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Com'è allenare una squadra in Serie B
19 ago 2024
Lo racconta Alessandro Gazzi, la scorsa stagione vice allenatore della Feralpisalò.
(articolo)
19 min
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Sono le ore 22:30, cielo sereno e 34°C, 14.7.

1.
Long Island, Bahamas 2017. Una tuffatrice si immerge in mare per superare un nuovo record di immersione subacquea. Uno dei sommozzatori, armato di videocamera, riprende la sua azione e scende con lei. Nel video si nota l’atleta prendere il ritmo delle bracciate, afferrare la corda con una mano, poi con l’altra. E così via. In verticale. In sottofondo, appena lei entra in acqua, si percepisce chiaramente un suono ritmato, cardiaco. Un sommozzatore dopo qualche secondo esce dall’inquadratura. Poco dopo anche un secondo, rimanendo sott’acqua a pochi metri dalla linea di galleggiamento. I colori dell’acqua, che prima balenavano in un celeste trasparente, tendono a farsi scuri mettendo in risalto progressivamente la torcia che la tuffatrice porta in fronte. Oltre i trenta metri di profondità, il nuotare diventa più naturale e libero, meno appesantito dalle forze contrarie. Il corpo della tuffatrice fluttua senza fatica. Giù. Sempre più giù. È buio. Manca poco al raggiungimento del punto prestabilito per la risalita. A un certo punto, il piano sequenza che scorreva fluido si interrompe e la videocamera posta in fondo al traguardo inquadra dal basso la tuffatrice che recupera il ticket. Lo stacco dura circa 3 secondi.


Come finirà questa storia? Come finiscono tutte le storie?

2.
«Ale, ho accettato la proposta della Feralpisalò, ho fatto il tuo nome come vice e se sei d’accordo ti porto a lavorare con me. Fai le tue valutazioni e mi richiami. Ok?». Quando mister Marco Zaffaroni mi informa al telefono del suo nuovo incarico dopo la salvezza raggiunta con il Verona lo scorso anno, sto facendo divertire Azzurra, il mio cane, alla Pellerina, un grande parco verde alle porte di Torino. Lì, la domenica mattina, trovi anime di tutti i tipi. Famiglie, bambini e ragazzi, persone che fanno jogging, anziani che passeggiano, fidanzati, qualche ciclista, amanti dello yoga. Ero lì per rilassarmi, per ascoltare un po' di musica e per pensare tra me e me. Ma la chiamata, che già da qualche giorno era nell’aria, mi fa tremare.


Che fosse il campionato dai margini risicati lo avevo capito già nel giorno del mio arrivo sulle rive del Garda. Il primo impatto è surreale: mentre appoggio le labbra sulla tazzina per bere il primo sorso del caffè che avevo richiesto, la barista che mi aveva appena servito prende posizione davanti alla cassa in posizione di attesa guardando davanti a sé. Come a dire: sbrigati che c’ho da fare. Io sorseggio e il tempo sembra stringere la signora in un’attesa infinita.

Pago un euro e cinquanta centesimi e raggiungo lo stadio Lino Turina. Dopo la firma del contratto fino a giugno, i saluti di rito e la presentazione di tutti i dipendenti della giovane società verdeblù, dal direttore sportivo Ferretti al magazziniere, il Mister ed io ci ritroviamo a dover fare i conti con un umore collettivo ai minimi. Nelle prime 10 partite la Feralpi ha ottenuto solo 5 punti e c'è un'apatia strisciante. Ultimo posto in classifica. La depressione era punteggiata da altri numeri: quello dei gol subiti, quello delle reti prese durante l’ultima prestazione a Catanzaro, conclusa con un sonoro 3 a 0 da parte della squadra di Vivarini.

C’era bisogno di una scossa. È tutto normale in situazioni del genere: sguardi smunti, silenzi e teste basse, e un equilibrio da ritrovare con la nuova guida tecnica. Tra tutti gli umori individuali, alla fine della prima seduta, mi si avvicina un ragazzo dall’acceso entusiasmo. Si presenta: «Ciao Mister, prima non mi sono presentato, mi chiamo Denis, piacere». Ha l’aria di uno che non vede l’ora. Hergheligiu è un centrocampista centrale dotato di discreto palleggio, buona corsa e spirito sempre positivo. Ha mosso i suoi primi passi nel settore giovanile dell’Atalanta, poi si è trasferito a Salò entrando a far parte della prima squadra nella stagione 2017/2018 e vincendo il campionato dello scorso anno. Sarà uno di quelli che si allenerà con maggiore costanza e frequenza ma che troverà meno spazio di tutti.

3.
Il motto della Feralpisalò recita: "Orgoglio del passato. Fame selvaggia di futuro".

4.
La difficoltà maggiore dei primi giorni è quella di entrare a regime con i ritmi di lavoro, di orientarmi nel mezzo del nuovo contesto professionale e imparare in fretta nomi e cognomi dei vari componenti dello staff tecnico e medico, della dirigenza e dei calciatori. Si inizia presto la mattina e si finisce nel tardo pomeriggio, con la testa indirizzata lì, sempre lì, a pensare e a ripensare assieme al nuovo staff al lavoro da svolgere, programma degli allenamenti, esercitazioni tecniche, analisi video, valutazioni di ogni tipo, ragionamenti tattici, senza fossilizzarsi troppo ed entrare nello specifico di certi discorsi e cercando una sintesi che faccia quadrare i conti a fine giornata. Piove, perlopiù.

La squadra sembra apparentemente poco amalgamata. Ci sono diversi atleti ai box per infortunio, qualcuno è acciaccato, qualcun altro è alle prese con una riabilitazione all’estero. E quando le cose non girano è molto facile abbandonarsi alla facile negatività che spesso e volentieri porta al collasso. Tatticamente Mister Vecchi ha iniziato il campionato con il modulo 4-3-3 ma dopo i primi tentennamenti sono stati abbozzati dei cambi nel modulo utilizzato. Zaffaroni, per dare qualche certezza in più, cerca di badare al sodo con un 3-5-2 più conservativo per la partita contro la Reggiana di Alessandro Nesta. Finisce 3 a 0 per la squadra emiliana nell’atmosfera atonale di un Garilli praticamente vuoto. Ce la faremo? Mi chiede a fine partita.

5.
Lo stadio Garilli di Piacenza, la nostra casa… Il Garilli, quali sensazioni mi hai fatto ricordare… Qualche anno fa, agli inizi del mio percorso da scrittore (se così mi posso chiamare), descrissi brevemente l’effetto dell’eccessiva ansia sulle mie performance. In un pezzo chiamato "Stato d’Ansia", scrissi: “Concentrati. Ale, concentrati. Dio santo cerca di concentrarti. Entro in campo, da qualche settimana, con un solo pensiero: la ricerca ossessiva della concentrazione. Calpesto i fili d’erba, un passo, due passi, cercando di aggrapparmi alla loro forma sottile, al loro colore. Osservo i tifosi e ascolto i cori sbraitati, gli spettatori nella tribuna centrale sono sbuffi colorati sputati nel grigiore del Garilli. C’è un cronometro digitale, sui tabelloni elettronici che circondano il rettangolo di gioco. Io sono qui. Io sono qui? Piacenza-Bari, autunno 2006. Respiro. Non sento nessun odore nell’aria e neanche il fresco penetrare delle particelle d’ossigeno mi risveglia dal torpore mentale che mi aggredisce, o meglio mi violenta. Concentrati cazzo. L’entrata in campo delle due squadre, sono alla torturante ricerca di me stesso, qui ed ora. Non riesco ad uscire dalle nebbie cognitive che mi torturano. Sembra che qualsiasi ragionamento, azione, reazione avvenga sempre con qualche centesimo di secondo di ritardo: come faccio a giocare se la reattività mentale è ai minimi termini? La percezione delle cose avviene. On delay. Anche i movimenti del corpo, delle gambe, delle membra. Mentre saluto gli avversari, la mia testa sembra quasi ammassare informazioni, tante, troppe. Un cumulo di input che intasa, travasa, impantana sinapsi, rallenta flussi. Non sarà una grande partita. L’arbitro fischia l’inizio, della mia agonia. So già che non mi divertirò: tutti i disagi, tutte le insicurezze e preoccupazioni lavorative che nell’ultimo periodo si affacciano sul mio schermo emotivo le trasformo con un linguaggio del corpo apatico e svogliato. La somatizzazione dello stress si riversa tutta nei polpacci, sì, lì dietro tra ginocchia e caviglie i fasci muscolari sembrano sciogliersi come il burro fuso. Le gambe cedono ad ogni minimo evento poco distante da me: un contrasto, un dribbling, qualsiasi cosa. Non reggo la pressione (pressione di che cosa?) e appena il pallone si avvicina ai miei piedi, la paura si insinua nei miei pensieri e il rifugio ideale diventano gli inesistenti angoli bui della mia psiche. Vorrei non essere qui, in questo momento, su questo campo e cerco di fuggire, in ogni attimo buono, dal presente. Affrontare la realtà, seppur elementare appare un incubo. Cosa ci può essere in una partita di calcio di così tanto spaventoso? Il livello di attenzione è minimo, sfoglio pensieri sparsi. Ed io ho già toccato due volte il pallone, un passaggio intercettato e un pallone deviato in fallo laterale. Sembra trascorsa una vita. Penso ad altro, ad esempio al fatto che non vedo l’ora finisca questa partita, scocca il novantesimo e poi tutti a casa; e nello stesso pensiero un altro di forza uguale e contraria che mi rigetta sul rettangolo e su tutte le mie paure. Ma oggi, oggi proprio non ho voglia di giocare. C’è ancora quel cronometro a bordo campo, digitale. Non resisto. Volgo gli occhi verso quei numeri. Quei numeri. Sono la mia crocifissione mentale. 3 minuti e 43 secondi".


6.
Ciò che avviene, conviene.

7.
Svolgere il ruolo di vice allenatore ha portato un cambiamento enorme nella mia vita, cambiamento con il quale, prima o poi, avrei dovuto fare i conti: il trasferimento in una città diversa senza la mia famiglia e senza mia moglie dopo più di vent’anni. A Roè Volciano, piccolo paese a pochi chilometri da Salò, vivo nella solitudine di un monolocale al primo piano di un edificio composto da quattro appartamenti, in una zona dove al mattino soffia sempre un vento insistente proveniente dalla Valsabbia. Mentre Deborah, mia moglie, con le mie figlie Camilla, Nicole ed Emily sono rimaste da sole in un appartamento nel centro di Torino dove anche durante le ore notturne si possono ascoltare le sibilanti sferragliate tramviarie e qualche auto della polizia. Non è scontato trovare un nuovo equilibrio e per adattarsi c’è bisogno di pazienza, voglia e disponibilità da parte di tutti i componenti del nucleo familiare. Non è stato facile. Per niente. La mancanza dei miei affetti più cari la percepivo soprattutto quando tornavo a casa, dopo il lavoro e la mattina al risveglio quando potevo abbracciare solo il cuscino.


La mia fortuna è stata quella di far parte di una famiglia che ha accettato le mie scelte e che ha “sopportato” la mia assenza scandita dalle toccate e fuga del weekend. Dopo la partita infatti, il sabato sera, prendevo l’auto e partivo, tre ore filate, verso la mia dimora a Torino. Lì la prima ad accogliermi era sempre mia moglie, la seconda la mia figlia a quattro zampe. Ventiquattro ore di riposo, staccavo temporaneamente la spina e il lunedì mattina ero di nuovo in auto, destinazione lago di Garda. In tutto questo la fiducia che sentivo si accompagnava ad un’altra inscalfibile certezza. Il rallentamento stradale tra Pero e Cormano.

8.
“La cosa più difficile nella vita è conoscere se stessi; la più facile è parlare male degli altri", Talete.

9.
Quando si cambia la guida tecnica è naturale pensare che già dalla partita successiva ci sia un cambio di rotta, se non nel risultato almeno nell’atteggiamento. Contro la Reggiana, nonostante le statistiche dicessero cose estremamente interessanti sul match giocato, questo cambio di rotta non c’era stato. Anzi, quel 3 a 0 ci inchiodava a una realtà oggettiva dal futuro più che incerto. Sembrava che la squadra non riuscisse a uscire da quel vortice nel quale era sprofondata se non in pochi e isolati momenti: gli allenamenti erano discreti, ma non ancora buoni come voleva il Mister, i dati fisici delle performance stavano virando verso direzioni che facevano ben sperare ma in realtà, la domenica i risultati non cambiavano granché. Troppo poco, per vincere e ripartire. Sembrava esserci una sorta di spaesamento dovuto anche al fatto che all’interno della squadra alcuni punti di riferimento a livello di leadership non sembravano ben delineati.


Quindi 1 a 1 contro il Cosenza al Marulla, 3 a 3 contro il Bari a Piacenza, sconfitta 1 a 0 a Como, sconfitta 1 a 0 contro il Cittadella e poi la bruciante sconfitta contro la Ternana in Umbria con una prodezza di Iannarilli su tiro di Compagnon. Finisce 2 a 1 al Liberati e quella sembra essere quasi una pietra tombale sulle speranze di salvezza. Prossime avversarie: Cremonese, Sampdoria, Venezia. Accade poi che nella prima settimana di dicembre, piovosa e impegnativa quanto basta per abbassare ancora di più il morale di una squadra che ha totalizzato 7 punti in 16 partite ma che però, nonostante tutto, non ha mai lesinato impegno, riusciamo ad invertire quel trend che sembrava non abbandonarci. Quei miglioramenti minimi erano lievitati improvvisamente in efficacia portandoci a totalizzare nelle ultime 3 partite del girone d’andata 7 punti, gli stessi realizzati fino a quel momento. Al giro di boa sono 14 punti in 19 partite. Siamo ancora vivi.

10.
È il 93° minuto di gioco e Marcandalli al limite della propria area è preso da un timore quantomeno irrazionale: la pressione senza pretese di Zennaro lo induce a calciare il pallone senza tanti complimenti rinviandolo a campanile e facendolo precipitare in una zona a pochi metri dallo spigolo sinistro della propria area. Pilati, accorso per l’ultimo – chiamiamolo - assalto, difende la sfera guadagnando una preziosa quanto insperata punizione laterale provocata ingenuamente da Pajac. È l’ultima occasione di una partita che avevamo iniziato con il piglio giusto ma viziata da una doppia espulsione a sfavore nostro: prima un intervento di Fiordilino su Girma a gamba tesa al 23° minuto di gioco, rosso diretto, poi Butic che a pochi secondi dalla fine della prima frazione viene innervosito verbalmente da Bianco (insulti razzisti?) e ammonito per la seconda volta.


Quando rientriamo negli spogliatoi non tira una bella aria. E il Mister, che è già incazzato di suo, chiede ai ragazzi 45 minuti di totale sacrificio, anche perché non c’è nient’altro da fare. Siamo appesi a una corda da quando siamo arrivati, sempre in apnea, sempre a cercare di risalire da quel fondo che si era raggiunto. E ora, che stiamo risalendo, dobbiamo aggrapparci a quella corda, afferrandola con vigore e dosando ogni energia. Dall’inizio del secondo tempo parte l’assalto granata verso la nostra porta. Nove contro undici con il palleggio della squadra di Nesta e la palla che presiede negli ultimi 30 metri non allontanandosi quasi mai oltre la metà campo e tenendoci sempre sotto-costante-pressione. Riusciamo a barcamenarci con un certo equilibrio nonostante le buone occasioni degli avversari. Ma poi al 79° minuto Kabashi ci punisce dal limite: controllo di suola e tiro a giro di sinistro alla destra di Pizzignacco. 1 a 0 Reggiana. Partita quasi chiusa. Quasi.

Ci sono dieci minuti più recupero da giocare. Dieci minuti nei quali il Mister scarica inversamente tutte le energie nervose per far mantenere la calma alla squadra, senza sbilanciarsi – niente cazzate – senza prendere decisioni istintive inopportune. Mentre Rozzio e compagni decidono di elevare al cubo il fraseggio senza pressione, perdendo tempo, facendo girare il pallone senza più uno scopo, noi non facciamo una piega, lasciando trascorrere il tempo e attendendo un qualsiasi minimo evento a nostro favore. Lottando, a vuoto, lottando.
Perché? Perché è questa, la risalita. Non ci sono altre alternative.


In apnea, con ogni singolo atomo di ossigeno. Oltre il 90°. Siamo stremati, sono finite quasi tutte le energie, ma la lucidità di Pizzignacco nel dribblare l’avversario sull’ultima rimessa laterale a favore nostro è decisiva. Il rinvio che effettua per un’ultima, insperata, potenziale, possibilità ci conduce lì, a battere una punizione laterale sullo spigolo dell’area di rigore. Manzari è sul punto di battuta. In quei secondi che precedono il fischio dell’arbitro lo stato emotivo del match è già cambiato, eccome se è cambiato, capovolgendosi su se stesso e assumendo una forma inattesa e potenzialmente promettente. C’è un brusio generalizzato che riaccende animi sopiti e un fruscio silenzioso nel quale si addensano migliaia di pensieri, speranze, nervosismi, dubbi. E i giocatori, in campo, lo sentono. Quel fruscio. Lo sento anche io, che dalla panchina osservo incredulo all’inversione di tendenza forse inattesa. È l’azione promettente, l’ultima possibilità di pareggiare o di perdere a innescare quel meccanismo di energia inversa che rivitalizza neuroni depressi.

Pizzignacco sale, per l’ultimo disperato tentativo. Un gol equivale a un punto, un punto che si aggiunge ai 6 ottenuti nelle ultime 3 partite: sconfitta con il Sudtirol, 3 a 0 con il Catanzaro e 5 a 1 contro il Lecco. 20 punti in 22 partite totali, appena sotto la linea di galleggiamento. 1 punto si aggiungerebbe agli altri 20, sempre sott’acqua certo, ma vicini a poter ancora respirare. Manzari sul punto di battuta si predispone. La linea degli otto emiliani non è pulita, anzi, c’è un asincronismo evidente nel loro modo di muoversi: perché loro già sanno.


L’arbitro fischia. Mentre Manzari prende la rincorsa Zennaro attacca il primo uomo della linea, Ceppitelli e Pilati in zona centrale e Tonetto l’ultimo. Kourfalidis accenna un blocco su Antiste e Balestrero che parte con il tempismo corretto, si incunea nello spazio tra il terzo e il quarto uomo provocato dal blocco del greco. Nel momento in cui Manzari calcia, la linea difensiva è tormentata, la sua solidità va in frantumi e la crepa si fa voragine. La palla calciata perfettamente appena fuori dall’area di porta viene attaccata da Balestrero che in tuffo segna con le ultime forze rimaste.

Silenzio di piombo al Mapei Stadium. Urla indescrivibili nella panchina verdeblù. 1 a 1. Fuori. Oltre. Ogni. Orbita. Emotiva. Siamo ancora vivi.

11.
“Ora la Feralpi è sempre più vicina al pensiero stupendo”

“Feralpi, sono viaggi da salvezza”


Erano questi i titoli dei giornali locali dopo la vittoria allo Zini contro la Cremonese a inizio aprile. Bergonzi, al 77esimo, con un’intuizione laterale rispetto a quella in cui erano immersi gli altri 21, si incunea nell’area discreto e silenzioso vincendo un mezzo rimpallo, appoggiando la sfera in rete e castigando Jungdal sotto la curva grigiorossa. 0-1. Euforia ed entusiasmo alle stelle in campo, idem in panchina. Classifica che ci vede lì, sempre al penultimo posto ma vicini-e-lontani a quell’obiettivo che sembrava apparentemente irraggiungibile.

Cosenza 34
Spezia 34
Ternana 32
Ascoli 31
Feralpisalò 30
Lecco 22


Purtroppo, quella che poteva essere un’altra pietra miliare nel percorso ancora tortuoso della permanenza in Serie B si rivelerà l’ultima grande impresa che riusciamo a ottenere.

Sebbene l’euforia e il clima maggiormente positivo erano l’esatto opposto di ciò che avevo percepito nei primi giorni all’arrivo a Salò, tale inversione emotiva non basterà per salvarsi. Contro il Cosenza non riusciamo ad andare oltre il 2 a 2. Contro il Pisa arriva un 3 a 1 a dir poco doloroso. Si accavallano acciacchi e squalifiche. In casa contro il Como perdiamo 5 a 2. Mancano solo 4 partite e i margini sono sempre più ristretti. Troppo ristretti.

A Cittadella il pallone sembra pesare quintali ma anche lì, nelle ultime fasi del match riusciamo a pareggiare con Pietrelli. Poi, contro il Brescia, abbiamo di nuovo l’opportunità di accorciare e sperare. Niente da fare: 2 a 2. I margini sono ristretti. Troppo ristretti. Asfissianti. Non c’è più ossigeno.

12.
Sono appena salito sul traghetto, destinazione Penzo. Ascolto i Velvet Underground. È la nostra ultima occasione, contro il Venezia di Pohjanpalo, Gytkjaer e di Tessmann. Tanner Tessmann… Uno con un nome così non può non fare carriera. Busio, Joronen, Pierini... e meno male che Johnsen è andato a Cremona. 3-5-2, tutto molto semplice ma efficace. Appena lanciano la palla: inserimenti.

Ricordati di dire a Fiordi che se lo segue il finlandese lui deve predisporsi per lo smarcamento opposto. Sono stanco, stanco ma felice. Dai tieni duro rimani lucido, metti tranquillità, equilibrio nelle parole quando serve. Alla fine sono gli ultimi 15 minuti, la partita si deciderà lì, se riusciamo a tenere. Riuscire a tenere, riuscire in qualche modo a tenere, dai cazzo, manca poco e “forse” riusciremo a salvarci, dobbiamo solo resistere, resistere. Che bello questo sole.


Sunday Morning
brings the dawn in
It’s just a restless feeling
by my side


60° Pohjanpalo 83° Compagnon 93° Pohjanpalo.

13.
La Feralpisalò chiude il campionato ottenendo 33 punti, frutto di 8 vittorie e 9 pareggi, realizzando 44 gol e subendone 65.

14.
Inizia la risalita. Il ritmo è lo stesso, l’ossigeno no. La fluidità del movimento della tuffatrice inizia ad essere leggermente meno lineare, ma procede come se nulla fosse. I colori scuri dell’acqua iniziano a diventare sempre più chiari, chiarissimi. Mancano pochi metri per ritornare a galla e Alessia Zecchini è allo stremo delle proprie forze, al limite delle proprie possibilità psicofosiche. Ci prova, mancano veramente pochi metri. Si toglie il tappanaso e interrompe la sua risalita. L’ossigeno è consumato. Due sommozzatori intervengono tempestivamente riportandola a galla. Quando risale, la videocamera la inquadra nella sua stasi vitale. Gli occhi le sembrano uscire dalle orbite. Ci penserà il sommozzatore a rianimarla e a riportarla sulla strada delle sue future imprese sportive.


Alessia Zecchini è un'apneista italiana, pluriprimatista mondiale in sei discipline dell'immersione in apnea. Lo scorso 19 aprile in una gara alle Camotes Island ha raggiunto uno dei pochi primati che le mancava nel suo palmares. Categoria free immersion (senza pinne, solo cavo perpendicolare) si è calata fino a 104 metri di profondità. Record assoluto per una donna.

15.
Messaggio di Denis Hergheligiu: "Ciao Mister ho visto che non rimanete. Solo per dirti grazie per le parole che mi hai detto in quello spogliatoio quel giorno. In bocca al lupo per il futuro! Un abbraccio! Denis".

16.
Avrei tantissimi momenti da descrivere, momenti estremamente gratificanti, altri meno, nonostante le cose non siano andate come avremmo voluto. Ma chiaramente in tutto quel baillame di stimoli quotidiani che compone ogni esperienza, ho selezionato le cose che oggi, mi sono balenate per la testa.
Voglio ringraziare in ordine sparso: tutti i calciatori della rosa, compresi quelli che hanno giocato meno e che hanno dimostrato pazienza e maturità professionale, il direttore sportivo Andrea Ferretti, il direttore tecnico Legati e il presidente Pasini per avermi offerto questa opportunità professionale. Angelo, Spartaco e Angie per le “licenze” che mi sono preso nell’organizzare i miei cambi in lavanderia, Federica per i consigli social, Ilenia per le chiacchierate extracampo, la squadra di fisioterapisti e dottori, Matteo per le puntualizzazioni giornalistiche, Alessandro e Silvia per avermi prestato la chiavetta del distributore automatico, Luciano per la sua puntualità nel richiedere il programma degli allenamenti, Alessandro per le consulenze musicali e tutti i componenti dello staff con i quali ho collaborato. Da Giovanni a Marco & Marco, da Matia a Federico spero di aver addolcito gli errori commessi con il plum cake di mia moglie e con qualche freddura micidiale sulla fantomatica teoria dei nomi. Infine voglio ringraziare Stefano per aver fatto breccia in uno dei miei punti deboli: le caramelle gommose e i marshmallow.

Non credo di aver dimenticato nessuno. Qualora qualcuno non fosse in lista offro un caffè con la chiavetta della segreteria.

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