Ad Appiano Gentile, più comunemente noto come “La Pinetina”, il centro sportivo dove l’Inter si allena e prepara la squadra per le partite, ci sono anche dei dormitori. L’immaginario comune ci obbliga a pensare che i calciatori non possano vivere in dei dormitori, impossibilitati a rinunciare agli sfarzi conseguenti alla retorica del riscatto, che vivano tutti nel Bosco Verticale o nell’attico Libeskind. Eppure, se in questi giorni, verso sera, guardassimo l’edificio che ospita i dormitori, potremmo vedere una finestra animata da una luce flebile, e dietro il vetro appannato potremmo vedere un ragazzo piangere guardando l’orizzonte. Quel ragazzo vive lì da quest’estate.
Avrebbe voluto vivere anche lui negli attici progettati da Libeskind, festeggiare con amici ogni successo personale e di squadra, ma le cose sono andate diversamente dal previsto e circondarsi di benessere materiale non ha senso se, dentro di te, di benessere non ce n’è neanche l’ombra. Guardando con attenzione potremmo riconoscere gli occhi spenti di quel ragazzo, e ricordarci di quando ci è stato presentato in un video promozionale in cui palleggiava sulla luna indossando la maglia dell’Inter, con la promessa che avrebbe spaccato il calcio italiano. E invece Gabriel Barbosa Almeida, arrivato a Milano col soprannome di “Gabigol”, gioca pochissimo e sotto i suoi post su Facebook i tifosi si chiedono se davvero, Barbosa, è solo un brocco o un altro Coutinho. Gabigol passa le serate affacciato alla finestra, ascoltando sempre le stesse canzoni, con la morte nel cuore.
Questa qui sotto è la playlist di Gabigol chiamata “Milano”, che potete ascoltare anche sul suo account Spotify.
Niente di Strano — Giorgio Poi
Questa è la canzone in cui Gabriel si rivede di più. Praticamente in ogni frase ritrova un preciso momento della sua carriera. In particolare, gli torna in mente il momento in cui Frank De Boer gli ha comunicato che non sarebbe stato più l’allenatore dell’Inter.
«Hai detto prendo tutto e vado via, con quel tipo che puzza di naftalina», gli avrebbe rinfacciato Gabriel affranto e fin da subito non troppo convinto della scelta di Pioli “messo in naftalina” dopo l’addio alla Lazio. «Ma non è vero che non era importante, ma non è vero che doveva andare così, due occhi come il cemento servono a dire che è soltanto colpa mia». L’attaccante vede davanti lo sguardo di Frank de Boer: “due occhi come il cemento”. Chi non è abituato a questa durezza potrebbero sembrare quasi un rimprovero.
Gabriel arriva a pensare che, nonostante tutte le promesse, a Frank di lui non gliene fregasse niente. Quella che poteva essere una festa si è rivelata il più triste dei funerali. «Ma quanto è dura la strada che porta da Milano al Paradiso»: tanto Gabriel, tanto.
Milano — Calcutta
La cittadina che lo ospita è uno dei problemi di Gabigol. Stare così fuori porta (Appiano-Milano sono 39 minuti) non aiuta a vivere ciò che la capitale lombarda può offrire. Come Calcutta, Gabigol sente che ci sono giorni in cui vorrebbe abbandonare tutto, che questo mondo non faccia davvero per lui (dormire); altri invece in cui il campo può ancora essere la sua tela, dove mostrare le sue skills e la sua arte (disegnare); ma soprattutto giorni in cui sente che il suo imminente futuro è per forza di cose in Brasile (tornare).
I dormitori di Appiano, freddi e pieni di malinconia, ricordano davvero un ospedale. Per Gabigol Appiano Gentile è tutta la Milano che conosce, per quanto tecnicamente il comune sia in provincia di Como, per cui quando Calcutta nel ritornello strilla “Milano è un ospedale e io stasera torno giù e ritorno a respirare” c’è tutto lo struggle interno di Gabriel, che non sa cosa fare, se turarsi il naso e resistere o tornare in Brasile, amato e benvoluto da tutti, a insegnare calcio e far urlare la gente sugli spalti.
Il finale amaro, nel quale si ripete all’infinito “non ci riesco più”, è forse un’indicazione da cogliere su come potrebbero andare le cose nei prossimi mesi.
My Name Is - Eminem
In qualsiasi momento di profonda crisi ciascuno di noi incastra nelle proprie playlist il pezzo up, quello che serve a farci riprendere. Nella vita di Gabriel ci sarà sempre un velo di malinconia e un pezzo up non è un pezzo davvero up, è più un pezzo motivazionale.
Quanto ha inciso sulle nostre aspettative il fatto che Gabriel Barbosa portasse il nome, forgiato tra i fumi della leggenda, di “Gabigol”? Senza questo nome mitologico avremmo un approccio più laico nei suoi confronti? La sua presentazione a Milano avrebbe avuto delle note minori rispetto a quelle altisonanti che lo hanno circondato?
In Gabigol è in atto una grossa guerra interiore tra chi vorrebbe scollarsi di dosso ogni etichetta e chi sa che, nel migliore dei momenti, sembrare forte - senza che peraltro nessuno lo abbia visto giocare abbastanza per poterlo oggettivamente smentire - rappresenta in fondo ancora il suo migliore punto di forza.
Davanti allo specchio, dunque, Gabi non sa scegliere: rinunciare definitivamente al suo nome e scegliere il nome classico Gabriel aka Eminem, portare avanti il proprio alter-ego vincente Gabigol o scegliere la terza via?
Sul Serio — Rkomi
“La mia missione è illuminarmi fino a illuminarti, come fecero con Neo quand’era come gli altri”. Il nome Gabigol, narra la leggenda, deriva dal fatto che, nelle giovanili del Santos, Gabriel segnò 200 gol, secondo alcune fonti, addirittura 400 secondo altre. In pratica, davanti a una serie di ragazzini potenzialmente come lui, Gabriel si ritrovò a essere Neo, l’eletto.
Quando si iniziò a parlare di Gabigol in ottica Inter, Rkomi stava lanciando la sua carriera all’interno di una scena in cui tutti erano già affermati e lui doveva dimostrare tutto il suo valore, un po’ come Gabriel. Entrambi vivono un po’ fuori mano, in un quartiere dormitorio.
Quando Rkomi si lascia andare: “Scusa per il ritardo ero a cercare me stesso”, Gabigol si riaffaccia alla finestra del dormitorio alla Pinetina e pensa che forse quei campi non sono così male, che il clima tutto sommato è vivibile, se non altro il freddo lo tiene sveglio, che domani sul campo di allenamento dimostrerà quanto vale, anche se con un po’ di ritardo.
Ci sono anch’io - 883
Tutta la confusione di Gabigol in un’unica traccia. Mentre la ascolta riesce a porsi domande più profonde del “è colpa mia” o “è colpa tua”. La verità spesso è nel mezzo e con Max Pezzali Gabigol diventa profondo, capisce la complessità del mondo. Il ritornello è un duro destro in faccia, di quelli formativi però che tempo dopo ricorderai col sorriso: “Non so se è soltanto fantasia o se è solo una follia, quella stella lontana laggiù, però io la seguo e anche se so che non la raggiungerò potrò dire ci sono anche io”.
Come mi vedi — CoCo
“A nessuno importa come sei davvero, sanno soltanto dirti che non sei come vorrebbero”. È stata questa frase a fare breccia nel cuore di Gabigol, lui che da sempre si è sentito etichettato come il nuovo Neymar, il nuovo Adriano, il nuovo Ganso e una volta arrivato alla Pinetina nessuno sapeva cosa ci fosse davvero sotto quel velo di etichette.
“Questa è la vita che ho scelto, ma non vuol dire che mento” è un’altra frase importante: lanciato nel mondo professionistico europeo molto giovane, e spinto anche perché giovane, a un certo punto Gabriel ha iniziato a chiedersi se fosse davvero forte, o fosse forte solo rispetto agli altri giovani che non ce l’hanno fatta. “Mentire a se stessi per farsi accettare, ma non accettarsi”. Gabriel non sa se giocare a calcio è il suo destino: se non è felice giocando, per chi lo sta facendo?
Infine c’è un urlo disperato a Pioli, per chiarirsi definitivamente le idee, anche a costo di farsi del male: “Dimmi come mi vedi, sai che non mi nascondo”. Per Pioli non è ancora pronto, e intanto Gabigol soffre.