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Cosa manca a Gregorio Paltrinieri?
24 set 2024
Il passato e il futuro di uno dei più grandi nuotatori italiani di sempre, nella fase finale della sua carriera.
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6 min
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IMAGO / ABACAPRESS
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L’ultima cartolina da Parigi è stata dal letto di un ospedale: un tragicomico infortunio al gomito in chiusura dei Giochi, sventolando la bandiera italiana al quale anche in terra francese ha dato due medaglie. È successo durante la cerimonia finale da portabandiera, a due giorni dal nuoto in acque libere che non gli ha dato ciò che avrebbe dovuto, anche se nelle condizioni in cui si è svolta la gara sarebbe stato obiettivamente difficile. Gregorio Paltrinieri sembra voler dare di più di quello che ha anche quando c'è da sventolare una bandiera.

In uno dei capitoli di Festa Mobile nella Senna si può persino pescare: Ernest Hemingway racconta di pesci così piccoli che finiscono fritti e poi mangiati interi con la lisca. Non è di certo stata la Senna della Parigi olimpica, dove non si poteva di certo pescare e nuotare lo si è fatto con grandi difficoltà, al termine di uno sfiancante avvicinamento fatto di veleni, retromarce e ostinazioni.

Anche all'interno della Nazionale italiana, Paltrinieri era stato il primo a sollevare la questione senza girarci attorno. «Sono quasi sicuro che la faranno comunque lì perché ci hanno investito troppo, quindi mi sembra un po' una presa in giro», aveva detto il capitano del nuoto italiano diversi giorni prima della sua 10 chilometri, quando era ancora trend topic il caso dell’acqua inquinata, della concentrazione di Escherichia Coli e della possibilità che la gara venisse spostata altrove.

L’igiene è stata solo uno degli aspetti problematici di un campo di gara particolarissimo, molto fotogenico quanto poco adatto allo scopo, che non lo aveva mai entusiasmato già nell’avvicinamento ai Giochi. Paltrinieri aveva ragione: le correnti diverse in discesa o in salita da ponte Alexandre III l’hanno resa due gare in una, e ognuna con le sue regole, i suoi tempi e le sue strategie. E alla fine Greg, lì dall’inizio nelle prime posizioni a battagliare con l’ungherese Kristopf Rasovszky, nella corrente alternata ha perso il suo passo, chiudendo nono.

Non ha raggiunto l'obiettivo che si era dato ma non è sembrato perdere il sorriso. Alla fine, abbandonando la zona di gara come non fosse stata una lunga nuotata andata di traverso, ha abbracciato tutti: amici, conoscenti e sconosciuti, colleghi e tifose in lacrime per l’emozione che con il trucco tricolore gli hanno tinto l’orecchio di verde.

Finisce forse con questo strano dettaglio una carriera che ha del leggendario. La sua Tokyo tre anni fa resta un passaggio incredibile che nemmeno tutto l’oro di Parigi avrebbe messo in secondo piano. Era stato fermato in prossimità dei Giochi da una mononucleosi, in tempo di Covid uno scherzo beffardo del destino, ma quanto bastava a mortificarne velleità e potenziale fisico per il bis dell’oro di Rio nei 1500 metri stile libero. Per settimane era parsa vacillare persino la sua presenza in Giappone. E invece alla fine Paltrinieri fu capace di arrivare quarto nella sua 1500, di vincere un argento da urlo negli 800 stile, e di aggiungerci un commovente bronzo alla sua prima avventura olimpica nella marathon swimming, dietro l’alieno Florian Wellbrock e a due secondi da Rasovszky, ancora lui. Se c’è un possibile paradigma su cos’è in fondo Gregorio Paltrinieri, quale sia la sua particolare scintilla quando ogni altro elemento naturale si spegnerebbe, non può che essere questa settimana di straziante bellezza in Giappone.

Parigi non è stata tutto oro ma ha luccicato eccome. I suoi Giochi si erano aperti, con il costante rumore di fondo della Senna e il pensiero all’incertezza che aleggiava sul capitolo della 10 chilometri, con il bronzo in vasca negli 800 stile assieme a un nuovo modo di stare in acqua, necessario e necessariamente ben interpretato. Paltrinieri è un software dell’epica nella normalità, ed è sempre in costante aggiornamento. E con la capacità e l’intelligenza di variare il proprio funzionamento rispetto al passato, per risultati simili.

Lo ha spiegato bene, e con franchezza difficile da pareggiare, dopo essere arrivato terzo alle spalle di Daniel Wiffen e Bobby Finke nella prima delle sue tre competizioni di Parigi: «Oggi la strategia era nuova, era da tanto tempo che aspettavo di fare qualcosa del genere. Non sono più quello che apre più veloce e devo accettare il fatto che qualcuno mi stia davanti perché con questi competitor non ci riesco più a farlo io, ma ho affinato altre carte». Ha detto, per la verità, un’altra cosa ancora più significativa e stringata: «Il segreto è che mi diverto ancora».

Semplice a parole, ma in realtà complicatissimo, o forse sarebbe meglio dire rarissimo. Cinque medaglie olimpiche, sette Mondiali che hanno portato sei ori, sei in vasca corta con altri tre ori, 18 medaglie europee di cui dodici ori. I numeri raccontano una parte del suo talento ma non la sua essenza, quell’esserci sempre quando è contato, in forma, convalescente, giovane o meno giovane che fosse, golden boy ai tempi del nuoto di Pellegrini e Magnini, alfiere del movimento azzurro nel presente di Ceccon e di Martinenghi.

Non dev’essere stato sempre e solo roba da ridere. Il saluto a diciassette anni alla via Emilia e a Carpi, dove i vecchi dicono che chi insiste nel lavoro sotto il piombo trova l’oro. Letteralmente, nel suo caso, una profezia ben riposta. Ma a diciassette anni salutando casa per andare a Ostia, vista mare che non si sa mai, devi averla ben fissa in testa una prospettiva così: erano solo cinque anni che aveva lasciato la rana per lo stile libero, ancora tutto da scrivere e moltissimo da nuotare. Un tuffo veloce e via fino a Londra 2012, quando l’astro nascente del nuoto azzurro dopo una batteria vinta nei 1500 stile veniva frenato in finale da una maledetta tendinite alla spalla, aprendo una lunga storia di resistenza.

Un'altra chiave della storia di Paltrinieri è la versatilità, come missione interiore e autoimposizione: dopo i successi di Rio c’è chi lo spingeva a mettersi alla prova con i 200, lui sognava le acque libere. E se le è prese fino alla fine, fino a Parigi, fino a correnti contrarie e insalubri. Un salto che significa immaginazione e applicazione, ricerca di flutti e corsie che non si pensava di percorrere, come quando da ragazzo decide di studiare il ballo perché vuole migliorare la coordinazione tra braccia e gambe.

Se la vera sfida di un software è il confronto con il tempo che passa, l’ipotesi di un Paltrinieri 2.0 è una speranza più che necessità, la curiosità di una nuova reinvenzione. Oggi che dopo la sua terza avventura olimpica il suo cronometro segna ventinove anni, e tra pochi giorni saranno trenta, ci si interroga su quali scelte dovrà fare per percorrere questo ultimo tratto della sua carriera. Sceglierà di andare avanti in piscina? Sceglierà solo le acque libere? O sceglierà di non scegliere, certificando che l’ultimo tango è stato a Parigi? Quello che appare certo, all’indomani della passerella finale da portabandiera, è che ci sarà un periodo sabbatico in cui farà le sue valutazioni, c’è da scommettere impegnative. «Los Angeles? Ci devo arrivare. Sicuramente sarebbe bello», ha detto buttandola lì, subito dopo essere sceso dall’aereo a Fiumicino di rientro dalla Francia.

Vedremo. Magari rimarrà solo un nuotatore di fondo, magari no: in ogni caso i tempi sono in ogni caso maturi per valutare cos’è e cosa è stato Paltrinieri. Dire semplicemente l’unico nuotatore italiano a medaglia in tre Olimpiadi diverse e consecutive forse è semplicistico ma è anche il modo più immediato per restituirne la grandezza.

L’ultimo argento alle spalle di Finke, che ha completato questo record, potrebbe essere stato il commiato olimpico, ma con uno così non è mai detto. Sotto l’inno statunitense dopo i 1500, sul secondo gradino del podio, chissà quanti pensieri devono esserci stati. Nella tribuna più vicina gli altri Nazionali azzurri erano tutti lì, a festeggiare il loro capitano. Mancavano pochi giorni a quella Senna che si sarebbe rivelata una speranza vana, ma anche se fosse questa l'immagine di chiusura della sua carriera, alla fine, non sarebbe così male.

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