Si può mettere in discussione l’allenatore finalista del Mondiale, che anzi è andato vicino a vincerlo due volte di seguito? Il discorso riguardo Didier Deschamps e la nazionale francese sembrerebbe ridursi a questo. Alla riconoscenza che si deve, o meno, all’allenatore che ha preso in mano nel 2012 una squadra piena di spigoli, in un contesto culturale infuocato, ed è riuscito a farne un gruppo unito e vincente, raggiungendo tre finali in cinque grandi tornei giocati - e le due che ha perso, le ha perse una ai rigori e una ai supplementari. “Bisogna aver smarrito la ragione per considerarli dei risultati mediocri”, ha scritto a inizio gennaio Jérôme Latta su Le Monde, in un articolo in cui sostiene che i detrattori di Deschamps, “esteti e tattici”, sono mossi più che altro da una “volontà di rendersi infelici”.
Il dibattito, se esisteva, è stato chiuso pochi giorni dopo, sabato 7 gennaio, quando davanti all’assemblea federale è stato lo stesso Deschamps ad annunciare di aver trovato un accordo per rinnovare il proprio contratto fino al 2026. Smentendo il presidente della Federazione (FFF), Noël Le Graët, la persona con cui ha firmato l’accordo cioè, che pochi giorni prima aveva detto che la decisione era rimandata a dopo quella stessa assemblea perché “non c’è nessuna fretta”.
Forse, però, un po’ di fretta c’era. Sullo sfondo si faceva sempre più grande col passare delle ore lo spettro di Zinedine Zidane. La scorsa estate, intervistato dall’Equipe in occasione del suo cinquantesimo compleanno, Zidane aveva parlato della possibilità di allenare la nazionale per “chiudere il cerchio”. Senza specificare quando: “Un giorno”, aveva detto. A settembre si diceva che la Direttrice Generale della federazione, l’ex schermitrice (tre volte campione del mondo) Florence Hardouin, in rotta con Le Graët e parte della Federazione da tempo, si fosse mossa indipendentemente per prendere contatto con Zidane, che però ha rifiutato di parlarne se non con Le Graët in persona (Hardouin ha smentito).
Il giorno dopo l’annuncio di Deschamps, domenica, Le Graët ha rilasciato un’intervista alla radio RMC in cui non solo ha detto di non aver parlato con Zidane ma che “se avesse chiamato non avrei risposto”. Per dirgli cosa, ha aggiunto in sintesi Le Graët, che avevo scelto di continuare con Didier? Infastidito dalle domande del presentatore, che gli chiedeva se non gli sarebbe dispiaciuto vedere, in caso, Zidane sulla panchina del Brasile, Le Graët ha parlato con un’arroganza che difficilmente corrisponde al ritratto di furbo stratega che se ne faceva fino a qualche tempo fa in Francia: “Non me ne potrebbe fregar di meno”; e ancora: “Se volete organizzate una trasmissione speciale per trovargli una squadra”.
È bastato questo a mostrare che dietro il rinnovo di Deschamps c’era molto più della semplice riconoscenza e che, come al solito, il calcio in Francia è una questione tanto sportiva quanto politica. E per piccola che possa sembrare la gaffe di Le Graët, ha avuto grandi conseguenze.
Kylian Mbappé - a cui il Presidente della Repubblica in persona qualche mese prima aveva chiesto di non lasciare il campionato francese - ha twittato che “Zidane è la Francia, non si può mancare di rispetto in questo modo a una leggenda”. La ministra dello sport Amélie Oudéa-Castéra ha detto che “sul piano della rappresentanza, la missione della federazione è fallita”. Le Graët si è scusato ma non è riuscito a fermare la palla di neve che si faceva sempre più grande.
Il Ministero dello Sport aveva già chiesto un’inchiesta in seguito alle rivelazioni riportate lo scorso settembre da So Foot, su degli SMS con cui Le Graët avrebbe molestato alcune collaboratrici. L’inchiesta riguarda anche possibili conflitti di interesse nei rapporti tra alcuni clienti delle aziende che Le Graët ha lasciato ai figli e la FFF, eventuali manomissioni di conti e altre infrazioni finanziarie e il rapporto è previsto per la fine di gennaio.
Tuttavia, dopo le dichiarazioni su Zidane, Oudéa-Castéra ha accelerato le cose, facendo pressione sul comitato esecutivo che ha convocato oggi una riunione straordinaria per oggi, mercoledì 11. Al termine della riunione si è deciso per una “mise en retrait” di Noël Le Graët, un pensionamento volontario e temporaneo, che arriva fino alla pubblicazione del rapporto d’inchiesta.
Fino a fine mese, quindi, sarà il vicepresidente della federazione Philippe Diallo a prendere il suo posto, ma è difficile immaginare un eventuale ritorno di Le Graët, che lo scorso dicembre ha compiuto 81 anni. La direttrice generale Hardouin è stata sospesa, mentre il contratto di Deschamps è stato approvato all’unanimità dall’assemblea.
Dieci anni (quasi) perfetti
Didier Deschamps ha preso in mano la Nazionale dopo l’Europeo del 2012. Laurent Blanc, prima di lui, era sopravvissuto a malapena al cosiddetto “affaire des quotas”, in cui era stato registrato mentre parlava di un possibile (immaginario, nel senso che ufficialmente non sarebbe mai passata una cosa del genere) numero limite a giocatori di origine araba e africana nelle nazionali giovanili. Blanc aveva portato a fatica la Francia fino ai quarti di finale di quell’Europeo, uscendo contro una Spagna semplicemente troppo più forte, poi aveva lasciato.
L’immagine simbolo di quell’Europeo è il dito sulle labbra che si porta Nasri dopo aver segnato all’Inghilterra, per azzittire un giornalista dell’Equipe. Simbolo, cioè, di una squadra che ha gli stessi problemi di due anni prima, quando nel Mondiale sudafricano del 2010 i giocatori si erano rifiutati di scendere dal pullman e allenarsi in segno di protesta contro l’espulsione dal gruppo di Anelka, che aveva offeso Domenech davanti a tutti.
Domenech stesso aveva imbarazzato il paese intero - così attento alle formalità e a un’apparente dignità - chiedendo in diretta la mano di Estelle Denis, sua compagna e conduttrice del programma 100% Foot, su cui stava facendo l’intervista post-partita dopo aver perso 0-2 contro l’Italia ed essere arrivato ultimo nel girone.
In breve: prima di Deschamps bisognava tornare al 2006 per ricordare una Francia di cui andare minimamente orgogliosi, che non rappresentasse cioè solo la parte peggiore del Paese, i rancori, le fratture, l’egoismo e la superficialità da fine impero. Dieci anni dopo, seppur sconfitta in finale dall’Argentina di Messi, la nazionale è stata accolta in un tripudio di folla a place de la Concorde. È un contrasto così forte che difficilmente non si può dare il merito a Didier Deschamps di aver fatto amare il calcio, di nuovo, alla Francia.
La sola ombra sulla gestione di Deschamps è il caso di Karim Benzema, arrivato alla sua conclusione proprio in queste settimane. Rientrato prematuramente dal Qatar per un infortunio che secondo il medico della nazionale Franck Le Gall avrebbe dovuto tenerlo fuori fino alla fine della competizione, in realtà Benzema si allenava tranquillamente a Madrid il giorno in cui la Francia giocava contro l’Argentina.
Un membro del suo entourage, Karim Djaziri, ha detto di aver parlato con tre medici secondo cui la diagnosi di Le Gall era sbagliata, lasciando intendere che magari era stata sbagliata appositamente. Che, cioè, sia stata colta l’occasione - quindi mentendo al giocatore e al pubblico - per far fuori Benzema, forse anche su pressione di parte dello spogliatoio (si parla in particolare di Lloris e Griezmann, se non addirittura di Mbappé che avrebbe dovuto condividere con Benzema l’attacco e il ruolo di “stella” della squadra).
È la degna conclusione di una storia che va avanti dal 2015, da quando Benzema è stato coinvolto nel ricatto di un amico di infanzia al compagno di nazionale Mathieu Valbuena, a cui chiedevano soldi per non divulgare un suo sex-tape di cui erano entrati in possesso. Per sei anni di presunta innocenza Deschamps lo ha escluso dalla nazionale - Le Graët, a parte all’inizio, non lo aveva sospeso lasciando la decisione all’allenatore, ma è difficile immaginare che non ci fosse comunione di intenti - per poi farlo rientrare in squadra, paradossalmente, proprio quando in tribunale si stava arrivando a un giudizio di colpevolezza per “complicità in un tentativo di ricatto”, giudizio contro cui Benzema non ha fatto ricorso.
Benzema, all’epoca, aveva detto sui giornali spagnoli che Deschamps aveva ascoltato “la parte razzista del Paese”, l’allenatore aveva risposto dicendo che non avrebbe mai potuto dimenticare simili accuse. La loro pace è durata più o meno un anno e mezzo.
Più in generale viene da pensare che se questo è il modo in cui Deschamps ha gestito il suo solo caso “difficile” forse la fortuna della sua gestione è stata anche quella di trovarsi di fronte a un cambio generazionale, diciamo così, favorevole. Se le generazioni passate, a cominciare da quella ‘87 di Benzema, erano piene di caratteri forti e difficili da gestire - scegliete voi se era più problematico Hatem Ben Arfa o Samir Nasri, più complessa la mentalità di Anelka o quella di Gourcuff - i talenti francesi contemporanei in confronto sono degli angioletti iperprofessionalizzati. Persino i lati peggiori del carattere di Dembélé e di Pogba sono semplicemente infantili, non hanno niente della carica distruttiva e autodistruttiva dei loro predecessori.
Così come è legittimo chiedersi se calcisticamente Deschamps non avrebbe potuto fare di meglio con la quantità e la qualità del talento a disposizione, con quella che per molti è la nazionale più forte al mondo da almeno quattro anni, ci si può chiedere se non sia stato tanto lui ad approfittare di un cambiamento sociale e culturale avvenuto nei giocatori francesi (e più in profondità, magari, nella società francese).
Il trattamento riservato a Giroud e Dembélé in finale - sostituiti al 40esimo del primo tempo - così come l’accusa, dopo aver annunciato il suo rinnovo all’assemblea di federazione, contro cinque giocatori sugli undici titolari che “fattualmente non sono stati all’altezza di una partita e di avversari del genere”, senza prendersi un briciolo di responsabilità sulla preparazione tattica alla partita, lasciano pensare che anche Deschamps non sia del tutto sereno.
La fine dell’era Le Graët?
Deschamps e Le Graët sono legati a doppio filo, non solo perché entrambi passano parte del proprio tempo in Bretagna (Deschamps è sposato con una donna bretone da più di 35 anni). Le Graët è figlio di un camionista e di un’operaia agricola, le origini umili lo distinguono dai politici francesi tradizionali, usciti dalle "grandes écoles", e lo avvicinano a Deschamps che non parla un francese forbito e ha mantenuto il personaggio dell'umile lavoratore che interpretava quando giocava - Eric Cantona lo aveva soprannominato il "portatore d'acqua". Le Graët mantiene ha fatto fortuna nel settore agroalimentare (pesca, surgelati) prima di diventare sindaco di Guingamp e scalare le gerarchie delle istituzioni calcistiche, cominciando come presidente della squadra di Guingamp e poi della Lega. È stato eletto per la prima volta nel 2011 e poi è stato rieletto altre tre volte. Ovviamente i risultati della nazionale di Deschamps sono il fiore all’occhiello della sua gestione così come, fino a un certo punto, lo sono stati la gestione finanziaria e l’assenza di scandali.
Il suo rapporto con Deschamps è così solido che durante la stessa intervista alla radio RMC in cui ha mancato di rispetto alla “leggenda” di Zidane ha detto esplicitamente che sarà lui, insieme all’allenatore, a scegliere il suo successore. “Non è una vera e propria designazione né un passaggio di testimone”, si è corretto subito dopo dato che, appunto, si dovrebbe trattare di una votazione libera dei membri dell’assemblea generale, “ma volendo si può aiutare qualcuno. Con Didier Deschamps abbiamo considerato qualche nome di possibili successori”.
E però, Le Graët è finito schiacciato dallo scandalo generato dai commenti su Zidane, che sono solo l’ultima goccia che ha fatto traboccare un vaso che si stava riempiendo da anni. Già nell’ottobre del 2020 - prima della sua ultima rielezione - il New York Times aveva scritto della “cultura tossica” in cui era immersa la Federazione francese, parlando di abusi psicologici e violenze verbali, soprattutto nei confronti del personale femminile, in cui Le Graët era descritto da una fonte anonima come un “instabile che divideva per regnare meglio”. Un mese prima su BFM business, un canale televisivo di notizie economiche, aveva dichiarato che “quando un nero fa gol tutto lo stadio si alza in piedi, il fenomeno del razzismo nel calcio è pochissimo o non esistente”.
Commenti che sono tornati di attualità la scorsa estate, quando Le Graët ha raccontato una conversazione con Kylian Mbappé - che secondo il giocatore sarebbe dovuta rimanere privata - successiva all’Europeo 2021. Le Graët ha detto che dopo il rigore sbagliato Mbappé si era sentito poco sostenuto dalla FFF e avrebbe voluto lasciare la nazionale (prendendosi, Le Graët, implicitamente il merito di avergli fatto cambiare idea) ma Mbappé lo ha corretto su Twitter: “Sì insomma gli avevo soprattutto spiegato bene come fosse per via del razzismo”, degli insulti razzisti cioè che aveva ricevuto sui social network dopo la partita con la Svizzera (stesso trattamento che hanno ricevuto Tchouameni e Coman dopo quella con l’Argentina, “e NON per il rigore. Ma lui pensava che non ci fosse razzismo…”).
Nel settembre 2019, in un’altra intervista su Franceinfo si era lamentato del fatto che venivano interrotte troppe partite e che avrebbe chiesto di non farlo per i cori omofobi, distinguendoli da quelli razzisti che invece valevano la pena di interrompere la partita. Un commento, questo in particolare, che aveva innervosito l’allora ministra dello sport, Roxana Maracineanu, che lo aveva accusato di “scarsa preparazione in tema” - oggi commentando gli ultimi avvenimenti, l’ex ministra ha detto che Le Graët “vive nell’impunità totale”.
E a proposito di omofobia, durante il Mondiale in un’intervista a Le Figaro Le Graët ha dichiarato di essere stato “uno dei leader” della fronda contraria alla fascia da capitano One Love, in aperto contrasto con l’attuale ministra Amélie Oudéa-Castéra che invece ha assistito ai quarti con l’Inghilterra con una maglia decorata dai colori dell’arcobaleno.
Oltretutto, sulla scia delle rivelazioni di So Foot, giusto lunedì c’è stata la prima testimonianza non anonima, quella di un’agente, Sonia Souid (con cui si è subito complimentata per il coraggio Oudéa-Castéra) che ha raccontato situazioni spiacevoli in cui Le Graët ha abusato della propria posizione di potere.
Da parte sua, l’ormai ex presidente si è sempre difeso minimizzando - forte anche dei suoi buoni rapporti con Emanuel Macron - dicendo, tra l’altro, di non saperli neanche scrivere gli SMS, parlando di commenti “maldestri”, di fraintendimenti. In attesa del rapporto d’inchiesta è difficile sapere si ci saranno conseguenze oltre al suo allontanamento dalla FFF, ma anche anche che tipo di influenza possa continuare ad avere, nonostante tutto, dal momento in cui parliamo di un potere consolidato in più di dieci anni all’interno della stessa federazione; così come è impossibile sapere cosa pensi della situazione Didier Deschamps, uscitone illeso.
È significativo, però, che di tutti i suoi errori quello a costare la poltrona a Le Graët siano stati i commenti su Zinedine Zidane. Che quindi, più che illeciti veri e propri o abusi da provare, il suo più grande peccato da uomo di potere istituzionale sia stato quello di non riconoscere il potere simbolico di uno sportivo. Zidane a cui, oltretutto, non è servito dire neanche una parola per avere la testa della persona che aveva osato mancargli di rispetto.