
Lungi dal regalarci soltanto la celebrazione del Grande Calcio, con intensi momenti di psicodramma, rivalse epiche, delusioni cocenti o trionfi gloriosi, ogni pausa per le Nazionali è anche - e soprattutto - un fantastico momento di sublimazione della biodiversità calcistica mondiale. Per una gara al vertice nel girone di Qualificazione Mondiale, sliding door di interi cicli progettuali e generazioni di calciatori, specie giunti a questo punto di climax emotivo, in qualche angolo recondito del mondo va in scena una partita la cui significatività oscilla tra il nonsense e l’inutile-con-sfumature-di-grottesco.
A un Serbia-Portogallo deciso al 90’, che spinge Cristiano Ronaldo un pezzettino più lontano dal Qatar ed eleva allo status di santo ortodosso Mitrovic, fa da contraltare un pareggio strappato a fatica dallo stesso Qatar (che per partecipare al suo Mondiale non dovrà fare nessun playoff) a Baku con l’Azerbaijan; per un’Italia che non riesce a vincere a Belfast, e si vede destinata al purgatorio dei play-off, c’è un exploit delle Isole Comore contro la Sierra Leone in uno stadio di Sapanca, a metà strada tra Istanbul e Smirne. E poi: gesti tecnici abbacinanti di giovanotti che non vedremo giocare al Mondiale, almeno non questa volta, e un po’ ci dispiace.
Gavin Bazunu, portiere dell’Irlanda, era salito già alla ribalta per aver parato un rigore a CR7. Lo vedremo mai a un Mondiale?
Se i riflettori in questi giorni sono rimasti puntati sulle squadre di vertice, quelle che si sono guadagnate il pass per il prossimo Mondiale e quelle che invece hanno visto sfuggire o ritardare il loro obiettivo, esiste un calcio che è venuto a patti con il fatto che non solo non si è qualificato per Qatar 2022, ma che a un Mondiale probabilmente non ci andrà mai, neppure se cominciassimo davvero a disputarlo ogni due anni. È di loro che parlerò di seguito.
Però: vuoi mettere il fascino della Prime Minister Mahinda Rajapaksa Cup?
Percy Mahinda Rajapaksa (stando a Wikipedia, comunemente conosciuto come Mahinda Rajapaksa) è il Primo Ministro dello Sri Lanka. Se vi state chiedendo cosa accomuni Maldive, Seychelles, Bangladesh e Sri Lanka, oltre al rischio concreto di scomparire più o meno presto dalla faccia della Terra per via del cambiamento climatico, oltre al fatto di starsene appollaiate come un atollo al centro dell’Oceano nelle ultime 50 posizioni del Ranking FIFA, oltre al fatto di aver detto addio al Sogno Del Mondiale già da un pezzo (le Seychelles - che appartengono alla CAF - già dal 2019, le asiatiche da Giugno: Bangladesh ultimo nel suo girone, Sri Lanka penultimo ma perché la Corea del Nord si è ritirata, Maldive penultime ma perché insomma, c’era Guam), beh: c’è che in questa finestra internazionale si stanno giocando, agguerritissime, la Prime Minister Mahinda Rajapaksa Cup, un trofeo intitolato a Percy Mahinda Rajapaksa aka Mahinda Rajapaksa.
Il grimaldello che ci ha permesso di scardinare lo scrigno prezioso di questo torneo, forse un tantinello autocelebrativo, bisogna ammetterlo, è Francesco Moriero, che ha da poco assunto il timone della Nazionale Maldiviana. Se non ci fosse stato lui ci saremmo interessati mai a Maldive-Sri Lanka? Probabilmente no. Diciamo che Moriero è stato per noi un po’ quello che la storiella dei principi di Serendippo è stata per Horacio Walpole (peraltro Serendippo è il nome persiano dello Sri Lanka): ci ha regalato una serendipità, nel senso di fortunata scoperta inaspettata.
L’esordio di Moriero è stato piuttosto pirotecnico: le sue Maldive, guidate dal maturo capitano Ali Ashfaq, un uomo con una barba spaziale e record altisonanti, a fine primo tempo vincevano 3-0. Il quarto gol, proprio di Ashfaq al termine di un’azione travolgente come uno tsunami, avrebbe dovuto mettere il sigillo a una vittoria che sarebbe comunque stata direttamente proporzionale all’appeal della divisa di rappresentanza delle Maldive, vale a dire eclatante. E invece, a rovinare la festa, è arrivato Ahmed Waseem Razeek.
Razeek è nato a Berlino, ventisette anni fa. Si è formato calcisticamente nelle varie società minori della città (TeBe, Tasmania) fino ad approdare all’Union, con i quali ha fatto l’esordio tra i professionisti nella stagione 2013-14, in 2.Bundesliga. I risultati migliori li ha ottenuti con la maglia del Magdeburgo, in terza serie, a cavallo dei suoi vent’anni. Poi, vedendo il tempo scorrere, abbandonando gradualmente il sogno di far parte in qualche modo di una delle massimamente inclusive selezioni tedesche, dentro di sé deve essere cresciuto l’amore per la patria d’origine che lo ha portato dapprima ad accettare la convocazione nella nazionale dello Sri Lanka e poi a trasferirsi sull’isola, dove oggi gioca per gli Up Country Lions.
Con la maglia della Nazionale conta 12 presenze e 8 gol, di cui quattro segnati appunto alle Maldive. Gol che non ci dicono molto su Razeek, se non che si tratta di un calciatore con un’esperienza visibilmente superiore a quella degli avversari: conclusione potente e rabbiosa, conclusione di giustezza in scivolata, girata improvvisa come un tifone dal centro dell’area, risolutezza in mischia (e dovremmo aggiungere il trick circense con cui ha aperto le marcature contro il Bangladesh, partita in cui ha segnato una doppietta). A risaltare è stato, piuttosto, Dillon Da Silva, il numero 10, autore di 3 assist: il secondo, un no-look preciso dopo aver arpionato il pallone e aver compiuto una ruleta à la Zidane, delizioso come un boccone di aasmi.
Dillon ha 19 anni, gioca con le giovanili del QPR, e ci ricorda come dietro a una serendipità ce n’è sempre un’altra, o multiple di altra.
Santo, Santo, Santo è il Signore.
Ok, il Vaticano non è ufficialmente riconosciuto da un punto di vista calcistico, e quindi qua c’entra poco o niente, ma nella prima giornata della Coppa Vaticana 2021 credo possa interessarvi sapere che i Santos (!) hanno vinto 3-1 contro Farmacia grazie a un gol, anche, di Santo (!!) Morabito. Effettivamente Santo che segna per i Santos nella Coppa Vaticana un sorriso lo strappa, dài.
Benin (ma non benissimo)
Chissà che la Repubblica Democratica del Congo non possa essere in assoluto la protagonista negativa di questo rush finale verso l’ultimissima fase delle qualificazioni africane, quella cioè in cui le dieci capoliste dei gironi si affronteranno in doppia gara per decretare le cinque rappresentanti continentali in Qatar.
Per provare a qualificarsi la RD Congo, che ultimamente ha sempre puntato su allenatori autoctoni (nel quinquennio sotto la guida di Florent Ibengé, in effetti, è cresciuta molto pur non riuscendo a qualificarsi per Russia 2018, né a raccogliere risultati all’altezza delle aspettative in Coppa d’Africa), ha deciso di affidarsi a Héctor Cuper. “El hombre vertical” ha iniziato un po’ in sordina, pareggiando con Tanzania e Benin, poi si è complicato la vita raccogliendo solo 3 punti nella doppia sfida con Madagascar a Ottobre. Il Benin ha messo la freccia, e nello scontro diretto, all’ultima giornata, la RD Congo era costretta a vincere. L’ha fatto, per carità, però con un piccolo vizio di forma che potrebbe compromettere la qualificazione. Cuper, infatti, ha effettuato quattro sostituzioni in quattro slot differenti, mentre il regolamento prevede sì fino a 5 sostituzioni, ma in 3 slot soltanto.
Sarebbe davvero paradossale se i congolesi perdessero l’opportunità - l’ennesima - di giocarsi la qualificazione solo per colpa di un cavillo burocratico. Il Ghana, per esempio, si è qualificato a scapito del Sudafrica grazie a questo rigore che ogni VAR del mondo, probabilmente, avrebbe annullato.
Nelle Qualificazioni ai Mondiali africane il VAR però non c’è. In compenso ci sono un sacco di burocrati pronti a presentare fogli in carta bollata: Sudafrica e Benin hanno presentato ricorso, vedremo come andrà finire e in ogni caso è pacifico che situazioni del genere, nella CAF, rischiano di trasformarsi in uno Squid Game in cui vince chi ha l’avvocato con più tenebre nel cuore.
Se cullate il sogno di vedere Cuper, Cédric Bakambu, Yannick Bolasie e soprattutto Dieumerci Mbokani in Qatar, allora è il caso che tifiate per un po’ di sana ignavia della CAF (che sembra fare orecchie da mercante, per il momento). Se invece siete giustizialisti, ligi ai regolamenti, un po’ genere semenzario simmetrico e orologio svizzero, per dirla con Cortázar, la vostra scelta dovrebbe essere il Benin. Certo, l’ipotesi di un clamoroso comeback di Stéphane Sèssegnon, dopo due anni, per guidare da capitano gli Scoiattoli in Qatar e scatenare il delirio per le vie di Cotonou è davvero allettante, eh.
La festa (mancata) di Pablo
In uno spettrale Estadio de Malabo completamente deserto la Guinea Equatoriale ha fatto il massimo che poteva: a una manciata di minuti dalla fine è riuscita a segnare un gol con il quale ha sconfitto la Tunisia, raggiungendola in testa alla classifica con ancora un match da giocare.
A quel punto non serviva che sperare che la Tunisia non vincesse contro lo Zambia, e poi bisognava vincere in Mauritania.
Purtroppo non si è verificata neppure una delle due condizioni.
Dico purtroppo perché nella Guinea Equatoriale avevo degli interessi personali. Mi preme molto ringraziare, quindi, Pablo Ganet, non foss’altro che per averci regalato questo ciuffo di speranze. Dopotutto, in quanto azionista del Real Murcia (come sicuramente anche qualcuno che leggerà, immagino), Pablo Ganet lo sento davvero un po’ mio, quindi Pablo: sono davvero orgoglioso di te, mi dispiace, è andata così, torna presto, te esperamos.
La maglia indossata da San Marino contro l’Inghilterra è la miglior maglia vista in campo in questa finestra internazionale?
Probabilmente sì. Anche se magari meritava una serata migliore.
(In ogni caso sembra che per occupare l’ultima posizione del ranking FIFA avere una maglia cool sia tipo una conditiosinequanon)(Ah: ne hanno messe in vendita solo 90, sullo shop online della Federazione: ovviamente sono andate a ruba).
La next big thing del calcio seychellois
Ok, l’avevo già detto che sono andato in fissa per la Prime Minister Mahinda Rajapaksa Cup? Vi starete chiedendo: al punto di guardarti pure Bangladesh - Seychelles? Già.
Ero lì che mi guardavo Bangladesh-Seychelles e sono rimasto colpito da un giocatore, per il quale sembra calzare a pennello la frase che recita Bradley Cooper in The place beyond the pines quando dice «se corri come un fulmine poi ti schianti come un tuono». Si chiama Dean Mothé, è il numero dieci di Seychelles, è un classe 2000 ed ha fatto irruzione così:
Da qui in poi, il gesto di guardare ogni sua azione comunica in nuce una frenesia pazzesca, una joie de vivre che quasi ti mette l’ansia, senti mancarti il respiro.
Mi sono detto: vedi che questo pezzo non avrà nessun senso, se non riuscirai a intervistare Mothé. Perché poi mi sono venute in mente un sacco di curiosità, che avrei potuto chiedergli: quali siano le sue aspirazioni, per esempio. I suoi punti di riferimento. Cosa si prova nel periodo che intercorre tra una sconfitta che mette fine a un percorso di qualificazione e la prossima occasione di riscatto. Ci si annoia? È frustrante? Le Seychelles sono fuori dal discorso qualificazione ai Mondiali dal 2019. Hanno perso la doppia sfida preliminare con il Ruanda. Di lì in poi solo amichevoli. In una di queste, hanno perso 8-1 contro il Burundi, la sconfitta peggiore della loro storia: Mothé era in campo, anzi, ha pure segnato un autogol, l’ottavo. Cosa si prova?
Lui dice di essere diventato «a great football player». Alle domande, nonostante mi abbia promesso di farlo, non ha ancora risposto. Sabato si gioca la finale della Prime Minister Mahinda Rajapaksa Cup, contro i padroni di casa dello Sri Lanka. Faccio il tifo per lui, anche se invece di rispondermi pubblica reels su trattamenti alla cera di autosaloni seiscellesi. Comunque vi aggiorno.
Il più forte calciatore boliviano
Secondo una fallacia classica piuttosto diffusa, si dice sia lui, il fantasma dell’altura, il più forte calciatore boliviano. E in parte è vero. Nell’attuale Verde, però, non dovremmo mai dimenticarlo, ci sono anche Marcelo Martins Moreno, un gol e un rigore sbagliato nello sfavillante 3-0 che la Bolivia ha inflitto all’Uruguay, 9 reti in totale in tutto il girone CONMEBOL. E poi Juan Carlos Arce, omonimo del Presidente andino, quel tipo di calciatore che l’aria rarefatta dei tremilaseicentoespicci metri di altitudine di La Paz fa sembrare sempre qualcosa a metà strada tra un Riquelme coi polmoni di Schweinsteiger e un’allucinazione da eccessivo masticamento di foglie di cocaina.
Arce, con l’Uruguay, ha segnato una doppietta (sempre che il primo gol non vogliamo assegnarlo a Muslera), e di fatto è l’unico boliviano che in Qatar già c’è stato (14 anni fa firmò per l’Al-Arabi, anche se non scese mai in campo). Difficilmente tornerà a salutare gli amici, anche se il girone sudamericano, come sempre, è pronto per trasformarsi nelle ultime quattro partite in un Bagno Di Sangue. La Bolivia ospiterà, tra gennaio e marzo, Cile e Brasile in altura. E poi Venezuela, abbordabile, e Colombia in trasferta. Alla fine, è a soli due punti dal quarto posto.
Staremo a vedere.
Che fai? Sali sul carro dell’hype? Sali?
Enes Sali ha quindici anni. È nato in Canada, suo padre è turco e ieri ha esordito con la maglia della Nazionale rumena a quindici anni.
Nel 2026 Enes avrà venti anni. Sarebbe potuto essere il wunderkind del Canada padrone di casa, e invece ha deciso di omaggiare così l’interesse e l’impegno che la Romania sta mettendo nel suo sviluppo calcistico, a partire da Hagi e dal suo Farul Constanta scegliendo di vestire la maglia della repubblica dei Carpazi. Riusciremo a vederlo in un Mondiale prima di quanto ci sia stato possibile farlo con Gica?
Siamo tutti guerrieri nella battaglia della Vita, ma alcuni conducono, altri seguono
È una frase di Khalil Gibran, bella no? Gibran emigrò negli Stati Uniti quando aveva soltanto dodici anni. Felix e Robert Alexander Michel Melk, invece, da immigrati di seconda generazione sono nati in Svezia nei primi anni ‘90, a distanza di due anni l’uno dall’altro. Figli di madre svedese e di padre siriaco - da non confondere con siriano, qui se volete maggiori informazioni a riguardo - hanno seguito le orme del padre, calciatore negli anni ‘80 per il Syrianska, squadra fondata dalla comunità siriaco-aramaica di Stoccolma che nel 2010 riuscì addirittura a essere promossa nella prima serie.
Robert, il più grande, ha anche fatto la trafila delle Nazionali svedesi giovanili, accumulando 4 presenze nell’U21. Poi, nel novembre del 2018, dopo aver acquisito la nazionalità libanese, ha esordito con la Nazionale dei Cedri portandosi dietro anche il fratello Felix, onesta carriera da mestierante in Svezia con una puntatina in Turchia, e una in Norvegia.
In questa finestra per le Nazionali, quindi, i due fratelli hanno festeggiato l’anniversario del loro esordio: tanti auguri. Che potessero trovarsi a lottare per un posto al Mondiale, però, francamente non se lo aspettavano neppure loro. Il Libano, infatti, occupa attualmente il quarto posto del suo girone, dominato da Iran e Corea del Sud, staccato di un solo punto dagli Emirati Arabi Uniti: il terzo posto significherebbe, in proiezione, giocarsi al play-off la possibilità di accedere allo spareggio interzonale con la quarta Centroamericana. Ci avranno fatto un pensierino, i Michel Melki? Secondo me sì.
Insieme compongono la coppia difensiva centrale del Libano allenato da Hasek, ex gloria della Cecoslovacchia, e tengono, alla fine della fiera, piuttosto bene. Contro l’Iran hanno resistito finché hanno potuto: le reti del pareggio di Azmoun, e quella della beffarda vittoria di Nourollahi, sono arrivate entrambe dopo il 90’. Anche con gli Emirati Arabi sono riusciti a non sfaldarsi fino all’84’, quando è stato accordato un rigore generoso agli emiratini per un fallo in gioco pericoloso su Sebastian Tagliabue (si pronuncia Ta-GH-Lia-Bue come Ta-GH-Lia-Fico, è argentino, naturalizzato).
Qua gli ultimi convulsi minuti di Iran-Libano. I fratelli Michel Melki sono, rispettivamente, il numero 12 (Robert) e il numero 13 (Felix). È importante tenerlo a mente. In linea con l’immaginario collettivo, i fratelli Michel Melki sono uniti da un sottile filo rosso, da quella molecola della fratellanza che ti fa cadere allo stesso momento, o fare lo stesso movimento, o incazzare nella stessa maniera. Un incantesimo che si spezza solo quando l’errore di uno mette in difficoltà l’altro, come nel gol di Azmoun. Guardateli, come reagiscono: vi sembrano ancora fratelli?
Michail Antonio è uno Juggernaut.
Michail Antonio è quel tipo di calciatore la cui percezione oscilla, da almeno un lustro, pericolosamente in bilico tra Grande Mito Incompreso e Tremenda Pippa Sopravvalutata.
La stagione in corso, la sua sesta al West Ham, dove ha visto passare dozzine e dozzine di attaccanti che avrebbero dovuto prendere il suo posto, sta facendo pendere l’ago della bilancia verso il GMI (Grande Mito Incompreso, per l'appunto): ha già segnato 7 gol (più 4 assist) e con 52 reti ha superato Paolo Di Canio in cima alla classifica dei massimi cannonieri degli Hammers, e anche personalmente ha deciso di togliersi una soddisfazione giocando per una Nazionale. Dopo essere andato vicino all’esordio con l’Inghilterra (convocato nel 2016 da Allardyce, rimase in panchina; convocato quest’estate da Southgate, non ha potuto rispondere alla convocazione per un infortunio al ginocchio), ha scelto di essere un Reggae Boy.
Questo è il primo gol segnato con la maglia della Giamaica:
Cose che mi fanno impazzire:
- la difesa, col corpo, del rimbalzo: il numero 3 di El Salvador va fuori fase come uno che guardava l’iPhone mentre camminava e ha preso un palo della luce in pieno;
- la maniera in cui si accartoccia su se stesso, prendendo una posa aerodinamica, un toro di 95 chili che si prepara a caricare;
- l’eleganza sopraffina con cui controlla il pallone, uno, due, tre tocchi in corsa, sempre d’esterno sinistro;
- i movimenti con cui ipnotizza il numero 5;
- lo scavetto, delizioso, con cui supera il portiere avversario;
- il fatto che si carichi in spalla, durante l’esultanza, non uno, ma DUE compagni.
Una manciata di giorni dopo, in casa, contro gli Stati Uniti, ha segnato il secondo gol con la maglia della Giamaica. Stavolta fa tutto con il destro: addomestica con l’esterno, si gira, con due tocchi in rapida successione si allunga tantissimo il pallone. Ci si aspetta rientri con il sinistro, e invece no, sposta il corpo con la leggerezza con cui i maori spostavano moai colossali a Rapa Nui, con l’esterno del piede destro si aggiusta il pallone prima di scaricare questo colpo di mortaio.
Michail Antonio says I’ve got something for you. Golazo, bombazo. Booom.
Michail, sei un’intera autobotte di petrolio in fiamme.
Facci un favore, portaci la Giamaica in Qatar.
Faccene uno più grande: portaci te, in Qatar.