Due anni fa la storia del Parma ha sconvolto l’ovattato ambiente della Serie A, rimasto a lungo estraneo all’ondata di investimenti torbidi e fallimenti che avevano eroso le categorie inferiori. Una caduta per certi versi annunciata, ma alla quale nessuno, fino all’ultimo, ha voluto credere. Come nel 2004, il fallimento del Parma ha rappresentato il tramonto di un modo di fare e pensare calcio. Dal trauma del crollo della Parmalat, con migliaia di risparmiatori raggirati per alimentare una bolla, a quello di Ghirardi e del suo modello di bilanci gonfiati.
La caduta
È precipitato tutto in pochi mesi: dal sesto posto del 2014 alla mancata licenza UEFA, fino alle dimissioni di Ghirardi (poi ritirate) e il quadruplo passaggio di proprietà (Pietro Doca, Rezart Taci, Ermi Kodra e Giampietro Manenti). Il Parma è passato dall’essere un modello virtuoso a paradigma di un calcio non più sostenibile.
I ducali sono stati una vittima paradigmatica, un tragico esempio di ciò che poteva succedere a tante altre squadre: non a caso ha incassato la solidarietà delle squadre e dei tifosi di tutta Italia, oltre ai fondi della Lega per completare regolarmente il campionato. Forte di un appoggio mediatico importante (Sky ha acquisito i diritti della squadra per la Serie D), la città è riuscita a vivere la tripla retrocessione come una liberazione, un’esperienza catartica utile a cancellare la torbida gestione Ghirardi e ripartire di slancio.
In estate il Parma viene rilevato dal “Nuovo Inizio Srl”, cordata formata da sette soci: Guido Barilla, Gianpaolo Dallara, Marco Ferrari, Giacomo Malmesi, Mauro Del Rio, Angelo Gandolfi e Melardi Bruno. La nuova società si presenta come un ponte tra passato e futuro, fondato sul coinvolgimento di figure storiche e tifosi. Viene formata una proprietà ibrida, composta da una società maggioritaria (la Nuovo Inizio srl) e una minoritaria, la Parma Partecipazioni Calcistiche, una Spa dedicata ai tifosi e alle piccole aziende (che potevano partecipare tramite crowdfunding).
Presidenza e guida tecnica vengono affidate a Nevio Scala, uno degli allenatori più vincenti della storia parmigiana (una Coppa Italia, una Coppa delle Coppe, una Coppa Uefa e una Supercoppa). Per le posizioni chiave di allenatore e direttore tecnico Scala sceglie due suoi ex giocatori, Luigi Apolloni e Lorenzo Minotti; la rosa riparte dal capitano Alessandro Lucarelli.
Il rilancio del Parma viene presentato una questione di famiglia: lo slogan societario è Noi siamo Parma, la prospettiva quella di “un viaggio da fare tutti insieme”. Il nuovo Parma non deve solo tornare grande, deve diventare l’esempio di un nuovo modo di fare calcio. Nella conferenza di presentazione Barilla dice che il primo obiettivo è quello della «rinascita di un calcio diverso, sano, propositivo, e strutturalmente sostenibile». Gli fa eco Nevio Scala: «Spero che la gente capisca che vogliamo fare un calcio diverso, pulito, trasparente, biologico».
La risposta del pubblico è incredibile: per la stagione in Serie D il Parma sfiora i 10 mila abbonamenti, riuscendo a coinvolgere giocatori e staff tecnico di categoria superiore. Ripreso dalle telecamere di Sky, il Parma di Scala-Minotti-Apolloni disputa un campionato dal sapore festivo: ogni partita viene vissuta come un grande evento, un festival itinerante al quale la squadra si presta di buon grado, spinta da una tifoseria affezionata e l’ammirazione di avversari e addetti ai lavori. La Serie D viene vinta in scioltezza: 28 vittorie, 10 pareggi e nessuna sconfitta, 82 gol segnati e appena 17 subiti.
Prima fase: il calcio biologico
L’approdo in Lega Pro arriva naturalmente, così come l’obiettivo di raggiungere un’altra promozione. In continuità con l’anno precedente, i parmigiani confermano gran parte dell’organico (17 giocatori), aggiungendo alcuni innesti di livello. Senza più l’obbligo dei giocatori under (in Serie D servono 4 titolari sotto i 21 anni) Minotti sceglie di completare la squadra con giocatori di esperienza: in difesa arrivano Canini e Coly, per le fasce vengono presi Nunzella e Garufo, a centrocampo viene inserito Scavone. In attacco i ducali si assicurano il migliore marcatore della Serie D, Nocciolini (25 gol col Forlì), e due centravanti di categoria superiore come Evacuo (13 gol al Novara) e Calaiò (reduce dalla stagione allo Spezia).
Apolloni decide di abbandonare il 4-2-3-1 della stagione precedente per un 3-5-2 più compatto e impositivo, adatto a sfruttare la qualità del duo Calaiò-Evacuo. Dietro l’allenatore gialloblù si è affidato a una retroguardia solida e di esperienza, affiancando Canini e Coly a Lucarelli.
La squadra si affida molto alla spinta dei due esterni, Garufo e Nunzella, che hanno il compito di condurre palla, alzare il baricentro e rifornire l’area di palloni giocabili. Le chiavi del centrocampo vengono affidate a Corapi, con Scavone mezzala sinistra e Baraye (20 gol da punta, l’anno prima) interno destro, con l’incarico di dare una soluzione tra le linee e non lasciare isolate le due punte. La squadra cerca di mantenere il pieno controllo del campo, ma con un possesso palla piuttosto conservativo, non brillante, e con i rischi ridotti al minimo.
Il Parma delle prime giornate è una squadra autoritaria, a livello mentale prima che tecnico. I gialloblù non subiscono reti ma ne segnano pochissime (solo la rovesciata di Calaiò nelle prime 3 giornate). Una squadra solida ma con poche alternative di gioco, racchiuse in gran parte nei cross di Nunzella. Quando deve affrontare squadre ben organizzate difensivamente soffre.
Palla a Nunzella, cross in mezzo e dita incrociate.
Apolloni ha cercato di dare imprevedibilità inserendo Nocciolini, una punta, prima come esterno in un 4-3-3 e poi come mezzapunta nel 3-4-3. La mossa ha aiutato la fase offensiva, ma tolto solidità a quella di non possesso. Dopo la sofferta vittoria con l’Albinoleffe, Apolloni decide di passare al 4-4-2, raccogliendo però un punto stiracchiato a San Benedetto e una sconfitta in casa con la Feralpisalò. Iniziano a circolare voci su un possibile cambio tecnico, ma Nevio Scala fa muro: «Io sono responsabile e nessuno di noi ha mai pensato a mettere in discussione qualcuno. Noi siamo un gruppo, siamo una squadra; nel momento in cui quando le cose non vanno bene siamo tutti responsabili, a cominciare dal sottoscritto […] Le nostre idee, la nostra voglia di fare un certo calcio non cambia dopo una sconfitta». Apolloni recupera il 3-5-2 delle prime giornate, ma con l’ormai irrinunciabile Nocciolini sull’esterno destro: la squadra torna alla vittoria con una goleada a Forlì, e nelle settimane successive ha la meglio su Mantova, Fano e Gubbio. Le 4 vittorie consecutive permettono il rilancio in classifica, ma non risolvono i problemi di fondo della squadra – incapace di affrancarsi completamente dalla dipendenza tecnica delle due punte, e resa più fragile dalla presenza di Nocciolini (un attaccante) sulla fascia destra.
Alla Maceratese basta un buon controllo degli esterni per chiudere la gara sul pari, e nello scontro diretto col Padova i gialloblu subiscono un ko clamoroso, facendosi rimontare il vantaggio iniziale per poi subire altri tre gol. L’1 a 4 finale è la peggiore sconfitta subita al Tardini in dieci anni, e mette in mostra tutti i limiti gialloblù.
Seconda fase: fare le cose semplici
La partita non è drammatica a livello di classifica (il primo posto dista 4 punti), ma l’entità della sconfitta ha l’effetto di una slavina. La proprietà esonera l’allenatore Apolloni, il ds Galassi e il dg Minotti. Contestualmente Scala presenta le sue dimissioni, non senza polemiche. La lettera congiunta dei quattro sancisce la definitiva rinuncia al “calcio biologico”: «Avevamo sposato l’idea e i valori di una società che aveva dichiarato e si era impegnata pubblicamente a interpretare il proprio ruolo per “un calcio diverso”, etico ed espressione della rinascita sportiva di una città, ma prendiamo atto di questo nuovo inaspettato atteggiamento».
L’ambiente gialloblù accoglie la notizia con una certa ineluttabilità, giustificando la scelta in vista dell’obiettivo finale. Paradossalmente, i primi portavoce di questa svolta sono soprattutto i tifosi: dispiaciuti per la partenza di brave persone come i quattro, ma già proiettati al futuro. Per la panchina si fanno i nomi di Crespo e Delio Rossi, ma dopo diverse giornate di incertezza arriva Roberto D’Aversa, ex allenatore del Lanciano. Il tecnico viene accolto con scetticismo, il vice presidente Ferrari lo presenta così: «Abbiamo deciso di non volere gente che è stata in Serie A, ma che avesse la giusta fame in modo da arrivarci insieme a noi».
D’Aversa ha subito cercato di restituire certezze alla squadra, puntando su una struttura più semplice e adatta ai giocatori in rosa. La squadra è passata al 4-3-3, con il definitivo smantellamento della coppia Calaiò-Evacuo (troppo accentratrice) in favore di un tridente più dinamico, con Nocciolini e Baraye sulle fasce. Costretti quasi tutta la stagione fuori ruolo, i due hanno ritrovato centralità e fiducia, restituendo varietà offensiva a tutta la squadra. Se Nocciolini (pure in un ruolo marginale) non aveva fatto mancare il suo contributo, Baraye è definitivamente sbocciato; e con lui la squadra.
Nel mercato di gennaio il ds Faggiano riorganizza completamente la rosa di inizio anno. Arrivano Frattali, Iacoponi, Scaglia, Di Cesare, Scozzarella (tutti dalla Serie B) e Munari, reduce dall’inizio di stagione in A col Cagliari. In attacco la società sancisce i nuovi equilibri cedendo Evacuo e Guazzo, due centravanti pesanti a livello tecnico e d’ingaggio. La squadra dell’anno prima – eccettuati Luccarelli e Baraye – scompare dall’undici iniziale.
Col passaggio al 4-3-3 D’Aversa dà maggiore varietà allo sviluppo dell’azione, senza perdere solidità. L’uscita del pallone coinvolge tutti e quattro i difensori, col mediano a supporto e le mezzali che alternano movimenti in profondità ed ampiezza. Il centrocampo trova finalmente un assetto definitivo, con la forza di Scavone e Munari (giocatori di grande gamba e impatto fisico, prima che tecnico) bilanciati dalla qualità palla al piede di Scozzarella, un giocatore capace di trovare la giocata risolutiva da qualsiasi posizione.
La vera novità, nello sviluppo del gioco, è il maggior coinvolgimento di Calaiò: l’attaccante viene incontro al pallone con più libertà, garantendo un’alternativa di gioco preziosa. La sua qualità tecnica permette di velocizzare l’azione, portandola rapidamente in zone più interessanti.
Contestualmente, la squadra acquista maggiore varietà in fase di uscita, pur continuando a usare molto le catene laterali. La presenza di tre giocatori (terzino, mezzala ed esterno) sulla fascia permette ai gialloblù di risalire il campo più rapidamente, senza perdere densità centrale; gli altri due centrocampisti, sempre orientati sul pallone, garantiscono solidità in caso di transizione negativa, e offrono un appoggio per riciclare l’azione sulla fascia opposta. Sulla linea offensiva la presenza di un centravanti in meno viene compensata dai tagli dell’esterno sul lato opposto, e gli inserimenti delle mezzali.
Calaiò viene incontro e gira la palla sulla fascia, dove i ducali hanno finalmente più soluzioni. Si cercano soluzioni di superiorità numerica al limite dell’area.
Alla rinnovata centralità di Calaiò si aggiunge la varietà tecnica fornita da Nocciolini e Baraye: schierati entrambi sul piede invertito, i due hanno la qualità per tentare sia l’affondo sulla fascia che il taglio centrale. In questo modo aumenta il peso offensivo, si trovano più risorse nelle situazioni di controllo e c’è un’alternativa preziosa sul gioco lungo.
Il cambio di modulo ha anche semplificato la fase difensiva, ora più bloccata sulle fasce (ai terzini si aggiungono i due esterni), e una struttura più coesa. Dopo un rapido pressing offensivo la squadra si riposiziona con due linee molto compatte, con gli esterni sulla mediana e le mezzali che, a turno, si affiancano a Calaiò per alzare la pressione.
L’impatto di D’Aversa è strabiliante: nelle prime dieci il suo Parma fa più punti che in tutta la gestione Apolloni, che aveva giocato quattro partite in più: il tutto migliorando la media gol (da 1,5 a 2) e il rendimento difensivo (da 1,14 gol subiti si passa a 0,8). Alla 23esima giornata lo scontro diretto col Venezia vede i gialloblù a -3, con la possibilità di un aggancio insperato: avanti 2 a 0, il Parma subisce il ritorno del Veneiza, che nella ripresa rimonta con i gol di Moreo e Geijo.
Tra schermaglie a mezzo stampa e polemiche, le due squadre iniziano a giocare punto a punto. La lunga rincorsa finisce per logorare i gialloblù, che nel momento topico della stagione perdono punti: contro Forlì e Mantova il Parma va avanti e si fanno recuperare nei minuti finali, contro il Fano vanno sotto alla mezzora e falliscono due gol clamorosi a porta vuota, perdendo la prima partita della gestione D’Aversa. Il Venezia prende il largo e il Parma cede, decidendo di concentrarsi alla corsa playoff.
La particolare formula di quest’anno porta 28 squadre all’assalto di un unico posto in B, costituendo quasi una competizione a sé. Sedicesimi in gara secca, ottavi e quarti con andata e ritorno, semifinali e finali in gara secca a Firenze. Il Parma arriva a fari spenti, complice il calo delle ultime giornate e una lunga fila di pretendenti (su tutte Alessandria e Lecce, seconde nei gironi A e C). I ducali non sono la favorita di nessuno, ma pezzo dopo pezzo costruiscono la loro epica della vittoria.
Ai playoff i parmigiani tornano al cinismo di qualche mese prima: dagli ottavi alla vittoria finale la squadra è andata sotto appena 9’ minuti, nell’andata con la Lucchese; per il resto è stata sempre in controllo.
Il Piacenza viene eliminato con uno 0-0 al Garilli e un 2-0 al Tardini, la Lucchese viene superata con un doppio 2 a 1. In semifinale la sfida col Pordenone di Tedino si è risolta con una partita tesa e contestatissima: i ramarri dominano gran parte della sfida, protestano per un fallo in area al 120esimo e arrivano ai rigori. La sfida viene decisa dai due capitani: De Agostini trova la parata di Frattali, Lucarelli non sbaglia.
Il cammino dei parmigiani sembra ormai scritto, e finisce per travolgere anche l’Alessandria. La squadra piemontese, arrivata a pari punti con la Cremonese (promossa in B), sembra l’avversaria peggiore, ma in campo non c’è storia. Ancora una volta, la partita si decide con una sliding door: al 10’ González arriva in area e sbaglia l’appoggio per Fischnaller; un minuto dopo Calaiò riceve da posizione simile, si libera di Gozzi e serve l’assist vincente a Scavone.
Dall’errore di Gonzàlez alla magia di Calaiò: la finale playoff si decide in 80 secondi.
Sopra di un gol il Parma domina per tutta la gara, e nel secondo tempo arriva il 2 a 0 di Nocciolini – che mette in rete un pallone che sembra spinto dalla provvidenza.
A due anni dal fallimento il Parma torna alla categoria che le apparteneva - visto che per meriti sportivi due anni fa sarebbe dovuta scendere in Serie B, non in D - con la prospettiva di un ritorno veloce in massima serie. Ci è riuscita con un percorso epico ma anche rocambolesco, dove la programmazione a lungo termine è scesa a compromessi con alcune decisioni più impulsive. Dal "calcio biologico" della gestione Scala a quello più pragmatico degli ultimi mesi, fino all’acquisizione da parte del gruppo cinese Desport. Il Parma non ha esitato a riciclare i suoi protagonisti e le sue idee in virtù di un veloce ritorno nel calcio che conta. Del resto, “Nelle azioni di tutti gli uomini si guarda al fine”: soprattutto nel calcio.