Dani Parejo è solo un classico regista spagnolo. L’ennesimo manierista, affettato, letargico, regista spagnolo; col passo di chi è appena sceso dal letto, così lento con la palla tra i piedi che sembra giocare con una cartina stradale in mano, leggendo i nomi delle strade negli incroci immaginari che vede nel campo da calcio. È il tipo di centrocampista che fa impazzire chi non vuol vedere la palla andare all'indietro o in orizzontale, mai. E ne va fiero, nelle sue interviste - tutte più interessanti della media delle interviste ai calciatori - dice cose come: «A volte un passaggio di due metri o di cinque è meglio di uno di venti, o di un cambio di gioco». Pretenzioso, dannazione.
Dani Parejo che Alfredo Di Stefano apprezzava al punto da rifiutarsi di andare a vedere le partite della squadra giovanile del Real Madrid se non giocava lui. Ma anche, Dani Parejo che per qualche ragione a 19 anni è andato al Queens Park Rangers di Briatore e al primo tackle subito - che ha portato a un cartellino rosso diretto per il suo avversario - ha detto al padre che dovevano sbrigarsi a tornare in Spagna. Dani Parejo schiacciato tra la generazione di Iniesta e Sergio Busquets e quella di Pedri e Gavi; che ha vinto l’Europeo Under 21 ma poi ha dovuto aspettare di compiere 29 anni prima di giocare la sua prima partita con la Nazionale spagnola. Dani Parejo che ha sempre giocato in squadre reattive, verticali, in cui era l’unico a mettere ordine: il Getafe, il Valencia, oggi il Villarreal.
Proviamo a fare il punto. Nel discorso sportivo italiano, in questi anni trainato come un pianeta satellite dal sole di Massimiliano Allegri, esistono solo due tipi di squadre. Due modi di giocare a calcio. Quello “semplice”, con la palla che si muove sempre in avanti, solo passaggi veramente utili. Il calcio in cui “non c’è niente di male” a giocare in contropiede, difendendosi magari nella propria area, perché una squadra deve “saper soffrire”. E il calcio opposto, che ha subìto l’influenza del pensiero unico guardiolista, boh chiamiamolo così, in cui al posto del punteggio finale si guarda la % di possesso palla e i giocatori sono delle “cavie” nelle mani dei loro allenatori. E in questo discorso il Villarreal di Unai Emery è stato catalogato nel primo tipo di squadre. I quarti di finale di Champions League '21-'22 con il Bayern Monaco di Julian Nagelsmann, vinti con un machiavellico 1-0 in casa e 1-1 fuori, sono stati letti così: come la squadra contropiedista che batteva quella cervellotica che si complicava la vita inutilmente. Basta guardare Dani Parejo, però, per capire che questo genere di letture è falso.
Dopo tre minuti della partita di ritorno il Villarreal ha battuto un fallo laterale vicino alla propria bandierina del calcio d’angolo, sul lato sinistro. Anziché allontanare la palla dalla propria area di rigore, Dani Parejo, Estupinian e Pau Torres se la sono scambiata nello stesso triangolo, facendo correre a vuoto Goretzka e Lewandoski, finché Pau Torres è stato abbastanza libero da poter andare sul lato opposto.
Quell’azione (come ha sottolineato anche John Muller su The Athletic) poi si è sviluppata fino a portare al tiro Gerard Moreno, dopo 34 passaggi consecutivi del Villarreal, un minuto e mezzo di possesso, con la palla che è passata dai piedi di Dani Parejo a diverse altezze di campo.
Un po’ lunghino come contropiede, no?
«Nel calcio di oggi la cosa più difficile è avere tempo e spazio. Col tempo per pensare ed eseguire tutti giocano meglio», ha detto Dani Parejo in un’intervista a El Pais.
«Devi provare a ritagliarti il maggior tempo possibile quando hai il pallone e, soprattutto, prima di averlo. La chiave è pensare prima di riceverlo così da poter avere più tempo per pensare poi quando ce l'hai». Notare la ripetizione, non elegantissima dal punto di vista retorico ma significativa: bisogna pensare, prima che la palla arrivi, così da avere più tempo per pensare, una volta controllata. Non sono queste il genere di cose che dicono quelli che vogliono far sembrare il calcio più complicato di quello che è?
Il fatto è che le dicotomie di cui ci stiamo nutrendo in questi anni non aiutano a capire meglio le partite, le squadre o i giocatori. Nel calcio non c’è niente di “giusto” o “sbagliato” a priori, ma solo “strumenti” che possono o meno essere utilizzati con efficacia (provate a montare un tavolo con coltello e forchetta, o a mangiare col cacciavite, però poi non prendetevela con loro). E si possono anche combinare, questi strumenti, per adattare il proprio gioco alle caratteristiche dei giocatori in squadra. Si può, ad esempio, difendere tenendo palla. Giocare in transizione, con passaggi verticali, cominciando però l’azione dal basso. Come fa il Villarreal, appunto.
Una lettura altrettanto “semplice” ma più vicina al significato di Bayern-Villarreal potrebbe essere quella che si concentra sul ritmo, sul controllo del tempo cioè. Ha vinto una squadra capace di resistere all'intensità del Bayern. Certo il Villarreal ha difeso e giocato spesso alla velocità voluta dal Bayern (vedetela come un braccio di ferro, in cui il braccio più vicino al tavolo per la maggior parte del tempo è stato quello del Villareal: nel calcio c'è sempre l'avversario da tenere in conto), ma ha provato quando possibile a dilatare i propri possessi così da rallentare, senza allungarsi né precipitarsi, rosicchiando ogni secondo possibile.
Dani Parejo in alcuni momenti teneva palla così tanto che sembrava davvero il suo scopo fosse perdere tempo. Ma se lui tiene palla tra i piedi finché Thomas Müller, ad esempio, non arriva a pressarlo, e aspetta davvero che Müller (uno dei migliori al mondo nel portare pressione) faccia l’ultimo passo verso la palla prima di passarla - come una volta i portieri aspettavano l’arrivo del centravanti prima di alzare la palla da terra con le mani, quando ancora era possibile raccogliere con le mani i retropassaggi - quel tempo “perso” in realtà lo ha fatto guadagnare al compagno di squadra, su cui Müller stesso deve andare in pressione.
Sembra che stia solo tenendo palla per il piacere di farlo, invece sta aspettando che il terzino si alzi per giocare la spalla dietro la pressione avversaria.
Sono quasi dieci anni, cioè da quando è nato l’Ultimo Uomo, che al centro del gioco del calcio c’è il tema del tempo e dell’intensità sempre maggiore a cui si giocano le partite di alto livello (e da dieci anni ne scriviamo). È un aspetto sottolineato spesso, molto visibile, che determina la spettacolarità di una partita. Ma occhio a scambiare l’intensità come misura della qualità. Dove ci sono ritmi alti, c’è sempre bisogno di giocatori in grado di rallentare. Non giocatori lenti in assoluto, mai di fretta piuttosto, giocatori che si prendono il loro tempo.
Si rallenta per poi accelerare, si gioca all’indietro e in orizzontale per trovare uno spazio in verticale. Le partite di Dani Parejo sono per feticisti del gioco di sponda, per chi ama la sua capacità di giocare di prima sull’uomo libero. Al tempo stesso è tra i centrocampisti che hanno creato più Expected Assist quest’anno (nel 3% migliore dei suoi pari ruolo, per Statsbomb) e tra quelli che fanno maggiormente avanzare la propria squadra con i passaggi (7%), passando quindi la palla in avanti.
Un altro esempio di giocata “facile” che però porterà al gol del momentaneo 1-0 all’Old Trafford contro lo United (andata del girone, il Villarreal perderà 2-1).
Nell’intervista di El Pais sopra citata, a un certo punto il giornalista chiede a Parejo: e come si crea il tempo se gli avversari fanno di tutto per negartelo? Parejo risponde: «I controlli ti aiutano. Se con quel tocco riesci ad allontanarti dall’avversario. Da lì puoi creare superiorità. Ma se non vuoi dipendere interamente dal gesto tecnico è meglio anticipare cosa può succedere, sfruttando anche i movimenti dei compagni».
Esiste un’idea di calcio più semplice di questa? È questo che intende Allegri quando parla di giocatori “pensanti”? Sarebbe paradossale se il prototipo ideale del suo calcio fosse il classico regista spagnolo, no?
Ad ogni modo, Dani Parejo che ha vinto la sua prima coppa internazionale - l’Europa League - la scorsa stagione con il Villarreal, che ha lasciato il Valencia dopo 9 anni perché il proprietario voleva risparmiare e lo ha lasciato andare a zero, e che ha festeggiato da poco il suo trentatreesimo compleanno, dopo aver battuto il Bayern giocherà da protagonista le semifinali contro il Liverpool di Klopp, ovvero la squadra più intensa del mondo. Quale palco migliore per mettere in mostra la sua arte?
Dani Parejo come un incantatore di serpenti, come un illusionista che fa sparire la moneta dietro all’orecchio. Non sembra quasi coevo di giocatori come Salah e Mané, eppure tra qualche giorno si contenderanno la stessa palla, e finché ce l’avrà lui non ce l’avranno loro. Il calcio è una battaglia per il controllo del pallone, e quindi del tempo. Ed è una battaglia che si gioca su ogni pallone, su ogni azione.
Prima Parejo finge di voler giocare sul lato sinistro, poi dopo essersi girato sceglie di nuovo la soluzione più difficile, servendo Trigueros con un filtrante nello spazio e non con una palla sui piedi. Sono dettagli, ma fanno la differenza.
Il Bayern ha segnato il gol del momentaneo 1-0 intercettando un suo passaggio in verticale, a inizio secondo tempo. Proprio quando Parejo ha deciso di accelerare il ritmo, il Bayern lo ha punito. Mezz’ora dopo, però, quando la partita sembrava nelle mani dei tedeschi, Dani Parejo ha raccolto una palla al limite dell’area, in mezzo a quattro avversari. Ha frenato, ha guardato a sinistra e ha fintato un lancio per trarre in inganno Kimmich, girandosi verso destra. E quando gli è venuto incontro anche Goretzka si è allungato per accelerare leggermente la giocata e ha servito Manu Trigueros alle spalle del tedesco.
È stata la giocata decisiva, quella che ha sbilanciato il campo verso la porta del Bayern Monaco. Ed è stata eseguita in tutta calma, con gesti ampi e lenti, sfruttando ogni centimetro e ogni secondo a disposizione. Parejo ha detto di aver imparato giocando per strada a tirarsi fuori da situazioni complicate e sembra che la sua natura più intima, venga fuori meglio in contesti difficili. Proprio quando è l’unico, o quasi, a dover rallentare.
Il suo carisma si nota per contrasto, Dani Parejo è la persona che resta calma mentre la casa prende fuoco, che non esce prima di non aver salvato dall’incendio i documenti, qualche vestito e il libro che sta finendo di leggere. E non c’è incendio più caldo, contrasto più forte per un giocatore come Dani Parejo, che giocarsi una semifinale di Champions League a 33 anni contro il Liverpool di Jurgen Klopp.