Esclusive per gli abbonati
Newsletters
About
UU è una rivista di sport fondata a luglio del 2013, da ottobre 2022 è indipendente e si sostiene grazie agli abbonamenti dei suoi lettori
Segui UltimoUomo
Cookie policy
Preferenze
→ UU Srls - Via Parigi 11 00185 Roma - P. IVA 14451341003 - ISSN 2974-5217.
Menu
Articolo
Manifesto tattico degli ultras dell’Inter
09 ott 2024
09 ott 2024
Le indagini hanno fatto emergere la competenza dei vecchi capi della Curva Nord.
(copertina)
IMAGO / Antonio Balasco
(copertina) IMAGO / Antonio Balasco
Dark mode
(ON)

C’è una scena, all’inizio di quel capolavoro del cinema italiano che è Tifosi, in cui Diego Abatantuono, nei panni del capo ultrà juventino “Zebrone”, si ritrova sul tabellone luminoso del fu Stadio Delle Alpi. La Juventus ha appena perso contro la Fiorentina per un rigore dubbio e Zebrone minaccia di «shfracellarsi» sul tartan sottostante qualora il risultato non fosse stato riportato sullo 0-0. A quel punto, per convincerlo a non compiere l’insano gesto, dalla tribuna stampa si ode la voce dell’Avvocato Agnelli, che dopo avergli chiesto dove fosse finito lo stile Juventus, per blandirlo afferma: «Vede, io credo di aver bisogno dei suoi consigli per la prossima campagna acquisti, di lei mi fido ciecamente». Zebrone, lusingato, procede a elencare come avrebbe costruito la nuova Juventus, con Owen, Rivaldo e Beckham a supporto di Del Piero e Inzaghi. Così, dopo essere stato invitato da Agnelli a raggiungerlo per parlarne a quattro occhi, Zebrone scende dal tabellone luminoso. Salvo poi scoprire che la voce di Agnelli, in realtà, era solo un raggiro e che stava per essere tratto in arresto dalla polizia.

È durata poco l’illusione di Zebrone, che in quel momento ha incarnato un desiderio di un po’ tutti gli italiani: ritrovarsi a discutere della propria squadra del cuore con la proprietà e far valere il proprio parere sul mercato e sullo schieramento in campo. Tifosi, però, è soltanto un film. Uno splendido spaccato sull’epoca d’oro del calcio italiano, certo, ma pur sempre un film.

Chi invece ha vissuto davvero il sogno di dire la propria a dirigenti e allenatore è Marco Ferdico, reggente della Curva Nord di San Siro salito alla ribalta in questi giorni per via dello scandalo che ha coinvolto gli ultras di Inter e Milan.

Pare infatti che i capi ultrà interisti riuscissero a interloquire con la società non solo su questioni di tifo, ma anche su argomenti di campo. Così, il direttivo della curva arrivava anche a dialogare con Simone Inzaghi, che si sarebbe stupito delle loro competenze calcistiche: «Quando abbiamo scambiato due battute col Mister, è rimasto spiazzato dalla competenza tecnico-tattica che c’è in giro. Anche lui fa: “cazzo, ma allora ne capite di calcio!”», aveva dichiarato Ferdico in una live su YouTube.

In effetti, non ci sentiamo di contraddire Inzaghi. Da ciò che è emerso in questi giorni, tra rivelazioni degli atti dell’inchiesta e vecchie clip ripescate da YouTube, Ferdico esprime opinioni di campo condivisibili e circostanziate. Da quando ha iniziato a circolare la notizia sui suggerimenti a Simone Inzaghi, siamo tutti rimasti stupiti da questa attenzione per i dettagli di campo, e pian piano hanno iniziato ad emergerne sempre di più. Ecco perché abbiamo provato a ricostruire una sorta di manifesto tattico dei capicurva interisti.

Le idee di Marco Ferdico

Il principio cardine è che Marco Ferdico vuole sempre che la sua squadra sia proattiva, perciò «la Curva Nord sposa i progetti vogliosi di vincere, anche con il rischio […] anche a costo di lasciare punti per strada, che tanto poi li lasci lo stesso».

Potrebbe sembrare una dichiarazione generica, ma se la si rapporta allo spirito del tempo non lo è per niente. Senza assumersi rischi, nel calcio, non si va da nessuna parte. La sofisticazione tattica dei nostri giorni è tale che anche le squadre più piccole possono trovare il modo di inibire le grandi. Per questo bisogna essere coraggiosi e propositivi, senza dimenticare di curare anche gli aspetti difensivi.

Va da sé, allora, che l’allenatore di riferimento per Ferdico sia Antonio Conte, definito “numero 1” su Instagram in una storia in cui ne elogiava la mentalità a seguito di una dichiarazione del tecnico salentino secondo cui «la sconfitta è un lutto che dura dalle 36 alle 48 ore».

Conte è l’uomo forte, desiderio recondito di un po’ tutti gli italiani, anche di alcuni interisti, che gli sono rimasti devoti nonostante il gioco espresso con Inzaghi. È facile riconoscersi nella grinta di Conte, nella rabbia delle sue urla verso i calciatori, ma la fascinazione da parte degli ultras nerazzurri è più profonda. Il fatto è che il modo in cui Conte coniuga pericolosità offensiva e solidità è davvero unico: non è un caso che da quando sono iniziati i guai per la Curva Nord l’Inter stia accusando problemi difensivi. Tra i vari incontri tenuti alla Pinetina, pare che il direttivo degli ultras avesse avuto un faccia a faccia con Milan Škriniar, all’epoca capitano dell’Inter: non è peregrino pensare che i dubbi sull’atteggiamento timoroso dello slovacco («Hai visto che gli tremava la voce», si legge nelle intercettazioni) abbiano portato i capi della curva a suggerire a Inzaghi di metterlo da parte per puntare su Darmian braccetto di destra (a proposito, chissà che ne pensano i capi ultrà interisti del termine ‘braccetto’, spero che anche loro lo trovino orripilante).

Conte, quindi, come allenatore a cui ispirarsi, un concetto valido per tanti tecnici italiani. E da buon contiano, quale potrebbe essere il modulo di riferimento di Ferdico, se non il 3-5-2? Il 3-5-2, con i cross da esterno a esterno, i difensori che conducono e le due punte, è il ritratto di ciò che piace a noi italiani, la strada attraverso cui ci siamo adattati alla contemporaneità, sofisticazione e semplificazione incarnate in un unico modo di occupare il campo.

Il 3-5-2 è la stella polare, soprattutto nei momenti di difficoltà. Lo hanno capito tutti tranne Luciano Spalletti agli Europei: e infatti il CT è stato oggetto di forti critiche da parte di Ferdico. L’ultras interista lo ha rimproverato per le scelte contro la Spagna, ma da amante dei centrocampisti di palleggio è facile pensare che in realtà Ferdico avesse iniziato a dubitare di Spalletti già dalla mancata convocazione di Locatelli. In ogni caso, la sua analisi è stata spietata e precisa. L’Italia avrebbe dovuto essere più prudente, viste le caratteristiche della Spagna di De La Fuente, meno posizionale ma «con gamba», come dicono oggi gli addetti ai lavori, piena «di giovani veloci, rapidi». L’Italia, secondo Ferdico, avrebbe dovuto riconoscere la sua inferiorità e schierare il 3-5-2, «con una difesa praticamente fatta con Darmian e Bastoni» e Calafiori al loro fianco. Inoltre, «giocando con la difesa a tre avevi la possibilità di schierare Dimarco e Cambiaso a tutta fascia e di lasciare fuori Di Lorenzo, che ha fatto un’annata pessima a Napoli». In mezzo, accanto agli inamovibili Jorginho e Barella, «se volevi un po’ più gamba mettevi Frattesi, se volevi un po’ più qualità mettevi Pellegrini». Le punte avrebbero potuto essere Scamacca e Chiesa.

È una considerazione fattuale: contro squadre piene di ali dribblomani, com’erano Nico e Lamine Yamal nella Spagna, il 5-3-2 è utile perché i quinti ricevono aiuto dai braccetti e anche dalle mezzali che scivolano verso la fascia. Invece cos’ha fatto Spalletti? Ha adottato il 4-3-3, «l’ha voluta giocare a viso aperto, accettando l’uno contro uno sugli esterni, dove Jamal e l’altro ragazzo, Nico, ci hanno preso in giro».

«Speriamo che capisca che il 4-3-3 non è per questa Nazionale», aveva concluso. Purtroppo non è andata così. A parte la gara con la Croazia – dove comunque ha schierato uomini diversi da quelli suggeriti da Ferdico – contro la Svizzera Spalletti ha insistito col 4-3-3. Risultato: la Svizzera ha giocato sulle debolezze di quel sistema di gioco, sull’inconsistenza di Di Lorenzo e sulla nostra incapacità di difendere gli half spaces ai fianchi del regista Fagioli, spazi che avremmo potuto tamponare con le uscite aggressive dei braccetti del 3-5-2.

Immagine tratta dalla nostra analisi di Italia-Svizzera in cui, come Ferdico, sottolineavamo la miopia di schierare un 4-3-3 del genere, con buchi da tutte le parti.

Insomma, il disastro di Euro 2024 era preannunciato. Chiunque cerchi di guardare con occhio analitico le partite se n’era accorto. E, a proposito di analisi, pare che una parte degli introiti dal sovrapprezzo dei biglietti e dal controllo dei parcheggi di San Siro fosse destinata a finanziare gli abbonamenti a The Athletic e Wyscout, in modo che i capi ultrà interisti potessero abbeverarsi delle analisi di Michael Cox, guardare le partite dei prossimi avversari dell’Inter e scaricare i report statistici sulla Serie A.

Attaccare

Da qui si capisce la premura nel fornire consigli a Inzaghi. I lettori più distratti, in questi giorni, hanno trovato assurdo il suggerimento di giocare con due punte emerso nelle intercettazioni, perché Inzaghi ha sempre giocato con due attaccanti. Ferdico, però, stava suggerendo di farlo anche quando si resta in dieci uomini. Abbiamo elogiato Thiago Motta in questi giorni per la sua scelta di mantenere un atteggiamento offensivo nonostante l’inferiorità numerica in casa del Lipsia, Ferdico non stava sostenendo nulla di diverso.

Lo testimonia ancora il video su YouTube citato a inizio articolo, dove parla di campo a nome della curva: «Inter-Empoli in casa [vinta 0-1 dall’Empoli a gennaio 2023, nda], rimani in dieci con San Siro a tuo favore, al posto di levare Correa e inserire Bellanova, gli ultras dell’Inter avrebbero preferito l’inserimento di Dzeko che tiene su la palla e al posto di passare al 5-3-1 forse era meglio tenere in campo le due punte per azzardarne tre nel finale con Lukaku». Lo stesso sarebbe dovuto accadere a Genova contro la Sampdoria, «l’attacco peggiore del campionato, che ha fatto solo dieci gol».

E così si arriva a una nota dolente per molti interisti fino a qualche tempo fa. Inzaghi contro la Lazio era solito, nei primi anni, schierare Gagliardini per contrastare il gioco aereo di Milinković-Savić. Ma davvero era una mossa necessaria? «È un atteggiamento provinciale, perché tu rinunci a Čalhanoglu, che è il fulcro del nostro gioco, perché hai paura di Milinković-Savić».

Insomma, spulciando su Internet non è raro imbattersi in constatazioni tecniche simili a queste. D’altra parte, il video si chiude con una digressione che nasconde una frecciatina nei confronti della FIGC e del sistema calcistico italiano, che difatti rende impossibile fare carriera da allenatore a chiunque non sia stato calciatore professionista. «Tanti di noi hanno giocato in Eccellenza, Serie D, Promozione. E quando tu giochi e fai tanti anni con un allenatore che ha un patentino UEFA A/B, poi le nozioni che ti spiega ti entrano in testa. Abbiamo la fortuna di essere arrivati in un punto dove il calcio non è solo rincorrere il pallone, ma anche avere due nozioni di marcature preventive, di giro palla, di andare a prendere l’avversario in un determinato modo». È un dato comune a tante altre persone in tutta Italia, a chi ha giocato nei dilettanti e, col tempo, si è appassionato di tattica e metodologie di allenamento. Eppure, la FIGC col suo sistema di punteggi e di selezione nega l’accesso ai corsi ai tifosi interisti così come a tutti gli altri appassionati di questo Paese. Il risultato è che le panchine si riempiono di ex giocatori e alla fine i nomi sono sempre gli stessi. Qualcuno ai vertici del calcio italiano dovrebbe trarre spunto da tutta questa vicenda e riflettere, aprirsi di più al mondo esterno.

Forse è il caso di specificarlo visto il clima pesante, ma questo articolo, a parte i virgolettati presi da YouTube, è totalmente ironico. Ciò che è reale è il calore con cui le curve di San Siro hanno spinto le milanesi negli ultimi anni: non ricevere lo stesso supporto dopo i recenti fatti di cronaca, potrebbe condizionare il rendimento di Inter e Milan. Lo stesso Inzaghi, in una delle intercettazioni, si era detto preoccupato per la minaccia di sciopero del tifo in finale di Coppa Italia contro la Fiorentina un paio d'anni fa.

Quando si assiste a una partita in curva, non è raro sentire il lanciacori che invita i presenti a ignorare ciò che accade in campo e a cantare: è una regola sacra, scegliere determinati settori implica mettere la partita in secondo piano, bisogna essere protagonisti tanto quanto i giocatori perciò ci si deve preoccupare solo di tornare a casa senza voce e non bisogna lamentarsi se le bandiere impallano la visuale. Insomma, ai veri ultras, per definizione, della partita non frega niente, i più devoti all’ideale trascorrono la totalità dei 90’ con le spalle rivolte al campo per assicurarsi che tutti stiano facendo il loro dovere.

In questo caso, invece, tra i suggerimenti tattici dei tifosi interisti e l’intercettazione secondo cui il “Barone”, storico volto del tifo milanista, avrebbe preferito De Zerbi a Conte, c’è da pensare che per qualcuno la partita sia più importante di quanto non sembri. In ogni caso, problemi minori in una vicenda piena di dettagli che, con il mondo ultras e con i valori identitari che questo porta avanti, non dovrebbero avere nulla a che fare.

Attiva modalità lettura
Attiva modalità lettura