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Quello che Cristiano Ronaldo non dice
18 nov 2022
Tutti i punti più oscuri dell'intervista rilasciata a Piers Morgan.
(articolo)
11 min
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Divisa in due puntate, ieri e l’altro ieri è andata in onda su Talk TV (il canale nato nel 2020 per diventare la Fox News inglese), e subito dopo è stata disponibile su YouTube, l’intervista a Cristiano Ronaldo di cui nei giorni precedenti erano uscite succose anteprime. Sono due parti da quasi un’ora ciascuna in cui potete guardare uno splendido primo piano di Cristiano Ronaldo in giacca grigia e maglia girocollo bianca e pensare: che persona incredibile, che straordinario esemplare di essere umano. Devo ammettere che è la prima cosa che penso ogni volta che lo guardo e non immagino cosa succederebbe se ce l'avessi davanti di persona, seduto davanti a me per un’intervista di due ore. Probabilmente anche io come Piers Morgan avrei voglia di compiacerlo, dargli ragione e, perché no, consolarlo. «Sono un frutto che le persone hanno voglia di addentare», dice a un certo punto con eccezionale consapevolezza di sé Cristiano Ronaldo. Piers Morgan, forse spiazzato, non trova niente di meglio da dire se non: «Hai in mente un frutto in particolare?». Certo che Cristiano Ronaldo ha in mente un frutto in particolare! «Diciamo una fragola». Wow.

Questo è uno dei momenti più surreali di quella che Piers Morgan, a ragione, ha chiamato l’intervista di cui tutto il mondo sta parlando, in cui però c’è molto poco a parte le opinioni di Cristiano Ronaldo sul Manchester United e il suo attuale allenatore Erik Ten Hag, che Piers Morgan stesso aveva già fatto uscire nei giorni precedenti. E che, prima ancora che uscisse l’intervista completa, hanno spinto lo United a rimuovere la gigantografia di Ronaldo che ricopriva le pareti esterne dell’Old Trafford (un modo come un altro di dirgli: pensi di essere più grande di noi?). Giornalisticamente parlando non ci sono grandi scoop, come ha scritto David Foster Wallace all’inizio del suo celebre Roger Federer come esperienza religiosa; lo scoop sarebbe, di per sé, il fatto che Cristiano Ronaldo dice apertamente quello che tutti sapevamo pensasse. Ma forse più in profondità lo scoop è il fatto che Cristiano Ronaldo parli, e così a lungo. Parla forse più di quanto ha fatto, sommando tutti i suoi dialoghi, nel film autobiografico, uscito nel 2015. E quando Cristiano Ronaldo parla è come se parlasse uno dei leoni di pietra fuori dal Metropolitan Museum di New York oppure, che ne so, la Gioconda. È come se lo avesse scolpito Michelangelo e, dopo avergli chiesto Perché non parli, come si dice che Michelangelo abbia chiesto alle sue statue, in effetti si è messo a parlare. Nel senso: quando Cristiano Ronaldo parla è sempre a suo modo interessante.

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Questa è la cosa più positiva che si possa dire dell’intervista. Che, in effetti, avere accesso ai ragionamenti di uno dei più grandi calciatori e sportivi di sempre, un modello di successo e automiglioramento (a partire comunque da una base genetica e di talento eccezionale) che forse non ha eguali nella storia dell’uomo, è un’esperienza eccezionale. Non parliamo solo di popolarità, né di traguardi sportivi, quanto del modo in cui Ronaldo ha cambiato il calcio, ovvero lo sport più seguito del pianeta. Proprio per questo, però, è strano sentirlo lamentarsi del fatto che non sente di essere preso sufficientemente ad esempio. Pur in una stagione in cui sta giocando e segnando poco, a Ronaldo è bastato incrociare le mani sul petto e reclinare la testa all’indietro come se dormisse per lanciare la moda. Soprattutto tra i giocatori più giovani che hanno giocato con lui come Garnacho e Leao. Eppure che dice Ronaldo dei giocatori di nuova generazione? «Sono diversi». Troppo distratti dalla tecnologia, ma diversi anche diversi dal punto di vista formativo, forse addirittura antropologico: gli manca la “fame”, “per loro è tutto troppo facile”, non hanno “sofferto”.

Non è solo il fatto che Ronaldo parla come un vecchio dirigente d’azienda che non vuole pagare gli straordinari ai propri dipendenti - come Elon Musk che dopo aver comprato Twitter e averlo trattato come io trattavo i Tamagotchi ha chiesto ai suoi dipendenti di essere “estremamente hardcore” - quanto il fatto che il calcio di oggi è molto di più il suo calcio di quanto non lo fosse quando ha iniziato. Molti giovani hanno un’etica lavorativa, una tensione verso il successo persino esagerata. Non esistono praticamente più giocatori fuori forma né un solo giovane calciatore al mondo che possa pensare di arrivare ad alto livello senza essere anche un grande atleta. In questo la sua influenza è persino superiore a quella di Messi, che con il suo talento avrà ispirato milioni di bambini ma che verrà ricordato semplicemente come uno di quei talenti baciati da dio, con un talento che trascende la sua volontà (per quanto non possa essere del tutto vero neanche questo).

Se l’intervista poteva essere lunga la metà, ma anche un quarto a mio avviso, volendo ridursi al messaggio che Ronaldo ci teneva a far passare - che è il seguente, prendetelo come un comunicato stampa che avrebbe potuto diramare anche senza Piers Morgan: Ten Hag e altri dirigenti stanno provando a farmi fuori, penso di essere ancora il migliore al mondo e forse è meglio per entrambi se ci separiamo - il tentativo di convincerci che va tutto bene e che Cristiano Ronaldo è lo stesso di sempre è, a mio avviso, fallito.

Ad esempio, quando parla del fatto che niente è cambiato rispetto alla prima volta che era stato un giocatore del Manchester United - la palestra, la jacuzzi, eccetera eccetera - non tiene conto del fatto che per molti tifosi il fatto stesso che abbiano ripreso Cristiano Ronaldo è un segno di decadenza del club. Perché non cambiano la jacuzzi? Perché devono pagare il tuo stipendio! Ronaldo dice che il club ha bisogno di rinnovarsi ma al tempo stesso sminuisce l’approccio di Ten Hag e del suo staff dicendo che «certi allenatori pensano di aver trovato l’ultima coca-cola nel deserto».

Ma è chiaro che se per Ronaldo il fatto che abbia il contratto più costoso di tutta la Premier League a 37 anni è una prova sufficiente del suo valore, come dice a un certo punto - «Piers siamo onesti: chi è il giocatore con il contratto più alto della storia della Premier League?» - e non un possibile problema, diventa incomprensibile la scelta del suo allenatore di metterlo in panchina. Ma, di nuovo, è impossibile non vedere la contraddizione con la ragione stessa per cui Cristiano Ronaldo ha accettato di fare un’intervista del genere: evidentemente sente di non avere molto tempo da perdere (oltre al fatto che probabilmente è circondato da persone che lo consigliano male, come Jordan Peterson di cui parla alla fine dicendo che insieme hanno avuto una “strategic conversation”: Cristiano dammi retta, hai bisogno di un amico vero, non di strategic conversation). Altrimenti perché non provare a far cambiare idea a Ten Hag, che comunque qualche occasione di giocare titolare gliela stava dando? Perché non convincerlo impegnandosi ancora di più, come vuole la retorica lavorista dei campioni?

Cristiano Ronaldo dice di essere stato provocato da Ten Hag (che ha detto di non averlo fatto giocare nel derby con il City perso 6-3 per rispetto alla sua carriera, ma che poi voleva farlo entrare a tre minuti dalla fine con il Tottenham mancandogli di rispetto) ma non possiamo fare finta di non capire che tutta l’intervista a Piers Morgan è una sua provocazione per spingere il Manchester United a liberarsi di lui alle sue condizioni (il Manchester United, intanto, ci sta pensando ma pare voglia fargli causa).

Ronaldo dice anche, continuamente, che non capisce perché le persone lo critichino - «Piers, I don’t understand» è una delle frasi che ripete più spesso - che non vedono la «big picture», ma quando Piers Morgan gli chiede se giocando più spesso ricomincerebbe a segnare come la scorsa stagione Ronaldo risponde: «Certamente! Pensi che abbia dimenticato come si fanno i gol?». Ma il punto non è quello. Il senso stesso di guardare Cristiano Ronaldo giocare oggi - e questo vale per qualsiasi calciatore alla soglia dei 40 anni - sta nel cercare di capire se è ancora se stesso o se è davvero finito, che è come guardare un tramonto cercando di capire il momento esatto in cui il giorno diventa notte. Come si fanno i gol probabilmente non lo avrà dimenticato neanche a cinquant’anni, ma forse neanche settanta, ma è evidente che qualcosa in Ronaldo non stia funzionando già in questa stagione. Questo lo sa anche lui, che infatti ha aggiunto: «Magari non sono motivato come qualche mese fa». Magari, Cristiano, non è una questione di motivazione e hanno ragione i tuoi critici. Non lo sappiamo noi, ma non lo sai neanche te.

È sorprendente vedere una delle persone più straordinarie del pianeta così palesemente in confusione rispetto al senso stesso che ha la sua storia, che ha lui, per chi lo guarda. Da una parte c’è la perfezione oltreumana di Ronaldo, la perfezione che Ronaldo ha ottenuto lavorando su se stesso come uno scultore (l’idea di perdere un punto percentuale di grasso corporeo all’anno è quasi degna di una performance artistica), di cui per altro va fiero senza mascherare minimamente il proprio narcisismo. Cristiano Ronaldo con le labbra lucide e la pelle di porcellana che sembra emanare luce più che rifletterla, sempre sotto controllo se non fosse per quella leggera asimmetria - fateci caso - che gli fa alzare solo il sopracciglio e l’orecchio sinistro, che gli storce in diagonale il sorriso, come se l’angolo delle labbra da quel lato fosse tirato da un filo invisibile che parte da un chiodino invisibile sulla sua tempia. Cristiano Ronaldo modello ideale e irraggiungibile di ogni uomo sotto i quarant’anni, essere umano universale da spedire nello spazio per far capire a una specie aliena fino a che punto pùo spingersi la nostra di specie.

Dall’altra parte, invece, c’è Cristiano Ronaldo offeso perché il presidente della sua squadra non gli ha creduto quando gli ha detto che sua figlia neonata aveva la bronchite (poco tempo dopo aver perso l’altra bambina che sarebbe dovuta nascere nel parto gemellare) e per questo non ha raggiunto la squadra in ritiro, mentre i giornali ne hanno approfittato per dire che stava provando a cambiare squadra e nessuno lo voleva - fosse tutto vero sarebbe grave, ok, ma perché non dirlo prima? Cristiano Ronaldo che dice di «non essere perfetto» e che in casa ha una cappella con le ceneri del padre e della figlia con cui parla, ma che ce lo racconta in un’intervista chiaramente sceneggiata, in cui ogni risposta è stata preparata in anticipo.

È strano che Cristiano Ronaldo ricordi «sono anche io un essere umano» dopo tutti gli sforzi che ha fatto per farcelo dimenticare. Così come è strano che si lamenti del fatto che i calciatori siano trattati come «pezzi di carne» quando lui è uno di quelli che più ha fatto del calcio una questione di performance fisiche, che ha messo la mente al servizio del corpo; o che nel mondo del calcio ormai siano tutti “individualisti”, quando lui è il monumento vivente all’individualismo nel calcio, il simbolo più forte e riuscito di come un egoismo che si fa quasi religione, ideologia di se stesso, può portare a risultati mai viti. E lo dice, oltretutto, mentre sta rilasciando un’intervista del genere a pochi giorni dall’inizio del Mondiale, fregandosene delle conseguenze che la stessa avrà su di lui e su alcuni suoi compagni di Nazionale.

Sullo sfondo c’è la paranoia di un uomo solo, come forse sono tutte le persone con un successo simile. Paranoia paradossale perché in una finta intervista, quindi come minimo insincera in alcuni punti, si lamenta delle «bugie» dei giornali che «nascondono altre cose» parlando di lui. Ma cosa dovrebbero nascondere i giornali, che lo United ha una palestra vecchia di dieci anni? A un certo punto dice di essere dipinto come la «pecora nera», «come se fossi io il cattivo, e non è vero!», ma chi va in tv a dire di non essere un cattivo se non proprio il cattivo? Possibile non abbia visto neanche un film? La paranoia che lo porta a vedersi, qui con estrema sincerità secondo me, come l’unico che ha a cuore non solo il Manchester United ma il calcio in generale.

In fin dei conti l’intervista è deludente. Ronaldo si è tolto qualche sassolino dalle scarpe e forse ha messo in moto la macchina che lo porterà lontano dallo United, ma ci ha anche ricordato l’ambiguità e le zone grigie del suo personaggio. Si percepisce sottopelle la sofferenza che ha provato lui e quanto deve costargli tenerla sotto il tappeto della propria motivazione, di una visione del mondo ultracompetitiva in cui per dire una cosa carina su Georgina anziché usare la formula «sono felice che sia al mio fianco» dice «sono felice che stia dalla mia parte». Un mondo in cui, dal suo punto di vista, Cristiano Ronaldo è l’eletto che va seguito, ascoltato - «Voglio educare non solo la mia famiglia ma anche i miei fan», dice a un certo punto parlando del proprio futuro, una frase che mi ha messo i brividi - in cui o sei con lui o contro di lui, o lo aiuti a perseguire la sua vocazione, il suo destino, o sei invidioso e lui non ti capisce.

Il vero problema di Cristiano Ronaldo è con la realtà, che sembra contare ormai pochissimo, forse anche grazie alla vicinanza di manipolatori come Piers Morgan (che a fatica nascondeva il suo reale interesse in tutta quella faccenda: le visualizzazioni su YouTube e Twitter, niente di più che la luce di riflessa di Ronaldo stesso). Ma la realtà è quella in cui Cristiano Ronaldo a 37 anni ha subito un lutto gravissimo e quattro giorni dopo gli hanno cambiato allenatore, scegliendone uno che se possibile lo apprezza ancora meno di quello prima. Quella in cui, per la prima volta da molti anni, non sembra avere il potere di piegare la realtà stessa alla sua onnipotenza.

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