi consultato con il proprio Ministro della Salute il presidente Fernandez informa la CONMEBOL di non sentirsela.

Quindi è il 30 maggio, e la CONMEBOL si trova di fronte a un bivio dirimente: far slittare ulteriormente, o addirittura annullare, la quarantasettesima edizione del torneo, oppure incaponirsi sull’idea di svolgerla a tutti i costi, ovunque, in qualsiasi condizione. La scelta, in finale, si riduce a un testa o croce dal profumo di roulette russa: niente Copa America o Copa America nel secondo Paese al mondo per tasso di contagi.

Non servono particolari doti immaginative per capire quale sia stata la scelta.

https://twitter.com/copaamerica/status/1398368483411476480

Lui è Pibe, la mascotte della Copa. Padre colombiano, madre argentina, la valigia sempre e sotto il letto. Non ha mai visitato il Brasile, sogna di aprire un chiosco sulla spiaggia a Salvador de Bahia.




Roulette russa, dicevamo

Quale miglior Paese, per sostituire in corsa una nazione alle prese con l’instabilità politica e un’altra attanagliata dal COVID, del Brasile, che può vantare entrambe le problematiche? Se a questo punto vi state chiedendo se la CONMEBOL non abbia pensato a un’assegnazione più randomica, tipo che so in Qatar, o a Dubai, o nel bel mezzo di Candor Chasma su Marte, vorrei rassicurarvi perché sì, certo che ci ha pensato.

Però nessuna destinazione poteva competere con un Paese guidato da un presidente negazionista e prono alla celebrazione fastosa, esattamente il tipo di anfitrione che cerca sempre la CONMEBOL.

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Photo by Lucas Uebel/Getty Images.

Bene, tutti felici, no? Ecco: no. Renan Calheiros, senatore ma soprattutto oppositore oltranzista di Bolsonaro, fautore di un’interrogazione parlamentare sull’approccio alla pandemia del presidente, ha definito la Copa America «Campeonato da morte», che non ha troppo bisogno di traduzioni, invitando Neymar e compagni a boicottare la manifestazione: «I tuoi amici, i tuoi parenti, i tuoi vicini continuano a morire. E il vaccino non ha ancora raggiunto il nostro Paese» (in effetti, il Brasile ha un tasso di vaccinati inferiore al 10%).

Se dicessimo che i calciatori siano rimasti indifferenti alla situazione, e agli inviti più o meno soft al boicottaggio, diremmo una bugia.

Casemiro, alla vigilia dell’ultimo match di qualificazioni mondiali prima della Copa, in conferenza stampa ha dichiarato di non poter dire di più, «perché tutti sanno come la pensiamo. Non possiamo però chiarirlo. C’è molto rispetto per noi, e ogni volta che vogliamo dire la nostra succedono un sacco di cose». Un atteggiamento per niente criptico, spalleggiato da Tite («hanno un’opinione, l’hanno detta al presidente (della Federcalcio brasiliana, nda) e la esporranno anche al pubblico») e osteggiato, invece, dal Generale Hamilton Mourao, vice di Bolsonaro, secondo il quale «ai miei tempi (incipit uberfascista, peraltro, nda) quando un giocatore veniva chiamato in nazionale lo considerava un onore. L’allenatore non vuole questo, non vuole quello, il Cuiaba cerca un allenatore, no?», riferendosi alla neopromossa in Brasilerao, il Cuiaba, alla ricerca di un tecnico.

Flavio Bolsonaro, senatore e figlio del presidente, ha definito Tite un ipocrita e un «leccapiedi di Lula». Rogerio Caboclo, presidente della Federcalcio, dopo non essere riuscito a licenziare Tite è stato a sua volta estromesso, impantanato in un brutto scandalo di molestie sessuali, e sostituito da un altro militare, il Colonnello (in pensione) Antonio Carlos Nunes.

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Andressa Anholete/Getty Images.

Alla fine, domenica scorsa la Copa América è iniziata. Nessuna Nazionale ha scelto il boicottaggio, un po’ tutti i calciatori hanno messo nelle valigie accondiscendenza e speranza, oltre che di vincere, anche di riuscire a superare indenni la manifestazione.


Chi ben comincia

La partita inaugurale tra Brasile e Venezuela ha subito scoperto il nervo dell’intera faccenda: al di là di arginare i contagi, cercando con difficoltà di creare una bolla all’interno di uno scenario tumultuoso che somiglia un po’ a fare dello zorbing sulle Ande, come ci si dovrebbe rapportare con l’inevitabilità dei contagi?

Nella Vinotinto mancavano almeno 8 dei titolari scesi in campo nell’ultima partita di qualificazioni ai Mondiali con l’Uruguay, tra i quali il capitano Rincon, Josef Martinez, Savarino e Otero. L’allenatore Peseiro è stato costretto a convocare 15 giocatori supplementari, alcuni dei quali alla loro prima convocazione, e a schierare undici calciatori che non erano mai scesi in campo insieme, azzarderei a ipotizzare che alcuni di loro neppure si conoscessero di persona.

https://twitter.com/FVF_Oficial/status/1403825413391069190

L’appoggio di tutta la popolazione, quell’esercizio retorico che ricorda i tempi bellici :(

Il risultato sul campo passa in secondo piano, evidentemente, rispetto al risultato emotivo: questa Copa América, in cui la CONMEBOL ha anche apportato una modifica all’uopo al regolamento per permettere di convocare giocatori senza soluzione di continuità, in sostituzione di quelli che dovessero risultare contagiati, rischia di diventare qualcosa a metà strada tra una lotteria, un reality a eliminazione continua e perenne, un’accozzaglia di partecipanti con il rischio assurdo e plausibile al contempo che la rosa delle finaliste possa essere composta da giocatori totalmente diversi da quelli che hanno iniziato la manifestazione.

Le ripercussioni sul risultato passano davvero in secondo piano, di fronte alla paura serpeggiante e diffusa di essere colpito dal virus, che si porta dietro una serie di paure latenti, e anche forse una sensazione che somiglia a una partitella in tempo di guerra su un campo minato.


Previsioni disattese

Che in un contesto del genere anche sponsorizzare la Copa America potesse essere un’arma a doppio taglio, o una fantastica esperienza di all in, era autoevidente.

Mastercard, dopo vent’anni di sponsorship, a seguito della decisione di spostare la sede dell’evento in Brasile, si è - dopo una «attenta analisi» - tirata indietro. Un po’ come EURO 2020, la Copa América è diventata quindi terreno di conquista di realtà cinesi: TCL e Kwai sono tra i principali sponsor, ma a spiccare è soprattutto SINOVAC, la multinazionale farmaceutica cinese che produce il vaccino che Bolsonaro, a febbraio scorso, aveva definito sprezzante «il vaccino cinese di Joao Doria» (sindaco socialdemocratico di San Paolo).

Sinovac, nello scorso mese di marzo, ha stretto un contratto con la CONMEBOL per la donazione di 50mila vaccini che potessero permettere di disputare la Copa in totale sicurezza per i giocatori: l’intermediazione della federcalcio uruguayana nel processo di accordo ha fatto sì che al Paese venisse affidata la possibilità di ospitare le finali di Libertadores e Sudamericana.

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28 Aprile. Alejandro Dominguez, presidente della CONMEBOL, con l’ambasciatore cinese in Uruguay Wang Gang (ottimo nome per un gruppo rap, peraltro). Tra le loro mani l’affascinante contenitore in cui sono custodite le 50mila dosi vaccinali che renderanno la Copa America possibile. (NICOLAS GARCIA/AFPTV/AFP).

Va da sé, però, che l’immunizzazione di un torneo passa attraverso meccanismi decisionali piuttosto complessi, che coinvolgono anche principi etici: la donazione non è corrisposta, evidentemente e comprensibilmente, alla somministrazione. Alcune Nazionali hanno provveduto alla vaccinazione, come Cile, Ecuador e Colombia; altre si sono affidate alla prassi vaccinale dei club di appartenenza dei loro giocatori. In tutto questo, non possiamo sapere quali giocatori si siano rifiutati di farsi somministrare il vaccino, una questione privata che chiaramente rimarrà confinata al dubbio.

Più facile per Argentina e Brasile, invece, che per motivi diversi tra loro non hanno somministrato Sinovac ai loro calciatori: in Argentina Sinovac non è riconosciuto dal Ministero della Salute, (e Franco Armani, il portiere titolare, si è aggregato alla spedizione nonostante 3 mesi di positività), mentre per il Brasile Bolsonaro ha avvertito che laddove fossero atterrate le dosi destinate alla Seleçao a Rio, le stesse sarebbero subito state ridistribuite alle fasce più indigenti della popolazione. Una mossa sufficientemente populista a convincere Sinovac a non spedire proprio le dosi destinate a Neymar e compagni.

In questa fantastica atmosfera un po’ da sambodromo deserto a fine festa, un po’ da Hunger Games, la Copa América prosegue. L’attesa per i risultati si mescola a quella per i contagiati, e la weirdness da sempre connaturata a questa manifestazione assume tinte leggermente più inquietanti.

Se Messi riuscirà o no ad alzare, finalmente, un trofeo con la sua Nazionale, in finale, è davvero la più infinitesimale delle preoccupazioni.


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