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Cosa ci hanno detto i Mondiali di basket finora
30 ago 2023
L'Italia prosegue il suo Mondiale, pur senza entusiasmare nel girone.
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16 min
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IMAGO / VCG
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Era da 45 anni che le Filippine non ospitavano un Mondiale di basket. Tanto, forse troppo, tempo se si pensa che parliamo di uno dei Paesi più appassionati di pallacanestro al mondo, dove nei quartieri popolari in giro per la capitale Manila i luoghi di aggregazione sono dei playground popolati a ogni ora del giorno. Un amore, quello per lo sport, che ha reso le Filippine - insieme a Giappone e Indonesia - il centro del mondo cestistico in queste settimane di piena stagione dei monsoni, un sentimento che avvolge chi si immerge in questo contesto così distante dall’Europa, più dell’umidità e dell’instabilità del meteo.

I buoni sentimenti e le belle vibrazioni sono stati tratti caratteristici, al netto di un cammino sportivo con alti e bassi, anche dell’Italia di Gianmarco Pozzecco. Gli azzurri hanno chiuso la prima fase a gironi con il successo contro le Filippine che ha fissato il record di due vittorie e una sconfitta. Il Mondiale italiano proseguirà venerdì, quando affronteremo la prima del Gruppo B (verosimilmente la Serbia) in una partita che sarà già cruciale in chiave qualificazione ai quarti di finale, prima di concludere la fase a gironi domenica.

Nella testa dei tifosi italiani permane, indubbiamente, l’onda lunga legata alla sconfitta contro la Repubblica Dominicana e soprattutto all’espulsione di Pozzecco con conseguenti dichiarazioni, il giorno dopo, del presidente FIP Gianni Petrucci. Un’onda lunga, quella italiana percepita da Manila, che contrasta in maniera piuttosto netta con l’atmosfera del gruppo azzurro, contraddistinto da umore positivo e alta concentrazione anche nelle ore immediatamente successive al KO contro Karl-Anthony Towns e compagni.

Delle 16 squadre presenti a Manila, tra le sedi gara dell’Araneta Coliseum e del Mall of Asia, l’Italia è l’unica che ha svolto ogni sessione d’allenamento a porte aperte, senza limitarsi ai 10 minuti finali garantiti da FIBA ai media accreditati. I buoni sentimenti, quindi, non sono una patina apparente e percepibile dal cammino di preparazione esaltante - solo gli azzurri e Team USA hanno chiuso le amichevoli pre-Mondiale senza sconfitte - e da attività extra cestistiche come la fortunata esperienza del podcast di Nicolò Melli e Gigi Datome.

I 120 minuti giocati nel girone hanno offerto diverse chiavi di lettura che possono servire a inquadrare meglio l’avvicinamento alle due partite che determineranno quanto durerà il Mondiale azzurro e, in generale, anche il percorso di questo gruppo.

Tra il tiro e le seconde opportunità

Il tema tattico offensivo principale delle prime partite è stato indubbiamente quello legato alle percentuali nel tiro da 3. Il 12/60 raccolto tra Angola e Repubblica Dominicana è stato migliorato dal 17/41 ottenuto contro le Filippine, ma il singolo dato offre una visione decisamente parziale della storia, e con pochi tratti in comune tra le tre singole partite.

Il nostro esordio iridato, nella colossale Philippine Arena - oltre 21.000 i presenti su una capienza massima disponibile, al netto dei posti rimossi per ragioni operative, di poco più di 46.000 posti - contro l’Angola, è stato segnato da una partita a ritmi bassi in cui entrambe le squadre (come Filippine e Repubblica Dominicana nell’altra partita) hanno tirato tanto e male dall’arco. A condizionare le percentuali delle quattro squadre ha anche contribuito l’inusuale conformazione di un impianto di gioco maestoso e certamente distante dalla media degli spazi delle normali arene indoor.

A rinforzare la convinzione degli azzurri in un pomeriggio, quello dell’81-67 all’Angola, dove il risultato è stato acquisito soltanto negli ultimi minuti, era stata la capacità di continuare a costruire tiri ad alta percentuale, attenendosi al piano partita. L’abilità di creare buone conclusioni da fuori si è vista pure nel primo tempo del match con la Repubblica Dominicana, anche se in quantità decisamente inferiori, come testimoniato dalle sole sette triple tentate prima dell’espulsione di Pozzecco, a fronte dei 20 tentativi nei primi 20 minuti con gli angolani. La ricerca della migliore conclusione è venuta meno, di fatto, solo nei primi 15’ della ripresa contro i caraibici, presumibilmente anche per fattori non necessariamente tecnici e una Repubblica Dominicana - al contrario - alquanto efficace dall’arco.

La prestazione di Andrés Felix con 7/10 da tre rischia di complicare non poco il nostro percorso.

Le cose, in questo senso, sono decisamente migliorate contro i filippini, come ha confermato dopo il match Giampaolo Ricci: «Quando abbiamo fatto più di quattro passaggi in un’azione, abbiamo sempre fatto canestro», il suo commento in zona mista riguardo una maggiore fluidità offensiva del gioco azzurro.

Un aspetto da evidenziare è anche la ridotta quantità di punti realizzati su seconde opportunità. Contro squadre più fisiche e atletiche come Angola e Repubblica Dominicana, l’Italia ha indubbiamente fatto partita pari a rimbalzo (pari con gli africani, -1 con i centroamericani) ma non è stata in grado di garantirsi un fatturato dagli extra possessi subendo troppo a sua volta. Il parziale sulle due partite sopracitate è stato di 9-30 (7-14 con l’Angola, 2-16 con la Rep. Dominicana) e ha condizionato l’andamento dei due incontri.

Anche qui, la terza volta è stata quella buona. Contro gli asiatici, nella bolgia dell’Araneta Coliseum, l’Italia ha patito il divario maggiore a rimbalzo (39-35 per i padroni di casa) ma, al contrario rispetto ai primi due match, è riuscita a capitalizzare meglio le seconde opportunità. I 10 rimbalzi offensivi azzurri hanno generato 21 punti, mentre i 13 rimbalzi d’attacco filippini hanno prodotto soltanto 10 punti a referto. Una differenza che, di fatto, ha contribuito a regalarci la nostra seconda vittoria iridata.

Contro le Filippine è stato grande protagonista, in attacco, Marco Spissu: il play della Reyer è diventato il miglior azzurro per assist in una partita del Mondiale dal 1994 e sta viaggiando a oltre 11 punti e 6 assist di media con il 43% da 3.

Tutto parte dalla nostra metà campo

Tra Preolimpico a Belgrado ed Europeo 2022, l’Italia atipica prima di Sacchetti e poi di Pozzecco ha saputo mostrarsi bella ed efficace difensivamente, giocando sulla capacità di cambiare accoppiamenti nella sua metà campo senza concedere punti di riferimento. Questa versione azzurra ha costruito le sue fortune sulla difesa e sui parziali che il lavoro difensivo è riuscito a innescare. Tre indizi fanno più di una prova, e nelle prime tre partite iridate le potenzialità difensive italiane si sono viste meno di quanto sperato.

L’apice del lavoro azzurro in questo senso è stato il lavoro operato da Stefano Tonut - insieme a Ricci e Melli probabilmente l’MVP azzurro di questo primo girone - e Alessandro Pajola in marcatura su Jordan Clarkson, costretto a continue forzature che non gli hanno concesso di trovare ritmo offensivo per sé e per i compagni. Se Nicolò Melli è una certezza sotto canestro, ha destato sicuramente interesse la scelta dell’accoppiamento difensivo di Achille Polonara su Karl-Anthony Towns in occasione del match con la Repubblica Dominicana.

Un’opzione che ha pagato ottimi dividendi nei primi 10’ - chiusi con 0/4 al tiro dalla stella dei Minnesota Timberwolves - ma che non ha avuto la stessa efficacia nei successivi 30’. Punto di svolta nel match contro i caraibici è stato anche l’aggiustamento tattico di Néstor García, coach argentino della Repubblica Dominicana, che ha focalizzato meno (rispetto a quanto visto contro le Filippine) il gioco offensivo su Towns puntando più a fare qualcosa che l’Italia cerca di fare sempre: non concedere punti di riferimento. In tal senso si è vista una differenza rilevante nei possessi successivi ai timeout, nei quali la squadra di Pozzecco è spesso andata in difficoltà concedendo canestri facili o seconde opportunità evitabili.

Margini di miglioramento azzurri nella metà campo difensiva ce ne sono sicuramente anche per quanto riguarda la difesa sulla linea di fondo, con gli esterni avversari che spesso sono andati a segno con tagli in backdoor, ma allo stesso tempo è incoraggiante vedere come l’Italia riesca a forzare palle perse sulle linee di passaggio e sui portatori di palla. Gli appuntamenti di venerdì e domenica, quindi, saranno un esame di maturità dove occorrerà avere continuità di rendimento e capacità di esaltare la nostra atipicità.

A elevare il potenziale di imprevedibilità di un gruppo difficile da affrontare come quello azzurro potrebbe entrare in gioco anche un minimo allargamento delle rotazioni. In una partita, quella con le Filippine, dove era importante pensare al risultato per il suo valore essenziale, Pozzecco ha asciugato le rotazioni con 8 giocatori in campo con minutaggio significativo e un nono, Severini, visto sul parquet per soli 78 secondi. L’impatto di Matteo Spagnolo e Gabriele Procida è stato ridotto (25 minuti in due tra Angola e Repubblica Dominicana) mentre Momo Diouf deve ancora esordire a Manila.

Non è da escludere, però, che i tre più giovani (tutti nati dal 2001 in poi) del gruppo possano essere chiamati in causa nelle due prossime partite, anche vista la capacità di Spagnolo e Procida, compagni di squadra il prossimo anno in Eurolega all’Alba Berlino, di incidere in momenti ridotti del match.

La grande distanza tra le Filippine e l’Italia

Nei paragrafi precedenti abbiamo parlato di alcuni dei temi legati alla pallacanestro giocata dagli azzurri nelle prime tre partite. È fuor di dubbio, però, che ciò che ha fatto parlare di più nella prima settimana italiana a Manila sia stata l’espulsione di Gianmarco Pozzecco nel finale del primo tempo contro la Repubblica Dominicana. Un provvedimento disciplinare che è stato automatica conseguenza di due falli tecnici alla panchina e di uno direttamente all’ex allenatore di Sassari: la somma comporta la sanzione automatica e rappresenta la seconda espulsione in carriera per il “Poz azzurro” dopo quella in Serbia-Italia degli ultimi Europei.

Paragonare i due episodi è fuorviante, e non solo perché si trattava di contesti sportivi diversi, senza conseguenza diretta col risultato sportivo, e con finali differenti: da un lato una grande vittoria, capace di riscattare il passo falso nel girone contro l’Ucraina, dall’altro una sconfitta bruciante che obbliga gli azzurri a vincere entrambe le partite del secondo girone per aumentare le chance di raggiungere i quarti di finale.

Il fatto che sia fuorviante, però, non ha diminuito l’anomala dissonanza tra le percezioni che questo gruppo, inteso come giocatori, staff e dirigenti, è in grado di formare in chi segue l’avventura azzurra in prima persona e chi invece sta raccontando e seguendo l’esperienza Mondiale a distanza di ore di fuso orario e chilometri. A fare una rassegna stampa, tra giornali e social network, di domenica e lunedì nell’immediato post Repubblica Dominicana, la percezione prevalente era quella di un disastro, un flop fragoroso e per certi versi annunciato.

Perché, secondo quanto scritto in giro, non poteva essere diverso il destino di una squadra atipica, senza stelle di prim’ordine, allenata da un personaggio indubbiamente affascinante ma in difficoltà a gestire le sue emozioni. Una situazione di continua ansia e preoccupazione (in grado poi di generare rassegnazione), quindi, quando in realtà tali sentimenti sono emersi più probabilmente per l’annuncio del passaggio in città del tifone “Goring” nelle ultime ore.

Senza entrare nel merito delle strette valutazioni arbitrali, frequenti oggetto di discussione negli ultimi anni delle competizioni FIBA anche per l’impossibilità di attingere anche al roster degli arbitri di Eurolega, è indubbio che sia stato evidente il nervosismo di tutta la panchina - squadra e staff tecnico dell'allenatore - dopo che la maggiore intensità (e anche, volendo, malizia) nei contatti dei domenicani dopo lo 0-12 iniziale è stata “permessa” dalla terna.

Tale nervosismo ha poi condotto a un numero di falli tecnici (anche una doppia sanzione, nel corso del secondo quarto, a Nicolò Melli e al caraibico Delgado) inusuale per un incontro di questo livello, ma è stato assorbito relativamente in fretta dalla squadra, tanto che durante l’allenamento del giorno dopo non erano percepibili scorie di alcun tipo. Maggiore, piuttosto, era la voglia di rifarsi sul campo e una partita a sprazzi (ma capace comunque di mostrare le potenzialità del gruppo quando gira bene) come quella contro le Filippine era prevedibile e necessaria.

Contemporaneamente è stato oggetto di discussione il commento di Gianni Petrucci. La stima e l’affetto tra il presidente FIP e Pozzecco sono due sentimenti veri e non proiettati all’esterno per dare in pasto ai media un’immagine falsa. Lo stesso dirigente, prima e dopo le dichiarazioni che hanno indubbiamente fatto discutere tanto, era il ritratto della serenità e della concentrazione. Sentimenti, questi, condivisi da tutta la spedizione italiana. «Il presidente Petrucci mi vuole bene come si vuole bene a un figlio», ha detto Pozzecco in sala stampa dopo Filippine-Italia.

Le dichiarazioni del massimo dirigente della nostra pallacanestro sono apparse decisamente inusuali anche perché è raro che Petrucci sia così diretto, senza troppi fronzoli da leggere tra le righe. Nel primo immediato test, il messaggio è stato recepito: contro le Filippine non c’è stato (da parte di nessuno, a partire da Pozzecco) nessun atteggiamento plateale e sopra le righe di protesta, al netto di una partita giocata in un contesto emotivo sicuramente impegnativo.

Nelle ultime competizioni FIBA soltanto al Preolimpico di Belgrado era minore la presenza di media italiani accreditati, e in quel caso la ragione era da addurre al Covid-19 e alle stringenti regole serbe per l’ingresso nel paese. Questa dissonanza è percepita con effetto indubbiamente straniante, e l’impressione è che nelle analisi lette ci sia un pregiudizio e preconcetto di fondo riguardante tutti i personaggi coinvolti.

È innegabile che negli ultimi mesi si siano succedute delle vicende che tanto hanno fatto discutere a livello mediatico - il primo esempio è, senza dubbio, quello di Paolo Banchero - ma di questa squadra si è parlato troppo poco, negli ultimi anni di competizioni, per quello che concerne il campo. Il fatto che le maggiori discussioni si siano verificate (e continuino a verificarsi) più per le dichiarazioni di un allenatore e di un dirigente, per quanto importanti questi ruoli e figure siano, è qualcosa che dovrebbe fare riflettere sul nostro approccio in generale allo sport.

Il primo assaggio di Manila

La presenza di ben 16 squadre iridate su 32 nella capitale delle Filippine ha dato la possibilità ai giornalisti accreditati a Manila di assistere ad allenamenti e partite di una buona e variegata fetta delle squadre iridate. Dalla favorita numero uno - Team USA - a grandi storie come quella del Sud Sudan, il confronto di stili e idee è estremamente stimolante e rappresenta senza dubbio uno dei valori aggiunti del potere seguire un evento come il Mondiale.

Due sfide spiccano in particolare, accomunate dalla conclusione dopo un tempo supplementare. La prima è quella, storica, tra Sud Sudan e Portorico. Storica perché si è trattata della prima volta assoluta per il paese africano ad un Mondiale, dopo una esaltante campagna di qualificazione fatta di sole vittorie. Un match divertente, dove i sud sudanesi hanno anche toccato il +12 prima di subire la rimonta portoricana. Un pomeriggio, quello di sabato scorso, che ha esaltato le capacità balistiche di Carlik Jones: 7 partite con i Chicago Bulls in questa stagione ed MVP della G-League, il play di origine sud sudanese (qui al Mondiale, però, come passaportato) è stato sinora il giusto Robin da affiancare alla verticalità e alla stazza di altri due grandi protagonisti in Wenyen Gabriel e Nuni Omot, funambolo del percorso di qualificazione iridata.

La seconda partita è invece quella tra Nuova Zelanda e Giordania, l’apice al momento di quella che è definibile come la “Rondae Hollis-Jefferson experience”. Assente dalla NBA da due stagioni, l’ex Nets ha intrapreso un percorso cestistico particolare passando da un’annata al Beşiktaş ai campionati di Portorico, Corea del Sud e le stesse Filippine. In una sorta di cosplay surreale, il prodotto di Arizona si è presentato alla kermesse iridata come una reincarnazione - nello stile, nell’abbigliamento, nel gioco e nei movimenti - di Kobe Bryant.

Dopo un primo assaggio contro la Grecia, contro i Tall Blacks Hollis-Jefferson si è superato mettendo a segno la migliore prestazione individuale - sinora - del Mondiale con 39 punti (12/24 al tiro), incluso un gioco da 4 punti per pareggiare la partita a fine quarto periodo. Ogni canestro di Hollis-Jefferson è stato accolto dai 7.331 spettatori (di lunedì pomeriggio, seppur di giorno festivo) con cori che inneggiavano a Kobe, anche dopo alcuni video diventati virali sui social che accostavano i due.

Oltre alle esperienze che si possono vivere solo in un contesto del genere, le prime cinque giornate di gara sono state anche l’occasione per vedere alcune squadre di alto livello. Tra quelle viste a Manila, l’impressione migliore l’ha senza dubbio fatta la Serbia, al di là di Team USA.

I serbi si sono presentati nelle Filippine con aspettative decisamente ridimensionate dalle numerose assenze, Jokić su tutti, e da una serie di risultati deludenti nelle ultime competizioni, anche per mano degli azzurri. Quella di Pešić è una squadra con meno talento e meno potenziale offensivo rispetto ai suoi standard migliori, ma i primi 80 minuti iridati hanno mostrato un gruppo coeso con elevati margini di miglioramento. Se Bogdan Bogdanović è la stella indiscussa, al suo terzo Mondiale, di questo roster indicazioni positive sono quelle giunte da elementi emergenti a questi livelli come Nikola Jović e Aleksa Avramović.

Ottimo l’impatto del giocatore di Miami con la competizione iridata.

Belle impressioni sulle due metà campo sono quelle emerse anche dagli USA, nella nuova versione inesperta - a livello FIBA - e popolata da giocatori che saranno protagonisti della NBA dei prossimi 10 anni. Uno staff di livello assoluto - Steve Kerr con Tyronn Lue, Erik Spoelstra e Mark Few - ha messo in piedi un roster capace di calarsi rapidamente nel contesto del basket per Nazionali, delle sue regole e del suo ritmo di gioco.

Contro la Grecia gli Stati Uniti hanno mostrato soprattutto il loro potenziale difensivo e i nomi da segnalare in tal senso sono quelli di Paolo Banchero e Josh Hart, appartenenti - a livello di gerarchie - alla second unit di Kerr e capaci di cambiare ritmo alla partita con i loro cambi difensivi (soprattutto il rookie dell’anno 2023 dei Magic) e l’energia nei rimbalzi lunghi, con il giocatore dei Knicks in doppia cifra e lodato sia da Kerr che dal compagno di squadra a New York, Jalen Brunson, in sala stampa.

Se la Serbia sarà, con ogni probabilità, il prossimo avversario azzurro venerdì (orario da definire), per Team USA i prossimi appuntamenti si chiamano Montenegro e Lituania, con due test probanti dal punto di vista difensivo (dopo le buone cose mostrate contro Georgios Papagiannis) con Nikola Vučević e Jonas Valančiūnas. Il Mondiale continua questa settimana con la seconda fase a gironi, che emetterà anche i primi verdetti in chiave Preolimpico e accesso a Parigi 2024. In una competizione dove nulla è da dare per scontato - come dimostrato dall’eliminazione della Francia per mano di Canada e Lettonia - la sensazione è che il meglio debba ancora venire.

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