1. Conte riuscirà a vincere la Premier League?
Se Guardiola sta realizzando solo ora la dura realtà della Premier League - e sembra non farsene proprio una ragione - il gioco di Conte sembrava già in partenza adatto ai ritmi inglesi. Recuperare il terreno bruciato da Mourinho, cioè la forza mentale del gruppo, la coesione, e trasformare quegli stessi giocatori che un anno fa sembravano finiti in una macchina da 14 vittorie consecutive resta comunque un mezzo miracolo e non tutti avevano fiducia nei suoi mezzi.
Conte viene anche da un Europeo in cui ha raccolto meno di quello che avrebbe meritato, con una rosa che invece ha fatto più di quello che ci si sarebbe aspettati, e dopo le prime difficoltà in Inghilterra c’era già chi lo dava per spacciato. Insomma, se vincesse la Premier League al primo anno, riuscendo a mantenere il controllo delle partite visto finora e un dominio in classifica più o meno equivalente (anche se non può vincere per sempre), persino i più scettici dovrebbero arrendersi e riconoscergli i suoi meriti.
Conte quest’anno si gioca l’unanimità, il plebiscito. E sono davvero in pochi anche solo ad avvicinarsi a un traguardo del genere.
Dove si fermerà la Juventus in Champions League? In campionato c’è un modo in cui può non vincere?
Per quanto si possa non condividere il conflitto artificiale e irrisolvibile che i detrattori di Massimo Allegri creano tra la sua gestione e quella di Conte, è vero che intorno all’allenatore della Juventus non c’è un clima serenissimo e non si può permettere di fallire in campionato - dove la vittoria è imperativa - e anche in Champions League non può uscire senza vendere carissima la pelle.
Ad esempio, non può uscire, in nessun caso, contro un’avversaria come il Porto. La squadra ha più qualità in attacco della passata stagione e magari, forte della capacità di Higuain e Dybala di trasformare in oro anche pochi palloni, potrebbe reggere meglio l’urto di partite di cartello. Sarà questione di millimetri, ma persino una semifinale non sembra fuori portata giocando anche solo benino - se poi giocasse al proprio meglio…
In campionato, paradossalmente, nella durata le mancanze strutturali potrebbero costare più caro ad Allegri. Oggi come oggi la vera antagonista sembra essere il Napoli, che potrebbe approfittare di eventuali passi falsi bianconeri, come quelli avuti nel girone d’andata. Certo, l’unico modo per detronare la Juventus sarà quello di sfruttarne ogni passo falso e non concedersi più nessuna pausa. Un compito che non possiamo essere certi sia alla portata del Napoli come di nessun’altra squadra di A. Non è il campionato “finito prima di cominciare” che qualcuno diceva, ma i favori del pronostico continuano ad essere dalla parte della Juventus.
Quale dei tanti centravanti in lizza vincerà la classifica marcatori della Serie A?
Una vocina al nostro interno grida entusiasta: “Belotti!”. Poi però arriva una voce più grave e razionale che dice: “Mhhh…. Higuain”. Dallo stomaco sale una voce che dice: “E no, allora Mertens!”. A quel punto si fa avanti una voce spaventata che chiede: “Icardi no?! Sicuri sicuri?”. E dopo un attimo di silenzio dal fondo del nostro cervello una voce assonnata dice sbadigliando: “E se vincesse Dzeko?”.
Klopp porterà un titolo a Liverpool?
Sono passate cinque stagioni dall’ultima vittoria del campionato tedesco sulla panchina del Borussia e due dall’ultimo trofeo (la Supercoppa di Germania del 2014). L’anno passato, di ambientamento in Inghilterra, ha perso due finali (League Cup contro il Manchester City; Europa League contro il Siviglia), arrivando ottavo in campionato. Quest’anno però il Liverpool sembra avere un’efficacia diversa nell’applicare i meccanismi del pressing di Klopp. In campionato, al momento, il Liverpool sembra l’unica valida contender del Chelsea di Conte, mentre deve ancora giocare la prima partita di FA Cup. Invece in League Cup dovrà affrontare il Southampton in semifinale, tra qualche giorno, e poi una tra Manchester United e Hull City in finale. Il primo trofeo, quindi, potrebbe arrivare già a febbraio, e Klopp se lo meriterebbe, sempre che Mourinho non decida di farne una questione di principio e vincerla lui.
Guardiola riuscirà a non impazzire completamente in Premier League?
Guardando le sue ultime interviste sembra di no, e forse ci dobbiamo aspettare un burnout totale entro la fine della stagione. La cosa preoccupante è che Guardiola ha iniziato a dirigere le sue dichiarazioni passivo-aggressive verso il calcio inglese in generale, che non è proprio una buona idea quando sei allenatore del Manchester City. Tutto era iniziato con uno spunto di umiltà, quando Guardiola diceva di doversi adattare perché in Premier League spesso “il pallone sta più in aria che in terra”, ma adesso sono spuntate frasi come “devo capire le regole qui in Inghilterra” e “è ovvio che qui ci sia un’interpretazione diversa”. Credo che Mourinho si stia sfregando le mani. Buona fortuna Pep.
Federer avrà il suo canto del cigno o dobbiamo rassegnarci al definitivo declino?
Se Federer sarebbe riuscito a vincere o meno un suo ultimo slam è la domanda con cui aprivamo il pezzo dedicato all’anno passato. La risposta è stata: ritiro dalle olimpiadi, nessuna finale dello slam, zero titoli. Risultati simili per un giocatore come Federer, arrivati mentre suonano i 35 anni, odorano di ritiro in modo ormai inequivocabile. Soprattutto se si sono saltati la maggior parte dei tornei programmati durante la stagione per problemi fisici. Federer è tornato in campo dopo sei mesi di inattività ieri nella Hopman Cup. Al suo allenamento erano presenti ottomila persone, poi è sceso in campo e ha battuto Daniel Evans in due set. Tutti si augurano che la magia possa non finire. O se proprio deve finire, che Federer abbia almeno il canto del cigno che spetta di diritto ai pochissimi atleti col privilegio di diventare “venerati maestri” mentre sono ancora in attività. Per capirci, l’incredibile punto di luce vissuto da Sampras alla finale degli US Open del 2002, mentre era già la copia sbiadita di sé stesso.
A dire il vero, Wimbledon 2015 sembrava dovesse essere il canto del cigno di Federer. Quel torneo aveva messo tutto in una nuova prospettiva: i tormenti degli ultimi anni avevano preso la forma di una preparazione a quel nuovo modo di giocare ultraoffensivo. Federer sembrava aver trovato la chiave del matrix: un modo unico per strozzare i tempi e gli spazi del tennis avversario. Uno stile di gioco squisito e delicato come un uovo fabergé, e che infatti è andato in pezzi pochi mesi dopo.
Federer, come solo i veri ossessionati possono fare, ha ribaltato la prospettiva: «Una pausa così lunga dopo 20 anni di tennis non può che essere positiva». Poi ha dichiarato di essere ancora affamato, di voler giocare ancora tanto, che non si tratta di una sola partita, di un solo torneo: «Potrebbero volerci anni».
Le sue condizioni di forma al momento sono un vero enigma, ma come per il 2016 vale un solo punto fermo: che le sue vittorie dipendono completamente da quanto spazio gli lasceranno gli altri. Nel caso in cui Djokovic e Murray molleranno un po’ la presa in qualche slam - come sarebbe peraltro verosimile in questo momento - risulta difficile credere (o facciamo: vogliamo credere) che Federer non sia lì ad approfittarne.
Quali altri talenti francesi dobbiamo aspettarci che esplodano?
I primi che ci vengono in mente: Amine Harit del Nantes; Maxime Lopez dell’Olympique Marsiglia (centrocampista piccolo e tecnico con piedi e statistiche da playmaker o mezzala di possesso, titolare da quando c’è Rudi Garcia); Malang Sarr del Nizza, che sta giocando splendidamente da difensore a sinistra di una difesa a 3; Kylian Mbappé che sembra già bello e esploso nel Monaco di Jardim.
Di chi diventerà il direttore sportivo Sabatini?
L’addio di Walter Sabatini dalla Roma ha fatto perdere alla Serie A uno dei suoi personaggi secondari più paradossali e carismatici. Quindi la speranza è che possa trovarsi una squadra del campionato abbastanza pazza da concedergli la libertà di esprimere il proprio gusto calcistico senza troppe limitazioni.
Non sarebbe neanche così scellerato. In una lega sempre più fondata sull’idea del player trading in fondo Sabatini, per quanto sopra le righe, rappresenterebbe un investimento sicuro se si vogliono fare i soldi con i talenti sconosciuti ed entusiasmanti.
In passato si era parlato molto di Inter. Ma Suning avrebbe il coraggio di mettersi in casa un ds plenipotenziario? Forse la dimensione di Sabatini è ancora quella di una medio-piccola della Serie A. Magari davvero il Bologna di Saputo, oppure il Cagliari, o magari la Sampdoria che ha iniziato in maniera deciso un progetto di valorizzazione patrimoniale dei giovani.
Sarebbe invece un po’ più triste se Sabatini si lasciasse affascinare dalle prospettive economiche di un campionato diverso, dove la sua ricchezza sintattica e lessicale sarebbe quanto meno limitata. Siamo davvero pronti a vedere una figura così borderline all’opera nel contesto levigato della Premier League, in un club tipo il Tottenham?
Il Milan diventerà (finalmente) cinese? E a Galliani che succede?
Teoricamente sì ma in realtà è molto difficile da dire, soprattutto adesso che Berlusconi sembra clamorosamente intenzionato a tornare protagonista della scena pubblica italiana. Ufficialmente il cosiddetto “closing” è previsto per il 3 marzo ma, vista la poca chiarezza nella ragione dei ritardi fino ad adesso, non è detto che non ci siano ulteriori contrattempi. Alcuni dicono che le difficoltà siano dovute a nuovi controlli imposti dal governo cinese sull’uscita dei capitali all’estero, altri che invece sia lo stesso Berlusconi che sta negoziando la propria posizione all’interno del club. Legato al suo destino c’è ovviamente anche quello di Adriano Galliani che, se la Sino Europe Sports dovesse acquistare la totalità del club (com’è ufficialmente previsto), uscirebbe probabilmente di scena. La nebulosità di tutta la situazione, purtroppo, non ci permette di guardare oltre con maggiore precisione.
Ci sarà una sorpresa tra i vincitori di almeno un grande slam?
Anche nella stagione che viene è difficile immaginare un vincitore diverso dai soliti nomi. Le possibilità narrativamente più interessanti sono quelle di Del Potro, alla ricerca del definitivo lieto fine alla storia del suo rientro, che però non sarebbe davvero un nome nuovo. Per il resto ci sono le seconde linee che da anni si stanno lavorando i trofei: Raonic, che lo scorso anno ha raggiunto la sua prima finale slam; Nishikori, che ha avuto un 2016 al di sotto delle aspettative; Marin Cilic, che nel singolo torneo ha sempre la possibilità di fare la differenza col servizio.
Come negli ultimi anni, le sorprese sono possibili, ma nessuna di queste sembra offrire prospettive entusiasmanti per il pubblico.
Gabigol segnerà il primo gol con la maglia dell’Inter?
Al momento le quote sono queste:
gol nel 2017: 4,50
tunnel di rabona: 3,00
2 retropassaggi di rabona nella stessa partita: 2,70
autogol di rabona: 11
incidente domestico con petardi e/o piscina e/o escort minorenni: 4,70
disco rap in coppia con Icardi: 8
Verratti rimarrà al PSG?
È arrivato il momento di chiedersi se Verratti non stia perdendo tempo. Arrivato da Pescara senza grandi pretese nella stessa sessione di mercato di Ibrahimovic e Thiago Silva, oggi Verratti è uno dei giocatori di più grande valore del Paris Saint Germain e sembra pronto a un altro salto di qualità. Un campionato più competitivo? Magari quello spagnolo? Magari con una squadra che tradizionalmente fa della tecnica e della visione di gioco il cuore stesso della propria filosofia? Sì, insomma, ci piacerebbe vederlo a Barcellona.
È l’ultimo anno di Totti? (puntata n°3)
Lui vorrebbe giocare un altro anno, è evidente che si tratta di un caso in cui l’orgoglio ci impedisce di chiedere apertamente quello che ci sembra dovuto. E la Roma ha aspettato troppo ormai per gestire un eventuale addio, non faremmo in tempo a prepararci e lo vivremmo male, scoppierebbero sommosse e i bambini sarebbero tutti tristi. Speriamo di no.
Quali altri campioni saranno ceduti in Cina?
La porta d’accesso dorata al termine del ponte di Einstein-Rosen che collega l’epicentro calcistico mondiale alla Cina è stata definitivamente sfondata, dopo il passaggio delle spalle possenti di Hulk e Jackson Martinez l’anno scorso, dalla capigliatura di Witsel.
Nell’inventario ipergravido e continuamente aggiornato di calciatori che potrebbero scegliere la China Super League - luogo must be del 2017 - come palcoscenico del loro arricchimento esperienziale, una lista che non si capisce bene se sia più un elenco di deportati o eletti, sono contemplate tutte le sfumature che intercorrono tra l’Assurdo e il Plausibile.
Oltre alla boutade Cristiano Ronaldo (al Real Madrid sarebbe giunta un’offerta di 300 milioni di euro, e a CR7 un onorario di 99 milioni di euro l’anno, più di 8 milioni di euro al mese, cioè 3 euro e mezzo al secondo) e Ángel Di Maria, al quale andrà pure stretto il confino tattico imposto da Unai Emery al PSG, ma addirittura anelare la pazzia anarcoide della CSL mi sembra troppo (rientra in questo universo distopico anche l’offerta a Clattenburg), c’è una serie di calciatori per i quali l’ipotesi non è solo suggestiva, ma reale.
Una microcategoria è composta da gente che credevamo definitivamente fuori dai giochi, o in via di dismissione, e che potrebbe tornare solo per guadagnarsi uno scivolo d’oro verso il definitivo pensionamento, come Ashley Cole (accreditato alla diaspora di DP da Los Angeles), l’onnipresente Ronaldinho, Nicklas Bendtner, Samuel Eto’o che così potrebbe ammortizzare i costi delle sue scommesse azzardate, Podolski prima di calarsi definitivamente nel rap game e Emmanuel Adebayor, il cui Instagram, in rotta di collisione con muraglie e lanterne, impazzirebbe in un turbinio di fuoco.
La seconda microcategoria include calciatori per i quali la scelta di un futuro esotico o di un trasferimento intercontinentale non è strettamente necessaria, anche se suggestiva. Si tratta di nomi già accostati anche alla MLS in passato, per i quali l’ingresso dello scenario cinese crea una dicotomia: l’ago della bilancia della nostra percezione degli stessi oscilla adesso tra «calciatori in cerca di riscatto» o «mercenari». In ordine di plausibilità decrescente ci sono Balotelli (che se vuole provare a tornare in Nazionale gli conviene non allontanarsi troppo neppure da Promenade des Anglais), Cesc Fabregas, Radamel Falcao, Yaya Touré, Wayne Rooney, Robin Van Persie, John Terry e Fernando Torres.
Infine c’è il miniplotone WTF, che è l’unico che vorremmo davvero vedere col nome sulle spalle in ideogrammi e che ci farebbe comprare subito l’abbonamento in streaming alla CSL: un quintetto all-star composto da Mattia Caldara, prepotentemente desiderato da Fabio Cannavaro per il suo Tianjin Quanjian; Vladimir Weiss e Assou-Ekotto, le vere personificazioni della forma mentis che muove gli astri del calcio cinese (Weiss dopo sei mesi all’Olympiakos si è imbarcato in un bel peregrinare tra squadre del Qatar che giocavano al rialzo col suo stipendio e che gli hanno fatto guadagnare il nickname di Wei$$, mentre come la pensa BAE lo sappiamo già, e poi che ci sta a fare a Saint-Etienne?); Hal Robson-Kanu e Hatem Ben-Arfa.
Quanti soldi guadagnerà Pellè?
Ad ascoltare Gervinho, il mega-contrattone è una tendenza che appartiene ormai all’anno passato: il futuro è nei bonus. L’ivoriano non è esattamente una macchina da gol, e adesso starà probabilmente rimpiangendo di non aver mai affinato la finalizzazione, considerato che, come ha rivelato, ogni gol segnato gli frutta 150,000€ netti. Il bonus per ogni partita giocata, invece, ammonta a 60,000€. Poco male, insomma, che guadagni solo 10 milioni annui, se una stagione da 30 gol può riportarlo facilmente nella top ten dei più pagati.
Del resto stare dietro ai contratti stava diventando francamente frustrante, basti sapere che in estate Pellè era il quinto giocatore più pagato al mondo e adesso è appena il nono. Per non parlare del primato di Oscar, oscurato da Tévez nel giro di qualche ora. Il Graziano nazionale non poteva incassare quest’affronto senza colpo ferire, dopo mesi trascorsi in cima a ogni photogallery sui “paperoni del pallone”, così ha stipulato un nuovo contratto che gli permetterà di guadagnare:
- 200,000€ per ogni gol segnato in acrobazia, più 200,000€ addizionali per ogni considerazione passivo-aggressiva sulla qualità dei difensori del campionato cinese;
- un bonus di 100,000€ se fa pace con Ventura, che può salire a 150,000€ se prima lo tiene un po’ sulla corda e poi gli dedica un gol davanti alle telecamere, ma può arrivare fino a 200,000€ se a pace ottenuta gli nega nuovamente il saluto, come fece Batista con Triple H;
- 30,000€ per ogni giocatore che si trasferisce in Cina e ha fatto bene ad accettare l’offerta della vita, 50,000€ per ogni giocatore che si trasferisce in Cina e ha sbagliato a sacrificare la carriera per i soldi, 15,000€ per ogni giocatore che si trasferisce in Cina e nessuno si domanda cosa avrebbe fatto al suo posto
Da quali giocatori dobbiamo aspettarci un clamoroso comeback?
Con la firma, a pochi giorni dalla fine del 2016, del contratto che sancisce il suo terzo ritorno in campo in cinque anni, Juan Sebástian Verón ha decisamente fissato a vette irraggiungibili l’asticella della portata mitica dei comebacks.
Sarà complicatissimo abbattere questa nuova barriera di clamorosità: ma un anno è lungo, e potremmo lecitamente aspettarci resurrezioni in grande stile anche da parte di
- Mauricio Pinilla (per il quale un eventuale trasferimento in Messico potrebbe addirittura risultare corroborante: cioè, avete visto giocare ultimamente Gignac?)
- Dani Alves
- Landon Donovan (il nuovo coach dei Galaxy, Curt Onalfo, ha il carisma di una tapioca e LegenD dovrà caricarsi la carretta ancora una volta sulle spalle)
- Riccardo Montolivo (che si prenderà il centrocampo di Montella e Ventura, frantumando con una folata di gerontocrazia l’ascesa di Locatelli)
- Adalberto Peñaranda (che ha già appeso la foto della sua sola presenza con l’Udinese, prima che lo scaricassero al Malaga a Gennaio, sullo specchio del bagno, e tornerà in estate ricoperto da un’aura scintillante pronto a prendersi la sua rivincita)
- Juan Román Riquelme (che sicuramente metterà il punto nel 2017, ma forse vedremo anche in Libertadores con l’Atlético Tucumán: il vicepresidente del Decano ha detto che non conferma né smentisce)
Cosa farà Conor McGregor?
Diventerà padre, questo è sicuro. Poi vincerà il titolo Mondiale di pugilato, forse, e magari tornerà in UFC e Khabib Nurmagomedov lo farà fuori in due riprese. O magari gli organizzeranno un incontro con l'ultimo orso polare vivente su un iceberg al Polo per fargli estinguere la specie. Seriamente: dato che ha preso la licenza non sarebbe così assurdo se facesse qualche incontro, sarebbe persino interessante. L’idea che McGregor punti sul suo “personaggio” scegliendo il wrestling, anziché la sua arte nel gestire le distanze, ci toglierebbe un po’ di entusiasmo. Il personaggio McGregor si regge sul suo grande talento, messo alla prova ogni volta che sale sull’ottagono, piuttosto che sui post di Instagram. E senza il rischio che gli vengano cambiati i connotati non c’è gusto.
Per quanto riguarda l’UFC la nostra preferenza andrebbe a un terzo incontro con Nate Diaz. Altrimenti, un match con Tyron Woodley per la cintura dei Welter (sarebbe la terza per McGregor, l’equivalente delle chiavi dell’UFC) sarebbe affascinante anche solo per vedere fino a quale categoria di peso i pugni di McGregor conservano la loro potenza, e dal punto di vista mediatico non ci annoieremmo.
Meno interessante - da un punto di vista stilistico - l’incontro sopra paventato con Nurmagomedov, che potrebbe finire altrettanto velocemente con un TKO del dagestano, il cui mento non è mai stato messo alla prova da mani come quelle di McGregor. Va citata quanto meno la possibilità di cinque riprese con Tony Ferguson, che a mento è messo benissimo e che potrebbe affrontare prima Nurmagomedov, in una sfida a eliminazione che porterebbe inevitabilmente a McGregor (ma che non si riesce a fare perché, indovinate un po’, non Ferguson non trova l’accordo economico con l’UFC).
Quante volte vomiterà ancora Messi?
Gregorianamente parlando, il 2017 dovrebbe essere un anno tranquillo per Leo: l’Argentina non ha in calendario nessuna competizione nella quale poter arrivare in finale e perdere, quindi l’ansia da prestazione (anagramma sentimentale di rinosinusite cronica) di Messi potrebbe essere contenuta nei livelli pre-ematici. Possibili riacutizzazioni, proprio come per la fioritura delle graminacee, a Marzo (quando cioè l’Albiceleste sfiderà il Cile nel match più importante tra quelli ancora rimasti sulla strada per Russia 2018) e Novembre (il potenziale play-off con la rappresentante oceanica, effettivamente ciò che di più vicino a una finale l’Argentina potrebbe giocare)(suerte, come si dice).
Balotelli tornerà in Nazionale?
Il termometro di Balotelli è sempre la proporzione tra gol e cartellini. Se fino a due mesi fa il bilancio era positivo (7-4) ora è tornato in parità (9-9) e nell’ultimo turno di campionato Balotelli è stato espulso per un fallo di reazione. “La prima balotellata” hanno scritto i giornali che non vedevano l’ora (anche se a nostro giudizio si tratta di poco più di uno sgambetto).
Mentre Ventura continua il ritornello marzullesco “Balotelli deve farsi delle domande e darsi delle risposte”, l’Italia cade ai piedi di Belotti, che offre più certezze non solo caratteriali ma al momento persino tecniche. Al di là del discorso caratteriale, Balotelli in Francia ha ritrovato la capacità di essere determinante perché il suo talento è troppo grande per il contesto in cui si trova a giocare, ma calcisticamente non ha fatto i passi in avanti che ci si aspettano da lui da anni.
Se da una parte il suo talento continua a essere troppo evidente, ed è quindi plausibile una sua convocazione nel 2017, il suo momentum sembra ormai passato. Oggi è difficile immaginare che tornerà a essere centrale nel nostro movimento come lo è stato per poche settimane qualche anno fa. Allora il 2017 potrebbe essere l’anno della vera rinascita di Balotelli come giocatore e al contempo del suo definitivo declino come fenomeno. Balotelli, cioè, potrebbe diventare un giocatore normale.
Kyrgios metterà la testa a posto?
Nick Kyrgios è al momento uno dei pochi giovani su cui è possibile scommettere per la futura vittoria di uno slam. Tutti concordano che fra lui e un grande torneo ci sia di mezzo solo una grossa, aggrovigliata, massa di pazzia. Il 2017 ci dirà con qualche attendibilità in più se Kyrgios riuscirà a trasformare il suo squilibrio in energia positiva. A suo favore c’è il fatto che, a dispetto dell’impressione che sia sul circuito ormai da anni, Kyrgios ha appena 22 anni: l’età a cui Roger Federer, fino a quel momento incompiuto, ha vinto il suo primo Wimbledon. Contro di lui c’è il fatto che 22 anni sono già un’età avanzata per uno che vuole smettere a 27. Quest’anno dopo la squalifica rimediata contro Micha Zverev ha dichiarato di essere andato molto vicino al ritiro con una dichiarazione ricca di quel nichilismo che lo rende un eroe millennial: «Io non amo questo sport. Mi piace fino a un certo punto, ma non lo amo». Nel frattempo continua a ripetere di non voler arrivare a 30 anni nel circuito.
Il tempo stringe.
Ci sarà finalmente il coming out di qualcuno tra i calciatori omosessuali?
Dopo quello di Cristiano Ronaldo, che qualche settimana fa ha “tranquillamente ammesso di essere omosessuale” nel multiverso abitato da Giovanni Minoli (che forse dovrebbe leggerci con più spirito critico). No, sul serio, sarebbe ora.
Come andrà a finire il processo ad Alex Schwazer
Il processo che si apre il 17 gennaio a Bolzano è probabilmente un procedimento senza futuro, al quale tiene assurdamente più l’accusato che l’accusa. Infatti quel giorno il giudice per le indagini preliminari Walter Pellino darà gli incarichi alle parti e sappiamo che avranno un ruolo il professore del dipartimento di chimica dell’Università di Torino, Marco Vincenti, e anche il comandante del Ris di Parma.
Un processo che nasce morto perché si deve tenere in quanto il doping è un reato penale. Ma l’archiviazione è dietro l’angolo visto che, per la legge italiana, ci deve essere un effetto sulla prestazione per sussistere il reato. Anche secondo il laboratorio Iaaf di Colonia che ha scovato le poche molecole di anabolizzante esogene quella quantità non è sufficiente a modificare la prestazione. L’accusa penale, dunque, dovrebbe cadere lasciando spazio al procedimento civile. Ed è qui che Alex vorrà mostrare di aver subito un torto. Sarà un processo lungo e difficile, che metterà in gioco la dignità di molti, ma non la loro fedina penale.
Che Schwazer vinca o perda, trovo comunque difficile ragionare sul concetto di giustizia, travolto in un giorno d’estate sulla strada che divide Racines, Colonia e Rio de Janeiro.
Unai Emery resterà sulla panchina del PSG?
Nonostante in campionato la squadra parigina continui ad essere discontinua, in realtà molto dipenderà da come andrà in Champions League. Sappiamo bene quanto Emery sia forte negli scontri diretti e questo potrebbe permettergli di salvare la panchina, nel caso catastrofico in cui il PSG riuscisse davvero a non vincere la Ligue1 (attualmente è addirittura terzo, a cinque punti dal Nizza capolista). Certo, il passaggio è più stretto che mai, perché agli ottavi il PSG incontrerà il Barcellona, ma forse è l’unico disponibile per l’allenatore spagnolo. Salvare il campionato in extremis, infatti, probabilmente non sarebbe sufficiente per la dirigenza qatariota in caso di uscita dalla Champions League agli ottavi o ai quarti, visto che Emery è stato assunto esattamente per il suo curriculum di Europa League vinte. Una Champions sorprendente, non per forza condita da una vittoria, potrebbe invece convincere il PSG a continuare a puntare su di lui, anche se l’incandescente attacco del Monaco alla fine dovesse portare via da Parigi il titolo nazionale.
Come andrà la Confederations Cup in Russia?
Il 17 giugno si aprirà a San Pietroburgo la Confederations Cup, il primo evento sportivo di rilevanza internazionale a tenersi in Russia dopo l’esplosione dello scandalo legato ai risultati delle indagini della WADA (la World Anti-Doping Agency). Sarà la prima occasione disponibile per la Russia per rimettersi in gioco dopo tutto ciò che è successo nel 2016, e non sarà facile per una serie di motivi.
Innanzitutto perché non è ancora del tutto sicuro che lo stadio dove si dovrebbe tenere la partita d’inaugurazione e la finale, cioè il Kretovsky Stadium, quello che doveva essere lo stadio cartolina dei Mondiali del 2018, sarà pronto in tempo. Il Kretovsky Stadium è stato infatti completato solo poche settimane fa, con un ritardo di circa nove anni ed un costo che si è quasi triplicato. A novembre la FIFA, che in estate aveva denunciato i ritardi nella sua costruzione, è intervenuta di nuovo sulla questione esprimendo la sua preoccupazione per la stabilità del campo da gioco. La prima partita ufficiale, Zenit San Pietroburgo - Ekaterinburg, si terrà solo ad aprile e chissà che non escano fuori nuovi contrattempi.
In secondo luogo, la Russia dovrà cercare di non avere nuovi problemi con i suoi tifosi più violenti, soprattutto dopo gli scontri durante Euro 2016, che l’hanno portata ad un passo da una clamorosa eliminazione. In una Confederations Cup si mettono soprattutto alla prova la capacità organizzative di un paese, e degli eventuali nuovi scontri minerebbero la già compromessa credibilità internazionale russa nonché la retorica politica semifascista di Putin.
Infine, anche sportivamente, sarà interessante vedere se la nazionale russa riuscirà finalmente a riprendersi, dopo il tracollo del progetto Capello e la figuraccia rimediata agli Europei dalla squadra di Slutsky. La Russia è qualificata automaticamente ai Mondiali del 2018 e la Confederations Cup sarà quindi il primo e unico modo per testare veramente la squadra prima dell’inizio del torneo. Delle cinque amichevoli giocate dopo Euro 2016, per quanto possono valere, la nazionale guidata da Cherchesov per adesso ne ha vinte solo due, contro Ghana e Romania.
Quante possibilità ci sono che il Mondiale del 2018 venga tolto alla Russia?
Nessuna, stando alle parole del nuovo presidente della Fifa Gianni Infantino, che ancora pochi giorni fa ha ribadito alla CNN che nessuna delle questioni problematiche legate alla federazione russa, al doping e agli hooligans fermerà la macchina messa in moto ben prima della sua elezione. “Non sta al calcio risolvere i problemi del mondo”, ha detto. Intanto nel mondo di Football Manager il Mondiale del 2022 è stato spostato dal Qatar alla Cina.
Simeone riuscirà a vincere la Champions League? O perderà di nuovo in finale con il Real Madrid di Zidane?
L’era Simeone sulla panchina dell’Atletico Madrid si avvicina alla fine e il derby perso in finale della passata stagione toglierebbe l’idea stessa di speranza dalle teste dei tifosi più ottimisti. Proprio per questo, però, perché la vita non segue i percorsi narrativi che vorremmo, non possiamo escludere la possibilità che l’Atletico faccia un grande percorso in Europa anche quest’anno. La rivincità ormai è stata persa, ma con una bella Champions League Simeone uscirebbe comunque in grande stile. Dovrà cominciare vincendo il derby dell’intensità con il Bayer Leverkusen negli ottavi di finale, da lì in poi sarà una sola lunghissima battaglia di Game of Thrones.
Quanto al Real Madrid, la vera domanda è se Zinedine Zidane continuerà a vincere trofei come se fossero premi all'onore del giocatore che fu, diventando magari il primo allenatore della storia moderna a vincerne due Champions League consecutive mentre noi ci chiederemo ancora come ha fatto a vincere la prima.
Sarà l’anno buono per l’Arsenal?
Al momento i bookmakers si attengono alla classifica e l’Arsenal ha ovviamente più chance di arrivare quarta che altro. Ma non ci stupiremmo se uscisse fuori alla distanza, sfruttando magari una crisi prolungata del City, un calo del Chelsea e uno del Liverpool. Non è l’Arsenal più bello degli ultimi anni ma il gioco verticale è ormai collaudato e magari si sta preparando un altro finale di stagione in cui sembra che - e invece no. Ma se dovessimo sbilanciarci, quest’anno anche arrivare secondi o terzi sarà dura.
Il Parma riuscirà a raggiungere la promozione in B?
Inserito in un girone di Lega Pro che sembra una Woodstock della nostalgia, il Parma Calcio è attualmente, dopo l’ultima giornata che è coincisa con l’ultimo giorno dell’anno passato, terzo in classifica, a pari merito con il Padova e a tre punti dalla vetta, sulla quale si erge il nuovo Venezia FC di Tacopina e Inzaghi.
Dopo una marcia trionfale in Serie D, l’ascesa favolistica del Parma Calcio 1913 ha subito una lieve battuta d’arresto lo scorso novembre, quando dopo una serie di risultati incostanti (tra i quali due sconfitte con le dirette concorrenti Padova e Venezia) sono stati esonerati Lorenzo Minotti e Luigi Apolloni, già solido pacchetto difensivo del Parma dei Sogni e al momento direttore responsabile dell’area tecnica e allenatore. In un effetto domino, anche il presidente Nevio Scala ha rassegnato le dimissioni.
È ovvio che i sostituti, D'Aversa sulla panchina e Faggiano (al terzo incarico in un anno) come ds, non possano fare miracoli: ma la squadra nell’ultimo mese del 2016 è sembrata in ripresa, ha vinto un derby - quello dell’Enza - che mancava da troppo tempo e sembra lanciata. L’accesso alla B diretto è un onore che solo i vincitori del girone possono permettersi: la sfida col Venezia è prevista per fine Gennaio, e conterrà, in nuce, molte delle risposte sul futuro parmense.
La FIFA riuscirà a trovare una formula credibile e più democratica per la sua Club World Cup?
In una chat di whatsapp prima della finale tra Real e Kashima di quest’anno, abbiamo steso un piano di ridefinizione che vorremmo sottoporre a Sua Eccellenza Gianni Infantino:
Al Mondiale per Club partecipa di diritto il campione dell’edizione precedente;
Al Mondiale per Club vanno i campioni della Supercoppa Europea anziché quelli della semplice Champions, i campioni della Recopa Sudamericana (vincitore Libertadores vs vincitore Sudamericana), i campioni d’Africa, i campioni d’Asia, i campioni d’Oceania e, quindi, la squadra detentrice;
Il campione CONMEBOL sfida il campione CONCACAF per definire la partecipante «Americana», in gara di playoff andata e ritorno;
Il campione uscente sfida la contendente Europea in gara di playoff, andata e ritorno, definendo la sfera che andrà nelle urne sotto il nome di «Quella Forte»;
I campioni d’Asia e d’Oceania si sfidano in gara unica, possibilmente in Oceania, possibilmente sotto un sole cocente, per determinare la quarta semifinalista (le condizioni meteorologiche estreme sono l’unico appiglio dei campioni oceanici);
semifinali tra Africa, Asia o Oceania, America e «Quella Forte»
Finale da svolgersi ogni anno in un continente diverso.
La Ferrari tornerà a vincere qualcosa?
Si è passati attraverso una stagione in cui si proclamavano grandi possibilità di titolo mondiale ma nella quale effettivamente non è stata vinta neanche una gara, come solo nel 2014 negli ultimi 23 anni. Le aspettative verso la Ferrari sembrano basse anche da parte degli stessi uomini Ferrari, la struttura tecnico-dirigenziale improntata sulla gioventù e su un piano più “orizzontale” è stata bocciata un po’ da più parti estranee, tra cui l’ex Luca Baldisserri che ha invocato invece una struttura para-militare.
Ma c’è un però. Nel 2017 ci sarà una totale rivoluzione aerodinamica nei regolamenti. Quindi le nuove macchine non saranno evoluzioni del modello precedente ma piuttosto dei progetti partiti da foglio completamente bianco. Questo è un rischio e una possibilità contemporaneamente un po’ per tutti (mi riferisco anche a McLaren, Renault, ma anche alla Force India che Sergio Perez si aspetta molto competitiva).
La Ferrari sul finale di 2016 ha fatto delle gare molto consistenti, pagando però le difficoltà a scaldare le gomme in qualifica. La grande speranza è che la Ferrari possa ripetere alcuni Gran Premi, come ad esempio a Suzuka, in cui si è dimostrata molto rapida anche sui curvoni veloci: l’anno prossimo la velocità in curva aumenterà vertiginosamente e sarà più determinante la velocità di percorrenza.
Sarà però necessario che la Pirelli ammorbidisca molto le gomme, visto che l’aumento di stabilità e di deportanza chiederà meno stress alle nuove gomme extra-large. La Ferrari ha dimostrato di contenere mediamente meglio il degrado anche della Mercedes e meno soltanto della Red Bull.
In ogni caso da molte campane viene data la Red Bull come principale favorita al titolo 2017, con Sebastian Vettel vicinissimo alla Mercedes nel 2018. Tutto sembra suggerire un nuovo anno in sofferenza, con possibilità di vittoria di singole gare esclusivamente grazie a episodi particolarmente favorevoli che nel 2016 non si sono mai verificati. Ma forse è proprio la poca pressione - visto quanto è sembrata subirne tutto l’establishment dopo le pretese di Marchionne - che potrebbe suggerire finalmente qualche rischio più ambizioso e più fruttuoso per la Ferrari.
E se il Leicester vincesse la Champions League, diventando la più grande storia di calcio di tutti i tempi?
Ok, è praticamente impossibile, ma era praticamente impossibile anche che vincesse la Premier League. Quindi.
Il Kosovo riuscirà a qualificarsi per Russia 2018?
È molto improbabile ed è un peccato, perché potrebbe essere una delle più incredibili storie sportive di sempre. Il Kosovo è formalmente indipendente da nemmeno nove anni ed è entrato a far parte della FIFA solo l’anno scorso: in tutti e due i casi il suo più grande avversario politico è stato proprio la Russia. Ci pensate a che tipo di rivincita potrebbe essere presentarsi a Mosca per i Mondiali del 2018?
Il problema è che il Kosovo, per adesso, è riuscito a raggranellare solo un punto in quattro partite, pareggiando la prima partita contro la Finlandia e perdendo le successive tre con Croazia, Turchia e Ucraina. In totale ha segnato un gol e ne ha subiti undici. Probabilmente saremo costretti a tenere questa bella storia nel cassetto.
Nibali riuscirà a vincere il Giro d’Italia anche quest’anno?
La maledizione di chiamarsi Vincenzo Nibali è che ogni anno devi sempre dimostrare qualcosa in più, per zittire il coro che sistematicamente si alza a ogni passo falso: “lo dicevo io che Nibali è un sopravvalutato”. Un coro che ha già ripreso a cantare sommessamente dopo la brutta caduta alle Olimpiadi di Rio che gli ha sfilato via dal collo una medaglia ormai sicura.
Ogni anno Nibali deve dimostrare di essere un campione. Non bastano il Tour de France vinto nel 2014, i due trionfi al Giro d’Italia, o ancora la Vuelta, il Lombardia.
Quest’anno Nibali ha la possibilità di (ri-)entrare dalla porta principale nella storia del ciclismo vincendo il suo terzo Giro d’Italia. Come Gino Bartali, per dirne uno, o Gimondi, Hinault, Magni. Leggende di questo sport.
Sì, Nibali ce la farà. E non perché ha una squadra più forte (anzi, il nuovo Team Bahrain-Merida non sembra proprio all’altezza dell’Astana dell’anno scorso), né perché “gli altri non ci sono” (Chaves, Kruijswijk, Valverde, Landa, e poi Pinot e Fabio Aru, sono solo alcuni nomi di una startlist che avrà poco da invidiare al Tour de France). Vincerà perché è il più forte ciclista italiano del nuovo millennio (dopo Bettini. Ma Bettini non era semplicemente un ciclista).
E se non vincerà non sarà un fallimento, non sarà perché “è un sopravvalutato”. Se non vincerà avremo trovato un nuovo campione, e ben venga. Ma Nibali resterà comunque e per sempre una leggenda del ciclismo italiano.
Chi sono i giovani ciclisti da tenere d’occhio per l’anno nuovo?
In questi anni si sta compiendo un profondo ricambio generazionale dopo il dominio incontrastato di alcuni grandi campioni. Dopo aver annichilito tutti i possibili oppositori della generazione immediatamente successiva alla loro, Cancellara e Boonen hanno già ceduto lo scettro di Re del Nord a Peter Sagan, poi sarà il turno di Contador, alle prese con l’ultimo disperato assalto al Tour de France. E così, insomma, le vecchie glorie stanno lasciando spazio alle nuove leve.
Per le Classiche faccio un solo nome: Julian Alaphilippe, francese classe ‘92. Nel 2015 ha sorpreso tutti finendo 2° alla Liegi-Bastogne-Liegi, l’anno scorso ha buttato buona parte della sua preparazione per colpa di una mononucleosi ma è comunque riuscito a fare un’ottima campagna nelle Ardenne. Quest’anno è il suo anno: Valverde non durerà in eterno, Gilbert è il fantasma di se stesso già da un paio d’anni, e per sua fortuna il suo calendario si intreccia solo in parte con quello di Peter Sagan.
Per le grandi corse a tappe occhio a Miguel Angel Lopez, classe ‘94, l’ultimo ritrovato di un ciclismo colombiano in grande crescita, capace di vincere Milano-Torino e Giro di Svizzera nel 2016. Quest’anno è chiamato a confermare le enormi aspettative su di lui compiendo un ulteriore salto in avanti. In seconda battuta da tenere d’occhio Louis Meintjes (‘92, ma è già al punto in cui deve decidere se diventare un Contador o un Caucchioli) e Pierre Latour (‘93, giovane scalatore francese in rampa di lancio. Per dove non si sa, ma comunque lo teniamo d’occhio).
E gli italiani? Purtroppo sono pessimista. L’Italia ha saltato una generazione nell’immobilismo totale della FCI. Le giovani promesse sono ancora acerbe, e quelle già maturate non stanno mostrando i risultati sperati. Aru e Felline potrebbero conquistare buoni risultati nei rispettivi campi, ma a 26 anni suonati non mi sento di definirli “giovani promesse”. Gianni Moscon (‘94) potrà forse togliersi qualche soddisfazione, ma è solo al secondo anno fra i professionisti, in una squadra, la Sky, intasata di capitani per ogni terreno, e ancora deve ben capire se concentrarsi sulle Ardenne o sul Pavé per il futuro.
Discorso opposto per Giulio Ciccone (‘94 anche lui) che invece correndo nella Bardiani-CSF avrà poco spazio a disposizione per dimostrare il suo valore nelle corse che contano. Ma almeno per una volta voglio essere fiducioso.
Riuscirà Milano nell’impresa impossibile di scucirsi il tricolore dalla maglia?
Quando si corre soli, l’unico vero rischio di non tagliare il traguardo consiste nell’inciampare sui propri passi. Questa è la storia recente e il destino immediato dell’Olimpia Milano, corazzata che solca i mari placidi di una Serie A al cui orizzonte s’intravede poco più di una manciata di navi pirata agguerrite, pronte a dare battaglia ma in grado al limite di scalfire la murata in acciaio su cui è inciso il simbolo EA7. Nonostante i rinnovati psicodrammi — ormai caratteristica patogenetica peculiare dell’organismo Olimpia, dalla grottesca gestione della querelle Gentile ai consueti, schizofrenici tentativi di sistemare in corsa un roster rivelatosi disfunzionale dopo nemmeno tre mesi di campo — ipotizzare un naufragio tra le secche della post-season risulta un azzardo eccessivo.
L’organico a disposizione di coach Repesa, certamente discutibile quanto a coesione e omogeneità, non trova termini di paragone adeguati tra le dirette inseguitrici dell’attuale classifica. La fisicità, il talento dei singoli e la lunghezza delle rotazioni rendono difficile immaginare che Milano possa perdere quattro volte nel giro di dieci giorni contro le volenterose Reggio Emilia, Venezia o Avellino di turno. In assenza di antagoniste all’altezza delle imprese storiche riuscite per metà ad una Siena ormai prossima al fallimento nel 2014 e per intero alla Sassari corri & tira di Meo Sacchetti l’anno successivo, lo scenario più probabile è che a giugno possano partire i festeggiamenti per il 28° scudetto biancorosso. Sarà il terzo dell’epoca Armani, tra i più annunciati di un ultimo decennio già di per sé piuttosto monotono. Quanto all’affermazione a livello europeo e, ancor di più, al ruolo di guida di un movimento in costante crisi, per l’Olimpia si prospetta invece un’altra stagione di sonore bocciature.
Riusciranno i New York Yankees a tornare grandi?
La stagione che verrà potrebbe finalmente segnare il ritorno ai massimi livelli dei New York Yankees. Dopo I fasti degli anni a cavallo del millennio (6 volte alle World Series e 4 vittorie tra il ’96 e il ’03), nella decade successiva i Bronx Bombers sono andati via via spegnendosi. Certo non sono mancati quasi mai i playoff e nel 2009 è arrivato un altro titolo. Ma gli addii di Jeter e Rivera, solo per citarne alcuni, e l’inevitabile declino causa invecchiamento delle altre stelle, hanno finito per causare il collasso delle ultime stagioni, culminate nell’unica apparizione nella post season (2015 sconfitta nel wild card game contro Houston) degli ultimi quattro campionati.
L’anno scorso però è arrivata l’inversione di tendenza con l’inizio del processo di ricostruzione. Hanno lasciato A-Rod e Texeira, ad agosto sono stati ceduti Beltran e Miller. A novembre se n’è andato anche McCann. In compenso si è rivelata la stella Gary Sanchez, 20 home run in 53 partite per il 24enne catcher dominicano alla prima stagione in Mlb. Lui insieme a Didi Gregorius, Greg Bird (fuori per infortunio durante tutto il 2016) e Aaron Judge, rappresentano la linea verde, potenzialmente fortissima, su cui il manager Joe Girardi è pronto a scommettere. L’innesto del veterano Matt Holliday e il ritorno del closer Aroldis Chapman possono far volare la squadra, il cui unico punto interrogativo resta la rotazione dei partenti nel quale, l’unico punto fermo resta Masahiro Tanaka.
I sogni del 2017, che ogni tifoso di baseball vorrebbe vedere avverarsi, sono due. Il ritorno in campo di A-Rod, che virtualmente è ancora sotto contratto con gli Yankess, magari per dare una mano nelle fasi calde della stagione. E ovviamente la finale del secolo contro i Chicago Cubs.
Riuscirà Valentino Rossi a vincere, finalmente, il decimo titolo nel Motomondiale?
Nonostante ci sia andato più vicino nel 2015 (e non sapremo mai se lo avrebbe perso anche senza il palese aiuto di Marc Marquez a Jorge Lorenzo), è nel 2016 che Valentino Rossi deve mangiarsi di più le mani per una serie di scelte errate che lo hanno condannato.
Il 2017 gli toglierà di mezzo un compagno scomodo come Lorenzo, passato in Ducati nonostante in molti la ritengano una moto troppo scorbutica per uno stile di guida estremamente pulito come il suo. Oltretutto la Yamaha ha (giustamente) vietato a Lorenzo, da contratto, di poter provare la moto italiana prima di febbraio: non è inimmaginabile qualche gara di sofferenza per lui a inizio campionato.
Valentino Rossi avrà un anno di più e avrà il solito Marquez tra i piedi. Come compagno di squadra avrà Maverick Viñales, il pilota in assoluto più cresciuto nel 2016 con quella spaventosa vittoria in solitaria a Silverstone, con cui Rossi ha un ottimo rapporto da diversi anni. Jorge Lorenzo recentemente ha detto che ben presto finirà l’idillio tra Rossi e Viñales, ma di certo potrebbe essere problematico per il giovane spagnolo essere subito veloce e costante con una moto che pretende risultati maggiori, visto che non sempre aveva la meglio sul suo compagno in Suzuki (Aleix Espargaro) pur avendo dato una netta accelerata al rendimento nella seconda metà dell’ultima stagione.
La crescita che Viñales avrà nel 2017 lo potrebbe rendere pronto per il Mondiale forse nel 2018. Con Jorge Lorenzo limitato un po’ dalla Ducati soprattutto nelle prime gare, Valentino Rossi potrebbe avere solo Marquez e la Honda come avversari degni per tutto l’anno e di certo avrà bisogno di un’altra stagione all’insegna della massima continuità, come nel 2003 o nel 2015.
Chi vincerà il premio di MVP tra gli ex-compagni Westbrook, Harden e Durant?
Sam Presti non avrebbe mai immaginato di trovarsi, a 40 anni suonati, con gli occhi lucidi, costretto a togliersi continuamente gli occhiali per asciugare l’accenno di lacrime che non riusciva a trattenere. La proclamazione ufficiale era avvenuta il giorno precedente, anche se la notizia era nell’aria dalla prima palla a due della stagione. Ora, seduto in seconda fila tra il nutrito pubblico accorso per la conferenza stampa, gli risultava impossibile dominare quel groviglio di felicità e rimpianti, soddisfazione e nostalgia. Alle prime parole pronunciate da Russell Westbrook, le sinapsi di Presti si erano accese come il sole di quel giugno caldo e luminoso. La regular season in tripla doppia dell’ultimo superstite di una dinastia mai ascesa al trono era servita a poco; il settimo posto nella Western era valso un primo turno tramutatosi nella tremenda vendetta della vecchia aristocrazia nero-argento.
Ma non era l’eliminazione da parte degli Spurs a tormentare il GM dei Thunder: quello era uno scenario preventivato da tempo. Il pensiero di Presti, cadenzato dal ritmo del discorso d’accettazione del nuovo MVP, volava lontano, correva all’indietro per cinque lunghi anni per poi tornare bruscamente in quella sala stampa. Sul podio, giusto una manciata di voti dietro a Russ, erano finite due facce note, progenie della medesima dinastia incompiuta.
Primo: Russell Westbrook.
Secondo: James Harden.
Terzo: Kevin Durant.
Ripetere, anche solo mentalmente, quei tre nomi provocava a Presti un dolore quasi quasi fisico, un ingombro al petto che lo opprimeva. L’estensione rifiutata dal Barba, lo scambio con Houston, gli infortuni, il rinnovo del contratto collettivo arrivato troppo tardi per arginare la voglia di California e anelli a ripetizione. Tutto si mischiava, confondendosi in un unico, terribile presentimento: l’essere ricordati come il più colossale ‘what if’ di sempre.
Quanti dribbling riusciti avrà, a fine anno, Cristiano Ronaldo?
Non siamo noi i maniaci del dribbling ma lui, che prova a saltare l’uomo come faceva un tempo senza più riuscirci. Le statistiche sui dribbling riusciti di CR7 sono angoscianti per chi non sopporta i discorsi sulla mortalità e la fine delle cose - questi sono dati di ottobre, ma rimangono piuttosto validi. E non rappresentano solo la rappresentazione di un aspetto del gioco, bensì la spia del suo declino fisico o almeno della fine di Ronaldo per come lo conosciamo Nel 2017 sarà interessante osservare, una volta di più, come CR7 negozierà le condizioni con un corpo che non riconosce più.
Quale altro grande giocatore lascerà il basket nel 2017?
Esiste un limite alla tristezza che il cuore di un appassionato di basket può sopportare. Il 2016, anno ancor più nefasto in altri ambiti, ha modificato per sempre lo scenario cestistico come un ciclone stravolge il paesaggio con la sua furia. Certo, si è trattato di una calamità preventivata da tempo (il celeberrimo ‘Father Time’ che finisce sempre per avere la meglio), ma la consapevolezza dell’inevitabilità non ha contribuito poi molto ad attenuare la malinconia.
Kobe Bryant, Tim Duncan e Kevin Garnett, nomi a cui risulta del tutto superfluo aggiungere altro. Anche Ray Allen, in verità fermo da un paio di stagioni, ha messo a tacere le insistenti voci di possibile rientro dicendo addio al gioco. Buon ultimo, nello scorso settembre, Paul Pierce ha annunciato via The Players’ Tribune l’intenzione di smettere al termine dell’attuale stagione (non prima di aver firmato un contratto di un giorno con Boston, giusto per ritirarsi da Celtic). Delle architravi che hanno sorretto il peso della lega nel passaggio all’era post-Jordan rimane ben poco e il 2017 potrebbe demolire il resto.
In cima alla lista dei possibili addii svetta un’altra autentica leggenda come Dirk Nowitzki. I persistenti problemi fisici che lo hanno fortemente limitato in questo avvio di stagione (è sceso in campo solo in 9 partite delle prime 34 disputate) potrebbero accelerare le tempistiche di una decisione prevista in realtà per il 2018, seppur l’opzione per il prossimo anno sia in favore dei Dallas Mavericks. Ma il rapporto tra Dirk e Mark Cuban ha dimostrato negli anni di poter andare ben oltre le formalità e gli accordi nero su bianco. In assenza di certezze, immaginare l’addio di “Wunderdirk” è, ad oggi, niente più che un esercizio di puro masochismo. Nel caso dovesse succedere, comunque, c’è da scommettere che il congedo del gigante da Würzburg si rivelerà l’ennesima dimostrazione di classe e stile, un po’ come avvenuto al momento del suo addio alla Nationalmansschaft avvenuto a margine di Eurobasket 2015.
Subito dietro a Dirk, nella ipotetica classifica dei possibili commiati, c’è Manu Ginobili. Il suo impegno con gli Spurs terminerebbe con l’attuale stagione e, anche se l’efficienza fisica e l’impatto dalla panchina garantiti in questi primi due mesi parrebbero indicare il contrario, non è da escludere che l’argentino decida di seguire le orme del suo ex-capitano e scrivere la parola fine ad una carriera che definire epica è persino riduttivo.