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È settembre e la Roma è già in crisi
28 set 2018
Una situazione in cui è impossibile trovare un unico responsabile.
(articolo)
14 min
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Siamo a inizio autunno, non abbiamo ancora l’ora solare, le scuole sono appena iniziate ma la Roma è già in crisi. I responsabili di un avvio di stagione faticoso sembrano diversi: la società con la sua strategia di plusvalenze a respiro corto; il DS che non è stato capace di uscire vincitore dal massacro del player trading; l’allenatore che non è riuscito a risolvere i problemi vecchi e ne ha portati di nuovi; alcune individualità della rosa che non rendono come previsto. Questo l’ordine del giorno, in un ambiente che fa presto a formulare sentenze.

La vittoria per 3-0 contro il Barça sembra lontana anni luce dopo la sconfitta per 2-0 contro il Bologna di domenica e, col senno di poi, ha preso una forma più casuale che sistemica. La vittoria contro un Frosinone remissivo ha alleggerito un po’ gli animi nella settimana che porta al derby, la partita in cui forse si deciderà molto del destino del progetto sportivo giallorosso in questa stagione, e in particolare forse di Eusebio Di Francesco.

Non si fa fatica a immaginare che, come sempre in questa crisi, potrebbe essere l’allenatore a pagare per tutti, ma per interpretare la crisi di risultati della Roma bisogna guardare anche a come i problemi fuori dal campo si siano trasportati in campo. Solo sommando tutto si arriva a un quadro completo di quello che è la Roma in questo inizio difficile di stagione.

Gli equivoci del mercato estivo

La premessa doverosa è che siamo a fine settembre ed è impossibile fare un bilancio onesto del calciomercato estivo della Roma, però la strategia si può certo discutere. Il vero punto di svolta nel lavoro di Monchi è stata forse la cessione di Kevin Strootman a mercato in entrata chiuso.

Strootman non era più il giocatore pre-infortunio e pesava sul monte ingaggi. Dal punto di vista finanziario la cessione all’Olympique Marsiglia era quindi razionale. Ma quello che rappresentava Strootman per il gruppo in termini di carisma, dedizione alla causa e anche caratteristiche per il gioco di Di Francesco andava oltre i semplici valori tecnici, e la sua perdita ha significato un grande colpo - almeno in termini di equilibrio - al progetto giallorosso. L’impressione è che nell’operazione Monchi abbia sottovalutato i cosiddetti “intangibles” del calcio, quegli aspetti invisibili che condizionano in maniera indiretta il rendimento sportivo della squadra.

Il nodo dell’operazione Strootman era arrivato in seguito all’altro bivio negativo del mercato della Roma (che, chissà, potrebbe diventare positivo), e cioè l’operazione Malcom. Dopo il mancato arrivo del brasiliano Monchi ha cambiato radicalmente strategia, virando gli sforzi economici dal ruolo di ala destra a quello di centrocampista centrale, che a inizio mercato non sembrava un ruolo che la Roma volesse toccare. L’arrivo di N’Zonzi ha così creato un overbooking a centrocampo che ha poi in qualche modo giustificato la partenza di Strootman. Ma dove si voleva arrivare?

In questo inizio di stagione la Roma ha cambiato sempre il proprio undici iniziale ed ha oscillato fra il classico 4-3-3 e un 4-2-3-1 che pare l’unico modo per far convivere N’Zonzi e De Rossi, oltre che per regalare un ruolo a Javier Pastore, altro equivoco estivo del mercato di Monchi. Arrivato per giocare mezzala - per ammissione sia del giocatore che del tecnico - dopo una sola presenza da titolare in quel ruolo, ha giocato ala sinistra di possesso e trequartista centrale, al momento l’unico ruolo che sembra poter valorizzare la sua qualità nell’ultimo passaggio. Alla luce di quest’ultima evoluzione tattica risulta ancora meno comprensibile la cessione di Strootman, l’unica mezzala che poteva essere riadattata mediano davanti la difesa. E se Cristante potrebbe in qualche modo essere riciclato da trequartista - forse il ruolo in cui può sfruttare al massimo la sua capacità di inserirsi in area, ma di cui il tecnico non sembra comunque convinto -, l’altra mezzala in rosa, Lorenzo Pellegrini, potrebbe rimanere senza collocazione nel 4-2-3-1.

La prima vera Roma di Monchi, costruita spazzando via il passato, è sembrata subito un’opera particolare: il DS sembra voler costruire una squadra più tecnica della versione precedente, che vuole poggiarsi su giocatori dal livello sicuro per poi tastare il talento di chi - come Pellegrini, Kluivert, Ünder o Schick - sembra solo all’inizio della propria parabola di sviluppo.

Sono arrivati giocatori sulla carta congeniali al 4-3-3 verticale di Di Francesco, come Kluivert o Cristante, ma anche altri in teoria più adatti a un calcio di posizione, come N’Zonzi e Pastore, che peraltro sembrano essere diventati già molto importanti nella Roma, facendola diventare una squadra dall’identità tattica molto più ambigua di quanto mostrato lo scorso anno.

In campo vecchi e nuovi problemi

Guardando la Roma in questo inizio di stagione salta all’occhio la fragilità della fase difensiva. Lo scorso anno i giallorossi avevano grosse difficoltà a giocare col pallone ma senza palla erano tra le migliori squadre in Italia (e, visto il rendimento in Champions, anche in Europa).

Oggi la Roma non riesce a fare neanche le cose per cui lo scorso anno aveva brillato, come nel recupero alto del pallone. In questo avvio di stagione i giallorossi faticano a recuperare il possesso dopo la perdita e diventano facilmente attaccabili sui cambi di fronte avversari, incapaci di eseguire una transizione difensiva veloce.

La scorsa stagione la differenza tra i gol segnati e gli xG prodotti dalla Roma è stata di -5, facendone l’unica squadra tra le prime sei a segnare meno di quanto creato. Quest’anno la Roma sta mostrando ancora difficoltà a raccogliere quanto seminato (solo i 4 gol contro il Frosinone permettono alla differenza tra xG prodotti e gol segnati di essere in linea), ma dall’altra parte ha compromesso le proprie performance difensive. La squadra ha già subito in campionato più di 8 xG (più del doppio di Juventus e Napoli) e si è presentata al Bernabeu subendo 30 tiri, di cui 11 nello specchio, subendo 3.6 xG.

La Roma in questo momento pare ancora alla ricerca di un sistema che possa funzionare con la rosa a disposizione. Senza l’intensità e l’attitudine a difendere in avanti di giocatori dalla mentalità verticale come Strootman e Nainggolan, escono fuori i difetti strutturali e si subiscono occasioni da gol grottesche. Ma è possibile sia solo un problema di uomini se la Roma non pressa più in avanti? Possibile che N’Zonzi e Cristante non siano a proprio agio e che Di Francesco scelga quindi una fase di non possesso più conservativa?

La Roma perde palla per un errore di N’Zonzi. A quel punto c’è chi, come Kolarov, si fionda in avanti per recuperare e chi, come De Rossi, scappa indietro a coprire. Risultato: basta superare Kolarov per avere Higuain solo che può filtrare per Cutrone in profondità dove non c’è fuorigioco perché la linea è scappata indietro.

Forse vale la pena fare un discorso generale. Tutti i sistemi hanno difetti strutturali di piccola o grande importanza: nessun sistema è perfetto. La coperta sarà sempre corta in qualche modo e il compito dell’allenatore è tentare di trovare il sistema che riesca meglio di ogni altro a mascherare questi difetti esaltando invece i pregi. Si può lavorare provando a ricercare un equilibrio il più stabile possibile, oppure si può provare a massimizzare i propri pregi. Non esiste una ricetta unica. Quello che manca a questa versione della Roma - almeno finora - è proprio la scelta precisa di una strada da intraprendere, in un senso o nell’altro. Qual è la strategia che aderisce meglio alle caratteristiche dei giocatori della nuova rosa?

La Roma in Europa ha funzionato proprio perché Di Francesco aveva scelto di seguire un certo di tipo di calcio (in quel caso fatto di squadra intensa corta e verticale), che si era dimostrato rischioso in trasferta, ma anche efficace in casa.

La Roma di Di Francesco la scorsa stagione non è stata una squadra continua nel gioco - 6 sconfitte in casa sono state un record imbattuto dagli anni ’40 - e ci aveva messo tempo a trovare la quadra del proprio sistema. Per onestà intellettuale bisogna riconoscere che la differenza tra l’inizio della scorsa stagione - dove la Roma giocava comunque male - e questa è rappresentata principalmente dai risultati. Ma il fatto che lo scorso anno la Roma riusciva a vincere pur giocando male non è casuale, i risultati arrivavano soprattutto grazie a singoli in stato di grazia come Kolarov e Dzeko; ai gol da fuori salva-partita di Nainggolan e ai miracoli di Alisson (impossibile dimenticare le sue parate in casa contro l’Atlético).

I migliori giocatori che sono rimasti non hanno la forma della scorsa stagione (Kolarov e Dzeko) mentre quelli che sono andati via non sono stati sostituiti con giocatori altrettanto decisivi, almeno finora. Solo alla prima giornata contro il Torino la Roma ha trovato la vittoria grazie a un guizzo di un singolo, il gran gol di Edin Dzeko, che ha mascherato con i punti i lavori in corso.

Anche la scorsa stagione la Roma ci ha messo del tempo a trovare la propria forma definitiva, con il primo approccio al sistema scelto da Di Francesco che fu molto complicato soprattutto per i centrocampisti. Nel 4-3-3 alle mezzali, Strootman e Nainggolan, veniva chiesto di dare ampiezza per lasciare il mezzo spazio davanti a loro all’entrata degli esterni alti. Si costruivano così triangoli con i terzini fondamentali nell’uscita del pallone - Kolarov finiva le partite giocando più palloni delle mezzali.

Questo meccanismo allontanava le due mezzali dall’area e soprattutto da De Rossi, isolandolo e rendendolo facilmente attaccabile ai lati. Guardando la partita di inizio stagione contro l’Atalanta, giocata con lo stesso sistema, si trovano diversi punti di contatto, sia nei movimenti richiesti a Pellegrini e Cristante, che nei problemi che arrivano da gestire per De Rossi, solo contro il mondo. L’Atalanta ha disseminato il campo di duelli individuali, mostrando le difficoltà nell’intensità delle due mezzali e sezionato la Roma ai lati di De Rossi, stravincendo l’incontro nel primo tempo. Di Francesco è stato costretto a non far tornare in campo le due mezzali dopo i primi 45’.

La risposta ai problemi contro l'Atalanta è stato il cambio totale del sistema contro il Milan. A San Siro è stato provato il 5-3-2: l’idea era avere contemporaneamente ampiezza, con Kolarov e Karsdorp, e copertura centrale con De Rossi e N’Zonzi a centrocampo e Dzeko e Schick davanti. Sarà un flop imbarazzante e il secondo tempo inizierà con il ritorno alla difesa a 4 a scapito di Marcano.

La Roma ha, almeno in teoria, nelle proprie caratteristiche il recupero alto del pallone, ma contro il Milan la squadra ha recuperato palla a una media di 35.3 metri, addirittura sotto quella della Serie A di 37 metri. Contro Atalanta e Milan il baricentro medio è stato inferiore a quello della Serie A di 45.7 metri. Segno di una strategia, sia con palla che senza, più conservativa contro squadre che si ritengono attrezzate. Un altro aspetto in cui problemi tattici e mentali si intersecano fra loro.

Partita successiva e nuovo sistema: in 7 partite la Roma ha schierato 7 formazioni diverse (e tre moduli: 4-3-3, 4-2-3-1, 5-3-2). C’è chi dice che quando le cose vanno male è il momento di non cambiare, per poter capire bene cosa non funziona (l’esempio principale di questa scuola è Guardiola); c’è chi invece opta per modificare continuamente fino a trovare l’assetto giusto (l’esempio principale è Mourinho).

Di Francesco appartiene alla seconda scuola di pensiero: crea e distrugge tutto ricostruendo ogni volta nuove connessioni e nuove opportunità per i calciatori. I giocatori della Roma però al momento sembrano privi di sicurezze tattiche visto che le cose cambiano di partita in partita. I giocatori meno affermati non sanno mai se saranno parte del progetto la gara successiva: bastano due errori di fila per vedere un giocatore prendere il posto dell’altro.

C’è chi è mentalmente in grado di reggere questa pressione, come Ünder, e chi invece, come Lorenzo Pellegrini o Schick, ne sembra schiacciato e finisce per galleggiare al confine tra l’ambizione eccessiva e l’errore banale. Se Luciano Spalletti era solito costruire un gruppo ristretto di giocatori di cui fidarsi, da cui poi chi ne è escluso difficilmente vede il campo, Di Francesco nei momenti di difficoltà è pronto ad aprire le porte a tutti. La Roma si è presentata al Bernabeu con a centrocampo un giocatore all’esordio assoluto. L’inserimento di Niccolò Zaniolo è arrivato «sia un premio per il ragazzo, che un messaggio al gruppo», nelle parole di Di Francesco.

Tre giorni dopo, contro il Bologna, la Roma aveva l’esigenza di dare fiato a Kolarov ma, invece di Luca Pellegrini - su cui il tecnico ha lavorato tutta l’estate, anche a costo di non mandarlo all’Europeo U-19 - la Roma si è presentata con Marcano adattato da terzino sinistro. Di Francesco ha giustificato la scelta dicendo di non voler bruciare un giovane come Pellegrini.

La confusione nella gestione dei singoli si riflette soprattutto nel fatto che la Roma non ha ancora scelto che squadra vuole essere. La Roma che era arrivata in semifinale di Champions League pressando alta qualsiasi avversario indipendentemente dal valore, si è presentata al Bernabeu senza l’intenzione di aggredire alta gli avversari, ma senza una vera alternativa. Avere la linea difensiva a metà, il centrocampo poco aggressivo, la punta che viene incontro, è una ricetta suicida.

Kolarov per N’Zonzi come tracciante principale, Daniele De Rossi più vicino ai difensori centrali che ai centrocampisti perché la palla la tocca solo quando recuperata bassa e Dzeko più vicino ai centrocampisti che ai compagni d’attacco perché la tocca solo quando viene a prenderla sui piedi è la sintesi visiva del naufragio del Bernabeu.

Di Francesco, indipendentemente dal modulo, sembra essere in grado di costruire una squadra che funziona solo dandogli una forma verticale e compatta. Lo si nota soprattutto quando la Roma vuole giocare un calcio diverso, quando nell’uscita del pallone vogliono organizzarsi per costruire una manovra ragionata senza conoscere i meccanismi per farlo, arenandosi verso i terzini come fonti di gioco. Ora che è stato scardinato il meccanismo primario della catena Kolarov-Strootman-Perotti la squadra sembra incapace di trovarne uno nuovo. La Roma si muove tutta incontro al pallone per giocarlo, invece di allontanarsi per creare spazi.

L’impressione è che i giallorossi stiano cercando il proprio equilibrio mascherando i propri difetti invece che esaltando i pregi. In questo modo la Roma è più che mai appesa alla capacità dei singoli di uscire dallo spartito. Lo ha fatto Ünder con il gol al Frosinone, ad esempio, che ha sbloccato mentalmente una gara altrimenti difficilissima.

La forma scadente dei giocatori

La Roma in questo momento sembra però avere pochi Ünder - cioè singoli con l’ambizione e l’urgenza creativa di risolvere da soli i problemi - e troppi giocatori di sistema in una squadra che un sistema ancora non lo ha trovato. Come detto da De Rossi dopo la sconfitta al Dall’Ara: «non serve Guardiola per sconfiggere il Bologna», una frase che vuole rendere chiare le responsabilità anche dei giocatori in questa situazione.

Non si perde certo 2-0 contro una delle peggiori squadre di questo inizio di campionato (non ancora andata in gol in Serie A prima di quella partita) solo per una strategia sbagliata di Di Francesco. Questo bisogna ripeterlo. La Roma contro il Bologna ha dominato il possesso e accerchiato gli avversari, felici di lasciargli l’esterno per proteggere il centro. La Roma ha risposto al contesto facendo partire 55 cross. Record stagionale. Ha creato 2.7 xG con 26 tiri, di cui 8 nello specchio. Non ha quindi segnato, ma ha creato abbastanza per farlo. Vero: la strategia non è sembrata la più ispirata, ma l’esecuzione in campo dei giocatori è stata disastrosa, con errori sotto porta inspiegabili (Pellegrini che calcia alto a porta vuota è un buon manifesto del suo inizio di stagione).

Se i difetti dell’allenatore sono evidenti, pochi giocatori in questo momento si stanno mostrando in grado di andare oltre. Se per gente come Kolarov e Dzeko sembra solo un problema di condizione fisica, altri, come Pellegrini, sembrano mancare proprio dal punto di vista mentale.

«I giorni di ritiro sono serviti per tante cose, per fare gruppo, per capire la situazioni, per parlarsi, per trovare la soluzione di campo» ha detto Monchi in occasione della partita contro il Frosinone. La sensazione è che la Roma abbia bisogno proprio di trovare il modo di remare tutta nella stessa direzione, trovare una strada e percorrerla fino in fondo in modo convinto.

A questo punto possiamo dire che la rivoluzione estiva ha minato quanto meno le certezze della squadra, che deve ancora capire la propria identità. Non è però detto che col tempo la Roma non acquisisca una forma più competitiva, mettendo sotto tutt’altra luce anche il mercato di Monchi.

La scorsa stagione la Roma aveva per la prima volta dalla presidenza americana mostrato di avere una dimensione europea. L’aveva fatto battendo il Chelsea nel girone e sia il Barça che il Liverpool in casa tra quarti e semifinale. Tra quelle prestazioni e quella contro il Bologna si può quanto meno trovare una via di mezzo che possa rimettere in sesto la stagione. Altrimenti sarebbe bene voltare pagina subito ed evitare di prolungare una situazione indirizzata verso il basso, come già sperimentato nell’ultima parte dell’esperienza Rudi Garcia. La stagione è ancora soltanto all’inizio, sta alla squadra rendere una buona notizia tutto il tempo che manca da qui alla fine.

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