C'è tempesta, nel calcio italiano. E, guarda un po', ci sono i diritti tv a soffiare. Il problema è nei rapporti con MediaPro, nelle intenzioni dell'intermediario, nei soldi che si aspettano e non arrivano, agitati un po' come la carota per l'asino che deve correre. Nemmeno due assemblee di Lega in rapida successione hanno messo ordine nel caos. Ora bisogna aspettare almeno fino a lunedì.
Niente di inimmaginabile: che l'ingresso degli spagnoli nel mercato delle immagini della Seria A sarebbe stato un problema era abbastanza chiaro sin dall'inizio.
Non tornavano i conti, e nemmeno la logica. In sintesi quello che era accaduto apriva già le porte a questa crisi: l'asta era andata a vuoto perché i broadcaster in corsa non ritenevano giusto spendere un miliardo e cinquanta milioni di euro per dei diritti depotenziati dal bando stesso (e, è onesto dirlo, per un calcio sempre con meno appeal); quindi era entrato in scena, spinto dal presidente del Torino Urbano Cairo e dal gruppo una volta fedele a Infront, il colosso spagnolo Mediapro, comprando tutto a un miliardo e cinquanta milioni (più un euro), per poterli rivendere a sua volta. Quindi MediaPro, per dare un senso al suo investimento, avrebbe dovuto convincere le TV che non avevano speso un miliardo e cinquanta milioni, a spenderne di più per lo stesso prodotto. Si capisce che un'operazione così non si poteva realizzare, se tutto fosse spiegabile in modo così lineare.
È sul non detto, invece, che si gioca la partita: l'idea di MediaPro è quella di rendersi indispensabile e poi rilanciare, forzando la mano. Strategia già vista, che ha funzionato per tutta la durata di Marco Bogarelli alla guida di Infront e che aveva portato l'advisor della Lega di Serie A a diventare quasi il vero padrone del nostro pallone. Quella gestione di Infront tendeva a far schizzare i ricavi dei diritti e al tempo stesso proponeva alle società sprovviste di management adeguato (tante, troppe, in serie A) anche le gestione degli accordi commerciali, degli sponsor, dell'hospitality (ora cominciano a sfilarsi, lo ha fatto ad esempio l'Inter) fino a garantire, in alcuni casi, cifre intorno all'ottanta per cento dei ricavi, per cui poi era difficile dire di no alle strategie politiche di Infront stessa.
Perché - ogni discorso torna al punto di partenza - il calcio italiano ha una dipendenza così alta dai soldi dei diritti TV da doversi spesso consegnare totalmente a chi porta il denaro utile per la sopravvivenza di un movimento economicamente disastrato. MediaPro pare forzare la mano per un motivo evidente: non vuole gestire il potere per accrescere il proprio, vuole creare la TV di Lega. E non può, quindi insiste, spinge, cerca scorciatoie.
Il ruolo di intermediario
La prima parte della sfida di MediaPro si è giocata sul ruolo: l'acquisizione dei diritti per la prossima Serie A, come opera di salvezza dell'intero sistema calcio, aveva prestato il fianco all'equivoco. Un intermediario o un broadcaster? Nelle sue attività ci sono entrambi i “rami d'azienda”, ma in Italia aveva acquistato come intermediario indipendente e sembrava essere chiaro: aveva comprato i diritti per rivenderli. Ma chiaro non era, almeno non fino al pronunciamento dell'Antitrust, che ha dato il via libera all'acquisizione dei diritti da parte degli spagnoli a marzo, ma ha dovuto specificare che «tale soggetto è infatti tenuto a svolgere un’attività di intermediazione di diritti audiovisivi, rivendendo i diritti ad altri soggetti con modalità eque, trasparenti e non discriminatorie».
Quindi, ha acquistato, ma adesso può solo rivendere. Detto chiaro: «Non dovranno essere intraprese iniziative che comportino l’assunzione di una responsabilità editoriale, che caratterizza invece l’attività dell’operatore della comunicazione, soggetto fornitore di contenuti multimediali». Nel testo del provvedimento il canale della Lega è citato per essere escluso dalle possibilità: «Appare altresì preclusa la creazione di un apposito Canale tematico, progetto che, secondo quanto riferito dalla Lega Nazionale Professionisti Serie A, è escluso dalle attività dell’assegnatario del diritto. Infatti, ove svolta nel concreto, tale attività si presterebbe ad essere interpretata come una forma surrettizia di assunzione di responsabilità editoriale tale da integrare la violazione o quantomeno l’elusione delle norme che regolano le modalità di commercializzazione dei diritti».
Capitolo chiuso? Dai i movimenti successivi non sembra.
I primi segnali
Il progetto di Mediapro però non è quello di fare da tramite: gli spagnoli vogliono partecipare in modo attivo e hanno un solo modo per riuscirci. Ovvero, comportarsi come hanno già fatto altri attori nelle puntate precedenti: prendere il calcio per la gola, lasciarlo con il fiato sospeso e guadagnarsi, facendo chiudere un occhio per volta, lo spazio per raggiungere il proprio obiettivo. Hanno chiuso un accordo per un miliardo e cinquanta milioni, ne hanno pagati solo 64 come caparra e avrebbero dovuto presentare delle garanzie entro il 22 maggio, con la Lega di Serie A e Malagò in allarme.
Mediapro sta cercando di guadagnare consensi con le società per allargare il suo raggio d'azione, ma ci sono i limiti della legge che non si possono forzare. E allora si nasconde, fa temere che l'accordo potrebbe saltare, togliendo alla Serie A la maggiore fonte di guadagno. Già prima di pagare l'anticipo, quando ancora doveva pronunciarsi l'Antitrust sui confini del ruolo di intermediario, aveva chiesto con una lettera alla Lega di sospendere i termini per il pagamento in attesa dei chiarimenti dell’Authority.
Poi, per rasserenare i club, aveva invitato tutti a una cena. Per alcuni, però, l'obiettivo di quell'invito era cominciare a parlare del canale della Lega, cercare una via. Per altri prima di sedersi a tavola era importante vedere i soldi di Mediapro e quindi la certezza del denaro dei diritti TV (che molte società scontano in anticipo con le banche per avere disponibilità rapida). Il risultato è che quella cena è stata disertata, e Mediapro ha versato i primi milioni.
Foto di Emilio Andreoli / Stringer
In filigrana si possono leggere i movimenti e le parole di Urbano Cairo, il grande sponsor degli spagnoli e del canale di Lega. Intanto non è mai stato smentito l'incontro, subito dopo l'ingresso di Mediapro, tra lui, Adriano Galliani e Silvio Berlusconi. L'obiettivo era far mettere a disposizione la piattaforma di Mediaset Premium per dare al gruppo di Roures quello che mancava per realizzare in proprio il canale della Lega. Argomento su cui il presidente del Torino gira intorno da almeno un anno. Quando a giugno del 2017 la prima asta per i diritti 2018-2021 saltò perché Mediaset non presentò alcuna offerta, tirava già la volata: «È il momento della svolta: o individuiamo una nuovo sistema di vendita o ci facciamo un nostro canale», aggiungendo che «chiaramente per farlo devi avere un dipartimento interno avanzato: ovvio che la nostra lega debba svilupparsi molto più di quanto ha fatto fino a oggi, occorre avere un dipartimento interno che faccia le produzioni e le faccia bene. Lo stanno facendo molto bene in Spagna con la Lega diretta da Tebas, un manager bravissimo che ha sviluppato molto queste attività: le producono loro».
Poi ci è tornato a novembre: «Il calcio italiano deve puntare a valere se non ora, in futuro, due miliardi. E qualora i presunti ricavi da satellite, digitale e piattaforme internet non fossero all’altezza, il canale della Lega è un’opzione che va tenuta in considerazione». E così via fino al momento in cui tutto sembra sul punto di saltare e lui dice: «C'è il tema di capire quale possa essere la fattibilità di un canale».
Il bando anomalo
È il bando tirato fuori da Mediapro che apre a molti dubbi. È, intanto, curioso che nonostante i problemi a tirar fuori dalle tasche delle TV i soldi necessari proprio perché nei bandi precedenti non c'è mai stata la tentazione di un'esclusiva vera, anche in questo caso gli spagnoli abbiano deciso di creare i pacchetti per piattaforma e non per prodotto. Ciò vuol dire che, non essendoci concorrenza così alta sulle piattaforme (Sky ha il satellite, Mediaset il digitale terrestre), tutti possono avere tutte le partite e quindi nessuno può sfruttare il principio di unicità del prodotto, che poi sarebbe ciò che fa la differenza e invoglia a spendere di più. Invece i pacchetti, fermandosi alle TV, sono stati divisi così:
- Pacchetto A: tutte le 380 partite per la piattaforma satellitare.
- Pacchetto B1: 248 gare per il digitale terrestre (quelle di otto squadre: le prime cinque in classifica, una classificata tra l’ottava e la decima posizione, una tra l’undicesima e la tredicesima, una tra la quattordicesima e la diciassettesima o tra le tre promosse dalla B).
- Pacchetto B2: le restanti 132 partite sempre per il digitale terrestre.
Si capisce come, teoricamente, sia una suddivisione che non ingolosisca e che, peraltro, potrebbe rivelarsi anti economica per un'azienda che deve invece incassare un miliardo e cinquanta milioni di euro. Non è l'unica anomalia: nel bando non ci sono i prezzi minimi per ogni pacchetto. Scrive Mediapro che verranno indicati “in un documento ancillare, che avrà la forma di una scrittura privata autenticata o di un atto pubblico e che sarà depositato, prima dell'apertura delle buste, presso un notaio di Milano, a scelta di Mediapro”. La logica secondo cui gli spagnoli hanno avuto quest'idea è quella che, non conoscendo i prezzi minimi, le tv avrebbero alzato l'offerta ulteriormente, dovendosi muovere al buio.
Fino a qui siamo a due stranezze in contraddizione tra loro: una suddivisione di pacchetti che non sembra incentivare le offerte e l'assenza di “minimi” che dovrebbe favorire l'aumento di offerte che i pacchetti non incentivano. Ma non è tutto.
Il canale della Lega “di fatto”
Ma nel bando c'è altro che fa discutere. Mediapro non mette in vendita le partite e basta, ma offre un blocco di 270 minuti di produzione, compreso pre e post partita (90 e 75 minuti).
In particolare: «I Prodotti Audiovisivi sono formati, oltre che dalla trasmissione integrale in Diretta della Gara, a titolo esemplificativo, da contenuti di approfondimento da studio, Interviste realizzate prima, durante e dopo ciascuna Gara della Competizione, Immagini Salienti e Immagini Correlate di ciascuna Gara della Competizione e break pubblicitari, secondo le piene facoltà di Mediapro». Letterale, maiuscole comprese. E dentro questa citazione c'è, come si può notare, un ulteriore passo avanti fatto da Mediapro: la pubblicità raccolta dagli spagnoli e non dai broadcaster.
Tradotto: l'intermediario consegna a chi paga un pacchetto chiavi in mano che comprende le immagini e le interviste prima della partita, la partita, il dopo gara e lo studio, gli highlights, le grafiche e anche la pubblicità. Chi compra deve solo mandare in onda, cosa che rende di fatto questo il canale della Lega, anche senza canale, avendo il controllo su tutti i contenuti.
La possibilità di personalizzare il prodotto esiste, ma comprando un altro pacchetto (E) per metterci pubblicità propria, un altro (F) per la personalizzazione editoriale (che comprende anche la telecronaca fatta dai giornalisti della tv che trasmette la partita) e un altro ancora (F+, acquistabile solo se si è comprato il pacchetto F) per immagini esclusive e, per dire, la presenza di bordocampisti o altre cose che attualmente sono normali in un evento come una gara di serie A, ma pagate in più.
Il ricorso di Sky
È evidente, anche senza essere parte in causa, che questo bando tende a realizzare un progetto che da intermediario non si può realizzare, che è l'idea madre di Mediapro da quando ha messo piede in Italia con l'illusione di poterlo realizzare. E c'è anche, in carico agli spagnoli, la raccolta pubblicitaria. Recita il bando che «gli spazi Pubblicitari all'interno del prodotti audiovisivi (...) sono commercializzati da Mediapro e/o di soggetti a cui Mediapro affiderà tali attività», passaggio che fa tornare ancora in mente il movimentismo del presidente del Torino Urbano Cairo per favorire l'arrivo del nuovo intermediario (e, anche, progetto poi tramontato, di Tebas in Lega) e, secondo voci, provare ad assicurarsi la pubblicità del canale, che rappresentano un affare da 120 milioni di euro all’anno.
Limitando così tanto l'autonomia dei broadcaster, il bando di Mediapro ha scatenato la reazione di Sky, aprendo un fronte bollente. Da Rogoredo è partito il ricorso al Tribunale di Milano, per verificare che il bando fosse a norma di legge, che ha come primo effetto fatto sospendere il bando. E nel comunicato ci sono le ragioni dell'azienda: «Il bando di MediaPro per l'assegnazione dei diritti televisivi del campionato di calcio della Serie A solleva così tante perplessità da rendere necessario verificarne la legalità prima di presentare importanti offerte. Sky intende continuare a garantire agli abbonati un prodotto di qualità, nella piena libertà e autonomia giornalistica e editoriale in un sistema non discriminatorio e di libera concorrenza fra gli operatori».
La rivendicazione è evidente, senza autonomia l'investimento non rende. E peraltro manderebbe all'aria anche gli investimenti fatti in precedenza per creare un corpo redazionale che, invece, verrebbe soppiantato da quello di Mediapro. Pagando, pure. Di qui la guerra, perché Mediapro ha immediatamente cercato di prendere, come si diceva, il pallone per la gola: doveva presentare la fideiussione di 1,2 miliardi di euro prevista dal bando entro il 26 aprile e proprio allo scadere del termine, invece di tirare fuori le garanzie bancarie, ha emesso un comunicato per dire che quei soldi arriveranno, ma solo se il Tribunale non bloccherà il bando. Un modo per far tremare le società di Serie A e far intravedere la possibilità che salti il banco, del tutto.
Le garanzie di pagamento dell'asta vinta?
Per Mediapro basta aver «certificato alla Lega Calcio di Serie A di avere le garanzie richieste attraverso la consistenza patrimoniale della sua società madre, integrata dal pagamento anticipato dei diritti».
Le fideiussione?
«La situazione giuridica creata pretestuosamente da Sky per difendere la sua posizione privilegiata nel mercato italiano impedisce che la Lega possa garantire a Mediapro “la piena ed incontrastata disponibilità dei diritti audiovisivi oggetto del pacchetto”. Mediapro fornirà le garanzie necessarie a la Lega quando potrà disporre di tali diritti».
O si ferma il ricorso, o niente soldi. E, come un messaggio in bottiglia, la sempre reale intenzione. Mentre invece dei soldi manda un comunicato, il colosso spagnolo-cinese lascia lì un'indicazione: se invece volete fare il canale della Lega, siamo pronti. Cioè: «Nel caso in cui La Lega Serie A decidesse di creare, insieme a Mediapro, un canale proprio per la distribuzione dei diritti della massima competizione italiana, Mediapro presenterebbe le garanzie in maniera immediata, perché i diritti non sarebbero più soggetti ad alcuna risoluzione giudiziaria».
Il ruolo di Tebas il picconatore
Che la questione Mediapro stia molto a cuore a Urbano Cairo lo dimostra quanto accade pochi istanti dopo: il 26 aprile Mediapro si scaglia contro Sky, due giorni dopo la Gazzetta dello Sport pubblica un'intervista a Javier Tebas, il presidente della Liga spagnola che il patron del Torino (e proprietario del gruppo Rcs, che in Spagna pubblica “Marca” e “El Mundo”) voleva in ogni modo come amministratore delegato della Lega di A (anche a costo di tentare un blitz mentre Malagò era in Corea).
Da dove rispunta Tebas, che nel frattempo ha scelto di rimanere in Spagna con tanto di stipendio raddoppiato? Va in soccorso di Jaume Roures, uno dei due potenti soci di Mediapro, suo amico, con il quale peraltro ha fondato nel 2014 la Spanish Soccer International Marketing. Tebas piccona il calcio italiano e soprattutto entra a gamba tesa nello scontro per i diritti tv. Intanto dice che «col numero di abitanti, col ratio di penetrazione della tv a pagamento, con lo spettro di clienti appassionati al nostro sport, il calcio italiano deve per forza raccogliere molto di più. Deve fare molti più soldi».
Foto di Miguel Tovar / Stringer
E poi si scatena contro Sky, nella tenzone avversario di Mediapro. Entra in una partita che teoricamente non è sua: «Se Sky volesse davvero che il calcio italiano crescesse come dovrebbe si sarebbe seduta a un tavolo con Mediapro e la Lega per elaborare una strategia e un progetto comune per il futuro. Le società italiane si devono chiedere come mai Sky, cinque mesi prima del bando per la Serie A, abbia alzato il prezzo per i diritti della Champions ribassando poi di quasi 200 milioni quello per il prodotto nazionale. Poi si devono chiedere come mai una volta entrata Mediapro, Sky abbia mostrato disponibilità ad offrire più soldi e a lottare per recuperare i diritti perduti».
Perché Mediapro ha bisogno di Tebas? Per fare vedere che in Spagna va tutto bene e in Italia se c'è caos è perché non li lasciano liberi di fare quello che vogliono. Cosa che ha fatto reagire Sky in una nota con toni duri nei confronti di Tebas, nella quale non manca il riferimento a quello che sarebbe il suo ispiratore, perché si legge che lo spagnolo è «stato candidato dall’editore e presidente Urbano Cairo a diventare amministratore delegato della Lega Serie A» e quella voce “editore” prima di presidente ha un significato preciso (infatti la Gazzetta ha detto, debolmente, la sua, difendendo Cairo più che se stessa).
Cosa ha detto il Tribunale
Solo che a un certo punto il Tribunale si è espresso, fermando le chiacchiere e le accuse incrociate. E proprio sul ruolo invasivo di Mediapro ha puntato il dito, annullando il bando, dando ragione a Sky. L'intermediario vuole fare l'editore. Ma non può, non lo prevede la legge. E non solo.
Il giudice parla chiaro: «La considerazione del complesso dei pacchetti predisposti (da Mediapro, ndr) per la loro assegnazione ai sublicenziatari evidenzia obbiettive problematicità». Quella più grossa è che Mediapro, dice l'ordinanza, nel bando si propone di produrre contenuti che non potrebbe: «L’entità di tale predisposizione di contenuti informativi e pubblicitari sia in sé rappresentativa dell’assunzione di una forma di responsabilità editoriale».
Per il giudice Mediapro abusa della propria posizione dominante, confezionando pacchetti che hanno una notevole incidenza sulla programmazione delle tv che acquistano i diritti: «La vincolatività della trasmissione integrale dei Prodotti Audiovisivi che compongono la sostanza dei “pacchetti principali esclusivi” risulta di rilievo tale da limitare la facoltà di scelta degli operatori dell’informazione assegnatari in ordine al “se ed in quale misura” avvalersi di servizi aggiuntivi rispetto alla concessione della licenza sui diritti in questione».
Foto di Paolo Bruno / Stringer
Le tv, insomma, devono essere lasciate libere dall'intermediario, che invece dovrebbe commercializzare semplicemente i novanta minuti della partita: «Non pare contestabile che l’offerta così confezionata obblighi l’assegnatario all’acquisto anche di servizi non necessari alla fruizione del prodotto per così dire principale – i diritti sulle trasmissioni degli eventi calcistici in diretta – né tale collegamento può ritenersi giustificato da ragioni tecniche o di efficienza economica». Il rischio, peraltro, secondo il giudice è che costringere i broadcaster più forti ad acquistare ulteriori pacchetti per poter personalizzare l'offerta con i propri contenuti, possa produrre un aumento di costi che graverebbe sulle tasche dei consumatori.
È contestato anzi a Mediapro il tentativo di concorrere con le tv nel mercato della pubblicità. E anche la mancata comunicazione dei prezzi minimi per ogni pacchetto non rispetta la trasparenza necessaria per un bando e non permette all'Antitrust di stabilire se le basi d'aste sono state fissate «secondo criteri aventi effettivo fondamento di mercato».
Va rifatto tutto. E non è ancora il momento del canale della Lega, nonostante le insistenze.
Il rilancio continuo di Roures
Bisognerebbe, però, spiegarlo a Jaume Roures, socio operativo di Mediapro. La sua società si muove, come detto, lui ripete l'idea della tv di Lega appena può. Sin dal suo ingresso nel calcio italiano: «Siamo convinti che la nostra proposta del canale crei più valore alla Lega e i club, e crei un prodotto migliore per l'abbonato. Se non si sviluppa, da domani comunque lavoriamo sul progetto previsto dal bando. Tenteremo di convincere tutti che sia importante dare la stessa immagine a tutto il torneo, e che noi abbiamo una grande capacità di produzione».
E anche dopo la sospensione del bando, prima della decisione del tribunale, aveva rassicurato le società sulla bontà economica dell'operazione e sul pagamento della fideiussione. Tornando sul suo cavallo di battaglia: «Sia che il bando vada avanti, sia che venga bocciato, continueremo a spiegare che vorremmo fare il canale perché è la soluzione migliore per il calcio e i tifosi». Nella stesso momento, con seduto accanto a lui Marco Bogarelli («È mio amico da trent'anni e continuerà a esserlo») garantiva la presentazione per la fideiussione entro il 26 aprile. Salvo poi rimandare tutto all'ultimo momento.
La doppia delibera e la “fuga” di Cairo
Al 22 maggio si è arrivati in ordine sparso e con molta tensione. Di soldi ancora nessuna traccia, della fideiussione nemmeno a parlarne. Gli spagnoli sono arrivati all'assemblea di Lega decisiva insistendo sul bluff: non denaro, ma garanzie, fingere di agire da intermediari, cercare il canale di Lega. Provando a spaccare il fronte delle società.
Ruores ha partecipato all'assemblea dei club per convincerli della bontà economica dell'operazione-Mediapro. Non con il miliardo e rotti annunciati, ma proponendo come garanzia la visibilità del patrimonio della capogruppo Imagina (400 milioni) e altri 186 milioni da versare entro dieci giorni e, più avanti, avrebbe reso visibile anche il patrimonio di Mediapro (in attesa del perfezionamento del passaggio del 53% a Orient Hontai). Miccicchè, presidente della Lega e banchiere di professione, l'ha detto senza mezzi termini: tecnicamente non sono garanzie e comunque sono inadempienti. Ma non è stato l'unico elemento di scontro durante l'assemblea: Roures a un certo punto ha gettato via la maschera. «Qualsiasi altro bando – ha detto – sarebbe passibile di un ricorso ulteriore di Sky e quindi l'unica possibilità è fare il canale di Lega». Qui la rottura è stata a un passo e la risoluzione del contratto pure. Infatti c'è stata una prima votazione nella quale 14 club su 17 (non votavano le retrocesse) hanno definito come non sufficienti le garanzie presentate da Mediapro. Quindi si è passati a un'altra votazione: quella che avrebbe dato il via alla risoluzione immediata del contratto e che sarebbe stata diretta conseguenza della delibera precedente. Ma qui c'è stata una sorpresa: servivano 12 voti favorevoli e ne sono arrivati 11. Perché il Chievo ha votato contro la risoluzione, ma soprattutto Torino, Cagliari e Udinese si sono astenuti, mettendo c0sì in vista la “fuga” di Cairo, alleato nemmeno più nascosto di Mediapro e del progetto di forzare la mano per arrivare al canale. Con Cairo, ovviamente, si è schierato Lotito, in nome della recente comunione d'intenti, perché la Lazio ha abbandonato la votazione. E anche il Milan è risultato assente. C'è qualcosa che lega il Milan a Mediapro? Direttamente no, se non che MediaPro ha anche creato e prodotto nel 2014 il museo “Mondo Milan” per conto dei rossoneri. C'è in più una coincidenza: Mediapro, secondo Bloomberg, ha chiesto aiuto al fondo Elliot per l'investimento sui diritti TV in Italia. Lo stesso fondo che garantisce per la proprietà del Milan.
A quel punto tutto è stato rimandato alla mattina dopo.
Lo sfogo di Malagò, l'ultima votazione
«O si dà fiducia a Mediapro, sulla base di nuove indicazioni, oppure si deve fare la risoluzione del contratto. Non esistono altre soluzioni». Malagò, da commissario della Lega, non ha usato giri di parole, invitando la Serie A a decidere da che parte stare, invece di aspettare la decisione del Tribunale dopo l'appello di Mediapro. Malagò ha messo in luce anche la grande anomalia delle due votazioni: «Sono due delibere palesemente in contrasto: o si dà fiducia o scegliete di sciogliere il contratto». Così è iniziata la nuova assemblea (in continuità con quella del giorno prima, lasciata aperta), alla quale si è arrivati con il parere legale del consulente della Lega di Serie A, Alberto Toffoletto sulle garanzie presentate da Mediapro: «Le difformità sono di natura, quantità e importanza tali da rimuovere qualsivoglia dubbio rispetto alla piena legittimità della risoluzione del contratto».
Ma si è arrivati anche con un altro tentativo di Mediapro: l'annuncio della convocazione del CDA della controllante Imagina, per effettuare il versamento entro lunedì di 186 milioni di euro, non più come anticipo ma come integrazione dei 64 milioni versati a marzo, quindi come come garanzia. La prima rata da 200 milioni di euro verrebbe invece versata da Mediapro a luglio. Quindi c'è stata una nuova votazione, ma nemmeno questa volta è passata la risoluzione del contratto: a fare squadra per un ulteriore rinvio (se ne riparla lunedì) è stato il grande tessitore Claudio Lotito, che poi non ha partecipato all'assemblea. E i voti a favore della risoluzione sono diventati dieci, perché nel frattempo dal gruppo del giorno prima si è sfilato il Genoa di Preziosi, che in tema di diritti TV e rapporti con gli advisor è vecchio amico di Lotito.
Mediapro continuerà a parlare forzatamente di canale proprio (come allegato ai 186 milioni che verranno versati sembra intenzionata a chiedere in cambio la piena titolarità dei diritti), la Lega continuerà a dilaniarsi con il rischio che si ripropongano vecchi schieramenti. Di soldi, per ora, se ne parla solo ogni tanto. Si spostano solo scadenze. Come se gli impegni presi fossero un dettaglio, perché il progetto è un altro, da portare avanti fino a quando le società non cederanno per sfinimento, pensano gli spagnoli.