Il pugile italiano Daniele Scardina (18-0, 14 KO) affronterà venerdì 26 febbraio lo spagnolo Cesar Nunez (17-2-1) per il Titolo EBU dell’Unione Europea, in questo momento vacante. Il loro incontro sarà il main event dell’appuntamento organizzato all’Allianz Cloud di Milano da Opi Since ’82, Matchroom Boxing e DAZN, che lo trasmetterà sulla propria piattaforma.
In caso di vittoria Scardina avrebbe le carte in regola per sfidare il campione d’Europa e raggiungere così un importante punto di svolta della sua carriera, lanciandosi nella boxe che conta. Detto “King Toretto”, Scardina è un pugile piuttosto conosciuto anche fuori dal mondo della boxe, come raramente accade per i pugili di casa nostra. È molto seguito sui social e ha un contratto di sponsorizzazione con Puma, recentemente ha anche partecipato al programma televisivo Ballando con le stelle. Tuttavia questo non deve distogliere l'attenzione da Scardina come atleta, un professionista esemplare che sta per affrontare una prova fondamentale. Lo abbiamo intervistato alla vigilia del match con Nunez, in una chiacchierata che è partita dalla boxe ma che ha finito per allargarsi a più temi. Ciò che emerge con più forza è la sua mentalità, la sua dimensione quasi spirituale. È una di quelle personalità che, probabilmente, solo discipline complesse, a tratti contraddittorie e connesse con la natura umana in modo profondo come gli sport da combattimento, possono regalare.
Hai svolto il camp a Miami, alla 5th Street Gym, la tua palestra di appartenenza. Come lo hai organizzato?
Qua in Florida la situazione legata al Covid è molto tranquilla, è tutto aperto, per cui non ho avuto problemi per allenarmi. Ho svolto il training camp con Anthony Dirrell, ex campione WBC, e con altri pugili, tra cui un russo fortissimo che mi ha fatto da sparring partner. Sono molto soddisfatto della preparazione.
A dicembre, prima di arrivare in America, hai fatto una tappa obbligata a Santo Domingo.
Sì, mi sono dovuto fermare in Repubblica Dominicana per due settimane perché l’Italia in quel momento era nella black list americana dei Paesi a maggior rischio contagio. Quindi, per entrare negli Stati Uniti, era richiesto di effettuare un periodo di quarantena in una nazione considerata “safe”.
Mi ricordo una Instagram Story di quei giorni in cui ti si vedeva intento a donare diverse paia di guantoni da boxe ad alcuni ragazzi di strada, in una palestra locale.
Ho voluto fare quel gesto, insieme a un mio amico, perché gli abitanti del luogo non hanno davvero nulla. Vivono di sogni, ma poi materialmente non sono dotati dei mezzi per realizzarli. Così ci abbiamo pensato noi. Con mia cognata, che è dominicana, abbiamo creato un’associazione che fa volontariato, regala vestiti, raccoglie donazioni per persone bisognose di Santo Domingo, un posto dove un pacco di riso significa speranza.
Quindi hai un legame profondo con quella realtà.
Sì, la frequento da anni, è dove ho mosso i primi passi da pugile professionista. Però il mio scopo, in generale, è riuscire ad aiutare il più possibile chi è in difficoltà, non solo in quel Paese. A marzo vorrei andare in Africa, se la pandemia me lo permetterà. Donare qualcosa, fare un piccolo gesto, a me riempie di gioia.
Una borsa per l’allenamento in palestra che costa 20 euro, piuttosto che un piatto di pasta, a me non fa la differenza, ma per altre persone è come un miraggio. Durante il primo lockdown ho aiutato diverse famiglie di Rozzano, dove sono nato e cresciuto, regalando generi alimentari di prima necessità. È un aiuto concreto, semplice, che però significa molto per tanta gente.
Peraltro, tornando al Centro America, si parla di Paesi che hanno una grande storia e tradizione pugilistica.
Infatti, i giovani pugili che ho incontrato durante il mio soggiorno hanno molta fame di rivalsa, voglia di sacrificarsi, ma vivono in un contesto ricco di ostacoli. Quelli che ce la fanno sono davvero pochi, per quanto possano esserci tanti ragazzi talentuosi. Però non smettono mai di provarci, e questa è una grande lezione. Comunque, a Santo Domingo ho svolto il pre-camp, mi allenavo ogni giorno, spesso in spiaggia, e cominciavo a stare attento all’alimentazione.
Sei inattivo da più di un anno. Una lontananza così prolungata dal ring non ti preoccupa?
Mi manca talmente tanto combattere che non sto pensando al resto. Sono focalizzato sull’arrivare pronto al match, tagliare il peso, fare la successiva ricarica al meglio, e finalmente tornare sul quadrato. L’anno scorso è stato surreale per tutti, quindi è come se non lo contassi. Poi sì, è passato tanto tempo dall’ultimo incontro, dovrò scaldare i motori. Ma ho talmente tanta voglia di vincere e di regalare spettacolo, che non faccio caso a questo aspetto. Anche perché qui ho fatto sparring davvero duri con pugili temibili.
Il tuo avversario è un atleta di esperienza, che però ha sempre perso fuori dalla Spagna. Infatti, appena ha alzato l’asticella durante il suo percorso sportivo, Nunez ha subìto due sconfitte per TKO. Cosa pensi di lui tecnicamente e che tipologia di incontro ti aspetti?
È un pugile tosto, che sa come assorbire colpi duri e stare sul ring, con tante battaglie alle spalle. Verrà a Milano per dare il suo meglio, è una grande occasione per lui. A livello tecnico, come ti accennavo, è un duro, mi aspetto una guerra sul ring. Ci siamo preparati per questo, mostrerò abilità nuove che ho messo a punto recentemente.
Mi sembra che Nunez sia un pugile non particolarmente dotato, ma insidioso: tende sempre ad avanzare per chiudere la distanza, e, come dicevi anche tu, ha un buon mento. La sua arma più pericolosa è il gancio destro. Concordi con questa analisi? Su cosa credi che Nunez possa andare in difficoltà?
Sono d’accordo, è esattamente quello che abbiamo visto anche noi studiandolo. Cercherò di lavorare con il mio stile, mostrando la boxe che mi caratterizza, quindi l’uso del jab, doppiando i colpi e portandoli internamente, perché ho notato che Nunez apre la guardia quando si avvicina all’avversario.
Ha un’impostazione piuttosto insolita, quasi scorbutica.
Sono pugili difficili da affrontare, perché si abbassano molto e colpiscono da traiettorie imprevedibili. È stato lo stesso contro Achergui nel mio ultimo match (era il 25 ottobre 2019, nda). Usava ganci molto larghi, teneva il baricentro basso, infatti facevo fatica a colpirlo al busto, boxavo con il jab cercandogli il viso. A me piacciono le combinazioni, ma vedremo sul ring quale sarà la via migliore per vincere.
Con Achergui hai dato prova di maturità quando lo hai atterrato al secondo round, ma poi hai capito che non sarebbe andato knockout, gestendolo fino al verdetto dei giudici.
Mi sono accorto subito che aveva reagito bene al knockdown, riuscendo a ricaricare le energie. Era un pugile pericoloso, difficile da inquadrare, per cui ho preferito essere efficace nel modo giusto, gestendo la distanza, muovendomi fuori dalla portata dei suoi colpi, usando il jab, senza rischiare.
Scardina in azione contro Ilias Achergui (Warrior of Creativity/Maurizio Pavone).
Credi che per te, contro Nunez, sarà un match di rodaggio in vista di traguardi più ambiziosi, dato che spesso hai parlato del titolo mondiale?
Ragiono step by step, ogni incontro lo considero importantissimo. Mentalmente affronto i match come se ogni volta che salgo sul ring ci sia in palio la cintura più prestigiosa tra tutte. Passo dopo passo si vedrà cosa mi riserva il futuro. Ma resto con i piedi per terra, concentrato sul presente.
Ti vedremo ancora difendere l’IBF International?
Non penso, con una vittoria e due difese all’attivo direi che posso guardare oltre. Adesso voglio l’EBU dell’Unione Europea, poi chi lo sa.
Quest’estate, tornato dalla Sardegna, hai affrontato un nemico invisibile, il Covid-19.
Sì. A livello fisico l’ho percepito, perché mi sentivo strano, diverso, debole. Dal punto di vista psicologico è stata una situazione particolare. Però poi ho capito che avrei potuto sfruttare quel momento di solitudine, dovuto all’isolamento, per ricaricare le energie. Nel periodo buio ho voluto trovare la luce.
Perché un pugile a Ballando con le stelle?
Mi piace stare sotto i riflettori e le luci del mondo dello spettacolo. Il programma mi ha proposto di partecipare, e inizialmente ero titubante. Ma mi sono informato e ho realizzato che poteva essere un’esperienza positiva e interessante per me, per il mio percorso. Ormai essere uno sportivo richiede anche di sapersi creare un personaggio mediatico, occorre adattarsi. Tra l’altro Floyd Mayweather ha partecipato all’edizione americana in pieno camp di preparazione a un match. Mi sono detto: se l’ha fatto uno tra i pugili migliori al mondo, perché non dovrei farlo io?
Warrior of Creativity/Maurizio Pavone.
Come hai vissuto quell’esperienza e cosa hai imparato?
È stato fantastico, e anche piuttosto impegnativo. Non parliamo di un reality show, ma di un programma in cui devi fare quattro ore di prove al giorno per riuscire a eseguire i balli che ti assegnano. Mi sono reso ancora più conto che davanti a ogni difficoltà bisogna perseverare, insistere, e mai mollare. Pure quando l’ostacolo sembra insormontabile, il duro lavoro paga.
A cosa ti riferisci?
Quando dovevo iniziare le prove per una tipologia di ballo che non conoscevo, come il valzer, che è uno stile completamente opposto a ciò che sono io, credevo di non farcela a imparare i passi. Mi sentivo un incapace durante le prime prove. Ma poi, tempo al tempo, con l’applicazione e l’allenamento sono riuscito a ballare tutto quello che mi è stato assegnato. Anche la dimensione di coppia tipica del ballo è stata istruttiva, mi ha insegnato a fidarmi ciecamente della mia partner, a cui ti devi abbandonare completamente in alcune fasi.
Sei anche arrivato in finale.
Sì, mi sono classificato quarto perché ho scelto di sfidare quello che poi è diventato il campione. Sono stato leale, con la mia mentalità competitiva, da atleta, ho voluto confrontarmi con il più bravo per mettermi alla prova. È stata comunque una vittoria morale e personale.
Nel pugilato, a livello di movimenti e footwork, c’è qualcosa che riprende il ballo.
Parecchio. Infatti durante il programma mi è servita tantissimo l’impostazione da pugile a livello di equilibrio, gioco di gambe, capacità di movimento, e ho anche imparato tanto a mia volta. Qualcosa mi tornerà utile anche sul ring, ne sono sicuro.
Warrior of Creativity/Maurizio Pavone.
Secondo te sei riuscito a conquistare nuovi fan che ti seguiranno anche nella tua carriera oppure il pubblico della TV generalista è troppo diverso da chi potrebbe essere interessato alla boxe?
Ho scelto di andare in televisione per celebrare la mia diversità. Mi sento diverso rispetto alla norma perché sono un ragazzo di periferia, tatuato, che può avere un aspetto ingannevole, addirittura ostile per chi non mi conosce. Ma volevo dimostrare a tutti chi sono davvero, e soprattutto che non è mai giusto giudicare il libro dalla copertina, bisogna leggerlo. Tante persone si sono ricredute sul mio conto, dopo aver notato la mia autentica personalità. Ballando con le stelle mi ha dato l’occasione di spiegare i princìpi a cui mi ispiro nella vita quotidiana, la vera natura della boxe, la fede in Dio. Per cui sono convinto che chi mi ha conosciuto in TV, mi seguirà anche quando combatto.
Di recente hai dichiarato di voler portare sul ring personaggi del mondo dello spettacolo e dello sport, a scopo benefico. Hai nominato addirittura l’attaccante dell’Inter Romelu Lukaku. Quanto è realizzabile questo progetto, in generale?
Dopo il mio match cercherò di rendere concreta questa idea. Voglio introdurre al mondo del pugilato personalità pubbliche e VIP per creare uno show in cui sport e divertimento viaggiano sugli stessi binari. Alcuni di loro si allenano già a livello amatoriale. L’obiettivo, oltre alla beneficienza, consiste nel cercare di avvicinare nuovo pubblico alla boxe.
Sono convinto che l’unione faccia la forza, coinvolgere persone provenienti da diversi ambiti è molto importante. A bordo ring durante i miei incontri ci sono rapper, calciatori, attori, eccetera. Adesso vorrei che anche loro salissero sul quadrato, per un’esibizione in completa sicurezza.
Restando su questo tema, ti abbiamo visto sui social in foto e video insieme allo Youtuber americano Jake Paul, che recentemente si è dato al pugilato professionistico. Suo fratello Logan Paul, anche lui star di Youtube, a breve sfiderà addirittura Floyd Mayweather. Tu, da pugile, come giudichi queste ibridazioni tra sport e intrattenimento?
Per essere un vero professionista sul ring c’è tanta strada da fare. Questi personaggi hanno una forza mediatica tale che gli permette di bruciare le tappe e arrivare da subito su palcoscenici importanti. Non esiste gavetta per loro, è un percorso molto differente da quello abituale.
Però, finché questi eventi permettono di attirare spettatori, potenziali nuovi fan della boxe, che un domani potranno essere anche miei sostenitori, non mi sento di condannarli. Anzi, sono favorevole. Ma chiunque si cimenti nella nobile arte deve stare attento a fare un passo alla volta, sia perché il pugilato è pur sempre uno sport pericoloso, dove non ci si improvvisa, sia per rispetto della disciplina e dei sacrifici che ci sono dietro a ogni atleta.