
Il 18 marzo la PTPA, acronimo di Professional Tennis Players Association, ha deciso di andare in tribunale contro praticamente tutte le associazioni principali del tennis come WTA, ATP, ITF e persino l’ITIA, già protagonista del caso Clostebol per il numero uno del mondo Jannik Sinner. L’accusa essenzialmente è quella di formare un “cartello” (sic), impegnato a raccogliere i proventi generati dai tennisti stessi ma che è al contempo incapace di difendere i loro veri interessi. Tra gli accusati mancano i quattro Slam e le rispettive associazioni che li guidano, anche se nel corso del lungo documento (163 pagine) depositato a una corte di New York vengono citati come “co-cospiratori”.
COS’È LA PTPA
Prima di passare a chi ha deciso di mettere il suo nome tra i proponenti di questa causa è giusto parlare un po’ della PTPA. Fondata da Novak Djokovic e Vasek Pospisil, che già nel 2019 avevano iniziato a discutere della faccenda, la PTPA nasce in un momento particolare, ovvero la pandemia di COVID-19. La foto ufficiale che attesta la sua fondazione è a sua modo iconica, con Djokovic e altri tennisti su uno dei campi dello US Open, e tra questi alcuni volti noti come Hubert Hurkacz, John Isner e Diego Schwartzman. In quello US Open, disputato nella “bolla” senza spettatori, Djokovic verrà squalificato per la famosa pallata involontaria alla giudice di linea.

La PTPA nasce con l’obiettivo di tutelare i diritti dei tennisti e non con la volontà di soppiantare l’ATP, tant’è che nell’annuncio stesso Djokovic parla della prima associazione per soli giocatori dal 1972. Un sindacato che effettivamente manca nel mondo del tennis. Oggi lo sport è in una bizzarra situazione per cui tornei, tennisti e altre componenti sono uniti in un moloch unico che non può effettivamente riuscire a seguire in modo corretto tutte le istanze. Nel 2020 la PTPA era partita con una campagna imponente, ma poi si fa notare poco. Qualche annuncio di giocatori che entrano nel suo consiglio, come i già citati Hurkacz, Isner e Djokovic e tenniste come Jabeur e Badosa, e polemiche sparsa qua e là, affidata alla bocca di Djokovic o di Ahmed Nassar, direttore esecutivo della PTPA dal 2022 e con un passato da sindacalista negli sport americani.
CHI HA FATTO CAUSA (NON DJOKOVIC)
E già qui iniziano gli aspetti strani della recente causa. Solo due tra i membri del “consiglio” sono citati tra i proponenti dell’accusa, Vasek Pospisil e la tennista cinese Saisai Zhang, che però al momento è a stento dentro la classifica WTA. Come è stato fatto notare da qualcuno, la lista dei proponenti è una nightmare blunt rotation, passiamo da nomi come il portabandiera dell’ultradestra tennistica Tennys Sandgren, passando da Opelka (per cui, ricordiamo, tennis e politica non dovevano mischiarsi) al qualunquista Nick Kyrgios, fino all’inclusione di Sorana Cirstea, sotto l’occhio del ciclone per alcune affermazioni su Instagram e fidanzata con il figlio di Ion Tiriac. Tra questi non c’è nessun giocatore di particolare rilevanza (a meno che non vogliate considerare rilevante Kyrgios) e, soprattutto, manca il fondatore Novak Djokovic. Secondo The Athletic il serbo ci ha pensato, ma poi ha preferito non essere incluso «per non rendere una battaglia collettiva una battaglia diretta tra le organizzazioni tennistiche e il suo giocatore più rappresentativo». Una posizione - fosse vera - accettabile ma comunque discutibile, dato che in ogni caso Djokovic finisce dentro il caso, essendo il fondatore e principale promotore della PTPA.
COSA C’È SCRITTO NEL DOCUMENTO
Il documento è scritto in larga parte con un linguaggio piuttosto informale e dentro ci si trova uno strano un miscuglio di istanze che più volte fa perdere il focus della battaglia dei diritti dei tennisti. Chi segue il tennis sa che l’ATP e la WTA sono tutto meno che organizzazioni impeccabili. I temi contestabili sono molti: calendario lungo ed essenzialmente infinito, scelte di marketing curiose, collocazione dei tornei e sostenibilità dei tennisti al di fuori della top150. Eppure la PTPA nei primi dieci punti del documento si concentra su questioni diverse, più vicine alle istanze dei top che a quelle dei tennisti che un sindacato dovrebbe rappresentare. Già dal punto 4 al punto 13 la PTPA lamenta il fatto che, per come è strutturato il ranking ATP, i tennisti siano sfavoriti nel giocare esibizioni e che non possano ricevere punti per le stesse. Un modo secondo la PTPA, che definisce “draconiano” il sistema dei punti”, di costringere i tennisti a giocare solo eventi ATP e WTA e non permettere così la formazione di un tour alternativo, o di tornei che possano rivaleggiare con l’ATP.
Il punto è interessante perché essenzialmente viene rappresentato in una frase: «Le restrizioni del “cartello” non permettono ai giocatori di vendere i propri servizi a compratori che non siano il “cartello” stesso, danneggiando la competizione (tra tornei, nda) o alzando una barriera per la formazione di circuiti o tornei rivali che possano entrare o espandere il mercato». È un punto che torna spesso nel resto del documento, quello del tennista come merce che si vende in un libero mercato. E la PTPA questo vorrebbe, un libero mercato di tornei ed esibizioni in cui i tornei possono “comprare” i tennisti presenti, fuori da basi meritocratiche. Una situazione molto simile a quel casino oggettivo che era il tennis prima dell’era Open, diviso tra esibizioni, tornei professionistici e gli Slam per dilettanti. Più avanti, al punto 168, il documento lamenta il fatto che i tennisti non possano guadagnare punti ATP/WTA dalle esibizioni, ma come si può pensare razionalmente che l’ATP o la WTA possano dare punti a partite create in contesti posticci e arbitrari? Al netto della difesa dei propri interessi, che interesse competitivo può avere dare punti per partite decise a tavolino e in cui il livello di competizione può essere nullo?
L'intervista di Kyrgios sulla causa.
Senza contare che questa visione del libero mercato è valida soltanto per i migliori tennisti del mondo, loro sì in grado di potersi vendere al miglior offerente, ma esclude completamente una larghissima fascia di tennisti a cui questa cosa non riguarda. Una visione estremamente anti-competitiva del tennis e piuttosto elitaristica, che dividerebbe il tour nettamente fra élite e manovalanza. Le esibizioni attraggono interesse proprio perché il tennis esiste in quanto competizione, come si può formare l’aura di un tennista, o banalmente dimostrare il suo valore, se non esiste un contesto competitivo e paritario che lo permetta?
E pensare che in mezzo ci troviamo una critica molto sensata, facendo riferimento al fatto che Larry Ellison, il proprietario di Indian Wells, voleva alzare il prize money del torneo ma è stato ricusato da ATP&WTA, che impongono un tetto massimo per categoria. Come anche il riferimento al divieto di ATP&WTA di sponsorizzazioni che invece gli stessi enti ricevono dai siti di scommesse, con Tennis TV (di proprietà ATP) che ha venduto i diritti dei campi secondari dei 250 ai siti di betting, ma al contempo vieta ai tennisti di farsi sponsorizzare dagli stessi. Chiaramente non è proprio il massimo ricevere sponsorizzazioni del genere e ciò creerebbe anche un problema etico sul far sponsorizzare un tennista da un sito sul quale si può scommettere contro o a suo favore, ma d’altronde è giusto far notare l’ipocrisia dell’ATP sul tema. Più punti sono dedicati all’eccessiva lunghezza della stagione tennistica e al fatto che nonostante ciò l’ATP e gli Slam stiano continuando ad allungare la durata degli stessi.
Più avanti, come nel punto 17, la PTPA fa delle rimostranze sensate sull’invasività del sistema anti-doping e le sue iniquità (ben descritte a Tintoria da Matteo Berrettini) e la gestione dei corpi dei tennisti da parte dei tornei. I giocatori fatti giocare in situazioni di caldo estremo; e poi l’annosa questione delle palline che cambiano da torneo a torneo. Hurkacz viene citato come esempio per l’eccessiva richiesta di “presenza” ai tennisti al punto 197, con il polacco che per aver saltato un torneo 1000 mandatorio come Shanghai per l’infortunio al menisco subito a Wimbledon si è visto decurtato del 25% i suoi bonus. Tra le critiche c’è anche l’assurda regola della WTA di non permettere la presenza di due top10 nello stesso torneo se è di categoria 250, che come citato nel documento non ha permesso a Madison Keys di partecipare al torneo di Austin, privandola del prize money e participation fee che avrebbe ricevuto.
Sono giuste anche le critiche per la divisione dei proventi nel mondo del tennis, che la PTPA stima al 20% del profitto lordo da parte delle organizzazioni principali. Questa causa sarà da seguire anche per questo: ATP e WTA saranno costrette, in tribunale, a rendere trasparenti questioni finanziarie di solito non rivelate pubblicamente. Molte pagine sono dedicate alla storia della lotta dei sindacati sportivi nelle principali leghe mondiali, oltre che a un riassunto della storia delle organizzazioni del “cartello”, ed è da notare come in un documento legale siano sbagliati sia il nome dell’ATP Tour, definito ATP World Tour, che il numero dei Masters 1000 obbligatori, nove invece che gli otto ufficialmente previsti dall’ATP.
LA PARTE DEDICATA A JANNIK SINNER
C’è una parte dedicata ai diritti di immagine, che la PTPA contesta come restrittivi nei confronti dei tennisti. Oggi i giocatori non possono vendere i diritti in autonomia. Qui iniziano i punti veramente bizzarri del documento. La PTPA rimprovera ad ATP e WTA di non permettere l’ingresso in campo di un tennista con attrezzature o abbigliamento non approvati dagli enti stessi, citando direttamente: «Di conseguenza, se Louis Vuitton o Gucci, per esempio, offrissero a un giocatore un contratto di sponsorizzazione per presentarsi sul campo centrale di Indian Wells con una borsa porta racchette con il loro logo, il giocatore dovrebbe rifiutare l'offerta perché i Tour non riconoscono questi marchi di moda di lusso come produttori di attrezzature da tennis». Peccato che nel 2023 l’attuale numero uno del mondo Jannik Sinner sia entrato sul campo principale di Wimbledon con un borsone da tennis griffato Gucci, autorizzato previamente dal torneo stesso, dall’ITF e dall’ATP.
Proprio Sinner è citato nella causa, con un paragrafo che non si può che definire come spazzatura e disinformazione sull’ormai già trattata ampiamente vicenda-Clostebol. La PTPA prima parla di casi di doping trattati con lunghi processi e poi mistifica in maniera evidente la vicenda di Sinner dopo i due test positivi al Clostebol nel 2024. Vale la pena riportare tutto il passaggio, sebbene un po’ lungo.
«A differenza di quanto avviene per altri giocatori, tuttavia, (l’ITIA, nda) ha accettato la spiegazione di Sinner del suo fisioterapista che aveva accidentalmente applicato una sostanza vietata sulla pelle di Sinner durante il trattamento. Come risultato della sua immediata accettazione, l'ITIA concluse che Sinner non aveva “alcuna colpa o negligenza” per il suo test positivo e gli permise di partecipare agli U.S. Open del 2024, che Sinner vinse. Non c'è stata alcuna indagine che si è trascinata per oltre un anno su un giocatore di spicco che non aveva manifestato alcun problema con il cartello».
In questo passaggio si accusa tacitamente l’ATP di aver protetto Sinner perché non l’ha mai criticata (forse avrebbero dovuto rileggersi le motivazioni del suo ritiro a Bercy 2023). In più la ricostruzione ha dei punti sbagliati. L’ITIA si è rivolta a un tribunale esterno per dirimere la questione, senza contare che la ricostruzione della contaminazione è semplicemente sbagliata. Curioso tra l’altro come lo stesso portavoce della PTPA Ahmed Nassar avesse difeso Sinner, o meglio avesse provato ad abbozzare una difesa, nemmeno un mese fa, parlando di come il suo caso fosse stato gestito in maniera iniqua dagli organi mondiali del doping. Un peccato, perché nel punto dopo si parla giustamente della mala gestione del caso di Trungelliti, protetto poco e male dopo aver rivelato tentativi di combine e costretto a lasciare l’Argentina per paura della propria vita.
LA PTPA PUÒ VINCERE?
Accuse di collusione molto bizzarre arrivano anche nel punto 69, in cui la PTPA si scaglia contro l’assegnazione delle Finals a Torino fino al 2030, secondo loro avvenuta unilateralmente (cosa non comprovata dai fatti) e contro l’interesse di trovare offerte migliori di soldi, condizioni di gioco e comodità per i tennisti stessi. Tutto questo per convenienza (sic) del CEO dell’ATP italiano di avere le Finals a portata di mano, forse per la facilità di trovare parcheggio. L’Italia torna al punto 235, in cui la PTPA parla del tentativo della FITP di assicurarsi il torneo di Madrid per unire i due tornei e renderli “il quinto Slam”, che la PTPA usa come esempio per dire come se non ci fosse un accordo di non-concorrenza tra Madrid e Roma sotto l’egida ATP, Roma potrebbe già allungare la durata del torneo e destinare i soldi al miglioramento del site e dei premi in denaro per i tennisti.
È difficile pensare che un testo del genere possa davvero centrare il proprio obiettivo: scuotere il tennis dalle fondamenta. Almeno se consideriamo la natura del testo, che oscilla tra cose giuste e attacchi e pensieri senza arte né parte. Sarebbe comunque sbagliato considerare Djokovic e gli altri come degli sprovveduti. A finanziare la PTPA è il miliardario americano Bill Ackman, che si è anche espresso su X in maniera accorata a favore della questione. Ackman è passato da finanziare i Democratici in America a Trump nel 2024, e ha manifestato simpatie politiche molto vicine a quelle di Novak Djokovic, che non ha mai fatto mistero del suo supporto al leader serbo Aleksandar Vukic e di strizzare l’occhio a una certa parte politica. In un certo senso questa causa è proprio l’inizio della carriera “politica” di Djokovic, anche se non possiamo certo classificare in un colore politico la PTPA o una causa del genere. Dentro al testo, però, e ai suoi proponenti, possiamo riconoscere delle linee di pensiero comuni.
Certo è difficile immaginare che questo caso abbia successo per la PTPA. Almeno per ora. In mezzo ad accuse giuste vengono mischiate questioni che non hanno coerenza con il resto e in alcuni casi non sembrano davvero rappresentare gli interessi dei tennisti che propongono di rappresentare, quelli dalla duecentesima posizione in giù. Senza contare che i proponenti stessi, Ahmed Nassar e Vasek Pospisil, non hanno mostrato idee chiarissime quando interpellati da Andy Roddick, molto scettico sulla portata dell’operazione. Tra risposte imbarazzate e la rivelazione che la PTPA, un sindacato, di fatto non ha membri affiliati, cosa ad ora non prevista. È vero che dietro Djokovic, che in realtà non ha davvero così tanto da perdere, ci sono finanziatori importanti come Ackman e il potente mondo della private equity che prova ad entrare nel tennis, ma non è una garanzia. L’abbiamo visto con la vicenda della Superlega, che dietro aveva personaggi potentissimi come Florentino Perez, Agnelli e i miliardi del fondo d’investimento di JP Morgan ma è fallita (ad oggi) tra le pernacchie, per non essere stata capace di vendersi in maniera credibile.
Qualcuno ha proposto anche la teoria che ci possa essere il potente governo saudita, molto interessato agli sport e che con la vicenda della LIV ha già spaccato un tour non troppo diverso da quello del tennis come nel golf. Per quanto non ci siano elementi per escluderlo a priori non si può non considerare tre fattori importanti.
Il primo è che PIF, il fondo sovrano saudita, sponsorizza l’ATP stessa e i tanto criticati ranking e in generale ha trovato una sponda forte nell’ATP, che sta provando ad accontentarli con un nuovo 1000 saudita e in generale non ha mai ricusato una partnership. Anche considerando una cospirazione ai danni dell’ATP nella causa la PTPA critica anche gli Slam come co-cospiratori, proprio gli Slam erano stati interlocutori dei sauditi nelle trattative per pensare a un “Super Tour”, e che quindi non converrebbe andare ad attaccare come status quo.
In ultimo c’è da fare una considerazione anche un po’ naif: davvero un fondo sovrano con potere e soldi illimitati come PIF ha bisogno di una causa del genere? Una causa con poche possibilità di riuscita, per scardinare un monopolio con cui già collabora e con cui farebbe prima a trattare economicamente - come peraltro già fatto. Nulla vieta a PIF di organizzare già da ora un circuito alternativo e concorrente all’ATP, senza dover passare per questi mezzi.
Il vero peccato di questa lotta tra il “cartello” e la PTPA è che con questo miscuglio di proponenti irrilevanti o a fine carriera o discutibili, istanze tra il giusto e l’assurdo, si fa passare dalla parte dei “buoni” organizzazioni come l’ATP e la WTA o l’ITIA, che di storture e problemi ne hanno mostrati tanti negli anni e che necessiterebbero davvero di un sindacato di tennisti in grado di difendere gli interessi degli stessi, invece che pensare ai benefit dei soldi delle esibizioni per un gruppo ristretto.
Il tennis oggi poggia su basi molto fragili e ha grossi problemi di sostenibilità in tutte le sue componenti, e l’azione della PTPA può essere utile per iniziare a porre il problema in maniera più critica. Non si può però non considerare le 163 pagine depositate a New York come un’occasione persa, anche perché la sensazione che più che al bene del collettivo si pensi a quello degli individui è molto forte, e la ricezione del pubblico non fa che confermare questa impressione.