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Cristiano Ronaldo è ancora qui
19 giu 2024
19 giu 2024
CR7 è diventato il primo giocatore della storia ad aver disputato sei edizioni degli Europei.
(copertina)
IMAGO / Crystal Pix
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Per il solo fatto di essere sceso in campo ieri sera contro la Repubblica Ceca, Cristiano Ronaldo ha infranto un altro record, diventando il primo calciatore della storia ad aver disputato sei edizioni degli Europei. Adesso nessuno ha giocato più Europei di lui, staccando Iker Casillas, Luka Modric e Pepe, che ieri era con lui in campo, due anni più vecchio, l’aura da sopravvissuto.

Di tutti i record di Cristiano Ronaldo questo forse è il più subdolo. La longevità infatti non comporta necessariamente il superamento di un limite, l’essere migliori degli altri, e anzi nello sport il più delle volte significa il contrario. Per battere questo tipo di record basta esserci, che, come sanno tutti quelli che hanno passato una certa età, è una cosa che diventa meno scontata ogni anno che passa.

I record di longevità sono forse il metro più concreto per misurare il tempo che passa, che poi è il senso profondo del calcio stesso e dei grandi tornei per Nazionali in particolare. Il primo Europeo a cui Ronaldo ha partecipato è stato quello casalingo del 2004, esattamente vent’anni fa. Aveva 19 anni e con il Manchester United aveva giocato solo una stagione. Doveva ancora vincere la sua prima Champions League, il suo primo Pallone d’Oro. Con la maglia del Portogallo esordisce proprio nella prima partita di quel torneo, contro la Grecia che poi sarà anche l’ultima squadra che affronterà in quell’Europeo. Entra alla fine del primo tempo al posto di Simão e segna il gol dell’1-2 finale al 93esimo.

Il Portogallo giocava con il tridente Simão-Pauleta-Figo, supportato da Rui Costa come regista offensivo. Nessuna di queste persone, ovviamente, fa più il calciatore. Simão, leggo su Wikipedia, è il capo delle relazioni internazionali del Benfica già da sette anni. Pauleta si è ritirato nel 2008 e da allora ha ricoperto vari ruoli, tra cui l’osservatore del PSG e il direttore generale del Portogallo Under 21. Figo e Rui Costa, che erano le stelle di quella squadra, sono dirigenti da ormai talmente tanto tempo che devo fare uno sforzo con la mente per ricordarmeli senza giacca e cravatta. Cristiano Ronaldo, invece, è ancora lì, le uniche differenze sono l’ombra del botox sulla fronte, le sopracciglia leggermente più fini, i capelli più corti ma non più radi, almeno mi sembra. Ronaldo c’era quando avevo 14 anni e avevo da poco iniziato il liceo, e c’è ancora oggi che ne ho quasi 35 e molti dei miei amici del liceo hanno almeno un figlio.

I record di longevità possono essere anche interpretati come segnali inquietanti per i grandi calciatori, presagi di morte per le loro lunghe carriere, che poi per un calciatore spesso equivale alla vita stessa. Ha senso continuare a correre, a sacrificare una vita agiata, le relazioni con i propri amici e parenti, quando il massimo obiettivo possibile diventa essere il più vecchio ad aver partecipato, segnato o, perché no, anche vinto in una determinata competizione? Davvero una cosa simile può essere uno stimolo per una persona di quarant’anni?

Sono domande che valgono per tutti ma ancora di più per Cristiano Ronaldo, che dal calcio ha già ottenuto tutto ciò che poteva ottenere e che, qualsiasi cosa farà, non potrà cambiare di una virgola il significato della sua carriera. Per anni ci siamo detti che CR7 partecipava per accumulare record, cioè per un’attestazione concreta della sua grandezza, spinto da un ego cannibale. Con questo spirito Cristiano Ronaldo ha attraversato tutte le narrazioni con cui di solito i calciatori danno significato alle proprie carriere - l’affermazione giovanile, le vittorie di squadra, i premi individuali, poi il declino con il ritorno circolare nella squadra che lo aveva fatto grande - ma lo ha fatto come se non lo riguardassero personalmente, come se dovesse rispettare un’etichetta nobiliare. L’obiettivo, ci dicevamo, era la misurazione concreta del proprio status come più grande calciatore di tutti i tempi.

Più passava il tempo, però, e più questa motivazione sembrava meno convincente, fino ad arrivare a quest'ultima stagione e mezza in cui le cose sono cambiate ulteriormente. Cristiano Ronaldo è passato in un campionato periferico come quello dell’Arabia Saudita, si è sottratto allo sguardo del pubblico europeo, e la domanda sul perché continuasse con la stessa fame è diventata ancora più pregna di significato. Per soldi? Per presentarsi come pioniere di un calcio sempre più globalizzato? All’Al-Nassr, Cristiano Ronaldo ha segnato 44 gol stagionali in 45 partite, ha vinto la Champions League araba, soprattutto ha vissuto queste partite esattamente come aveva vissuto le 949 precedenti a livello di club. Chiedendo per sé ogni pallone, tirando da qualsiasi posizione, rosicando ai compagni che non lo vedevano in area.

Qualche giorno fa è circolato molto un video di Cristiano Ronaldo dopo la finale di Coppa del Re, persa ai rigori contro l’Al-Hilal. È disteso a terra come se avesse appena avuto un incidente, le mani in faccia, il viso arrossato, le lacrime che gli solcano le tempie. In un mondo in cui i calciatori devono sforzarsi per piangere, in cui si coprono il viso con la maglia proprio per non mostrare che non ci stanno riuscendo, nemmeno per delle cose che teoricamente dovrebbero interessargli, è stata un’immagine straniante. Forse il dettaglio più surreale sono i dirigenti e compagni arabi che provano a consolarlo. Mi fa strano persino scriverlo: dopo aver perso la Coppa del Re, anzi la Coppa del Custode delle due Sacre Moschee, non è Cristiano Ronaldo a consolare i suoi compagni di squadra, ma i compagni di squadra a dover consolare lui. E per cosa piange Cristiano Ronaldo? Per un record di cui non conosciamo nemmeno l’esistenza?

Anche la sua parabola in Nazionale è significativa. Di solito si utilizza il termine parabola proprio perché la si immagina come una linea arcuata, che va verso l’alto prima di tornare all’altezza da cui era partita. Pensate per esempio a quella di Messi. L’arrivo da predestinato, le sconfitte in finale, l'amarezza del popolo argentino, il ritiro temporaneo, e poi il ritorno e la vittoria dei Mondiali in Qatar. Messi ha continuato a vestire la maglia della Nazionale perché si sentiva in dovere rispetto alle persone che rappresentava ma anche perché doveva esaurire il suo arco. Ecco, Cristiano Ronaldo, che come ricorderete perse l’Europeo del 2004 in finale contro la Grecia di Otto Rehhagel, il suo arco teoricamente l’avrebbe esaurito con la vittoria degli Europei del 2016. Parliamo di otto anni fa. Da quel momento la sua carriera in Nazionale ha assunto una nuova forma. Non più una parabola - con una salita, un apice e una discesa - ma forse un punto, l’unità primordiale di ogni forma geometrica che però è priva di dimensioni, se non in astratto. In un Mondiale o in un Europeo, Cristiano Ronaldo non ha più un obiettivo, qualcosa da dimostrare. Semplicemente c’è, e questo semplice fatto non è indifferente.

Prima dell’inizio di questo Europeo uno dei temi è stata la presenza di Cristiano Ronaldo. Giuliano Adaglio, nella sua guida al Portogallo, ha scritto che “la sua presenza in campo, per certi versi, può rappresentare un punto interrogativo”. Riccardo Trevisani, in una diretta di Cronache di Spogliatoio, ha detto che il Portogallo «è completamente costretto, soggiogato dalla presenza di Cristiano Ronaldo», che i suoi compagni accanto a lui «rimpiccioliscono». Prima dell’esordio con la Repubblica Ceca, di lui hanno parlato anche molti suoi compagni e ovviamente anche il suo CT, Roberto Martinez, secondo cui «[Cristiano Ronaldo] è qui per merito, non per il nome che porta». «Ronaldo è il nostro capitano e il fatto che sia con noi in questo momento della sua carriera significa soprattutto che ha ancora voglia di vincere», ha detto Ruben Dias che «Per un portoghese, Cristiano rappresenta ispirazione, la dimostrazione che tutto è possibile, che puoi realizzare i tuoi sogni». Al di là di come la pensano, tutti sembrano concordare che a essere significativa è la sua semplice presenza.

Non voglio addentrarmi qui in una discussione tattica, su come giocherebbe il Portogallo senza Cristiano Ronaldo, se la sua esclusione dal campo possa essere un vantaggio o meno per i suoi compagni. Quello che voglio dire è che è un dato di fatto che, se siete portoghesi o meno, se lo guardate con ironia o meno, uno dei motivi per cui ieri sera avete acceso la televisione o siete andati allo stadio è stato vedere Cristiano Ronaldo. E Cristiano Ronaldo non ha deluso. Contro la Repubblica Ceca ha toccato il pallone 32 volte, ha tirato verso la porta avversaria cinque volte, ha messo in porta un compagno con un colpo di tacco, ha preso un palo con uno stacco di testa clamoroso che stava propiziando il gol vittoria se non fosse stato per un fuorigioco di pochi centimetri. Sull’imbarazzante autogol di Robin Hranac che ha rimesso in equilibrio la partita dopo il gran tiro dalla distanza di Lukas Provod, il telecronista della RAI, Stefano Bizzotto, ha notato che Cristiano Ronaldo era proprio lì, che la sua presenza potrebbe aver avuto un peso nel mandare in tilt le sinapsi della difesa ceca.

Ancora una volta, l’ennesima, Cristiano Ronaldo sembrava la persona che teneva di più a quella singola partita tra tutte quelle presenti allo stadio ieri. Il suo solito repertorio di faccette ci fa sorridere, ma è come basilico sui pomodori per le partite del Portogallo. Cristiano Ronaldo, almeno da quanto sembra, ha gridato bismillah (l'espressione con cui cominciano tutte le sure del Corano, che letteralmente significa: "in nome di Dio") prima di tirare un calcio di punizione, se l’è presa con Bernardo Silva dopo che quello aveva fatto di tutto pur di passargli la palla al centro dell’area, ha esultato in faccia al povero Jindřich Staněk dopo il gol finale di Francisco Conceiçao.

Dopo il triplice fischio, Cristiano Ronaldo è andato ad abbracciare il suo giovane compagno come se gli avesse appena salvato la vita. Francisco Conceiçao, che non aveva ancora compiuto due anni quando Cristiano Ronaldo ha giocato la sua prima partita in un Europeo, che aveva appena vissuto l’emozione di aver segnato un gol decisivo per la propria Nazionale all’ultimo secondo, si è ritrovato davanti una persona che sembrava più contenta di lui. O che, forse, lo era davvero. Sulla soglia dei quarant’anni, dopo tutto quello che ha passato Cristiano Ronaldo, sarebbe difficile da leggere tutto questo come semplice egocentrismo, anche se fosse solo una pantomima. Non vederci anche solo un briciolo di amore per il gioco, di generosità nei confronti del pubblico.

Anche io, tra i tanti, ieri sera ho acceso la televisione per vedere cosa avrebbe combinato Cristiano Ronaldo. Lo devo ammettere: speravo in un suo gol, soprattutto per rivedere una delle sue esultanze più iconiche, quella che spesso anticipa il SIUU. L’indice della mano destra prima rivolto verso il petto, poi verso la terra sotto di sé. È un’esultanza che Cristiano Ronaldo ha inaugurato nel marzo del 2015, quasi un decennio fa, in un Clasico decisivo per la corsa alla vittoria della Liga. Sono gli anni della MSN contro Benzema, Bale e Ronaldo, le due squadre sono divise solo da un punto in cima alla classifica. Il Barcellona passa in vantaggio al 19' con un colpo di testa su calcio piazzato di Jérémy Mathieu, che non è più un calciatore da quattro anni. Con quel gol la distanza tra le due squadre diventerebbe di quattro punti e con solo nove giornate rimaste potrebbe essere il colpo decisivo per la vittoria del campionato. Una decina di minuti dopo, però, il Real Madrid pareggia. Modric trova un filtrante in area per Benzema, ovviamente d’esterno, e quello con il tacco mette Ronaldo solo al centro dell’area. La palla è un po’ corta, ma CR7 è troppo veloce per la diagonale di Dani Alves, e di punta firma l’1-1. Cristiano Ronaldo indica i tifosi del Barcellona, poi sé stesso, invitando alla calma con i palmi delle mani: che vi esultate, sembra dire, non vedete che sono qui?

Stranamente Ronaldo ha continuato a fare questa esultanza anche nel decennio successivo, quando il significato originale ormai era completamente evaporato. Ho controllato, e l’ha fatto diverse volte anche in Arabia Saudita nell’ultima stagione, per esempio contro l'Al Khaleej all'inizio di maggio, dopo una girata dallo spigolo dell'area di rigore semplicemente pazzesca. La differenza, rispetto a quel momento originale di quasi dieci anni fa, è che adesso lo fa rivolto ai suoi tifosi, e non più ai tifosi avversari. L’indice della mano destra a indicare il petto, poi in basso, verso la terra, come se con la sua liturgia volesse rassicurarci di fronte allo scorrere del tempo, che a un certo punto ci farà sparire tutti.

A volte lo dice anche, mentre esulta: calma, eu estou aqui. Non vi preoccupate, dice, io sono ancora qui.

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