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Il significato del barrilete cosmico
31 mag 2024
L'espressione con cui Víctor Hugo Morales definì Maradona ha una genesi sorprendente.
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IMAGO / AFLOSPORT
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Pubblichiamo un estratto da "La partita. Argentina-Inghilterra 1986" di Andrés Burgo, che esce oggi in Italia edito da 66thand2nd. Potete acquistare il libro cliccando qui.

«Tutta questa risonanza a livello internazionale è molto strana, non so cosa ci abbiano trovato» dice Víctor Hugo. «Mi hanno chiamato tedeschi, inglesi, italiani, spagnoli, addirittura serbi. Lo scrittore italiano Alessandro Baricco ha sentito quella radiocronaca ed è venuto a Buenos Aires, così l’ho portato alla Bombonera una volta che dovevo fare la trasmissione. La gente si ricorda del barrilete cósmico, ma a me sembra sia stata più una trovata “la miglior giocata di tutti i tempi”. Effettivamente lo è stata. “In una corsa memorabile, la miglior giocata di tutti i tempi” è graziosa».

Sebbene Víctor Hugo preferisca un’altra parte della sua radiocronaca, quella più giornalistica, tuttavia a renderla universale è stata davvero l’espressione barrilete cósmico, quell’unione tra terreno e galattico, tra infantile e planetario, che ti fa immaginare Maradona come un aquilone di carta che solca il cielo siderale. «Avevo già usato la parola “barrilete” in Messico qualche volta, ma “cósmico” no» spiega. «Nei mondiali tutto rimanda all’universo, alle stelle, alle comete. Qualsiasi cosa ci metti che abbia a che fare con galattico ha una componente poetica. In quella giocata vedo Maradona viaggiare in un nimbo dorato. Vedo una sfera, come il sole, e Diego che corre dentro quel nimbo».

Milioni di persone sanno cosa significa barrilete cósmico. Molti meno, però, conoscono la genesi della metafora. Il racconto più bello ha un’origine amara: è un residuo del vecchio scontro tra bilardisti e menottisti. Paragonare Maradona a un aquilone non è stata una trovata di Víctor Hugo ma di Menotti, e non propriamente sotto forma di elogio: l’ex tecnico della Nazionale nutriva un forte astio per tutto ciò che avesse una prossimità con Bilardo, e in quella nube di risentimento era rientrato anche Maradona, il capitano della squadra diretta dal suo nemico. Una settimana prima dell’inizio di Messico ’86, Menotti aveva detto che Maradona era un aquilone, un’espressione con la quale intendeva riferirsi alla sua (presunta) volatilità emozionale. Non appena il torneo era iniziato, alcuni giornalisti vicini a Bilardo, e tra loro Víctor Hugo, avevano contrattaccato Menotti cominciando a utilizzare “barrilete” come sinonimo gioioso di “dieci”. Con un Maradona scintillante e l’Argentina che superava un ostacolo dopo l’altro, quella parola aveva acquisito una connotazione sarcastica nei confronti di Menotti. Maradona, un aquilone che vola alto, aveva intitolato «Crónica» il 3 giugno, all’indomani del debutto contro la Corea del Sud. «Siamo già tra le otto migliori, e l’aquilone del nostro entusiasmo vola sempre più alto» si era ripetuto lo stesso giornale martedì 17, dopo il trionfo contro l’Uruguay. Anche Víctor Hugo, nelle prime partite del torneo iridato, aveva chiamato Maradona «barrilete» un paio di volte, un po’ per elogiarlo, ma anche per restituire a Menotti – in maniera ellittica, senza mai menzionarlo – un po’ del suo stesso veleno. L’aggettivo «cosmico» e la domanda «da che pianeta sei venuto?» sono invece invenzioni estemporanee.

Eppure, quando qualcuno gli chiede l’origine dell’ispirazione, l’uruguaiano distoglie lo sguardo. Nel 2005, il quotidiano sportivo spagnolo «Marca» lo ha intervistato proprio sulla sua celebre metafora, e Víctor Hugo è caduto dalle nuvole. «Ero in fissa con le idee sui pianeti, con gli aspetti spaziali» ha risposto. «“Barrilete” era una parola che avevo usato altre tre volte per descrivere Diego, quella sua caratteristica di essere un aquilone incontrollabile, che se ne va dove meno te lo aspetti».

Quando gli ho chiesto perché avesse smorzato i toni di quella vecchia polemica, Morales ha aspettato qualche secondo prima di rispondere. E quando l’ha fatto, neppure in quell’occasione ha citato Menotti: «Mi sembrava che sminuisse l’inclinazione poetica di quella frase. Se dici “la luce obliqua del sole”, non è come dire “la luce arriva di lato”. Lo sai che la differenza è minima, però c’è un valore poetico. È un mistero quello che succede con le parole quando le metti insieme. Se analizzi “aquilone cosmico, da che pianeta sei venuto?”, quel tocco un po’ magico delle parole, cercando di dare una spiegazione terrena a ciò di cui stiamo parlando, lo sminuisci. E poi, con il passare degli anni, ho pensato che sarei rimasto prigioniero di una polemica, ovviamente con tutte le responsabilità che mi portavo sulle spalle. Ma quel confronto» e qui parla del diverbio con Menotti «all’improvviso si è stemperato, non ci sono stati più attacchi e non voglio essere quello che torna a smuovere le acque, per questo faccio dei giri con le parole e non nomino mai nessuno dei protagonisti, né cosa sia successo. L’origine di tutto, però, è questa: avevo lanciato una frecciatina contro una dichiarazione fatta in quel momento storico».

Menotti aveva dichiarato che Maradona era un aquilone durante un’intervista concessa mentre era in aereo, in viaggio verso il Messico per assistere al mondiale. L’inviato che lo aveva intervistato per l’agenzia di stampa Télam era Eduardo Castiglione che nel marzo 2015, quasi trent’anni dopo, ha ricostruito quella chiacchierata nella redazione di «Clarín», dove attualmente lavora.

«L’ho intervistato sul volo diretto a Lima, dove avremmo fatto scalo» dice Castiglione, e mostra il telegramma originale, un foglietto ingiallito che conserva come un tesoro. «Menotti era nella zona dell’aereo in cui si può prendere qualcosa da bere dai carrelli delle bevande. Aveva chiesto un whisky e io mi ero avvicinato per chiedergli un’intervista. All’inizio si era sottratto, però avevamo continuato a parlare e mi aveva detto: “Va bene, fa’ come vuoi”. E allora abbiamo cominciato, finendo per chiacchierare una quarantina di minuti, in piedi: ho preso nota di tutto, non ho usato il registratore. La prima domanda era stata: “Potrebbe essere il mondiale di Diego?”. E lui aveva risposto che bisognava aspettare, che gli sembrava difficile. Una volta arrivato in Messico ho scritto il telegramma».

I primi due paragrafi recitavano: Messico df, 25 maggio (di Eduardo Castiglione, inviato speciale per Télam). Il Maradona giocatore non ha avuto nessuna evoluzione negli ultimi due anni, e come persona è «un aquilone»; l’Inghilterra vincerà la 13a Coppa del mondo, ed Emilio Butragueño «ha qualcosa di Pelé»: sono solo alcune delle frasi pronunciate da César Luis Menotti nel dialogo con Télam durante lo scalo del volo 384 di Aerolíneas Argentinas all’aeroporto Jorge Chávez di Lima.

Interrogato sulla probabilità che questo possa essere il mondiale della consacrazione per Maradona, l’ex ct della Nazionale ha dichiarato: «Non so, bisogna aspettare, però mi sembra complicato. Dal punto di vista tecnico Diego è arenato al 1984, cioè a quando si è infortunato a Barcellona. E dal punto di vista personale, beh, ora si fa la permanente, si mette un orecchino. In fin dei conti è un aquilone, no?».

Menotti e Maradona erano ai ferri corti, si attaccavano su tutto. Pochi mesi prima il giocatore aveva dichiarato che, per parlare di calcio, un allenatore avrebbe dovuto prima di tutto lavorare – erano due anni che Menotti non allenava nessuna squadra – e il tecnico gli aveva dato dell’«irrispettoso». Quando il mondiale era alle porte – e come spesso succede nel calcio – Menotti aveva spostato questo scontro personale alle sue analisi tecniche, nelle quali non dava particolare credito a Maradona: «Il trono di Johan Cruijff è vacante. Ci sono molti candidati a occuparlo, e Diego è solo uno dei tanti». Addirittura alla vigilia di Argentina-Inghilterra Menotti avrebbe affermato – secondo quanto pubblicato da «Tiempo Argentino» giovedì 19 – che i favoriti erano gli inglesi. Una volta in Messico, il dispaccio scritto da Castiglione per Télam, quello che includeva la parola «aquilone», aveva avuto qualche ripercussione, e Maradona aveva contrattaccato. «Menotti non lo conosco, non so di chi mi stiate parlando» aveva dichiarato a «Crónica» una settimana prima del suo debutto mondiale. «Conosco quelli che mi parlano dritto in faccia. Non è coraggioso dire cose attraverso i giornali. Io situazioni del genere le risolvo da uomo. Menotti è stato un giocatore mediocre, e mi pare voglia confermarsi tale anche come persona».

«Menotti lavorava da giornalista al mondiale, quindi ogni tanto si trovava in sala stampa» ricorda Castiglione. «Dopo la risposta di Maradona viene e mi dice: “Ragazzo, hai fatto un bel casino”. Gli ho offerto la possibilità di smentire, ma non ha voluto smentire niente».

Le cronache dell’epoca segnalano un Menotti «con la faccia sofferente». «Sì, alla fine ho detto che dal punto di vista tecnico Diego era arenato al 1984, e che come persona, ecco, una volta si faceva la permanente, un’altra si metteva un orecchino» aveva spiegato Menotti. «Ma quando ho dichiarato che è un “aquilone” mi riferivo unicamente ed esclusivamente a quanto Maradona sia un oggetto indefinito rispetto al calcio che dovrebbe giocare questa Nazionale argentina. La mia opinione personale è che il passaggio attraverso il calcio spagnolo e quello italiano lo ha un po’ confuso».

Come succede con molti dei protagonisti diretti e indiretti del 22 giugno 1986, oggi anche Menotti restituisce una versione diversa – quasi opposta – rispetto a quella di trent’anni fa. Nel suo appartamento di Retiro, intervistato per questo libro da Tomás Rudich dell’agenzia tedesca Dpa, ricorda: «Ho detto che Diego sarebbe stato uno dei migliori in Messico. Che nell’edizione precedente era andato un po’ così, come un aquilone, senza sapere dove fosse finito a giocare. Ma nel 1986 stava a Napoli ed era stato accolto come un dio. Aveva già smesso di essere l’aquilone che gira e rigira senza trovare un club che gli dica “qui ti fermi”. E ho detto questo, che aveva vissuto tutta la sua vita come un aquilone, nel senso che aveva avuto una vita movimentata. L’ho detto riferendomi alla sua vita, era un aquilone che non sapeva dove vivesse, dove sarebbe andato a giocare. Non aveva niente a che vedere con il suo posto in campo».

«Si è pentito di quella frase?».

«No, non me ne pento. Al contrario, direi che è servita a quello là per diventare famoso» ha risposto Menotti, senza citare direttamente Víctor Hugo.

Barrilete cósmico ha fatto il giro del mondo sotto forma di titolo di libro, nome di ristorante, programma radiofonico, opera teatrale. Víctor Hugo non ha mai registrato i diritti per quell’espressione. Nel 2015, tuttavia, ha ricevuto una mail dalla Bbc in cui gli chiedevano una quotazione per poter utilizzare la sua radiocronaca. Sorpreso, Víctor Hugo aveva chiesto quanto fossero disposti a pagare. Ottomila dollari, gli avevano risposto. Avrebbero chiuso a diecimila.

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