Il 14 settembre del 2000 è un giorno storico per la televisione italiana e in particolare per Mediaset: viene trasmessa la prima puntata del Grande Fratello. Dopo alcuni programmi andati in onda negli anni ’90 a metà tra la fiction e il documentario, come Real World su MTV e Davvero su Rai 2, il Grande Fratello è il primo reality show “integrale”. Il programma prevede che dieci concorrenti vengano chiusi in una casa senza contatti con l’esterno per un determinato periodo tempo (nella prima edizione 100 giorni), ispirandosi alla trama di 1984, il celebre romanzo distopico di George Orwell.
Lo show ottiene un successo senza precedenti, perché attratto dalla curiosità di spiare i concorrenti e le relative dinamiche nella quotidianità: tutti i litigi, i sotterfugi e gli intrighi amorosi tra i personaggi vengono proposti apparentemente senza alcun tipo di filtro o interferenza, in modo appunto da restituire allo spettatore le sembianze di un prodotto autentico. La scelta stessa di dare spazio a persone non famose si rivela determinante ai fini della riuscita del GF, almeno nelle prime edizioni: lo show vuole concedere a persone comuni una celebrità improvvisa e far sì che il pubblico si possa immedesimare con maggior facilità. È un format che rivoluzionerà irreversibilmente la televisione italiana e internazionale, il quale apre la strada a tanti altri reality show di successo e dubbio gusto, dove il feticismo degli spettatori per il gossip, la polemica e il momento trash ne diventano il cuore pulsante.
Nel 2004 Mediaset prova a replicare il successo del Grande Fratello - per capire le proporzioni: la finale della prima edizione è stata seguita da oltre 16 milioni di spettatori, più dell’audience media del Sanremo di quello stesso anno - buttandosi su uno dei principali fenomeni culturali del nostro Paese, il calcio. L’idea è quella di travasare le dinamiche dei reality show in una squadra, provando a rompere per la prima volta il tabù dello spogliatoio, da sempre un territorio inaccessibile a tifosi e media.
Uno dei promo del programma.
Nasce così: Campioni, il sogno - un programma che forse ha avuto un successo più fugace di quanto non ci si immaginava al tempo ma che ha comunque lasciato una traccia indelebile sul nostro immaginario. Al punto che ci sono varie domande che ancora mi faccio a riguardo e a cui non sono riuscito a rispondere scrivendo questo pezzo. Per esempio: perché proprio il Cervia? Forse per la produzione televisiva era semplicemente più semplice “insediarsi” in un club di Eccellenza, per una questione economica da un lato ma anche perché nella sesta categoria non avrebbe incontrato particolari resistenze da parte dell’ambiente attorno alla squadra. Immaginatevi affidare una squadra di primo o secondo livello a un’emittente televisiva, le possibili reazioni dei tifosi.
Il format di “Campioni, il sogno”
L’obiettivo dei giocatori del Cervia è naturalmente quello di vincere il campionato di Eccellenza, a cui se ne aggiunge un altro da perseguire individualmente. “Il sogno” menzionato nel titolo è quello di partecipare a un mese di ritiro con Milan, Inter e Juve dando così la possibilità a tre calciatori dilettanti di allenarsi con giocatori che magari avevano visto soltanto in televisione. Una formula ibrida, che riprende e in parte anticipa i tratti dei talent show che caratterizzeranno gli anni successivi.
La produzione nell’estate del 2004 avvia una serie di provini per selezionare la rosa del Cervia, e il 6 settembre va in onda la prima puntata su Italia 1, condotta da Ilaria D’Amico.
Già dai primi momenti è chiaro che il calcio non avesse un grandissimo ruolo, rimanesse quasi sullo sfondo. Più che altro, viene creato hype attorno ai giocatori selezionati, l’ingresso dei giocatori (“i magnifici 24”, come li chiama il giornalista Davide De Zan che seguirà la squadra per tutta la stagione) nella residenza di Milano Marittima, una piccola frazione del comune cervese, viene spacciato come un bagno di folla. Succede anche che un giocatore venga annunciato per errore da Ilaria D’Amico. È Vincenzo Zanzi, che abbraccia i genitori prima di scoprire di non far parte della squadra. Lo farà come “sfidante” e si giocherà il posto con un altro compagno, Zoran Ljubisic. I due si sfideranno a distanza di qualche settimana in varie prove a posteriori ininfluenti, perché è sempre il televoto a stabilire chi rimane nel Cervia.
I momenti che precedono il “play out”, come viene definito dalla trasmissione, tra Zanzi e Ljubisic. Non sarà l’unico nel corso del programma, che anche sotto questo punto di vista ricalca le dinamiche degli altri reality.
Il pubblico da casa ricopre un ruolo attivo anche nella scelta della formazione, visto che vota tre titolari, uno per reparto, obbligati a giocare almeno un tempo. L’XI titolare viene ufficializzato nella puntata del sabato pomeriggio, che va in onda dagli studi di Mirabilandia - il parco divertimenti che dista poco più di un chilometro dallo stadio “Germano Todoli” di Milano Marittima, dove si disputano le partite casalinghe.
Come allenatore viene scelto Francesco “Ciccio” Graziani, il protagonista principale del biennio di Campioni. Graziani ha segnato più di 100 gol in Serie A e vinto il Mondiale del 1982, ma da allenatore è reduce da esperienze in chiaroscuro da tra Catania e Montevarchi (C2). Nella conferenza stampa di presentazione Graziani rimane subito nella storia affermando che: “stiamo facendo un programma così innovativo che se ci guardiamo dietro vediamo il futuro”. In un video del canale YouTube Calcio di periferia, l’ex allenatore del Cervia ha spiegato che “l’accordo era che una parte di giocatori li decidevo io e una parte li decideva la produzione”. I vari Di Matteo, Spagnoli e Olivieri, che l’anno precedente erano stati allenati da Graziani in C2, verosimilmente erano quindi una richiesta del tecnico, e forse lo stesso si può dire anche di altri giocatori scesi di una o due categorie. Poi c’erano alcuni profili più funzionali al reality, i veri personaggi che hanno portato alla ribalta il programma.
Bondi racconta “Campioni”
A differenza del GF, Campioni, il sogno non va in diretta h24 e le riprese non sono integrali: viene registrata gran parte della giornata, ma le telecamere si spengono attorno alle 22. Il girato poi viene tagliato e proposto il giorno successivo in una striscia di mezzora trasmessa nel primo pomeriggio e in replica in seconda serata.
La sigla “Campioni nel cuore” è cantata da un Gigi D’Alessio nella fase ascendente della sua carriera.
Purtroppo, però, su internet non è rimasto molto materiale, e bisogna affidarsi a qualche clip caricata sui social o YouTube. Per avere qualche informazione in più ho deciso di contattare un giocatore di quella squadra, Matteo Bondi, uno di quelli che è più rimasto legato a Cervia e al Cervia: dopo una lunga carriera tra i dilettanti (ma anche 39 presenze tra B e C nei primi anni 2000) nel 2014 è tornato proprio nella società ravennate, di cui è diventato pure direttore sportivo. Ha origini emiliane, ma ormai vive a Cervia dal 1999. Un pomeriggio di giugno mi ha ospitato negli uffici dietro allo stadio Todoli per raccontarmi la sua esperienza a 19 anni di distanza.
«Un’esperienza che se domani mi chiedessero di rifarla accetterei subito», esordisce Bondi, che oltre a fare il DS lavora in un negozio di articoli sportivi a Cesena «perché al di là del fatto che dal punto di vista calcistico venivo dai professionisti e magari può essere stata una scelta discutibile, quello che ho fatto in quella stagione lì probabilmente non la rifarò in tutta la mia vita. Dall’ambito televisivo ai campi calcati, perché siamo stati in tanti stadi di Serie A, per non parlare di tutto quello che è stato al di là del calcio: le ospitate a “Scherzi a parte”, “Paperissima”, “Buona domenica” e i programmi con Bonolis. Eravamo al centro del mondo televisivo».
Gli chiedo quindi se nel 2004 si sarebbe potuto immaginare a cosa sarebbe andato incontro, considerato che magari qualcuno poteva vedere in Mediaset un’opportunità unica in termini di visibilità per la propria carriera, sottovalutando tutto l’aspetto extracampo che alla fine ha prevalso sul discorso sportivo. A maggior ragione per uno come Bondi che aveva già maturato diverse presenze tra i professionisti e presumo puntasse a tornare in quelle categorie. «Noi siamo stati convinti in quel modo lì. Ci hanno detto che saremmo andati in tv tutti i giorni, le partite le avrebbero viste tutti e saremmo andati a giocare contro squadre di livello superiore».
Ma nella realtà dei fatti si trattava di un esperimento inedito a tutti i livelli: dalla produzione al pubblico, passando per gli stessi protagonisti del programma. «Ti ritrovi dalla sera alla mattina con gli occhi di tutti addosso e il primo periodo è stato tosto perché eri entrato dentro una lavatrice senza sapere cosa ci fosse dentro. Non è che mi aveva comprato una squadra nuova dove potevano cambiare alcune situazioni ma era pur sempre il mio mondo. Lì era calcio, ma durava 2-3 ore al giorno. Il resto era tutt’altro».
Nell’intervista del canale Calcio di periferia menzionata sopra, era intervenuto anche un altro giocatore, Lorenzo Spagnoli, che ha confermato lo stesso disagio. «Sono stati difficili i primi mesi con le telecamere che ti seguivano ovunque. Ne parlai anche col mister, che mi disse che se non mi davo una mossa anche a livello televisivo non ci potevo stare lì dentro».
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Una delle primissime puntate, in cui la squadra entra in studio e viene coinvolta da Ilaria D’Amico. Più che un’intervista, la conduttrice sembra un’insegnante che prova tirare fuori le parole di bocca a degli studenti impacciati.
Naturalmente i giocatori vengono ripresi e microfonati in ogni loro spostamento, anche durante l’allenamento. «Quella è stata una delle cose più difficili a cui abituarsi», ammette Bondi «Perché avevi tutta l’imbragatura col microfono sotto l’ascella e le prime volte non era facilissimo». Oltre al campo sportivo, l’altro luogo di riferimento è la residenza in cui la squadra alloggia. Una villa gigantesca, dotata di ogni confort. «Si trova in centro a Milano Marittima, dallo stadio ci si arriva a piedi. Al piano terra c’era un salone con varie stanze, l’ufficio del mister e il confessionale. Al piano superiore almeno una decina di camere, i bagni, l’altra ala con la regia e l’ufficio della Gialappa’s, che otteneva il materiale direttamente dalla produzione. Era una casa sfitta che dopo il programma è tornata ad essere disabitata».
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La presentazione della residenza.
Il Cervia però spesso e volentieri è fuori dalla casa, impegnato in attività di vario tipo proprio perché Mediaset vuole intercettare una fascia di pubblico il più ampia possibile. Anche, anzi soprattutto, quella non propriamente interessata al calcio. In questa clip ad esempio i gialloblù vanno a correre al mare sotto lo sguardo dell’ex attaccante di Roma e Torino, Ruggero Rizzitelli, che si ferma a parlare con Graziani e i giocatori. Poi alcuni di loro dipingono una staccionata, immagino di uno stabilimento balneare, mentre qualcun altro gioca a racchettoni sul bagnasciuga. In questo video invece la squadra si dirige in pullman in un parco avventura con il mental coach Livio Sgarbi, uno dei personaggi divenuto celebre suo malgrado grazie agli sfottò della Gialappa’s Band.
«Avevamo mille distrazioni», dice Spagnoli «Ci svegliavamo la mattina e ci poteva essere qualsiasi tipo di impegno, lo scoprivi al momento. Come una registrazione in esterna, un incontro con un ospite, un allenamento in più, o ancora incontri con gli sponsor a Milano. Il giovedì c’erano alcune feste a cui dovevamo partecipare all’Idroscalo di Milano e facevi minimo le 2 di notte, per fortuna il mister riusciva ad annullarle ogni tanto».
«Poteva succedere di tutto», ha aggiunto il difensore Mattia Missiroli, l’unico cervese della rosa, in quest’intervista del 2019 «Dal corso di inglese alle cene con ragazze bellissime mai viste prima. Ci davano una Seat fornita dalla produzione, andavamo a mangiare da qualche parte o anche solo a fare shopping e le telecamere ci seguivano».
Non dover lavorare durante il giorno per dei giocatori di Eccellenza è un privilegio e un vantaggio rispetto alle altre squadre, ma il Cervia si ritrova a gestire una mole di impegni e una pressione inedite per una formazione dilettantistica. «Non c’erano giorni di riposo, perché voleva dire non mandare in onda niente», racconta Bondi «Eravamo in 25, il lunedì quelli che avevano giocato il giorno prima facevano un defaticante ma gli altri si allenavano proprio per la necessità da parte della regia di avere materiale. Se non vado errato una volta a settimana avevamo la doppia seduta, poi una mattina facevamo aerobica o attività non inerenti al calcio. Nel girone di ritorno poi sono iniziate le amichevoli infrasettimanali e spesso partivamo il martedì, giocavamo il mercoledì e tornavamo la notte o il giovedì mattina. Per cui la settimana era praticamente finita, tra la puntata e le riprese in esterna nelle varie trasmissioni».
Un successo non immediato
La prima stagione del reality si è rivelata un successo a livello di ascolti televisivi e presenze allo stadio, ma il programma ci ha messo qualche mese prima di decollare. In un articolo del Corriere del novembre 2004, il direttore di Italia 1 Luca Tiraboschi parla apertamente delle difficoltà iniziali da parte del programma nel conciliare la dimensione sportiva e quella del reality. «Pensavamo a un prodotto a 360 gradi, per donne e uomini e questo alla fine ha creato un po’ di confusione. Per assecondare diversi pubblici, ci siamo persi. Ci siamo resi conto che non accontentavamo né gli appassionati di calcio, né di reality. È venuto fuori un ibrido (...) Abbiamo pensato di percorrere la strada sportiva visto che abbiamo una squadra di calcio che dovrà giocare tutto il campionato fino a giugno. E questa nuova strada comincia a dare i suoi frutti. Gli ascolti si stanno stabilizzando attorno all’8%, prima erano schizofrenici». Il centrocampista Matteo Domeniconi ricorda che «inizialmente la partita la dava solamente Sky e quello era già il termometro di come la produzione aveva voluto impostare la cosa. Si è ribaltato tutto verso novembre quando l’audience della partita era altissimo e hanno deciso di trasmetterla anche su Italia 1. Lì è esploso il programma».
Per Domeniconi e Tiraboschi Campioni, il sogno ha iniziato a essere seguito quando l’obiettivo si è spostato dalle dinamiche relazionali tra i giocatori al campo. La ricostruzione di Bondi è ancora più drastica. «Gli autori ci spiegarono che non riuscivano a coprire l’esborso per tenere in piedi il programma. Quando ci diedero la settimana libera per Natale, ci dissero di tenere accesi i telefoni, perché non sapevano se e quando saremmo tornati. Dopo di che la produzione decise di andare all in prendendo Maradona jr e cambiare il format coinvolgendo le squadre di serie A. Nel giro di 2-3 settimane ci fu un’esplosione del programma e Diego fu un traino clamoroso: la prima partita che giocammo nel bolognese facemmo il record di ascolti su Italia 1, qualcosa attorno ai due milioni».
Ognuno ha la sua tesi, è difficile ricostruire dinamiche così complesse dopo quasi 20 anni. Secondo Francesco Gullo, l’altra grande celebrità della prima stagione assieme a Graziani «il programma era partito per essere calcistico, poi grazie al sottoscritto, al buon Alfieri e Giuffrida, è stato pilotato senza volerlo verso lo spettacolo».
Di sicuro nella seconda parte della stagione la trasmissione è diventata un cult: la storia del figlio di Maradona non riconosciuto dal padre – verrà riconosciuto nel 2007 – aggiunge un’ulteriore patina di emotainment, ma anche di aspettative per vedere all’opera il figlio di uno dei calciatori più forti della storia, a maggior ragione in quel momento storico, visto che veniva dalla Primavera del Genoa. Ad aggiungere altra carne al fuoco c’è la serie di amichevoli coi club di Serie A e B in giro per l’Italia partita tra la fine del girone d’andata e l’inizio del ritorno. Nel gennaio del 2005 i gialloblù incontrano il Milan al Brianteo di Monza, una sfida da oltre 10.000 spettatori che passerà alla storia del reality per il tunnel di Gullo a Gattuso, ma anche perché Graziani non si era accorto che il Cervia aveva ripreso il secondo tempo in 10 uomini.
Non so se se questa carrellata di amichevoli contro le big sia stata una causa o una conseguenza della popolarità di Campioni. Fatto sta che in queste gare è ancora più influente il ruolo del televoto, che sceglie la formazione titolare e nomina il migliore in campo, il quale si aggiudica la fascia verde che gli avrebbe garantito un posto nella “partita finale”.
Uno spezzone dell’amichevole del Cervia a Palermo. Rivederlo a 19 anni di distanza sembra un’esperienza allucinogena: dalle sostituzioni decise dai telespettatori a Graziani intervistato a bordo campo che se la prende pubblicamente coi suoi difensori.
Campioni, il sogno farà tappa nella maggior parte degli stadi di Serie A: Siena, Lecce, Udine, Bologna, Parma, Reggio Calabria, Messina, Genova e anche alcuni impianti di Serie B. Il punto più alto probabilmente è il tutto esaurito fatto registrare a Palermo, dove per il Cervia di Graziani accorre più gente rispetto alla partita di campionato contro la Juve. «Al Barbera abbiamo fatto 45mila spettatori perché in campionato le scale e le vie di fuga andavano tenute libere», precisa Bondi «Contro di noi la prefettura dava l’ok per riempire completamente lo stadio. Non c’era un posto libero quel giorno». Il programma prende la forma di una carovana colorata su cui in tanti vogliono salire, un fenomeno che ricorda “l’effetto Festivalbar” negli anni ’90 - una sorta di FOMO ante litteram per partecipare a un evento a suo modo unico e avere un contatto diretto con un mondo apparentemente irraggiungibile come quello della TV.
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La presentazione dell’amichevole a Marassi da parte di Davide De Zan sembra quella di un concerto, più che di una partita.
In più si innesca la curiosità di vedere degli “animali esotici” come quei calciatori dilettanti divenuti improvvisamente famosi grazie a Italia 1. «Vedere venti sfigati come noi che venivano da categorie più o meno accessibili ha fatto sì che la gente si avvicinasse», dice Bondi, caustico.
In un’epoca senza social, per la squadra romagnola le amichevoli rappresentano pure il primo vero feedback diretto della popolarità acquisita nel corso dei mesi. Anche perché se è vero che il Cervia ha contatti con l’esterno, la realtà dei giocatori è circoscritta alla bolla autoreferenziale definita dalla regia televisiva. «Ho capito che eravamo diventati delle star quando abbiamo giocato contro il Milan», ammette Gullo in un’altra live «Alla fine esco dallo spogliatoio con Shevchenko che aveva appena vinto il Pallone D’Oro e i giornalisti sono venuti da me. Nemmeno lui se l’aspettava».
Altro momento surreale durante questo tour itinerante: Ciccio Graziani discute con il compianto Franco Scoglio, allora opinionista Mediaset, per l’eccessiva intensità messa in campo dal Messina.
«La domenica andavi allo stadio e vedevi tanta gente, ma quando eri lì dentro non te ne rendevi conto», aggiunge Bondi «E oggi racconto aneddoti di cui quasi mi vergogno. Io, Spagnoli, Ricci e credo Domeniconi avevamo vinto i biglietti per andare a Torino a vedere Juve-Real Madrid, ottavi di Champions League. Finisce la partita e andiamo di sotto negli spogliatoi. Nel mezzo c’era la zona mista dove i giocatori passavano e facevano l’intervista. Escono i giocatori della Juve e già era strano che ti chiamassero per nome, poi arriva Ferrara col figlio, che gli chiede: “babbo mi fai una foto con i campioni?”. Ferrara prende la macchina fotografica e si infila tra Ronaldo, Beckham e Zidane, ma il figlio gli dice: “babbo guarda che i campioni sono quelli del Cervia”. E Ferrara: “Aspetta, ma hai visto i giocatori del Real Madrid?”. “Io non li conosco babbo, voglio fare la foto con loro”».
«Follia totale, però in Italia eravamo arrivati a quei livelli lì».
«A un certo punto dell’anno intervenì il portavoce del Vaticano con una lettera su Famiglia cristiana che ci costrinse ad anticipare l’orario delle partite la domenica mattina [dalle 10.30 alle 9.30, nda] altrimenti i bambini non andavano più a messa. Ci arrivavano notizie di oratori organizzati con maxischermi per vedere la partita e poi andare in chiesa».
La cosa più assurda che ho trovato su Internet è questo servizio di una tv svedese, in cui l’ex centravanti Kennet Andersson veste i panni dell’inviato e vola a Cervia per intervistare Gianluca Ricci, suo ex compagno di squadra ai tempi del Bari.
Il pubblico di “Campioni”
Com’era inizialmente nelle intenzioni degli autori, Campioni, il sogno è diventato un cult quando, forse inconsapevolmente, si sono sviluppati più livelli di fruizione che lo rendevano un prodotto trasversale. Da una parte una fandom di giovanissimi, sia ragazzi che ragazze adolescenti, che idolatra i giocatori e prende d’assalto il Todoli per le partite casalinghe, anche a costo di seguire le gare rimanendo in piedi dietro le reti di recinzione, dall’altra i calciofili incuriositi dal format e dall’attenzione verso categorie di cui solitamente le emittenti nazionali non si occupano. In mezzo gli appassionati dei reality e in particolare gli amanti della Gialappa’s Band, la vera leva che ha fatto lievitare l’interesse attorno al programma.
Come per gli altri reality, il trio comico lancia delle clip durante le puntate di “Mai Dire lunedì” in cui prende di mira alcuni giocatori, contribuendo a trasformarli in meme. Come col Grande Fratello, la Gialappa’s punta a rendere dissacrante il programma ricercando le parti più trash, o più banalmente aprendo uno squarcio nella contraddizione tra la gravitas con cui Italia 1 tratta le vicende del Cervia e il livello tecnico non propriamente eccelso di un campionato dilettantistico.
È il momento in cui Francesco Gullo viene ribattezzato dalla Gialappa’s “un Pancaro andato a male”.
Gullo diventa nel giro di qualche settimana uno dei beniamini del pubblico, che lo inserisce nella formazione titolare quasi ogni settimana. Piace agli spettatori perché è narcisista e imprevedibile, uno che non si capisce mai quanto creda alle sue sparate. La sua popolarità è persino andata oltre a quella del programma quando si è scoperto che aveva mentito sul suo passato al Basilea e nello specifico su una presenza in Champions League contro la Juve nel 2002/03. Mi sono sempre chiesto cosa gli passasse per la testa quando ha provato a vendere questa storia a un canale nazionale. «Non l’avevo ragionata, ci ho provato e mi è andata bene», mi dice il diretto interessato «Ho falsificato il curriculum e potevo essere allontanato dal programma. Per carità, ho sbagliato, sono stato punito e tutta la squadra mi ha votato contro, mettendomi al televoto [avrebbe sfidato il carneade Pasquale Commentale per mantenere il posto in squadra, nda]. Ma avevo il pubblico che si era affezionato a me e alla fine mi hanno tenuto dentro al programma, anche perché la stessa azienda si era convinta. Però penso di essere l’unico nella storia dei reality che ha preso in giro la gente ed è stato comunque idolatrato».
Una vicenda figlia di un mondo senza smartphone: Mediaset riuscirà a smascherare il difensore solo dopo qualche mese.
L’altro simbolo del programma è lo stesso Graziani, che la Gialappa’s trasforma in un idolo un po’ squallido riprendendo i suoi strafalcioni e le sue incazzature in panchina, in cui vomita i peggiori insulti nei confronti dei suoi giocatori e a volte pure degli spettatori. I suoi sfoghi nello spogliatoio a fine primo tempo, rigorosamente ripresi dalle telecamere, nel corso del campionato si impongono come uno dei momenti di massima audience del programma.
In questo modo l’aura del grande attaccante dal passato glorioso viene definitivamente spazzata via dall’immagine più caricaturale del mister dai modi burberi e talvolta comici suo malgrado. Ero convinto che Graziani fosse vittima delle gag della Gialappa’s e della stessa produzione - che dopo i primi tempi in cui la squadra aveva difficoltà a ottenere risultati, aveva fatto trapelare la voce di un possibile esonero di Graziani in favore di Daniele Massaro – in realtà l’ex allenatore ha confessato che «qualche arrabbiatura era costruita, perché dovevamo ricordarci che eravamo dentro un contenitore televisivo e quindi dovevamo essere appetibili. Non nego che alcune situazioni erano state create con gli autori, però il tutto doveva andare a vantaggio della crescita dei ragazzi».
In tanti lo guardano per il lol, quindi, ma “Campioni”, come ogni fenomeno pop, suscita reazioni divisive. Da una parte la curiosità per questa “squadra in provetta”, dall’altra il disprezzo per quello che viene percepito come il club “dei fighetti”, come ricordo venne chiamata da un giocatore di un’altra formazione del girone andata in onda. L’ostilità verso i giocatori di Graziani in Emilia Romagna forse è più accentuata per ragioni di campanile, che finisce per confluire in un senso di radicamento verso le squadre dei rispettivi territori. Io, che sono più o meno di quelle zone, ricordo di aver visto sul bus per andare a scuola tanti studenti con la sciarpetta rosanero del Virtus Villa, la società di Villa Verucchio, un paesino in provincia di Rimini a pochi chilometri da casa mia, che in quel 2004/05 era il principale antagonista del Cervia. «C’è stata molta partecipazione non solo di quelli che seguivano il reality, ma anche di chi seguiva il nostro campionato», conferma Bondi «Io a Villa Verucchio ci sono andato tante volte, quando vado ci sono un po’ di ragazzini con un tamburo e qualche fumogeno. Quell’anno lì c’erano le tifoserie organizzate perché anche per loro era un evento. Riempivamo ogni tipo di stadio».
Ogni trasferta del Cervia si trasforma nella partita della vita per la squadra locale, stimolata a mettersi in mostra davanti alle telecamere di Italia 1. Ed è anche uno dei motivi per cui i ragazzi di Graziani ci mettono alcune settimane prima di trovare una buona continuità di prestazioni. I gialloblù pareggiano 7 delle prime 11 giornate e all’inizio del girone di ritorno perdono 3 partite, prima di infilare una striscia utile di 9 vittorie e due pareggi che permetterà loro di vincere il campionato.
«All’inizio non eravamo partiti bene», mi racconta Bondi «L’aspetto emotivo aveva inciso sul rendimento. Quando poi le cose si sono assestate, una squadra che si allena 5-6 volte a settimana con una rosa di 25 giocatori che non tutti si potevano permettere, non poteva non venire fuori». Anche Gullo mi spiega che non è stato affatto facile. «Abbiamo vinto l’Eccellenza, riportando il Cervia dopo oltre 30 anni in Serie D. Giocavi la domenica mattina ed era quasi un Sanremo in prima serata. Eravamo forti, però abbiamo vinto soltanto alla penultima giornata grazie a un gol di Ricci da metà campo che a momenti faceva venire giù lo stadio». La chiave per Spagnoli è stata l’affiatamento all’interno del gruppo. «C’erano quei 5-6-7 più portati allo show che si prendevano il loro spazio in tv e poi c’erano quelli più portati a livello sportivo che si prendevano il loro spazio in partita. Questo rispetto tra di noi ha fatto sì che il primo anno fosse un successo».
Su YouTube si può trovare una delle gare integrali del Cervia. Il rullino degli SMS nel sottopancia: il segno di un’epoca che non esiste più.
Ma la partita ancora più importante per i gialloblù è la finalissima del reality, che si gioca al Brianteo di Monza sotto il diluvio. Partecipano soltanto gli 11 eletti dal pubblico nel corso delle amichevoli, gli altri rimangono in panchina. Ad affrontare il Cervia i cosiddetti “All stars”: una selezione di ex giocatori del recente passato (Bergomi e Franco Baresi in testa) più qualche calciatore in attività, come Beppe Signori e i messinesi Zoro e Di Napoli. Uno sparring partner comodo per il Cervia, che segna subito 4 gol sotto gli occhi del direttore generale del Milan Arriedo Braida, il responsabile dell’area tecnica dell’Inter Gabriele Oriali e il team manager della Juve Alessio Secco, i quali devono eleggere i tre vincitori dopo che il pubblico nel corso della serata avrà compiuto la prima scrematura eleggendo i primi 5 classificati (qui trovate la replica integrale).
È una serata che sintetizza il registro ambiguo con cui Mediaset porta avanti lo show tra il serio e il faceto. Da una parte i telecronisti Sandro Piccinini e Sebino Nela si sforzano di dare credibilità a una partita dai toni agonistici trascurabili, in cui gli “All stars” sono in campo semplicemente per far sì che il Cervia faccia bella figura (per la cronaca: vincerà 5-2). Dall’altra intermezzi improbabili, come i videomessaggi di saluto da parte di Buffon, Seedorf e Gianni Morandi (?), o ancora le interviste di colore a cura di Davide De Zan a tecnici e giocatori presenti a bordo campo. Il giornalista di Mediaset per tutto la stagione ha seguito la squadra vestendo i panni alle volte del giornalista severo e tranchant nei giudizi, altre volte del padre comprensivo che incoraggia i suoi figli, più in generale del narratore che vuole creare una storyline avvincente attorno al Cervia.
Tre dirigenti dei club più vincenti della Serie A seduti assieme per vedere un’esibizione e selezionare altrettanti calciatori di Eccellenza da portare in ritiro. Una scena davvero difficile da spiegare a chi non ha vissuto questo programma.
La coda della puntata è uno spannung dilatato all’infinito, nell’attesa di conoscere i tre vincitori. Alla fine la Juve selezionerà Lorenzo Spagnoli, il Milan Fabio Borriello, fratello del più famoso Marco, e l’Inter Cristian Arrieta. La prima edizione si chiude con la sigla di Gigi D’Alessio cantata dai giocatori in playback, praticamente la definizione stessa del cringe.
Le conseguenze di “Campioni sui giocatori”
In realtà Campioni non si è rivelato un trampolino verso il grande calcio, ma solo un contenitore che ha sfruttato i giocatori alimentandosi delle loro storie. «L’anno dopo la maggior parte di noi ha fatto fatica a rientrare nel mondo del calcio da cui era uscito e nel mondo dei professionisti ci chiamavano “i calciattori”. Nel giro di 8 mesi eravamo diventati da calciatori più o meno bravi a personaggi dello show business e quindi non più considerati degli sportivi. Quando fai questo tipo di scelte, ne devi essere consapevole. Perché se uno crede di poter fare il calciatore professionista poteva aspettarsi che partecipare a quel programma sarebbe stato controproducente», mi dice Bondi. Arrieta ha raccontato che nell’estate del 2006 è tornato al Lecco, in seconda divisione, «ma i tifosi non mi volevano» mentre Maradona jr in una live di calciomercato.com è stato ancora più duro: «A Campioni ho buttato la carriera nel gabinetto. Avevo 5 anni di contratto a Genova, ero ben visto da Cosmi e mi allenavo con la prima squadra. Ma sono stato un coglione perché ho ascoltato un procuratore che non mi voleva bene. Per carità, sono stato bene coi ragazzi: dal punto di vista umano il Cervia mi ha dato Marco Pepe che è diventato uno dei miei migliori amici, ma mi sentivo fuori luogo».
Alcuni di loro sono rimasti all’interno del palinsesto Mediaset per un periodo più o meno lungo come tronisti a Uomini e Donne o postini a C’è posta per te, altri hanno continuato a giocare a cavallo tra Serie C ed Eccellenza, poi c’è chi come Arrieta ha raccolto persino qualche presenza in B con il Lecce nel 2006/07, arrivando a vestire la maglia della Nazionale portoricana. O ancora Spagnoli che per 8 anni (dal 2013 al 2021) ha ricoperto la carica di presidente dell’Imolese, formazione in provincia di Bologna che sotto la sua gestione è tornata in Lega Pro. La maggior parte di loro ha provato a staccarsi l’etichetta del personaggio un po’ frivolo da reality show, tranne Gullo che su quell’esperienza ci ha costruito la sua carriera professionale. «Io sono Campioni. Se tu parli dopo 20 anni del programma da una parte c’erano i ragazzi del Cervia, dall’altra io e Graziani. Non posso che ringraziare Mediaset e la famiglia Berlusconi perché quella stagione mi ha dato una popolarità incredibile che mi ha cambiato la vita. Grazie a loro ho lavorato da Costanzo e per quasi 15 anni ho fatto l’opinionista televisivo».
L’ex difensore è impegnato tuttora in un progetto benefico con cui gira gli stadi d’Italia. Neanche a dirlo, il nome si ispira al reality che gli ha dato la fama. «Campioni, il tour nasce nel 2009 quando, a seguito di una disgrazia personale, decisi di affittare lo stadio di San Siro a una squadra di Pulcini. Mi sembrava una cosa bella e giusta e ho provato a replicarla anche in altri stadi di Serie A. Oggi Campioni, il tour ha 13 anni e ha fatto giocare 113mila bambini, semplicemente mettendoci il mio nome e la mia faccia. Faccio giocare soprattutto squadre dilettantistiche e con le donazioni dei genitori acquistiamo giocattoli per la pediatria dell’ospedale del posto».
Campioni, il sogno nel frattempo era proseguito con una seconda edizione in tono minore. Un po’ perché l’effetto novità era scemato, un po’ perché nella rosa che ha militato in Serie D c’erano meno show men rispetto alla prima stagione, un po’ perché la squadra ha perso subito terreno dalla vetta e non ha mai lottato per la vittoria finale (i ragazzi di Graziani chiuderanno al girone al quarto posto, perdendo la prima partita dei play-off contro il Salò). Già a metà stagione si parla di ridimensionare la trasmissione, eliminando la striscia quotidiana che avrebbe alleggerito i costi di produzione. «Ciccio Graziani e alcuni autori hanno commesso l’errore di rifondare completamente la squadra», il punto di vista di Gullo «Non hanno confermato quelli più importanti e hanno tenuto solo Moschino, Spagnoli, Giuffrida che era tornato a gennaio e Alfieri perché doveva fare il film Vita smeralda. Alla fine gli spettatori non sono riusciti ad affezionarsi a un gruppo tutto nuovo. Forse se avessero tenuto 20 dei nostri e qualche aggiunta sarebbe andata diversamente».
Il reality chiude i battenti al termine della stagione 2005/06. Alcuni siti di gossip hanno ipotizzato nell’estate del 2012 la possibilità di una terza edizione che però non vedrà mai la luce. Sempre in quel periodo, tra il 2011 e il 2013, MTV ha prodotto Calciatori giovani speranze, un programma che ricalca l’idea di Campioni di entrare negli spogliatoi di una squadra e seguire i calciatori, in questo caso alcuni ragazzi della formazione Allievi Nazionali della Fiorentina. Ma più che di un reality, si trattava di una docuserie che mira a scavare nella vita dei ragazzi, andando anche oltre la dimensione sportiva.
Nel giro di qualche anno poi sarebbero arrivati i grandi player dello streaming, come Netflix e Amazon, con serie dedicate a varie squadre, che sono state seguite nella loro quotidianità. A parte qualche eccezione, però, queste serie sembrano tutte posticce e ci fanno vedere più che altro come queste società scelgano di raccontarsi.
A proposito di questo, ho chiesto a Bondi quanto Campioni fosse un prodotto genuino e quanto invece filtrato dalla regia. «Era divertente perché nella casa c’erano delle zone cieche che evitavi per non far arrabbiare la produzione. Però dopo 3-4 mesi quando non volevi che una tua registrazione andasse in onda, ci infilavi qualche bestemmia così stavi sicuro. È chiaro che se vai a giocare contro la squadra x, non ti metti a dire che il loro capitano è un cretino. Dovevi pur sempre conservare la parvenza di un programma televisivo, perché va bene il reality ma fino a un certo punto. Non era il Grande Fratello: tutto veniva ripreso e poi filtrato». Missiroli in un’intervista ha raccontato di aver spaccato un armadietto «perché vedevo gente che faceva la recita solo davanti alle telecamere e poi tornava normale». «La notte prima del play out con Ljubisic», ha ammesso Zanzi «Entrarono gli autori con le telecamere verso le tre di notte. Ero nel sonno più profondo e mi svegliarono chiedendomi di far vedere di essere agitato per la sfida. Probabilmente mancavano delle scene per la puntata del giorno seguente».
Cervia però ha avuto il suo sequel nella stagione 2021/22. L’idea nasce proprio da Gullo e Bondi, che hanno lanciato Cervia Calcio 2.0 – Generazione Social, un format pensato soprattutto in funzione di Facebook e Instagram, con una puntata settimanale di mezzora che andava in onda sul canale Go-Tv. «È stato deciso tutto in meno di 15 giorni», riprende Bondi «All’inizio c’era entusiasmo, specie quando vedi i follower che aumentano. La trasmissione in tv andava bene, alcuni video hanno superato il milione di visualizzazioni. Ma alla lunga è stato massacrante: avremmo dovuto riprendere la partita in diretta per dare un senso a tutto il lavoro settimanale, anche se rimane un’esperienza molto carina».
Una puntata della trasmissione realizzata da Bondi e Gullo. Fondamentalmente l’episodio è una marcia di avvicinamento alla partita della domenica, che viene raccontata dalle immagini realizzate a bordo campo.
«La differenza è che dietro Campioni c’erano due registi del calibro di Roberto Cenci per lo spettacolo e Popi Bonnici per la parte sportiva con un centinaio di telecamere e 70 milioni di budget», mi spiega Gullo, il regista del programma «Io invece ho fatto tutto con un telefonino e uno stabilizzatore. Non potevamo avere la stessa risonanza di Mediaset, però se n’è parlato». L’annata si è chiusa con la festa per il centenario del club, a cui hanno partecipato diversi giocatori della prima edizione di Campioni.
Non so bene cosa significhi questo, non so bene nemmeno perché proviamo ancora nostalgia per Campioni, che forse oggi guarderemmo dall’alto in basso. Certo, è stato un fenomeno generazionale, che non poteva lasciare indifferente chi l’ha seguito in prima persona, e che non può non essere interessante oggi, a 19 anni di distanza, che tutto questo ci sembra alieno. Oggi si fa fatica a riconoscersi in questo programma, alla fine però se ci pensate non è nemmeno così tanto tempo fa. «Io ancora oggi delle volte mi trovo in difficoltà», dice Bondi «A 43 anni la gente mi vede per strada e mi dice: “ma tu sei Bondi di Campioni”. I miei coetanei, quelli che 20 anni fa giocavano nelle categorie inferiori, lo guardavano tutti».