Tra tutti i mestieri in cui si può parlare con abbastanza serenità di nepotismo - o di nepo-baby, dal neologismo reso celebre da una recente copertina del New York Magazine - il calcio, e lo sport in generale, sembra uno dei meno attaccabili. Se il talento e il merito sono principi indefinibili, quando sei buttato in un campo da calcio insieme ad altre 21 persone che vogliono distruggerti, tuo padre può fare poco per te.
Nepo-baby
Almeno in apparenza: se invece andiamo a guardare i nomi sulla maglia, i figli di sono tanti. O almeno sembrano tanti. Solo nella Juventus ci sono Chiesa (Federico, figlio di Enrico) e Weah (Timothy, figlio di George), nell’Inter c’è Thuram (Marcus, figlio di Lilian), nel Napoli Simeone (Giovanni, figlio di Diego) ma la lista è molto lunga e spesso anche in cognomi che non riconosciamo si può nascondere un padre, un nonno o una madre con un passato nel calcio a livello più o meno alto.
Le ragioni però è difficile associarle al nepotismo puro e semplice, al fatto cioè che sono stati i padri a piazzarli lì come se fosse una scrivania pubblica. Ci sono tanti altri motivi, più o meno scientifici, per cui un figlio può seguire le orme della famiglia nello sport con successo. Una, la più banale, ma anche la meno certa, è la genetica. Se è solo in parte vero che la mela non cade mai lontana dall’albero, ereditare i geni di uno o più atleti professionisti certo non è uno svantaggio. Ci sono poi motivi, diciamo, sociali e culturali: crescere in una famiglia con un regime di vita da atleta, il senso di imitazione verso i genitori, l’abitudine a convivere con genitori abituati a considerare la competizione come una compagna di vita, ma anche solo frequentare uno spogliatoio (secondo diversi opinionisti questo è stato uno dei segreti della dinastia dei Golden State Warriors, guidata da Curry e Thompson, cresciuti seguendo in giro per gli Stati Uniti i padri che giocavano in NBA, con accesso praticamente libero alle strutture).
Ci sono poi ragioni più imperscrutabili, che possiamo vagamente imputare al nepotismo. I figli di hanno un accesso facilitato alle giovanili dei club di fascia alta fin da piccolissimi e, se non è ancora dirimente, allenarsi nella Under 10 di una squadra di Serie A permette al bambino di avere strutture e allenatori migliori rispetto a un pari età che frequenta la scuola calcio del quartiere. Si può dire anche che crescendo, magari, con loro si chiuda un occhio: siamo sicuri che i figli di Zidane, quelli di Totti, Mancini e Beckham avrebbero avuto le stesse opportunità con un altro nome sulla maglia?
Insomma, il caso è complicato e non sono qui per fare una lista di nepo-baby del calcio o indagare su cosa è andato storto con i figli di Pelé e Maradona. Sono qui, invece, per il più recente e ingombrante caso di figlio di del calcio italiano: Daniel Maldini.
Con lui infatti parliamo di un caso di uber-figlio di, dove Daniel è la terza generazione (c’è anche il nonno Cesare) e dove, soprattutto, il padre è “Paolo Maldini”, l’icona del calcio italiano per eccellenza, nonché un cognome che si può tradurre facilmente con l’essenza stessa del Milan. Parlare di un “Maldini” implica necessariamente un rimpallo di vantaggi e svantaggi, di speranze e delusioni. Essere oggettivi è praticamente impossibile. Prima delle ultime settimane il giudizio su Daniel era abbastanza unanime: un calciatore che occupava un posto in Serie A solo per il cognome, poi sono arrivati 3 gol nelle ultime 4 partite col Monza e ora abbiamo un dubbio. E se fosse davvero un “calciatore”? Ma un Maldini può essere solo un calciatore?
L’avvento di Daniel
Nel 2017, dopo che Daniel Maldini ha vinto il campionato con il Milan Under 16, Tuttosport gli dedica una pagina con il titolo gigante Dinastia Maldini e la sua foto accanto al padre e al nonno. Daniel ha quasi 16 anni. Il messaggio implicito è: ecco guardate un altro Maldini che alzerà la Champions League. Nessuno accenna al fatto che Daniel ha vinto tra i pari età, mentre il padre alla stessa età stava per debuttare con il Milan, e dalla stagione successiva sarebbe stato titolare per i seguenti 20 anni.
Nel 2018 Filippo Galli, responsabile delle giovanili del Milan, dice che: «Sì, effettivamente ha delle movenze di Paolo, lo stile della corsa è simile». Se la sua frase era puramente oggettiva (corrono in maniera simile), l’impatto sull’immaginario diventa: abbiamo un nuovo Paolo. Negli stessi giorni Daniel si allena con la Prima squadra e il Corriere ci scrive un articolo. Le foto di lui accanto a Higuain o agli altri giocatori invadono internet. Nessuno lo ha scritto in maniera implicita, ma l’idea è che quello fosse, per diritto divino, il posto di Daniel e che sarebbe dovuto essere lui a guidare il resto della squadra.
I tifosi, in un momento in cui il Milan non è ancora uscito dalla banter era, iniziano - tra l’ironico e il sognante - a vedere Daniel Maldini alzare l’ottava. È la forza del cognome che sembra spingerlo verso la gloria, come se il nome dietro la maglia potesse magicamente fargli resuscitare il Milan. A marzo del 2019 arriva la convocazione con l’Italia Under 18, l’articolo di Gianluca Di Marzio che ce lo comunica si chiude con la frase: Maldini e il Milan, una storia infinita: ora è il turno di Daniel. I video delle sue giocate in Primavera ottengono, è facile capire il motivo, uno spazio sproporzionato sui social.
CHE PUNIZIONE DI MALDINI JR.
In estate viene aggregato alla prima squadra per la tournée negli Stati Uniti. Entra nell’amichevole contro il Manchester United che finisce ai rigori. Daniel sbaglia il quinto. Giampaolo dice «ho deciso io che doveva tirare il quinto, quello decisivo. Fa parte del percorso», qualcuno fa notare come i rigori non siano la specialità della casa, dove per casa si intende casa Maldini. A fine novembre viene convocato per la prima volta con i grandi, l’attesa per l’esordio del terzo Maldini è spasmodica. Qualche giorno prima aveva rinnovato il contratto fino al 2024.
Maldini il raccomandato
È questo il momento in cui la percezione su Daniel inizia a cambiare. Finché se ne stava in Primavera, dopotutto, non faceva male a nessuno. Ma in prima squadra? L’idea è che Daniel abbia preso il posto di qualcun altro perché raccomandato. Inoltre il suo approdo tra i grandi coincide praticamente con l’approdo del padre al ruolo di DS del Milan. Fare 2+2 è troppo facile, ed è impossibile non vederci almeno un briciolo di favoritismo. Daniel esordisce il 2 febbraio 2020 a 18 anni a Verona. Gioca un minuto, subentrando a Castillejo: da qualche parte bisogna pur iniziare.
La stagione successiva arriva la prima partita da titolare: è agosto e Pioli, senza attaccanti, sceglie Maldini come centravanti contro il Rio Ave, preferendolo a Colombo (con qualche mugugno per i soliti motivi). Daniel gioca 67 minuti senza incidere, al suo posto entra Leao. La partita rimane a suo modo storica, con la vittoria arrivata dopo 24 rigori. Da quel momento il Milan vola, Daniel è in rosa ma è puramente ornamentale. Gioca però da titolare in Europa League a girone già passato, qualcuno di nuovo storce il naso. Qualche giorno dopo Paolo si sente in obbligo di ricordare che il calcio è democratico: «Lui è ancora a casa con me, lo vedo tutti i giorni. Qua a Milanello ci salutiamo in maniera normale. Un po’ come succedeva con me e mio papà. Il calcio è uno sport democratico, lui è al Milan perché merita di essere qui». Qualche giorno prima Leao l’aveva indicato come “sorpresa del 2021”: «perché ha tanto talento».
Maldini non è la sorpresa del 2021. Pioli non lo vede e il sottotesto è sempre lo stesso: che senso ha tenerlo nella rosa di una squadra che si gioca i primi posti in Serie A se non è al livello dei compagni? Non sarebbe meglio mandarlo in prestito da qualche parte? Ci si inizia a interrogare sul suo vero valore: per qualcuno è da B, per qualcun altro neanche da Lega Pro. Il padre lo terrebbe al Milan per proteggerlo dalla realtà, cioè che non sia davvero un calciatore di talento. Sono giudizi basati su pochissimi minuti giocati e che, inevitabilmente, risentono della condizione di Daniel. È davvero possibile che non sia raccomandato con quel padre? Anche il fatto che venga inserito tra i 100 nominati per il Golden Boy del 2021, diventa un modo per ironizzare sul suo reale valore.
Daniel rimane al Milan anche dopo l’estate 2021 e la sua presenza diventa sempre più un mistero. Gioca pochissimo, ma tutti i suoi compagni ne sottolineano il talento. Dopo Leao tocca a Saelemaekers e Giroud parlarne bene. Anche qui, per molti non è un giudizio di chi vede Daniel allenarsi tutti i giorni, ma di qualcuno che vuole lisciarsi il padre: dopotutto è la persona che rinnova o meno i loro contratti. Il 25 settembre Daniel gioca titolare e segna contro lo Spezia: è il primo gol tra i professionisti. Il Milan vince 2 a 1 e, se immaginiamo un campionato come l’insieme di tantissimi momenti decisivi in un senso o nell’altro, è un gol che avrà un’importanza capitale.
Se quel gol poteva lanciarne la carriera non è così: Maldini gioca in totale appena 143 minuti in Serie A, ma è anche vero che davanti a lui ci sono calciatori tra il forte e il fortissimo, e soprattutto una squadra funzionale e che gioca bene. Daniel in ogni caso può mettersi in bacheca lo Scudetto che arriva all'ultima giornata con il Sassuolo. Per i tifosi vedere un Maldini festeggiare è una madeleine, una promessa di felicità. Per qualcuno, però, rimane inevitabilmente una stortura all’italiana, un Paese dove le raccomandazioni familiari sono un tratto distintivo tanto quanto la buona cucina e la moda.
Breve intermezzo: la storia Christian Maldini
In questa storia c’è un altro Maldini sullo sfondo. Più vecchio di sei anni, Christian è il fratello di Daniel e anche lui ha vestito la maglia del Milan. La sua parabola è interessante anche solo in contrapposizione a quella del fratello. Christian entra nel vivaio rossonero nel 2004, a 8 anni. Dieci anni dopo, a 18 anni, esordisce in Primavera. Cristian Brocchi, allenatore della Primavera in quel momento, è costretto dal Corriere della Sera a spiegare com’è allenare un Maldini: «Ha un atteggiamento positivo. Ci sono giovani che non sono figli d’arte, ma sono molto più presuntuosi. Guardi, sono amico di Paolo ma suo figlio gioca se lo ritengo giusto». Poi aggiunge: «Il pericolo è aspettarsi che il figlio abbia le stesse caratteristiche del padre». È uno strano avvertimento.
Christian è un difensore centrale, teoricamente ancora più in continuità con l’eredità dei Maldini, ma in Primavera non trova molto spazio. Anche lui viene bersagliato dalle accuse di nepotismo. Senza il nome Maldini sulla maglia sarebbe lì? Difficile pensarlo. La Primavera è però l’ultimo gradino che Christian percorre nel mondo Milan. Riesce anche a indossare la fascia di capitano per una partita, ma per motivi sempre legati al cognome: pochi giorni prima era scomparso il nonno Cesare ed è una specie di omaggio alla famiglia. Per la BBC è abbastanza per dedicargli un articolo.
Dal Milan passa alla Reggiana. Lui dice «Prima la Reggiana, poi la Serie A». Metterà insieme una presenza, prima di iniziare una carriera tra C e D (con una parentesi a Malta), in cui gli capita anche di marcare il figlio di Renzi. Se lo so, è perché il Corriere della Sera ci ha fatto un articolo. Il picco della sua carriera è allora un’amichevole contro il Milan mentre era al Pro Piacenza: lui da una parte, il fratello Daniel dall’altra e il padre Paolo in tribuna (gol decisivo: Fabio Borini).
Christian si è ritirato a sorpresa a settembre dello scorso anno, dopo una stagione culminata con la promozione in B con il Lecco (lui però ha giocato pochissimo). A 27 anni è passato dall’altra parte della barricata: è infatti entrato nella GR Sports, l’agenzia di procuratori di Giuseppe Riso, una delle più importanti in Italia. Forse è un caso, forse no, ma sia Daniel che Christian sono rappresentati dall'agenzia di Riso. Secondo qualche maligno, poi, anche i rapporti col padre Paolo sono molto stretti (si tratterebbe quindi sempre di nepotismo).
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La storia di Christian, curiosamente, ripercorre in maniera quasi pedissequa quella di Pier Cesare Maldini. Fratello di Paolo, Pier Cesare è entrato da piccolo nelle giovanili del Milan risalendo la scala gerarchica fino alla Primavera ma senza arrivare in prima squadra. Dopo qualche anno in C1 e C2 ha deciso di ritirarsi molto giovane: «Ho smesso perché non avevo più voglia» sarà la sua spiegazione.
Un Maldini fuori da Milano
Il 29 luglio 2022 Daniel Maldini va in prestito secco allo Spezia. Nel video di presentazione lo vediamo guardare in camera e dire: «Solo perché mi chiamo Maldini non vuol dire che io sia nato calciatore. Anche io devo correre e allenarmi, lavorare con impegno tutti i giorni [...] Io sono Daniel, io sono Maldini». Queste esatte parole le aveva pronunciate il padre nel 1995 in un famoso spot per Nike. La differenza è che in quel momento Paolo era già riconosciuto come uno dei migliori difensori al mondo. In bocca a Daniel stonano, sembrano la scusa di un ragazzino ricco che ha appena distrutto una baita di montagna.
«Per i miei figli il cognome Maldini è sempre stato un grosso problema», dice Paolo negli stessi giorni, poi arriva un’intervista di Daniel a Sport Week. Il tema centrale è ovviamente il suo cognome: «È certamente diverso che averne un altro», dice «ma dipende da come la vivi. Io la vivo bene. Ho imparato a viverla bene. A volte è più pesante, altre è più facile». Non sono parole facili da dire, le colpe dei padri ricadono sempre sui figli, anche sotto forma di merito. Daniel, a parole, sembra aver accettato che il giudizio su di lui sarà sempre quello del “raccomandato”: «Non credo smetterà mai. Ovvio, dipende anche da me che finisca. Conta sempre chi le dice, certe cose. A volte ho pensato: magari è vero. È vero e io non me ne accorgo. Ma la maggior parte delle volte me ne sono fregato».
Pochi giorni dopo questa intervista Daniel segna al Milan il suo secondo gol in Serie A, a San Siro. Non esulta. Dopo la partita dice: «Il gol? Evidentemente era scritto nel destino». Paolo risponde qualche giorno dopo mentre è sul palco di un evento con Costacurta che lo incalza: «Era scritto, era scritto. Ho chiesto consiglio a Galliani che mi ha detto che nella settimana prima di Milan-Monza ha cercato di non muoversi per non avere emozioni in caso di gol di uno o dell'altro. Io ho cercato di fare lo stesso, ma dentro da papà non potevo che essere strafelice».
Del Daniel calciatore si parla poco. Per Semplici ha qualche problema a mostrare le sue capacità: «Nonostante sia qui da inizio anno, i compagni devono ancora capire il valore del ragazzo, ma anche lui deve mettersi in condizione di ricevere palla. Deve raccordare, deve farsi vedere, creare spazi». Sembra volerne fare un giocatore importante per la squadra, ma la realtà è che in stagione Daniel mette insieme 18 presenze, per un totale di appena 628 minuti. Segna un altro gol, forse non del tutto casualmente all’Inter. A fine stagione Lo Spezia retrocede e lui torna al Milan. A Milanello però c’è una sorpresa ad attenderlo: il padre è stato licenziato.
Per la prima volta Daniel è l’unico Maldini in rossonero. Ovviamente anche questo diventa un aspetto ironico della sua carriera: cosa farà ora senza il padre a proteggerlo? Se qualcuno si aspetta una specie di punizione divina, questa non avviene. A inizio luglio Maldini viene girato in prestito con diritto di riscatto all’Empoli. Il Milan si tiene comunque una possibilità di controriscatto, una clausola che lascia intendere una volontà di seguire almeno da lontano il suo sviluppo: perdere un Maldini così banalmente sarebbe stata una colpa troppo grande. In ogni caso sembra la soluzione ideale: una piazza senza pressioni, storicamente capace di lavorare con i giovani e anche tatticamente adatta a Maldini, che sarebbe un trequartista, un ruolo sempre più difficile da trovare, soprattutto a livelli più bassi.
Un infortunio lo tiene fermo fino al 23 ottobre, nel mentre l’Empoli ha un avvio di stagione tremendo. Quando torna disponibile chiedono a Andreazzoli cosa si aspetta da Maldini. L’allenatore lo definisce uno dei giocatori più tecnici della rosa, ma quando gli chiedono in che ruolo lo vede è perplesso: «Questa è una domanda che mi faccio anche io». In totale gioca 7 partite, 3 da titolare, 4 entrando dalla panchina, in totale 263 minuti in cui non lascia il segno, schierato da ala sinistra.
Il 10 gennaio l’Empoli risolve il prestito di Maldini, che torna al Milan. Sembra l’ennesima bocciatura, ma la prima cosa che fa tornato a Milano è recarsi a casa di Galliani per diventare un giocatore del Monza, in prestito secco. Per Daniel è la cosa più vicina possibile al rimanere nell’orbita familiare: «Con Galliani mi sento a casa». Palladino lo accoglie con le parole usate più o meno da tutti: «Ha grande talento, che va coltivato: lui viene da una grande dinastia di calciatori e sappiamo che ci può dare una grande mano come trequartista di sinistra».
Se è vero che nel Monza trova una squadra che esalta i trequartisti è anche vero che, dal punto di vista possibilità sembra però un passo indietro: se non giocava nell’Empoli, cosa può cambiare in una squadra con molto più talento? Il fatto che sia andato "proprio" al Monza, cioè dove c'è Galliani e aleggia lo spirito di Berlusconi lascerebbe indicare un proseguimento della sua carriera da raccomandato, un altro posto dove poter nascondere il bluff.
Anche a Monza Maldini parte piano, ma nell'ultimo mese si accende: segna tre gol e serve un assist, tutte giocate decisive. Non gioca neanche tanto (l'unica da titolare è l'ultima col Cagliari), ma incide: nel calcio di oggi è una qualità che non si può sottovalutare, così come non si può ignorare la sua tecnica, che - come dicevano tutti - è indubbiamente di alto livello. Galliani dice di aver chiamato Paolo: «finalmente un Maldini che segna», per Palladino «ha tutto per giocare in un grande club». Non specifica in che club, ma è evidente. Lui non si nasconde: «Il mio sogno non è mai cambiato: tornare un giorno a Milanello, da protagonista». Il Monza, intanto, sarebbe interessato a comprarlo. Si parla di una cifra tra i 3 e i 5 milioni, che sono molto pochi per un calciatore di 20 anni in Serie A, ma che lasciano intendere che forse il valore di Daniel non è così definito, da una parte e dall'altra. In questi giorni il padre era a Miami, dove ha visto la Nazionale contro il Venezuela. Rincon, il capitano della "Vinotinto", gli ha chiesto del figlio: la madre di Daniel è infatti venezuelana e potrebbe scegliere di vestire la maglia del paese sudamericano. Un Maldini con la maglia del Venezuela: sarebbe assurdo ma affascinante.
Ovviamente un mese fatto bene non basta a ribaltare quella vocina dentro di noi che ci dice che Maldini, se non è raccomandato, è stato quanto meno aiutato nel suo percorso di carriera. Per noi è quasi più di un fatto culturale, quasi genetico, ed è difficile scacciare ogni pensiero: come lo facciamo col nostro ex compagno di scuola che entra alle Poste dove lavora il padre, lo facciamo col figlio di Paolo Maldini che diventa calciatore.