• Euro 2024
Dario Saltari

L’Italia di Spalletti deve credere in se stessa

Con la Croazia una partita difficile ma che ci può dare indicazioni per il futuro.

Nonostante fosse stato appena benedetto da un gol al 98esimo che ha permesso all’Italia di qualificarsi agli ottavi di finale senza passare per il purgatorio delle migliori terze, Spalletti davanti ai microfoni è apparso piuttosto nervoso. Certo, Spalletti è sempre nervoso, ma dopo una partita che ha lasciato la sensazione di essersi svegliati da un colpo di sonno in macchina un attimo prima di schiantarsi contro un palo della luce, forse ci si aspettava un po’ più di serenità. Una brutta notizia per i giornalisti che hanno dovuto affrontarlo nelle interviste post-partita, ma una buona notizia per noi che dobbiamo scriverne oggi, possibilmente traendone qualcosa di buono – perché Spalletti quando deve difendersi dalla sindrome dell’impostore che lo accerchia è molto più significativo di quando invece cerca di fare il prete davanti all’opinione pubblica. 

 

Quando Paolo Condò, su Sky Sport, gli ha per esempio rimproverato un’eccessiva prudenza nelle scelte fatte in questo Europeo fino all’1-0 della Croazia, Spalletti ha messo su quel sorriso da Joker di chi sta per iniziare un’invettiva di almeno dieci minuti. «Va bene, ma nel mezzo c’è sempre il comportamento che si ha», ha risposto Spalletti, «ma quale prudenza, se non si riesce a giocare una palla come non si è saputa giocare in uscita nel primo tempo si può giocare in qualsiasi modo». Il CT ha accusato la sua squadra di essere «sotto livello» da un punto di vista tecnico nel primo tempo, cosa che di per sé non risponde del tutto alla domanda di Condò, visto che la squadra del primo tempo è nata anche (anzi: soprattutto) dalle scelte di Spalletti riguardo gli uomini da schierare e la strategia da adottare, e non solo dalla paura che ha attanagliato i nostri giocatori da quando la Spagna ha iniziato a prenderci a pallonate. 

 

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Spalletti, allenatore pedagogo che si è fatto una reputazione nel calcio italiano per la capacità unica e indiscutibile di saper migliorare i propri giocatori, sta toccando con mano quanto in Nazionale la sua capacità di influenza sia radicalmente diversa, ma per questo non necessariamente minore rispetto a quando allenava a nei club. Com’è noto, in Nazionale c’è molto meno tempo per lavorare sui principi tattici che si vogliono dare alla squadra, e quindi anche meno tempo per lavorare sui giocatori: farli crescere cioè attraverso il gioco. E per questa Nazionale di tempo Spalletti ne ha avuto ancora meno, iniziando di fatto solo a qualificazione ottenuta, come ha notato Fabio Barcellona nella sua guida.

 

In Nazionale – come ha detto lo stesso Spalletti cercando di estorcere a un giornalista chi fosse la sua talpa dentro allo spogliatoio – il CT deve «saper ascoltare con le loro [dei calciatori, ndr] orecchie e vedere con i loro occhi». È costretto quindi ad affidarsi a loro, al loro percorso a livello di club, al bagaglio che si portano dietro. La scelta di chi mettere in campo, come ancora prima di chi portare è più pesante rispetto alle partite di club, e non è un caso in questo senso che il commissario tecnico venga definito un “selezionatore”.

 

Anche ieri sera, quando la qualificazione agli ottavi era sull’orlo del precipizio e la disperazione palpabile, i giocatori si sono aggrappati principalmente a quello che hanno imparato a fare con i propri club. Calafiori ha condotto palla avventurandosi nella trequarti avversaria con l’aiuto di un triangolo come gli abbiamo visto fare decine di volte con il Bologna; Scamacca ha tagliato alle spalle di Sutalo (che ha rotto la linea per andare a tamponare proprio la conduzione di Calafiori), attirando dietro di sé Stanisic, liberando lo spazio per Zaccagni a sinistra e smentendo la nomea piuttosto infondata di essere pigro; Zaccagni ha messo la palla sotto il sette più lontano, un gol che ha ricordato quello di Del Piero contro la Germania ai Mondiali del 2006, e che i tifosi della Lazio erano sicuri avrebbe fatto ancora prima che calciasse (visto che ne ha fatti diversi di simili, anche se rasoterra, con la maglia biancoceleste).

 

Qualcuno ha notato che, nel tirare fuori posizione i giocatori croati, abbiano influito anche i due controlli leggermente lunghi prima di Frattesi e poi dello stesso Calafiori. In parte è vero, anche se mi sembra che si faccia notare per i motivi sbagliati, cioè per dimostrare per l’ennesima volta “quanto siamo scarsi”. Da questa azione sembra vero il contrario: insomma, quanti altri centrali di questo Europeo hanno la lucidità, la capacità di leggere il gioco, la tecnica per andare in conduzione fino al limite dell’area avversaria al 98esimo partendo dalla difesa?

 

Spalletti, insomma, ha ragione quando dice che si deve fare meglio sia quando si gioca a tre dietro che quando si gioca a quattro, che la squadra deve essere capace di giocare in entrambi i modi, ma forse non ha ancora capito che, non avendo il tempo materiale per alzare lui il livello da questo punto di vista, è costretto a farlo scegliendo meglio chi può farlo al posto suo in campo. Alla luce dei calciatori che ha a disposizione, ovviamente, ma anche dell’avversario che si trova di fronte di volta in volta. E da questo punto di vista il suo Europeo finora non è stato molto rassicurante. 

 

Il 3-5-2

La partita con la Croazia si è aperta con la scelta di cambiare modulo, passando dal 4-3-3 al 3-5-2 – due moduli più simili di quanto non si dica, soprattutto se hai a disposizione più di un centrale in grado di staccarsi dalla linea difensiva per aggiungersi al centrocampo. Per assecondare le esigenze geometriche, se così possiamo dire, del nuovo modulo, Spalletti ha deciso di sacrificare Frattesi per il terzo centrale (Darmian), e Chiesa e Scamacca per avere una coppia di attaccanti che potesse avere caratteristiche complementari sul fronte d’attacco: Raspadori che veniva tra le linee a cucire il gioco e Retegui che invece attaccava la profondità alle spalle della linea difensiva croata. Una scelta che in parte ha pagato, soprattutto nel fornire un uomo in più tra le linee in grado di ricevere alle spalle delle mezzali croate (cioè Raspadori). L’attaccante del Napoli è stato il giocatore che ha creato più occasioni da gol di tutta la partita (4, insieme a Calafiori) e potrebbe essere un’idea anche per le prossime partite, magari accanto a Scamacca con cui ha giocato bene già a Sassuolo.

 

Quando gli sono state chieste le ragioni di queste scelte prima del fischio d’inizio, però, Spalletti ha parlato soprattutto di come fermare gli avversari. «Avevo l’esigenza di mettere uno più vicino alla prima punta, Scamacca è rimasto troppo solo nella prima partita. E poi avevo bisogno di assorbire i tagli dei loro centrocampisti, loro hanno due terzini che spingono moltissimo e ci sono già due che li aspettano. E allo stesso tempo manteniamo intatta la qualità a centrocampo, per far alzare gli esterni».

 

La formazione scelta da Dalic ha però smentito sul nascere le premesse con cui Spalletti aveva scelto la sua. La Croazia ha infatti deciso di mettere in panchina i «due terzini che spingono moltissimo» (cioè Perisic e Juranovic, che avevano giocato contro l’Albania), sostituendoli con due esterni bassi molto più di palleggio come Gvardiol e Stanisic, e ha spostato i centrocampisti che tagliavano senza palla (cioè Pasalic e Stanisic) sulle ali, cioè alle spalle dei nostri esterni che in teoria avrebbero dovuto alzarsi per via della difesa a tre. L’intenzione di tamponare la natura offensiva dell’avversario, insomma, è venuta meno in partenza, e il 3-5-2 per paradosso ha avuto più senso quando la palla ce l’avevamo noi, le sporadiche volte che riuscivamo a risalire il campo con l’uscita dal basso, utilizzando il pressing alto croato a nostro vantaggio.

 

L’idea, in questo senso, era quella di giocare inizialmente in mezzo, dove la Croazia era portata a fare densità sia in fase di possesso che di non possesso, per poi trovare «la buca dall’altra parte», come ha detto Spalletti sempre a Sky Sport dopo la partita, cioè cambiare gioco verso l’esterno alto e largo sul lato opposto, libero per via della tendenza della Nazionale di Dalic di rimanere sempre molto stretta orizzontalmente sul campo. Una strategia che, anche quando ha funzionato (e ha funzionato almeno un paio di volte nel primo tempo – la prima al settimo minuto grazie a un tocco geniale di Pellegrini verso Raspadori), è stata vanificata dal pessimo stato di forma sia di Di Lorenzo che di Dimarco, che non sono stati in grado di mettere in area palle interessanti da trasformare in occasioni da gol. 

 

 

Se questo pattern di gioco si è visto però solo a sprazzi non è solo perché, come dice Spalletti, non siamo riusciti a giocare bene in uscita, ma anche perché l’Italia è scesa in campo con l’idea di non avercelo proprio il pallone (al 25′ la grafica della UEFA ci informava che il possesso azzurro si attestava al 37%), e di attaccare il più possibile in maniera diretta. E se si tocca poco la palla, o la si tocca con l’idea di andare in porta con meno tocchi possibile, è più difficile che l’intesa tecnica tra i giocatori si affini, soprattutto per una squadra che non ha i geni di centrocampo che ha la Croazia e che aveva già dimostrato di fare enorme fatica a superare il pressing alto dell’avversario.

 

È qui che entrano in gioco i limiti di Spalletti nella lettura delle partite in questo Europeo, e soprattutto la confusione nel capire come far giocare questa squadra, o forse sarebbe meglio dire la difficoltà nel trovare un equilibrio tra la sua anima palleggiatrice e la sua anima diretta, come ha già sottolineato Daniele Manusia più volte nel suo Diario Italia.

 

Poche idee e confuse

Insomma, l’impressione è che Spalletti faccia ancora fatica a capire quali giocatori mettere in base alla partita che si ritrova davanti, che poi di fatto significa che, oltre che partite aspettarsi, non ha nemmeno capito fino in fondo i giocatori che ha a disposizione. Dopo un primo tempo in cui l’Italia ha fatto grande fatica a uscire dal basso con la palla, e in cui il possesso non arrivava al 43%, il CT ha fatto entrare Frattesi al posto di Pellegrini. Ma qual era l’idea?

 

La mezzala dell’Inter ha dimostrato di avere grande tempismo negli inserimenti in area, ma in un contesto in cui la squadra è capace di attaccare posizionalmente con tutti i propri uomini nella metà campo avversaria. In una partita in cui invece l’Italia aveva ogni volta decine di metri da risalire prima di arrivare all’area avversaria, e in cui passava gran parte del tempo senza palla, l’inserimento di Frattesi – un centrocampista a disagio nel difendere basso e nel condurre in verticale il pallone – è sembrato acuire ulteriormente i problemi della Nazionale, che nei 10 minuti che hanno portato al gol di Modric ha avuto il possesso per meno del 30% del tempo. Una situazione di gioco – quella di difendere a lungo senza palla, con il baricentro basso, e quindi spesso in area – che questa Italia sembra non essere più capace di gestire senza fare una «bischerata» per dirla sempre con le parole di Spalletti, perché di «bischerate» si può parlare sia dell’intervento scomposto con la mano di Frattesi che ha portato al rigore, sia delle marcature blandissime sull’occasione del gol croato con cui Bastoni e Darmian si sono fatti sfuggire prima Budimir e poi Modric, che di certo non ha costruito la sua carriera con gli inserimenti in area. 

 

Quando parte il cross di Stanisic, l’Italia in area sta difendendo un cinque contro due.   

 

È un discorso che assume un peso decisivo soprattutto in vista degli ottavi di finale contro la Svizzera di sabato. Una Nazionale che ci ha già fatto piuttosto male, e che contro la Germania – come ha scritto Daniele V. Morrone – ha dimostrato di dare il meglio quando può cucire una strategia reattiva sui difetti di un avversario che cerca di essere dominante. Avrebbe senso quindi dare alla Nazionale di Yakin la partita che non vuole, cioè una partita in cui è lei a dover gestire il possesso, alzando il baricentro e lasciando molto campo alle spalle di centrali che sono tutt’altro che veloci. Ma per farlo bisogna mettere in conto la possibilità di difendersi in area, dove forse sarebbero più utili difensori meno creativi in conduzione, o nella scelta delle linee di passaggio, ma più efficaci nell’anticipo e nell’uno contro uno come Buongiorno, Gatti e Mancini. 

 

Ovviamente sembra tutto facile quando si deve scrivere dietro a un computer, e un CT deve tenere conto che dove si guadagna da un lato inevitabilmente si perde da un altro: una rosa, qualsiasi rosa, è sempre una coperta troppo corta. Adesso che è sopravvissuto alla fase a gironi, però, Spalletti dovrebbe tornare ad avere la tranquillità e la fiducia per fare ciò per cui è stato chiamato sulla panchina della Nazionale: fare scelte difficili, crederci fino in fondo, sopportare il peso delle conseguenze. 

 

La squadra che ha selezionato è già piena di scommesse rischiose, che potrebbero rivelarsi risorse utili in un torneo che sembra pagare chi è più in grado di utilizzare tutta la propria rosa. Contro la Croazia si è rivisto Chiesa a destra, dove sembra dare il meglio nonostante le sue remore, e che forse è imprescindibile per una squadra che ha un disperato bisogno di creare superiorità con il dribbling (ieri appena 5 riusciti su 10 tentati). Poi c’è Nicolò Fagioli, convocato a sorpresa al posto di Locatelli, che potrebbe tornare utile non solo al posto di Jorginho, ma anche a fianco di Jorginho, se si volesse provare a consolidare con più qualità il possesso, e resistere meglio alla pressione (forse abbiamo sottovalutato troppo l’uscita di scena di Verratti, e il suo ruolo nel gioco di posizione della Nazionale di Mancini). C’è Raoul Bellanova, che a destra potrebbe dare più spinta di Di Lorenzo, se si volesse attaccare l’ampiezza con più aggressività ed efficacia. E infine Michael Folorunsho, che chissà potrebbe essere l’ultima incarnazione del trequartista incursore, senza il quale Spalletti non sarebbe mai arrivato a indossare l’orribile giacca da CT della Nazionale.

 

D’altra parte, se siamo qui a parlare di questa partita con la tranquillità di giocarne un’altra è principalmente perché Spalletti ha già vinto una scommessa che non tutti avrebbero piazzato. Riccardo Calafiori un anno fa era a Basilea, e la sua carriera ad alti livelli sembrava già sostanzialmente finita. Fino a poche settimane fa, nonostante una grande stagione a Bologna, non era nemmeno sicuro di essere convocato, e lo era ancora di meno di essere uno dei titolari di questa Nazionale. Ieri, ancora prima dell’assist vincente per Zaccagni, è stato soprattutto il suo coraggio a tenerci a galla, la sua determinazione nel credere nel suo gioco a farci respirare nei momenti di difficoltà. Alla fine di un’altra partita difficile per l’Italia, il centrale del Bologna ha messo insieme statistiche irreali: 93% passaggi completati, due duelli aerei vinti su due, un assist, tre passaggi chiave. Dopo il fischio finale è rimasto a terra, le mani sugli occhi, a singhiozzare. «Non so bene dove ho trovato le energie per quell’ultima azione», ha detto dopo il fischio finale. A pensarci, a come è arrivato a quel momento, vengono le vertigini.

 

L’Italia sembra avere bisogno del carisma di Calafiori che però, per via del giallo rimediato ieri, contro la Svizzera non ci sarà. Per Spalletti, quindi, tornerà di nuovo il tempo delle scelte difficili, quello che sembra ancora far fatica a sopportare. Chi farà giocare al suo posto?

 

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Dario Saltari è uno degli scrittori che curano L'Ultimo Uomo e Fenomeno. Sulla carta, ha scritto di sport per Einaudi e Baldini+Castoldi.