Pur avendo passato una quantità di tempo spropositata della mia vita a cercare di analizzare, comprendere e seguire LeBron James, ci sono dei momenti in cui mi risulta veramente incomprensibile capire cosa diavolo sta cercando di fare. Il mese di marzo è un perfetto esempio di questa imperscrutabilità della psiche del Prescelto: nell’arco di 31 giorni è riuscito a fare tutto e il contrario di tutto, passando dalla fase “Bambino Capriccioso” a quella di “Distruttore di Mondi” nello spazio di qualche settimana, con una lunaticità che è tipica dell’uomo e del personaggio. Proviamo a tirarne un po’ il bilancio.
1) Tweet criptici
Tutto è cominciato proprio l’1 marzo, come se LeBron avesse già in testa di mettere a ferro e fuoco la squadra — reduce da una vittoria con Indiana, ma anche da tre brutte sconfitte con Detroit, Toronto e Washington nelle precedenti quattro partite — non appena girata la pagina del mese sul calendario di casa.
https://twitter.com/KingJames/status/704785081714515969
https://twitter.com/KingJames/status/704785150312366080
Che cosa diavolo vuol dire sta cosa? Chi ha commesso un errore? Sta parlando a un compagno di squadra? Di un membro dei Cavs? Di un amico di infanzia? Dei suoi figli? Neanche il tempo di trovare una risposta che ecco…
https://twitter.com/KingJames/status/706243656127217664
https://twitter.com/KingJames/status/706508036421062656
Se quelli di prima potevano essere riferiti a un’esperienza extra-basket — come ha effettivamente sostenuto LeBron rispondendo a precisa domanda — è difficile non vedere che in questi i riferimenti ai suoi compagni dei Cavs sono ben visibili. D’altronde in quale altra situazione della vita LeBron ha bisogno che tutti “abbiano lo stesso sogno, altrimenti seguono gli incubi”, se non la caccia a un titolo NBA? Considerando poi che in precedenza erano arrivati diversi rumor su possibili screzi con Kyrie Irving…
2) #Unfollowgate
L’hashtag #TheDC, in particolare, stava per “The DaVinci Code”, come se i suoi tweet fossero effettivamente dei codici da decrittare per trovarne il significato nascosto. O, più semplicemente, LeBron si stava divertendo a trollare noi e i Cavs, tipo quando è volato a Miami in un giorno ad allenarsi con Wade. Solo che poi, con il suo tipico atteggiamento passivo-aggressivo, è passato dagli hashtag ai fatti, togliendo da un giorno all’altro il follow su Twitter e Instagram agli account dei Cavs, così come quello di diversi reporter (tra cui i commentatori della squadra e il beat writer di ESPN Dave McMenamin). Poi, quando gli è stato chiesto il motivo dell’unfollow, dopo diversi secondi di pausa ha risposto solamente: “Next question”.
https://twitter.com/barstoolsports/status/712125845373120512?ref_src=twsrc%5Etfw
3) Team Banana Boat
Proprio mentre infuriava il dibattito su cosa volesse significare quella risposta e su un altro possibile addio di James a Cleveland, su Bleacher Report è uscito un bellissimo pezzo di Howard Beck sull’amicizia tra LeBron e Carmelo Anthony, alla fine del quale LBJ dice “Spero davvero che, prima della fine della nostra carriera, per almeno una o magari due stagioni io, Melo, D-Wade e CP [Chris Paul] possiamo giocare insieme. Mi taglierei lo stipendio per farlo”. Contando che nel pezzo viene fatto intendere che il piano di creare i Big Three di Miami inizialmente doveva includere anche Anthony, apriti cielo.
4) A rapporto da Lue
In realtà il vero momento di svolta del mese arriva qualche giorno prima, il 18 marzo, quando Tyronn Lue, stanco delle distrazioni, tiene a rapporto la sua stella dopo una sconfitta pesantissima a Miami e finalmente alza la voce, chiedendo a James di darci un taglio con le distrazioni e iniziare a guidare la squadra. La risposta del 23 è sorprendentemente positiva: non solo LeBron si scusa, ma annuncia l’entrata in modalità “ZeroDarkThirty” (ovverosia totale shut-down dei social, anche se l’altra notte twittava di una vecchia partita dei Jazz dicendo che Chris Paul assomigliava a Stockton… il tutto mentre si giocava Spurs-Warriors) e, soprattutto, inizia a dominare in campo, inanellando otto partite (di cui 7 vinte) con medie da 27 punti, 8.4 rimbalzi e 9.5 assist sfiorando il 60% dal campo, il 40% da tre e l’80% ai liberi, vincendo agilmente il premio di giocatore del mese.
5) Esempio
Dal momento della reprimenda di Lue, LeBron quindi non solo non ha più creato casini, ma ha anche ricominciato a guidare i propri compagni in campo e a tenere un atteggiamento estremamente positivo anche davanti ai microfoni, dicendosi fiducioso in vista dei playoff. Cos’è cambiato allora? Cosa stava cercando di dimostrare con quegli atteggiamenti? Ci sono due motivazioni che mi vengono in mente.
La prima: LeBron ha costantemente bisogno di attenzione. Non riesce a farne a meno, perché ha vissuto tutta la sua intera vita in questo modo. E quando sente che gli occhi non sono su di lui, fa di tutto per riconquistarli, come un primogenito che cerca le attenzioni dei genitori dopo la nascita del secondogenito. Inoltre, sente la necessità di mettersi pressione addosso per aggiungere carburante al proprio motore in vista dei playoff.
La seconda: LeBron ha bisogno di sapere chi sopporta la pressione e chi no, perché non gli restano poi molti anni di prime della carriera per provare a vincere un altro titolo. E quindi ci sono ottime possibilità che tutti i subtweet, gli unfollow, i rapporti coi compagni ridotti al minimo, il comportamento passivo-aggressivo, le dichiarazioni e soprattutto le non-dichiarazioni fossero un mezzo per osservare le reazioni di chi gli stava attorno, per mettere alla prova l’ambiente in vista dei momenti di caos che sicuramente arriveranno nel corso dei playoff. O anche solo per capire se, comportandosi da immaturo, Tyronn Lue o chi per lui avrebbe avuto il coraggio di dirgli in faccia di smetterla.
La risposta è arrivata e LeBron James è tornato ad essere LeBron James. Però trattasi di personaggio lunatico e imprevedibile, perciò non fidatevi troppo. Almeno questo, dopo tanti anni, l’ho imparato.