Tutto quello che riguarda Cristiano Ronaldo è incredibilmente interessante. Nonostante Cristiano Ronaldo. Il contrasto tra il suo magnetismo e la mancanza di qualsiasi finezza, o complessità, nel modo in cui Ronaldo racconta se stesso lascia pensare che, in fondo, lui non ritenga di esserlo, interessante. Ogni suo sguardo, ogni sua posa, comunica l’assurda pretesa che non ci sia niente oltre quello che vediamo, oltre la superficie riflettente della sua pelle. Che Cristiano Ronaldo stia nelle cose che fa e ci mostra – allenarsi e stare in famiglia, oppure allenarsi in famiglia, ancora meglio – e in quelle che sa fare in campo. È proprio questa sua ritrosia – timidezza? – a lasciare spazio a ogni speculazione. Che tipo è, veramente? Che padre/marito/fratello, che amico, che compagno di squadra è? Ha veramente bisogno degli altri esseri umani?
Nella serie di anti-super-eroi The Boys (questa NON è una pubblicità, anzi Amazon Prime, se mi leggi, sappi che non approvo la scelta di pubblicare un episodio a settimana, io nel frattempo mi dimentico cosa è successo) uno dei protagonisti, una versione satirica di Superman, per capirci, solo super-patriottico, super-potente e super-crudele, va in mille pezzi quando un’altra anti-super-eroina (apertamente razzista) si prende i riflettori. Dietro una facciata puramente pubblicitaria – il sorriso bianchissimo, i capelli biondissimi, la posa fiera e le belle parole – c’è un mostro capriccioso e fragile. Tra le ipotesi aperte, c’è anche quella secondo cui Ronaldo sia questo tipo di leader, che in quanto star indiscussa della squadra sia una persona sola che vada accontentata. Incapace di scendere a compromessi con i suoi compagni, specie quelli d’attacco.
Forse per questo, e anche perché dal punto di vista tattico, in effetti, Cristiano Ronaldo ormai ha caratteristiche peculiari e molto definite, ovvero difficilmente gli si può chiedere qualcosa di diverso da quello che già fa, ogni anno da quando è alla Juve si finisce a parlare di chi mettergli vicino. Meglio con Higuain o con Dybala, si diceva? E adesso, meglio con Dzeko o con Suarez?
In parte dipende dal fatto che Cristiano Ronaldo e Messi ci hanno illuso per anni che anche il calcio potesse ridursi, almeno per dei momenti, a uno sport individuale, ma adesso che invecchiano hanno (di nuovo) bisogno di qualcuno che li aiuti non solo a vincere ma anche a farli esprimere al proprio meglio. Messi ha cercato una via d’uscita dal Barcellona anche perché, probabilmente, non ce la fa più ad avere tutte le responsabilità sulle sue spalle. Mentre Cristiano Ronaldo ha salutato il secondo allenatore consecutivo da quando è in Italia e tra le colpe di entrambi - una colpa non solo loro, certo, ma che dipende anche dalla rosa a disposizione e dallo stesso Ronaldo - c’è anche quella di non avergli costruito intorno una squadra abbastanza competitiva. Ronaldo e Messi hanno condiviso molte belle sensazioni in passato, adesso condividono la frustrazione di essere i migliori della loro squadra, forse (ancora) i migliori al mondo, ma di non giocare più nelle migliori squadre al mondo.
In fondo c’è il solito eterno conflitto tra talento individuale e organizzazione/collaborazione di gruppo: cosa viene prima, quale delle due deve lavorare in funzione dell’altra? Ho provato a guardare la questione da un altro punto di vista. Chiedendomi con chi è stato più felice Cristiano Ronaldo, e perché, che tipo di rapporto aveva con i compagni con cui è riuscito a costruire una vera collaborazione. Ha avuto molti grandi compagni di squadra, a cominciare da Tevez e Rooney, ma se consideriamo solo la fase “Gigante Rossa” della sua carriera, diciamo dal Real Madrid in poi (e sono comunque gli ultimi dieci anni), il discorso si riduce a due nomi: Mesut Özil e Karim Benzema. Qual è stato il loro segreto per andare d’accordo, in campo, con Ronaldo?
Con Özil era un’amicizia “telepatica”
Arrivato dal Werder Brema, Özil ha giocato tre stagioni piene al Madrid, dal 2010 (subito dopo il suo Mondiale) al 2013. Tre stagioni da 16, 18 e 13 assist, rispettivamente, prima di essere ceduto all’Arsenal. Scelta della dirigenza madridista che, secondo AS, avrebbe fatto arrabbiare Ronaldo stesso: «È una brutta notizia per me, era quello che conosceva meglio i miei movimenti...».
Certo, e oltre a questo Özil aveva un’abilità nell’ultimo passaggio, una precisione, anche quando magari si trattava semplicemente di passargliela sui piedi mentre Ronaldo correva in un corridoio tra due avversari alla massima velocità, che difficilmente il portoghese ha ritrovato dopo di lui.
Con Ronaldo che partiva già da sinistra ma finiva le sue corse in area di rigore all’altezza del palo, e un attaccante centrale (Benzema o Higuain) a impegnare sempre i centrali di difesa spingendoli verso la loro porta o bloccandoli per creare spazio in area, Özil (partendo dall’esterno opposto nel 4-3-3, o dal centro del 4-2-3-1) beneficiava dello spazio che si creava davanti o dietro alla difesa. In questo senso, cioè, erano addirittura due i giocatori che permettevano a Ronaldo di dare il proprio meglio. E non va dimenticato che il Real Madrid di quegli anni, allenato da Mourinho, era una delle squadre migliori al mondo in transizione. Quindi era anche il sistema a permettere ai tre giocatori offensivi, e soprattutto a Ronaldo, di giocare nelle loro condizioni preferite, in spazi aperti.
La qualità di Özil però faceva la differenza anche quando l’aria mancava negli ultimi trenta, venti metri. La sensibilità del suo piede sinistro e la varietà dei suoi passaggi si univa alla pericolosità delle corse profonde di Ronaldo: Özil alzava la testa e trovava il modo di metterlo in porta anche quando c’erano molti uomini tra di loro. Faceva filtrare la palla con tocchi sotto, colpi di tacco o di esterno inaccessibili alla maggior parte dei giocatori, anche di quelli d’élite, o cross telecomandati sulla testa del portoghese. In quegli anni Ronaldo era al tempo stesso il miglior giocatore nei movimenti senza palla e il miglior finalizzatore al mondo, mentre Özil era forse il miglior assistman (che oltretutto poteva prendere palla e condurla per mezzo campo, dribblando anche in spazi stretti). L’uno moltiplicava la pericolosità dell’altro: Ronaldo premiava la visione di gioco e la tecnica di Özil, che a sua volta faceva sembrare ogni corsa di Ronaldo un’arma devastante e indifendibile. Era semplicemente troppo veloce per le difese avversarie, mentre andava alla velocità perfetta per le palle che gli serviva il tedesco.
Quella tra Özil e Ronaldo è stata davvero una delle migliori coppie d’attacco degli ultimi anni. La loro capacità di trovarsi era del tutto naturale, sembravano semplicemente fatti per giocare insieme. Il piede sinistro di uno comunicava telepaticamente con le gambe o la testa dell’altro. Anche gli angoli che batteva Özil erano troppo alti per qualsiasi altro giocatore ma incrociavano lo stacco di Ronaldo esattamente nel punto massimo di elevazione (questo discorso vale anche per i cross di Marcelo).
D’accordo, le cose andavano bene con Özil perché in quel periodo era fenomenale e il Real Madrid di Mourinho giocava in un modo che esaltava le letture e le qualità di entrambi. Una situazione irripetibile, a meno che la Juventus prenda il miglior mancino specialista nei filtranti, cioè Messi (LOL), o un giocatore tipo James Rodriguez, Ziyech mentre Dybala non ha la visione di gioco per diventarlo neanche se decidesse di dedicare tutti i suoi sforzi futuri a far felice Ronaldo (sembra più lui ad avere bisogno di Ronaldo come appoggio offensivo, che Ronaldo ad approfittare della sua qualità).
Al tempo stesso ripensando a quel periodo, riguardando quelle immagini, fa impressione trovare un Ronaldo perfettamente a suo agio, circondato da compagni che senza sforzo entrano in connessione con lui. Il che significa anche che non dipende solo da Ronaldo, ma anche dal contesto, e che forse è sbagliata l’idea di fondo – ammesso che qualcuno alla Juventus abbia ragionato in questo modo – che sono i giocatori come Ronaldo a cambiare da soli le squadre. Si cambia insieme, o non si cambia affatto.
Benzema è stato la “spalla” perfetta
Purtroppo le cose non vanno sempre come vorremmo. Come detto, Florentino Perez nell’estate del 2013 decide di sacrificare Mesut Özil sull’altare del suo acquisto più costoso di sempre, Gareth Bale (che 7 anni dopo tornerà in prestito gratuito al Tottenham, aprendo la discussione se si sia trattato o meno del peggior affare della storia recente del Real). A quel punto, però, sorprendentemente, entra in gioco Karim Benzema. Il compagno “ombra” fino a quel momento, la cui utilità finiva per forza di cose in secondo piano, si sente forse in dovere di farsi avanti per prendere il posto di Özil nel cuore di Ronaldo.
Arrivati insieme a Madrid, la storia della loro amicizia calcistica non è quella di due giocatori che si completano a vicenda, come tra Ronaldo e Özil, è una storia asimmetrica, quella del sacrificio e dell’adattamento di Benzema, arrivato come attaccante da area di rigore e finito come uno dei migliori rifinitori al mondo. Non che i sacrifici in questione non abbiano portato dei benefici anche a lui che ha sempre avuto il talento da numero 10 e – al di là dei fischi del Bernabeu da cui Ronaldo lo ha difeso, e del rapporto terribile con l’establishment francese che gli ha negato il suo posto in Nazionale – verrà ricordato proprio per la sua unicità. Per quello stile forgiato nel fuoco di Ronaldo.
«Ci cercavamo di continuo», ha detto Benzema. «Il finalizzatore, il bomber, era Cristiano Ronaldo. Io ho svolto un ruolo diverso. Ero maggiormente coinvolto nella costruzione dell’azione, nei movimenti, provando a creargli degli spazi. Penso che fosse il miglior centravanti anche partendo da sinistra, io mi allontanavo per aprirgli un buco e lasciargli fare gol». Fondamentalmente, se Özil ha trovato in Ronaldo il terminale del suo gioco, Benzema gli ha dovuto dare un pezzo della sua identità. Anzitutto, con quei movimenti “intangibili” che non valgono come assist e che si sottolineano sempre troppo poco: a portare via il difensore in profondità, a bloccarlo a una certa distanza dalla porta, ad allargarlo il tanto che basta per creare lo spazio per la palla. Distraendone magari più di uno dandogli un falso obiettivo, una falsa linea di corsa, sapendo in partenza che non sarebbe stato lui a concludere l’azione (anche se molte azioni le ha comunque concluse lui).
Con la palla, poi, specie negli anni senza Özil, la trasformazione di Benzema è stata ancora più radicale. Non doveva più togliersi di mezzo, ma farsi trovare muovendosi incontro, o allargandosi, e poi una volta in possesso doveva rallentare, aspettando che Ronaldo arrivasse nella posizione giusta per fare gol. Benzema è diventato un maestro della “pausa”, un playmaker offensivo a tutto tondo. Rispetto a Özil i suoi assist erano meno complessi, spesso doveva prendere posizione su un lato dell’area, a qualche metro dalla linea, e giocare una classica “palla indietro” per l’accorrente Ronaldo. E dato che spesso aveva l’uomo addosso, doveva manipolarlo in protezione per toglierlo dalla linea di passaggio che portava verso Ronaldo. Controllo, protezione, orientamento del corpo: una volta fatto questo quello che gli restava, nella maggior parte dei casi, era un passaggio orizzontale o diagonale di piatto destro.
Negli anni della BBC, con Bale a destra quindi, il movimento “tipo” di Benzema era quello in diagonale verso sinistra, per liberare la corsa diretta di Ronaldo verso il centro, che spesso toccava a lui servire, trasformandosi così anche in ala. Le giocate più raffinate di Benzema erano quelle in cui arrivava fino alla linea di fondo, a sinistra, dribblando con la suola e portando palla quasi fino al portiere prima di passarla dietro a Ronaldo.
Ma non c’era niente di automatico, o ripetitivo, nella varietà dei movimenti e nella sensibilità dei passaggi di Benzema. Nel 2015, contro il Barcellona, Benzema ha eseguito forse la giocata più raffinata in assoluto, tagliando verso destra e servendo Ronaldo con un tacco destro al limite dell’area che ricorda (neanche troppo) vagamente quello di Guti proprio per Benzema. Il talento di Benzema è da rifinitore puro, e forse senza Ronaldo non sarebbe mai venuto fuori. Sicuramente non con questa costanza.
Nel suo sacrificio per Ronaldo, Benzema ha trovato se stesso. Non è stata un’umiliazione, una riduzione delle sue possibilità, semmai un’esplosione. Solo in un senso diverso da quello che ci si aspettava. Se si eccettua la stagione 2017-18 (solo 2 gol), Benzema è sempre andato in doppia cifra in campionato, ma da quando non c’è più Ronaldo ha superato per due volte consecutive i 20 gol (come a Madrid gli era capitato solo nella stagione 2011-12). Gli assist continuano a essere nell’ordine di prima, 6 e 8 nelle ultime due stagioni, in quelle con Ronaldo il massimo lo aveva raggiunto nel 2012-13 e 2014-15 con 12 e 11 assist. Solo nella sua migliore stagione al Lione gli era capitato di farne più di 2.
Gli anni di Benzema al servizio di Ronaldo ci insegnano c’è anche una forma di arricchimento individuale nel mettersi al servizio di una collettività. Che è possibile realizzarsi a pieno anche accettando di rivestire un ruolo leggermente di lato, non per forza stando al centro del palcoscenico. Ci insegnano anche, però, che non è da tutti trasformare delle richieste tattiche in una forma d’arte, che di base dentro il compagno di reparto di Ronaldo ci deve essere una comprensione istintiva dello spazio e una consapevolezza profonda dei movimenti dei compagni e degli avversari in campo per entrare in una connessione così stabile e naturale con il portoghese.
Semplificando molto il discorso, i due nomi che sono maggiormente circolati in queste settimane come suoi possibili compagni, Dzeko e Suarez, contengono una specie di scomposizione del talento di Benzema: il bosniaco ha la capacità di rallentare il gioco, l’uruguaiano i movimenti in profondità per creargli spazio (anche se ormai quasi solo in area di rigore). Ma se già sul piano tecnico è difficile trovare un giocare come Benzema, lo è ancora di più trovarlo sul piano mentale, che forse persino nel suo caso specifico è stato ancora più importante. È strano, dato che parliamo di Ronaldo, un monumento vivente alla competitività e al miglioramento di sé, ma il segreto del suo successo sta anche nella volontà di chi gli sta intorno di non entrare, appunto, in competizione con lui.
Abbiamo iniziato chiedendoci che tipo di compagno di squadra fosse Ronaldo e terminiamo sapendo qualcosa in più di quelli che gli sono stati attorno. Lui resta inaccessibile, destinato a restare un mistero per noi e forse per chi gli sta intorno. Ma quanto sarebbe bello vederlo di nuovo, per un’ultima volta, in completa sintonia con un compagno. In fondo la sola cosa certa è che anche il calciatore più individualista al mondo ha dato il meglio quando è riuscito a mettersi in relazione con un compagno.