Pubblichiamo un estratto del libro di Daniele Manusia Daniele De Rossi o dell'amore reciproco, uscito pochi giorni fa per 66thand2nd.
Da dove viene il nervosismo di De Rossi? È una domanda che in futuro si faranno in molti e a cui faticheranno a dare una risposta. Come detto, è sostanzialmente un bravo ragazzo, ben educato e di buona famiglia. Eppure una delle cose per cui diventa famoso è quella grinta sopra le righe che in alcuni casi ha superato il confine ed è diventata violenza. Una risposta parziale, però, potrebbe essere che il nervosismo di De Rossi è il nervosismo della Roma. Questo è tanto più vero in quei primi anni, nelle sue prime espulsioni rimediate nella stagione 2004/05.
Tanto per cominciare, l’estate prima c’era stato l’Europeo in cui Francesco Totti, molestato, infastidito, provocato dal suo marcatore Christian Poulsen, gli ha sputato in faccia durante la partita d’esordio contro la Danimarca. Lo ha fatto a favore della telecamera che un canale danese gli aveva dedicato per tutta la partita e il suo gesto ha fatto il giro del mondo (e grazie al potere del calcio ha alimentato gli stereotipi sugli italiani all’estero e quelli sui romani cafoni nel resto d’Italia), definito da Totti nella sua autobiografia «la massima vergogna della mia vita» (anche se poi ha dedicato alcune righe alla descrizione di Poulsen come «personaggio pessimo»).
Poi, alla prima giornata di campionato contro la Fiorentina, Antonio Cassano è stato espulso per aver messo una mano in faccia a Giorgio Chiellini. Tre giorni dopo, all’esordio in Champions League contro la Dinamo Kiev, in casa, è stato Philippe Mexès a farsi espellere per un fallo a gioco fermo. Innervosendo tutto lo stadio e in particolare quella persona che dalla Tribuna Monte Mario (la più costosa, dove ci sono la stampa e i posti d’onore) a fine primo tempo ha tirato una monetina all’arbitro svedese Anders Frisk, facendogli sanguinare la fronte e facendo perdere la Roma 0-3 a tavolino dopo che la partita è stata sospesa. Nella seconda metà della stagione, Totti se la prenderà di nuovo con un marcatore, Francesco Colonnese, colpendolo con un pugno durante la sconfitta con il Siena in casa (0-2) perché offeso, a suo dire, come padre e come marito, da una frase irripetibile.
Questo è il contesto in cui Daniele si procura il primo, il secondo e il terzo cartellino rosso della sua storia. Le prime tre di quindici espulsioni. Contro il Bayer Leverkusen, a ottobre 2004, ha lasciato la squadra in nove sul punteggio di 2-1, per un’entrata descritta dalla stampa come «plateale e piuttosto dura», e la partita finirà 3-1. A marzo contro il Cagliari, nell’ultima partita di Delneri, viene espulso per una specie di calcio da dietro, all’altezza del ginocchio, su Suazo che aveva appena segnato il gol del 3-0. Un fallo che per i giornali è «inutile» o addirittura «incomprensibile». Tre giorni dopo, in Coppa Italia contro la Fiorentina, si fa espellere per proteste nei tempi supplementari. In quel periodo dice che le pressioni di un calciatore sono tali che non augurerebbe al figlio (che deve ancora nascere, e sarà una figlia) di seguire le sue orme: «Tutto questo stress, questa ansia. Ne ha già abbastanza il papà a soli ventun anni...».
Insomma, che la Roma perdesse la testa, in partite difficili, soprattutto dopo aver subito più di un gol, era considerata la normalità. Ci sono sempre rigori non dati a suo favore, o rigori concessi generosamente agli avversari, e c’è sempre qualcuno con i nervi a fior di pelle pronto a peggiorare le cose. Che ogni tanto fossero Totti o De Rossi a incarnare questa specie di autolesionismo teppista, in quanto romani e romanisti, sembrava la scelta di casting più sensata. Ma quello di Totti era un nervosismo più freddo, era davvero la crudeltà di un re che si sente in diritto di punire chiunque, invece Daniele sembrava semplicemente che non riuscisse a controllarsi, che nel bene e nel male perdesse la testa facilmente.
Nel tempo i tifosi hanno localizzato questo tratto interiore di De Rossi nella vena giugulare che gli spunta sottopelle quando grida, una specie di diapason rigonfio che compare in moltissime sue foto. La vena di De Rossi, capace di prendere vita propria e di comandare il suo padrone. In un episodio di Rick & Morty, un serie animata creata nel 2013 che narra le avventure fantastiche di un nonno e un nipote, il ragazzino viene dotato di un braccio senziente, muscoloso e pieno di vene, con una propria volontà, capace di trascinarlo dietro di sé per vendicarsi degli assassini del suo precedente «proprietario»: per anni abbiamo visto De Rossi come un calciatore intelligente vittima di un incantesimo equivalente, anche lui in un certo senso costretto ad obbedire agli ordini della sua vena, che lo costringeva a dare schiaffi e pugni, a entrare a piedi pari. E nella vena di De Rossi, abbiamo rivisto le nostre, anche loro causa di molti errori. In un periodo in cui ho lavorato con un’agenzia di comunicazione di Milano, dopo una riunione accesa, in cui avevano provato a tagliare il budget a disposizione del mio progetto per ragioni non dipendenti da me o dai miei collaboratori, uno dei dirigenti si è lamentato di me con un amico che poi me lo ha raccontato. «Con i romani non si può parlare» pare abbia detto. Ma il vero punto di questo aneddoto è che, da romano, io mi sono sentito orgoglioso di quella frase.
«Sono troppo generoso, non riesco a limitarmi, a controllare la foga» diceva Daniele da ragazzo. Anche Capello aveva notato fin dall’inizio che doveva «menare di meno» mentre Christian Panucci, dopo un’ammonizione (nella stagione 2005/06) lo rimprovera davanti a tutti e poi dichiara: «Deve essere meno agitato». In quegli anni giovanili si pensava che fosse una parte del suo stile di gioco su cui lavorare, in contrasto con la serietà che mostrava in qualsiasi altro momento fuori e dentro dal campo, più avanti avremmo capito che era parte di lui e basta. Che era il modo in cui giocava e forse viveva. Qualche anno dopo nello spogliatoio della Roma, il difensore argentino Nicolás Burdisso risponderà a Claudio Ranieri, che aveva appena detto che si gioca sulla base di come ci si allena: «No, mister, si gioca come si vive». Una frase che probabilmente ha fatto solleticare la vena sul collo di De Rossi.
La vena di De Rossi finirà sulla copertina del videogioco FIFA 2009, vicina al sorriso di Ronaldinho con la maglia del Milan. Ma ci sono due foto di quella stagione 2004/05 che rendono l’idea del livello energetico, sempre vicino all’esplosione, con cui Daniele giocava e viveva fin dai primi tempi. Due foto in cui si vede anche la vena.
La prima viene dalla partita con l’Inter finita 3-3 all’Olimpico, memorabile per molte ragioni. La Roma era andata sotto 1-3 e Totti aveva accorciato con il suo centesimo gol in Serie A: un’altra punizione da lontanissimo, facendo fluttuare il pallone fino all’incrocio dei pali. Daniele nel primo tempo era entrato a forbice su Oba Oba Martins, un intervento regolare che però costringe l’attaccante dell’Inter a uscire infortunato, e a un quarto d’ora dalla fine ha segnato il 3-3. Su una sponda del difensore greco Dellas, salito in area avversaria per una punizione, e dopo un liscio in tuffo dell’attaccante egiziano Mido (famoso a Roma solo perché si diceva che molti anni prima avesse tirato un paio di forbici a Zlatan Ibrahimovic, una cosa in cui i romani potevano riconoscersi), la palla gli è arrivata sul petto e lui ha avuto la freddezza di controllarla, aspettare che gli scendesse sul piede e poi sbatterla dentro di collo. Poi Daniele si mette a correre verso la Sud, portandosi alla bocca lo stemma e alzandosi la maglia fino ai pettorali. Dellas prova a trattenerlo tirandogliela sulla schiena, all’altezza del numero 4 che indossa quell’anno. Nella foto Daniele ha la vena sul collo leggermente gonfia per il bacio, mentre Dellas gli tiene la sua maglia tra pollice e indice allungandola come un elastico. Poi De Rossi corre sotto la curva con un buco sulla schiena e sembra che si sia strappato la maglia perché l’ha baciata con troppa energia. «È la prima volta che ho baciato la maglia,» ha detto dopo «non ne bacerò un’altra».
La seconda foto invece è successiva al gol del momentaneo 2-1 contro il Brescia, a maggio. A sei partite dalla fine del campionato la Roma veniva da quella striscia di risultati negativi che l’aveva portata sull’orlo del baratro e Daniele, di testa quasi dal dischetto del calcio di rigore, anticipando una possibile rovesciata di Montella, pensa di aver realizzato un gol liberatorio. Si toglie la maglia a maniche lunghe e corre di nuovo sotto la Sud, nella foto ha il busto bianco proteso in avanti e la faccia rossa, il corpo è inclinato in diagonale come un missile, con solo la punta del piede destro che ancora tocca terra, con la vena bene in evidenza mentre Montella allunga le mani per fermarlo, afferrando il vuoto dietro di lui (chissà perché i calciatori vicini a quelli che esultano correndo hanno sempre l’istinto di placcarli). Tre minuti dopo Caracciolo riporta la partita in parità. A fine gara De Rossi dedica il gol ai tifosi «sempre eccezionali, quest’anno non ci hanno trattato male come forse ci meritavamo». Ammonito per essersi tolto la maglia dopo il gol, un’esultanza considerata eccessiva persino da Conti, Daniele salta la partita successiva con il Parma, che la Roma perde 2-1.
Con De Rossi, ma senza Totti (ancora squalificato per il pugno a Colonnese) la squadra di Conti si tranquillizza solo dopo aver pareggiato o-o il derby della settimana dopo, il derby «della paura», con la Lazio che aveva un solo punto in più. Una partita così noiosa che dopo un tentativo da lontano di Antonio Filippini finito male Giuseppe Bergomi, al commento su Sky, dice sconsolato «almeno ha provato a tirare in porta». La salvezza matematica arriva con la vittoria di Bergamo, una specie di spareggio con l’Atalanta, che poi scenderà in B. «Abbiamo cominciato ad avere paura di retrocedere un po’ tardi, ma alla fine abbiamo capito di aver rischiato» dichiara Daniele, specificando che, come professionista e come uomo, nei confronti dei compagni e della società, lui ha dato tutto, pur non avendo sempre giocato bene per colpa di problemi fisici (i maliziosi, al solito, pensavano giocasse male perché dopo aver firmato il nuovo contratto si era rilassato).
In qualche modo, grazie alla strana classifica cortissima, la Roma riesce a qualificarsi per la Coppa UEFA vincendo solo una delle ultime tredici partite di campionato. Bruno Conti, che in quell’unica stagione da allenatore ha vinto due partite in tutto, è riuscito anche a portare la squadra in finale di Coppa Italia. De Rossi non gioca l’andata con l’Inter, perché squalificato, e la Roma perde 2-0 all’Olimpico; torna in campo per il ritorno a San Siro e la Roma, senza gioco e senza grinta, dicono i giornali, perde 1-0.
Un’altra finale persa. Ma Daniele pensa che sia stato un bene, perché in ogni caso dopo una stagione del genere non sarebbe stato giusto finire con un trofeo.