Lo sport a volte è davvero ingiusto. Il calcio, poi, può essere ingiusto come solo la politica, o la Storia, possono essere ingiuste. Immaginate di tifare una piccola nazione con meno di un milione di abitanti (734mila circa, secondo internet). Sì, insomma, immaginate che i vostri genitori, o i vostri nonni, siano originari di un piccolo arcipelago africano, composto da quattro isole vulcaniche (una in realtà è ancora sotto l’amministrazione francese) in mezzo all’Oceano Indiano, tra il Mozambico e il Madagascar. Immaginate che questa piccola ex-colonia sia così povera che per due anni, dal 2012 al 2014, la sua squadra di calcio non abbia giocato neanche una partita e che il suo allenatore abbia dato le dimissioni. Immaginate che l’allenatore scelto per cominciare un nuovo ciclo - Henri Stambouli, francese con esperienza già alla guida di altre squadre africane - rinunci all’ultimo, lasciando la squadra in mano al proprio secondo, un quarantenne che ha allenato al massimo nella quinta divisione francese e che nel frattempo, dato che è previsto solo un rimborso spese, lavora per un piccolo comune del Sud-Ovest della Francia.
Immaginate poi che questo allenatore riesca a convincere della bontà del suo progetto giocatori di Ligue 1, che nel 2016 riesca a vincere la prima partita ufficiale della storia di questa piccola Nazionale e, cinque anni dopo, a qualificarsi per la prima volta per la Coppa d’Africa, e che poi la porti miracolosamente fino agli ottavi di finale, perdendo le prime due partite del girone e vincendo l’ultima contro il Ghana, che quella coppa l’ha vinta quattro volte. Ecco, adesso immaginate che debba giocare l’ottavo di finale contro la squadra del Paese ospitante, la squadra favorita del torneo, e che debba farlo senza portiere. Ingiusto, no?
Spoiler: non è così facile come si pensa fare gol a un terzino.
La favola delle Isole Comore è finita con un terzino alto un metro e settanta in porta. Con Salim Ben Boina infortunato, uscito in barella piangendo dopo lo scontro che è costato il cartellino rosso ad André Ayew nella partita con il Ghana, e il secondo e il terzo portiere positivi al Covid insieme ad un’altra mezza dozzina di compagni di squadra - e all’allenatore Amir Abdou, che nel frattempo ha iniziato a ricevere uno stipendio ed è diventato allenatore anche della squadra principale del campionato del Mozambico. Sembrava non ci fosse scelta e invece Ali Ahmada, ex portiere del Toulouse, si è “negativizzato” lunedì mattina e a quel punto pareva potesse giocare, come altri giocatori del torneo con un test positivo e uno negativo a distanza di un paio di giorni. A quel punto però la commissione medica del torneo ha cambiato le regole, ventiquattro ore prima della partita, imponendo cinque giorni di quarantena dopo un test positivo, lasciando di nuovo le Isole Comore senza un portiere vero e proprio.
L’allenatore dei portieri, Jean-Daniel Padovani, ha detto di aver scelto un giocatore che «in allenamento ha dimostrato di poter giocare in porta». Quel giocatore era Chaker Alhadhur, nato a Nantes e cresciuto nel Nantes da quando aveva sei anni, attualmente in Ligue 2, in panchina, all’Ajaccio. Alhadhur è tornato lo scorso maggio da un infortunio ai legamenti crociati, ha giocato le qualificazioni e, prima della partita con il Camerun, non aveva disputato neanche un minuto di Coppa d’Africa. Si è presentato in campo con una maglia numero 16 su cui ha sovrapposto, con uno scotch azzurrino che si vedeva appena, il suo numero 3. Mi pare avesse anche uno strano sorriso sulle labbra, divertito dalla situazione assurda e un po’ imbarazzato dal ruolo di protagonista che, suo malgrado, gli era capitato. In fondo era pur sempre un’occasione di giocare un ottavo di finale importante, o no?
Come sempre alla commedia si mescola la tragedia e sulla partita tra Camerun e Comore è calata un’atmosfera oscura quando una calca di persone senza biglietto ai cancelli dello stadio Olembe ha causato otto morti. E così quando il Camerun è sceso in campo ci si chiedeva senza gioia con quanti gol avrebbe vinto, e se il capitano Vincent Aboubakar sarebbe riuscito ad eguagliare o superare il record di Samuel Eto’o di 6 gol in una Coppa d’Africa. Ci si sarebbe aspettati una partita triste, senza storia. Un’ingiustizia, appunto. Non avevamo fatto i conti con lo spirito di quella piccola squadra figlia della diaspora comoriana, con il coraggio di quella piccola Nazionale il cui soprannome - i Celacanti - è ispirato a un pesce preistorico che si credeva estinto e ovviamente è in via di estinzione, un pesce blu elettrico che pare dipinto da Matisse, pesa ottanta chili ed è lungo due metri, e che può dividere completamente la parte superiore del cranio da quella inferiore per ingoiare prede più grandi della sua stessa bocca.
Tutto normale per Chaker Alhadhur.
Dopo aver perso la partita d’esordio con il Gabon (0-1 con il 63% del possesso palla) Amir Abdou ha ricordato che non erano venuti tanto per fare presenza e nonostante avesse davanti due partite difficili con Marocco e Ghana conservava la speranza di raggiungere gli ottavi: «Adoriamo giocare contro le grandi squadre. Ci sentiamo più a nostro agio». Contro il Ghana sono andati sul 2-0, facendosi recuperare con l’uomo in più fino al 2-2 e segnando il 3-2 a cinque minuti dalla fine. Un mezzo miracolo, ma contro il Camerun ne sarebbe servito uno intero. Dopo sei minuti, invece, sono rimasti in dieci per l’espulsione diretta di Nadjim Abdou. Un fallo da dietro ingenuo, quasi certamente involontario, ma che in effetti vedendolo al replay poteva costare la caviglia all’esterno del Camerun Ngamelu. Quindi: ottantaquattro minuti in dieci contro undici, con il terzino sinistro di riserva tra i pali, contro il capocannoniere del torneo, Toko-Ekambi e Choupo-Moting.
Non servirebbe a niente raccontarvi una favola che già sapete essere finita male. La partita l’ha vinta il Camerun (2-1) e le Isole Comore a parte protestare con l’arbitro a fine primo tempo (per l’espulsione) e anche alla fine del secondo (perché ha fischiato la fine senza lasciar giocare l’ultima azione in cui stavano attaccando), con il servizio di sicurezza che senza una vera ragione ha formato una specie di cordone umano a sua protezione, non ha potuto fare molto. Però c’è stata della magia. I primi tiri del Camerun sono andati fuori da soli e per un attimo si poteva pensare che non sarebbero riusciti a segnare mai. Uno di Toko-Ekambi, da dentro l’area di rigore, è finito alla base del palo e sembrava quasi che a cambiare la direzione del pallone sia stato lo sguardo di Chaker Alhadhur. Peccato non sia riuscito a deviare con gli occhi anche il tiro lento e pieno di vergogna con cui Toko-Ekambi, che ha calciato all’angolino come se in porta ci fosse un bambino piccolo, ha portato in vantaggio il Camerun.
Le Isole Comore ci hanno tenuto a mostrare il proprio desiderio di andare avanti, sono andate vicino al pareggio già nel primo tempo e anche dopo il 2-0 di Aboubakar - su cui Alhadhur ha fatto una figura un po’ pietosa, mettendo le mani dietro la schiena come se si fosse momentanetamente dimenticato di essere il portiere della sua squadra, poi sdraiandosi a terra mentre l’attaccante gli correva incontro, lasciandogli quasi la porta vuota per calciare - hanno accorciato le distanze con una punizione bellissima di Youssouf M'Changama, il gol più bello del torneo, finora, con la palla che percorre senza girare, come se fosse attaccata a un filo invisibile, i quaranta e più metri che separavano il punto di battuta e la porta. Le Isole Comore, come tutti i grandi competitori, si rifiutavano di perdere. E davvero non si poteva chiedere loro di più.
Anche Chaker Alhadhur ha avuto il suo momento di gloria. Dopo aver respinto con le gambe un colpo di testa ravvicinato, ha compiuto una doppia parata francamente difficile da credere. Nel stessa porta in cui Onana aveva parato un tiro secco e angolato scendendo a terra alla velocità della luce, e poi con il piede il tiro successivo alla respinta, con gli stessi angoli di Onana, Chaker Alhadhur ha parato un primo tiro di Aboubakar allungandosi lentamente al suolo e deviandolo con la mano di richiamo, piano piano, e poi - guidato da qualche forza invisibile, da uno spirito che protegge i portieri in difficoltà, forse - si è tuffato dentro la propria porta per parare anche la botta a colpo sicuro di Ngamaleu. Bakari, suo compagno di squadra, ha esultato dandogli una botta col petto, ridendo incredulo.
A fine partita, Chaker Alhadhur era felice. «Siamo usciti con dignità, a testa alta, dalla competizione», ha detto. Padovani lo ha abbracciato, Onana gli ha fatto i complimenti. Mentre Samuel Eto’o, da una decina di giorni Presidente della Federazione Camerunense, si alzava in tribuna con una faccia tirata, i giocatori delle Isole Comore sembravano sereni. Se non avessimo visto niente della partita e avessimo dovuto capire chi aveva vinto solo guardando le loro facce credo che avremmo detto che a vincere erano stati loro. E forse hanno fatto qualcosa in più di una partita solamente dignitosa.
L’autore americano Matt Taibbi, in un articolo di una decina di anni fa, sosteneva che lo sport, sostanzialmente, ci vende delusioni, che il suo core business fossero le sconfitte. Eppure ne abbiamo bisogno. «E perché ne hai bisogno?», si chiedeva. «Perché più acuto è il dolore, più intenso è il tuo desiderio di una tregua anche temporanea». Partite come quella giocata dalle Isole Comore ci danno quella tregua di cui parla Matt Taibbi. Una tregua che, in questo caso, consiste nello sperare, nel riuscire a immaginare un avvenimento quasi impossibile, come quello di una squadra esordiente che riesce a recuperare una partita contro la squadra favorita anche con l’uomo in meno e in porta un terzino. Certe sconfitte, cioè, hanno davvero il sapore di una vittoria.