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Quando l'Inter ha ceduto Coutinho
17 gen 2018
Storia di una delle cessioni più dolorose della storia nerazzurra.
(articolo)
15 min
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Tra le polemiche per i prezzi gonfiati e il timore che stia girando un meccanismo di bolla speculativa, Coutinho si è accasato al Barcellona per una cifra complessiva di circa 160 milioni di euro. Un colpo di proporzioni inusuali per il mercato invernale e che ha alimentato il dibattito sul valore di mercato dei calciatori e di Coutinho nello specifico, suscitando in Italia e in Spagna un po’ di risolini fra chi ricorda il suo passato all’Inter. Dobbiamo ricordare ai più smemorati che il club nerazzurro portò Coutinho in Europa nel 2010, salvo poi cederlo al Liverpool nel mercato di gennaio della stagione 2012/2013.

Coutinho è restato all’Inter tre anni, con in mezzo alcuni mesi di prestito all’Espanyol, ed è passato sotto la valutazione di cinque allenatori diversi. Come è possibile che nessuno di loro sia riuscito a credere davvero in Coutinho?

Abbiamo provato a ricostruire quel periodo per vedere cosa è andato storto nella valutazione di uno dei giocatori dal talento calcistico più evidente presenti ora in Europa.

Guardare Coutinho che cresce

Quando l’Inter ha scoperto Coutinho era il 2008 e il giocatore aveva 16 anni. Lo aveva scoperto Marco Branca sui campi giovanili del Vasco da Gama. Branca era a capo dell’area tecnica dell’Inter dal 2003 e lascerà il suo posto ad Ausilio undici anni dopo. Come tutti i direttori tecnici può vantare grandi colpi e discreti flop. Il suo lato luminoso ha portato in nerazzurro Sneijder, Milito, Eto’o, Julio Cesar e Mourinho; quello oscuro ci ha messo a fianco Diego Forlan, Quaresma e Suazo. Il preacquisto di Coutinho, lasciato a diventare diciottenne in Brasile aveva i contorni di una scommessa da direttore tecnico illuminato: si parlava dell’interesse del Real Madrid (fomentato da Robinho, allora ancora un giocatore) e si citavano i pareri positivi di Casiraghi e Ausilio. Al provino ha fatto un tunnel, al primo contrasto, a Materazzi: «pensai: questo è un fenomeno!» ha dichiarato il difensore di recente, interpellato proprio in seguito al trasferimento di Coutinho. È “il Pato di Moratti”, si diceva all’epoca.

Nel Vasco da Gama Coutinho partecipa con qualche presenza alla promozione del club in Serie A brasiliana; l’anno dopo gioca una trentina di partite, con cinque gol e un pugno di assist. Nei video dedicati a Coutinho dal 2008 al 2010 si può vedere un giocatore in qualche modo davvero esteticamente simile a Pato, leggero e rapido con le gambe, verticale, che gioca bene quando può correre verso la porta la porta. Sembrano del tutto normali le inclinazioni più selvatiche del suo talento, quando parte in solitaria sulla fascia provando numeri un po’ fini a sé stessi, non pensando neanche per un secondo di passare la palla. Del resto stiamo parlando di un fantasista brasiliano minorenne. Sono due anni importanti, che lui gioca in un campionato in cui farsi le ossa già a 16 anni per raggiungere l’Europa da predestinato.

Coutinho che passa ancora meno il pallone rispetto ad ora.

Crescere Coutinho

Il ricordo più chiaro di Coutinho quando arriva all’Inter è di un giocatore incredibilmente minuto, con le spalle strette, le gambe fini e un gran casco di capelli in testa. A vederlo sembra davvero impossibile che possa inserirsi ad alti livelli in una delle squadre più fisiche d’Europa. Quando calcia con quella potenza, nonostante sia così piccolo, prende ancora di più l’aspetto di un bambino prodigio.

L’Inter in cui arriva è una squadra complicata, che viene dalla cavalcata incredibile e dal triplete di Mourinho. Il tecnico di Setúbal se n’è andato da vincente dopo la finale di Champions League col Bayern Monaco e al suo posto è stato chiamato Rafael Benitez, che avrebbe dovuto confermare la dimensione europea della squadra di Moratti.

L’avventura interista di Benitez è breve e faticosa per diversi motivi, che quasi tutti ricorreranno anche in futuro: non è riuscito a tessere grandi rapporti con i senatori, ha sofferto l’ombra di Mourinho e il calo di una squadra a fine ciclo. In più è sembrato troppo rigido tatticamente, ostinandosi ad applicare il suo 4-2-3-1 pur senza gli uomini adatti. Il calciomercato estivo aveva infatti seguito la massima «squadra che vince non si cambia». Appena arrivato pare che Benitez abbia fatto togliere le foto delle recenti vittorie dall’armadietto di Materazzi, in un gesto simbolico che voleva spronare la ricerca di nuovi obiettivi e motivazioni, ma che si è rivelato un azzardo appena le cose si sono messe male. La squadra a fine ciclo comprendeva un Milito in calo, uno Sneijder incompreso, un Eto’o a sprazzi e una serie di giocatori over-30 a fare da spina dorsale.

Il 4-2-3-1 del tecnico era fondato su una grande disciplina individuale e su delle consegne tattiche specifiche. Come trequartisti c’era bisogno di giocatori esperti e tatticamente rodati, e Pandev ha finito sempre per essere preferito a Coutinho. Ogni tanto il brasiliano ha trovato anche posto nel 4-3-1-2 come mezzala, ma non è riuscito comunque a mettere insieme un minutaggio decente. Eppure di recente Benitez è tornato su quei mesi, riservando solo parole d’elogio per Coutinho: «Aveva tante qualità, un grande equilibrio. Un eccellente passaggio, così come il tiro. Nonostante la sua giovane età aveva un ampio margine di miglioramento. Ricordo che, a parte quanto ho già detto, siamo rimasti colpiti dalla sua grande visione che dimostrava soprattutto nell’ultimo passaggio. Qualcosa di molto importante nel calcio. È molto completo. La cosa migliore è che, nonostante tutto, era un ragazzo umile, molto laborioso e professionale e desideroso di imparare. Disposto ad ascoltare per migliorare le proprie capacità».

Cinque giorni dopo il trionfo nel mondiale per club le strade di Benitez e quella dell’Inter si dividono; viene chiamato Leonardo che porta i nerazzurri al secondo posto, facendo giocare però pochissimo Coutinho. La stagione del brasiliano finisce con tredici presenze, un assist che impreziosisce una bella prestazione contro la Sampdoria (con Benitez) e un gol su punizione: non abbastanza per capire fino in fondo le sue qualità.

Nell’estate del 2011 usa allora la vetrina del Mondiale U-20 per mettere in mostra il suo talento. Il Brasile vince la competizione e Coutinho ne è uno dei protagonisti assoluti. Nell’ultima partita del girone, contro Panama, segna una doppietta e, in generale, gioca una prestazione di spessore. Il secondo gol in particolare racchiude il bozzolo di cosa sarà Coutinho qualche anno più tardi. Con il numero 10 sulle spalle, stoppa una palla con la coscia in area di rigore. È defilato sulla sinistra e ha la porta sul campo visivo a destra, ha due difensori che accorciano su di lui, finta di andare verso l’interno e gira improvvisamente il piede con l’esterno, ruota leggermente il corpo mettendosi di fianco alla porta, e tira con l’interno rasoterra sul palo lontano. La velocità con cui esegue finta, controllo e tiro è irreale.

Quando ritorna all’Inter, com’è naturale, ci si aspettano grandi cose da lui. Sulla panchina però è arrivato Gian Piero Gasperini, che all’epoca era forse più rigido di quanto sia ora - dove all’Atalanta è riuscito a integrare e a far convivere insieme diversi giocatori di talento. Al suo rientro in Italia Coutinho è in ballottaggio addirittura con Luc Castaignos per un posto in lista Champions, riuscendo però a spuntarla.

Dopo la prima sconfitta contro il Palermo, l’Inter va sotto anche all’esordio stagionale a San Siro, in Champions League contro il Trabzonspor. Coutinho entra a dieci minuti dalla fine e va vicino al gol con un sinistro di prima dopo un inserimento in area, parato miracolosamente dal portiere. Sarà l’unica presenza di Coutinho con Gasperini, che verrà esonerato il 21 settembre dopo 4 sconfitte in 5 partite, l’ultima delle quali contro il Novara neopromosso.

Alla prima partita di Ranieri sulla panchina dell’Inter, a Bologna, Coutinho è titolare. All’inizio del secondo tempo quasi propizia il gol dopo una grande azione personale. Coutinho va a sprazzi, per lunghi periodi si tira fuori dalla partita come fosse un corpo estraneo, e al 55’ viene sostituito. Anche oggi ha un’idea individualista del calcio - fondata sulla sua personale capacità di dribblare e tirare da qualsiasi posizione - e all’epoca - a vent’anni - giocava ancora meno con i compagni. Non che Coutinho non ami giocare con i compagni, ma lo fa quasi sempre in modo istintivo e poco codificato.

Forse anche per questo, in un contesto difficile e caotico, unito a un infortunio muscolare che lo rallenta, che Ranieri decide di rimetterlo sotto naftalina. Coutinho rivedrà il campo solo a novembre dopo un infortunio, tornando da trequartista titolare (ma solo perché Sneijder da forfait all’ultimo momento) in una sfida contro il Cagliari. È suo il gol del raddoppio interista, con un tiro secco rasoterra sul primo palo, inclinando la gamba in modo perfetto. Nell’esultanza bacia lo stemma dell’Inter e dopo 8 minuti viene sostituito. Gioca scampoli di partita in Champions League, l’Inter si qualifica agli ottavi e in campionato trova nuova linfa con un ritrovato Milito; in Serie A Coutinho non gioca tanto, ma si fa vedere con un’ottima prestazione contro la Fiorentina il 10 dicembre. Prima imbecca Pazzini con un filtrante, poi tira forte col destro su Boruc, poi fa un assist sempre al 7 interista che si inventa un gran gol. In generale non gioca mai per 90’ di fila. A gennaio la dirigenza pensa di completare il suo percorso di crescita mandandolo prestito all’Espanyol, dove nel contratto viene garantito che Coutinho giochi almeno il 50% delle partite.

Ma non serviva una garanzia di questo tipo, Coutinho diventa in breve tempo il leader tecnico dell’Espanyol. Mette insieme 5 gol e 1 assist in sedici presenze, e un catalogo impressionante di trick di ogni tipo. Coutinho parte dalla sua zona preferita, il centro-sinistra, ed ha ampia libertà di puntare in verticale intere flotte di avversari. Correndo in diagonale verso la porta, o sul fondo. Coutinho mostra anche una certa immaturità, come ricorda Golobart, un vecchio giocatore dell’Espanyol: «Si vedeva che era un grande giocatore, ma molte delle cose che faceva le avrebbe migliorate in futuro. Era un giocatore immaturo, un po’ come lo era Marco Asensio quando venne all’Espanyol».

In realtà la squadra, che fino a gennaio stava lottando per la Champions League, peggiora le sue prestazioni, e forse con Coutinho in campo perde parte del suo equilibrio. Mauricio Pochettino, però, che era sulla panchina del club catalano, difende il giovane in modo deciso.

A fine stagione Coutinho vincerà il premio di giocatore rivelazione della Liga. Il repertorio tecnico che ha messo in mostra ovviamente fa ben sperare per il suo ritorno all’Inter, dove nel frattempo è arrivato Andrea Stramaccioni. Un nuovo ciclo da riaprire sotto la guida di un tecnico giovane e abituato a lavorare con i giovani. Fino a quel momento Coutinho era stato in ombra all’Inter e si era invece messo in luce fuori dall’Inter, che fosse con l’Espanyol o con il Brasile.

Per questo la convergenza di sfighe che coinvolgono la sua ultima stagione in nerazzurro sono ancora più strane. La stagione 2012/13 conferma l’impossibilità per l’Inter di riaprire un ciclo virtuoso. Il grande inizio di stagione, con dieci vittorie consecutive infilate in autunno, rende ancora più amara la frustrazione della caduta. Il club poi non è riuscito a svecchiare la rosa, che sembrava essere l’obiettivo principale in estate. Il tentativo di rinnovamento porta i nomi di Guarin, l’arrivo di Handanovic, Cassano, e di Alvaro Pereira, non davvero giovanissimi, ma soprattutto il saluto di buona parte della vecchia guardia con Forlan, Cordoba, Orlandoni, Lucio, Julio Cesar, Maicon, Pandev che fanno le valigie. Tornano dai prestiti anche Belec, Jonathan, Mariga e Coutinho. Il brasiliano sotto la guida di Stramaccioni gioca appena 300 minuti; nella prima partita del campionato, in casa del neopromosso Pescara, entra a 20’ dalla fine rilevando Cassano e chiude i conti con un tondo tre a zero da attaccante. Parte titolare poi contro la Fiorentina e nel Derby col Milan. Una lunga striscia positiva di risultati viene interrotta fuori casa dalla sconfitta con l’Atalanta, che può essere considerato il blackout della squadra di Stramaccioni, che da quel momento sembra precipitare in una crisi di azione e di pensiero.

Complici un paio di infortuni, Coutinho gioca per 90’ solo il match contro il Palermo, ma non riesce ad essere brillante: è libero di agire ma si incaponisce nei dribbling e finisce per risultare uno dei peggiori in campo, in un’Inter in chiara involuzione nel gioco che vince solo grazie a un’autorete di Garcia. Coutinho va meglio e gioca di più in Europa League, in quel mondo di mezzo in cui le squadre non sono tatticamente stringenti come in Serie A e tutti hanno qualcosa da dimostrare, in cui ha spazi e tempi di pensiero per un gioco non ancora essenziale come si confà invece ad un fuoriclasse. Dopo una vittoria in Europa League in cui Coutinho ha brillato Stramaccioni dichiara che sul suo talento «non ho mai avuto dubbi».

Un infortunio a metà dicembre ne previene l’utilizzo fino a gennaio, ma a quel punto qualcuno vestito tutto di rosso bussa ad Appiano Gentile con una valigetta con dentro 10 milioni di euro (più bonus), e perché dire di no al Liverpool?

In tanti torneranno su quel momento con una forte vena d’amarezza. Ausilio: «Quando lui tornò all'Inter dopo il prestito all'Espanyol la squadra aveva preso una nuova direzione. Avevamo cambiato nuovamente allenatore, eravamo in cerca di una maggiore continuità e abbiamo cambiato qualche giocatore. Non solo per Coutinho fu un momento difficile. Dopo un anno non giocava con continuità ma si vedeva che aveva talento. Forse avevamo qualche giocatore più talentuoso che era avanti a lui nelle gerarchie, come Diego Milito, Wesley Sneijder, Antonio Cassano e Rodrigo Palacio. Quindi non riusciva ad avere più spazio in campo, e a lui serviva questo». Per Stramaccioni, che dice di sentire tuttora Coutinho: «Era un’offerta difficile da rifiutare anche per il fascino del Liverpool e della Premier League, la sua volontà di andare in Inghilterra fu decisiva. Era un momento particolare e Cou era uno dei pochi prospetti giovani con un valore così alto nella nostra rosa del tempo. Bisognava aggiustare un po’ il bilancio è alla sua cessione seguì poi anche quella di Wes. Anche se a malincuore capii e rispettai la decisione di Branca e Ausilio. Ma certo nessuno fu felice della sua partenza perché se ne intuiva enorme potenziale».

Foto di Valerio Pennicino / Getty Images.

Ausilio ha però anche offerto un’interpretazione a lungo termine che è spesso sfuggita nella storia della cessione di Coutinho all’Inter: «Abbiamo avuto l'occasione di vendere un giocatore che non stava giocando e investire quei soldi su un elemento più consono alle necessità del tecnico come Mateo Kovacic, che poi abbiamo venduto al Real Madrid per quasi 40 milioni». In sostanza l’Inter ha ceduto un talento incompiuto per ottenere una plusvalenza e comprare un altro talento incompiuto da cui fare un’altra plusvalenza. Sia Coutinho che Kovacic possono quindi essere considerati giocatori dimenticabili ma voci di bilancio gloriose. Uno spaccato piuttosto significativo dell’Inter degli ultimi anni.

Per intuire la sagoma scellerata di una tale scelta basta in realtà guardare al resto del mercato di riparazione di quella stagione interista: vanno via Sneijder e Coutinho e arrivano Tommaso Rocchi (35 anni), Kuzmanovic, Schelotto e sì, certo, anche Kovacic, ma insomma.

Lasciare Coutinho

Il lato ironico di questa storia dice che la figura fondamentale per convincere il Liverpool ad acquistare Coutinho fu Rafa Benitez, cioè il primo allenatore ad averlo fatto giocare poco in nerazzurro. Nel 2012 il tecnico spagnolo ebbe un colloquio con Damien Comolli, il capo-scout del Liverpool. I reds avevano un budget molto limitato e potevano comprare solo giovani da poter valorizzare, e Benitez fece il nome di Coutinho. A quel punto, racconta Comolli, «Ho detto agli scout: “Coutinho diventa la nostra priorità” perché stavamo cercando un giocatore che potesse giocare largo per sostituire Dirk Kuyt. Coutinho in realtà non era disponibile perché era andato in prestito all’Espanyol. Non sapevamo neanche se fosse davvero forte perché aveva giocato troppo poco all’Inter, ma quando uno come Rafa dice una cosa come “diventerà un giocatore di classe mondiale” bisogna dargli ascolto. Il nome di Coutinho rimase sul taccuino del Liverpool e il trasferimento si concretizzò un anno più tardi, per 10 milioni di euro (e 3 di bonus).

Secondo Stramaccioni Coutinho da quel momento ha migliorato due aspetti tecnici del suo gioco, cioè il lavoro difensivo senza palla e la sua pericolosità offensiva. È anche normale, che un giocatore che all’epoca aveva appena vent’anni abbia migliorato in 5 anni questi due aspetti. Al Liverpool Coutinho è diventato un giocatore estremamente verticale, che si tira fuori più raramente dal gioco e che ha sviluppato una grande produttività offensiva.

Quando era all’Inter era un trequartista svagato, completamente grezzo dal punto di vista tattico, e la mancanza di coerenza che il brasiliano ha trovato all’Inter è stata probabilmente fatale per non permettergli di crescere. In un campionato tattico e molto fisico come è la Serie A - e come forse lo era ancora di più in quegli anni, dove le squadre che interpretavano il gioco in maniera proattiva erano rarissime - un giocatore come Coutinho non poteva trovare spazio.

Per questo tra coetanei, nel Mondiale under-20, ha fatto bene; per questo probabilmente l’erasmus all’Espanyol è stato proficuo; per questo la sua prestazione in Europa League nell’Inter di Stramaccioni è stata buona; e per questo negli spazi del campionato inglese Coutinho è potuto sbocciare e ha potuto lavorare sui tratti che ora lo rendono uno dei calciatori di cui si sentirà parlare ancora a lungo. Ausilio lo scorso anno ha immaginato che la storia fra Coutinho e l’Inter possa non essere del tutto conclusa: «Adesso abbiamo proprietari forti, anche se il Fair Play Finanziario ha ancora impatto sulle nostre finanze. Ma non posso escludere che in futuro Coutinho possa tornare a vestire il nerazzurro, possiamo sempre sperarci».

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