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Danilo Belluardo è l'ultima sorpresa dell'UFC
30 mag 2019
Intervista a Danilo Belluardo, che diventerà il sesto italiano in UFC.
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5 min
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Danilo Belluardo (12-3) esordisce questo sabato in UFC contro Joel Alvarez (15 vittorie, 2 sconfitte), nella categoria dei Pesi Leggeri. Belluardo, 24 anni, viene da 6 vittorie consecutive. In passato ha combattuto anche in Bellator ma non è stato fortunato. Il suo avversario, invece, viene da una sconfitta all'esordio in UFC, ma prima di quella veniva da 10 vittorie consecutive, tutte per sottomissione tranne una per KO tecnico. Belluardo diventa così il sesto italiano in UFC (l'ultimo dopo Amedovski, che però ha perso il suo ultimo incontro contro Jotko) e la sua chiamata ha destato sorpresa nel mondo, sempre più in crescita, delle MMA italiane.

Tu sei siciliano, di Trapani, ma ti sei trasferito. Da quanto tempo sei via dalla Sicilia? Che rapporti hai con l’isola? Ci torni spesso?

Io sono nato in Sicilia. Tutti i miei parenti, i miei genitori sono siciliani; per motivi di lavoro, quando sono nato io ci siamo trasferiti a Milano. Scendo ogni anno, mia madre vive lì, io vengo ogni estate e mi alleno da Davide Cialona. Ora sto cercando di organizzare qualche stage a seguito del match.

Com’è iniziato il tuo percorso nelle MMA? Da che sport arrivi?

Da bambino facevo Jeet Kune Do, hai presente? Mi ha iniziato mio padre, che era un praticante, poi all’età di 10 anni più o meno, facciamo 11, mio padre mi affidò a Filippo Stabile, che ancora oggi è il mio coach. Diciamo che mio padre sapeva di essere arrivato al limite, che poteva darmi fino ad un certo punto. Filippo ogni tanto scende in Sicilia e ci alleniamo anche lì, dove vive mio fratello Valerio, appassionato di bodybuilding.

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Un passo alla volta, un pugno alla volta, una ripresa alla volta, sono arrivato fino in #UFC. E questo è solo l’inizio! 🚜🇮🇹 #fighter #mmafighter #ufcsweden #mma #caterpillar #teamiridium #ufcfighter

A post shared by Danilo Belluardo | UFC Fighter (@danilobelluardo) on May 28, 2019 at 11:52am PDT

La tua è un'altra storia di dedizione quasi assoluta allo sport e grande fiducia in te stesso, sui social hai raccontato che all'inizio non uscivi la sera per pagarti la palestra. Come ti hanno cambiato queste rinunce, ti hanno reso anche un ragazzo arrabbiato, affamato?

Sì. Ti dirò, ho sempre creduto che per arrivare al mio obiettivo, al mio sogno, bisognava fare un sacco di sacrifici. Fra questi, ad esempio, c’era l'impossibilità di lavorare, perché dovevo allenarmi due volte al giorno. Lavorando otto ore riuscivo ad allenarmi solo una volta, e anche male, quindi ho dovuto rinunciare anche a quello: a 18 anni i miei amici si facevano la macchina nuova, io invece credevo nel mio sogno, non lavoravo ma mi allenavo in ogni momento. Ne è valsa la pena, perché oggi sono in UFC, tutti i sacrifici mi hanno ripagato.

E oggi qual è l’emozione che più alimenta la tua voglia di combattere?

Più che emozione, è la voglia di essere ricordato. Ma non solo in Italia, nel mondo. Voglio essere un’ispirazione.

Qualcuno ha storto il naso quando ha letto della tua chiamata in UFC, anche perché da dilettante hai avuto un po’ di sfortuna. Poi però, dopo aver cominciato a combattere tra i professionisti, ti sei costruito un record invidiabile (12-3): cos’è cambiato?

Vedi, da ragazzino ero un po’ una testa di cazzo. Mi mettevo sempre nei casini. Serate, alcool, una vita sregolata. Ci sta, lo rifarei altre mille volte, anche quello mi ha portato qui. Ma non avevo la testa che ho adesso: ora mi dedico tutto il giorno a questo, e se non mi alleno sono a casa a guardare match di MMA, o a parlare con qualcuno di MMA. Ho una missione.

Anche il tuo esordio in Bellator, ormai tre anni fa, è andato male, con la sconfitta contro A.J. “Mercenary” McKee (KO tecnico al primo round). Però hai detto anche che in quel periodo avevi problemi fuori dal ring… ti va di descrivermi un po’ quel periodo per farti conoscere meglio da chi ci legge?

Sì, ti racconto volentieri. Allora ero praticamente in mezzo alla strada, sempre in mezzo ai casini. Capita una rissa abbastanza pesante in un bar ed in mezzo alla rissa è scappata una cazzata: uno di noi tirò via il portafogli ad uno dei tizi con cui stavamo litigando, ma per dispetto, non per fregargli i soldi in sé. Non fu un atto di bullismo, non era come tirar via gli occhiali ad un ragazzino. C’erano dentro cinque euro, ma a noi andò davvero male: ci hanno dato rapina aggravata, a me, mio fratello ed altri amici.

Io dovevo combattere in Bellator, sapevo di dover guadagnare una bella borsa, riuscii a prendere un avvocato di fiducia, mentre mio fratello non poté pagarsi un avvocato e quello d’ufficio non riuscì a difenderlo decentemente. Per una cazzata del genere mio fratello si è preso due anni e otto mesi di carcere. A me toccarono tre settimane di domiciliari, con l’obbligo di firma per i quattro mesi successivi. In quel periodo abitavo con mio fratello, non vederlo più da un giorno all’altro fu davvero traumatico, una bella batosta. Non avevo più la testa, ero molto demoralizzato. Tre settimane ai domiciliari, senza allenarmi. Il taglio del peso era drastico, più delle altre volte, avrei combattuto nei Pesi Piuma (-66 kg), non la mia categoria di peso (quella dei Leggeri -70 ndr). È andata così.

Quando mio fratello venne scarcerato, poco dopo avrei dovuto combattere contro Luka Jelcic per il titolo FFC (dicembre 2016 ndr). Neanche a dirlo, arrivò la condanna definitiva per mio fratello. Un’altra mazzata. Ho saputo che mio fratello avrebbe dovuto farsi due anni e otto mesi. È stato un bel periodo di merda. Qualche mese fa, per la stessa storia, mi hanno condannato a tre anni e quattro mesi, ma ho fatto appello: nei video è chiaro che io separo la gente, non ho alzato una mano. Non mi crederai, ma ero lì in mezzo per separare. Ci sono le riprese, con il mio avvocato abbiamo fatto appello perché non può esistere una roba del genere.

E in tutto questo lungo periodo difficile non ha mai pensato di dover lasciar perdere con le MMA?

Ma sì, mentirei dicendo il contrario. In quel periodo oltretutto i miei genitori si sono separati, io e mio fratello non lavoravamo, ci hanno lasciato la casa e da un giorno ci è arrivato l’avviso di sfratto. Ci ho pensato a mollare, ma il giorno dopo ero in palestra ad allenarmi. È stata più forte la voglia di continuare.

Molti non si spiegano la tua chiamata in UFC. Cosa pensi sia stato decisivo per convincere la più grande promotion al mondo?

Be' il mio manager americano, Jason House, ha sotto contratto 20 atleti in UFC. Ero molto motivato da questo fatto e sapevo che vincendo sarei arrivato in UFC. Forse è brutto da dire, ma per me era scontato che dopo una serie di vittorie e battendo avversari tosti ci sarei arrivato. Sarò sincero, senza nulla togliere a nessuno, ma il mondo del management italiano e quello americano sono completamente diversi. Ti faccio un esempio: Stefano Paternò è molto forte, ha battuto anche ex fighter UFC, ma ancora non è entrato. Alen Amedovski invece ha messo su 8 vittorie per TKO, due delle quali in Bellator, ed è stato chiamato in UFC. E i due fanno parte dello stesso management.

Stefano purtroppo ha avuto palchi meno importanti, poi in Cage Warriors gli hanno dato avversari tosti, l’ultimo Ross Houston, contro il quale non è riuscito a vincere, e forse per questo non è riuscito ad entrare in UFC. Fosse stato sotto un management americano, magari sarebbe entrato anche così. C’è anche da dire che il suo manager, Alex Dandi, dopo essere riuscito a piazzare Amedovski adesso probabilmente ha più presa e potrà far meglio, portando magari altri italiani in UFC.

Tu a un certo punto hai deciso di andare in America ad allenarti. Quali sono le differenze maggiori che hai trovato fra i team italiani e quelli americani, nel tuo caso il team Alpha Male? Qual è il gap da colmare?

Allora, il problema principale dell’Italia è la carenza di professionisti. Non è colpa delle palestre, con le MMA in Italia non ci si campa e quindi il professionismo si evolve meno. Se mancano i professionisti, manca la gente con cui allenarsi. Mi ha intervistato un giornalista per i canali UFC, l’altro giorno, e mi ha sorpreso una domanda che mi ha posto: mi ha chiesto che lavoro facessi prima di iniziare con le MMA. Perché per loro le MMA sono un lavoro a tutti gli effetti. Mi è caduto un po’ il mondo addosso, pensa che mentalità: per loro un fighter di MMA è un professionista a tutti gli effetti, vive per quello, guadagna. Cosa che qui non esiste.

In America entro in palestra e c’è un team di professionisti con cui allenarsi. Quando mi alleno da Filippo, devo allenarmi con dilettanti o principianti perché sono l’unico pro. Sono sempre in giro, Milano, Roma, Trieste, una sfacchinata, sempre in macchina. In UFC chi continua a fare altri lavori è un’eccezione: Miocic ad esempio, il vigile del fuoco lo fa per aiutare le persone. Chi combatte in UFC, Bellator, ONE Championship - che sono le uniche tre degne di nota a livello mondiale secondo me - anche se è un fighter mediocre guadagna sui 30mila euro a match. Un atleta può non lavorare, e credo che a questi livelli bisognerebbe fare solo quello, dedicarcisi appieno.

Io adesso la sto mettendo giù così: se avessi i soldi, mi pagherei il pugile, per dire, più forte e mi farei allenare da lui. Se va bene, porto Khabib e mi faccio allenare da lui per migliorare il wrestling. Io ho una visione particolare, ho sempre pensato in grande. Finora mi ha portato buoni risultati e continuerò ad avere questa mentalità, anche in ottica UFC.

Secondo te avremo mai un evento UFC in Italia?

L’ho detto anche in un’altra intervista: secondo me UFC sta prendendo talenti italiani per farli crescere. Quando un italiano farà bene, entrerà nel giro titolato, UFC verrà in Italia. Finché gli italiani un po’ vincono e un po’ perdono, rimarranno lì. Non possono rischiare di venire qui e ritrovarsi con tre persone agli eventi.

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Nel caso qualcuno se lo fosse dimenticato in mia assenza, #Milano è la mia città e qui comando io. Finti g, a cuccia. Sono tornato 👑🔥 #ufc #ufcfighter #mma #mmafighter #gunsfromitaly #caterpillar #teamiridium

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Tra gli alteti con cui ti sei allenato chi ti ha impressionato maggiormente?

A 155 libbre, la mia categoria, non ti nascondo che credo di essere il migliore in Italia. Poi per altri sarà diverso, ma i risultati parlano. In America impari anche dal livello più basso. Anche in Italia eh, ma meno, noi siamo molto indietro e questa cosa mi dà un fastidio allucinante. Il mio obiettivo, finito di combattere, è aprire una palestra qui in Italia.

Chi è stato il tuo idolo, chi ti ha avvicinato più al mondo delle MMA?

In Italia ti direi Alessio Sakara, che era il mio mito da ragazzino. È stato il primo ad entrare stabilmente in UFC e mi ha sempre emozionato.

Apprezzi qualcun altro?

Marvin Vettori è molto forte, farà grandi cose e secondo me, ti dirò, prenderà fra non molto la cintura UFC.

Hai un management italiano, Superbia di Luigi Perillo, e poi uno americano, di cui hai parlato prima. Come ti trovi con questo sistema?

Superbia cura la parte dell’immagine e degli sponsor, Iridium Sports Agency invece, nella persona di Jason House, cura la parte dei match. Decidiamo insieme gli incontri e tutto ciò che ne segue.

Cosa pensi del tuo prossimo avversario, Joel Alvarez?

Ho guardato i suoi match, ha 15 vittorie, tutte per sottomissione (solo una per TKO, ndr). Io sono uno che indaga molto ed ho guardato anche su Sherdog la qualità dei suoi avversari: non erano né al mio livello e nemmeno al suo. Il suo record è costruito in Spagna, nei suoi eventi. L’avversario più forte che ha battuto è secondo me Maxim Radu, che non considero forte, ma è stato il più forte dei suoi avversari. Insomma, per me Alvarez non è fortissimo, poi per carità posso anche perdere, nelle MMA non si sa mai, ma io sono convinto di poterlo battere.

Senza nulla togliere a lui, che è bravo, ha un buon jiu-jitsu, ma in America ho fatto sparring con gente molto più forte. Sono stramotivato, super gasato e consapevole dei miei mezzi, di chi sono. So ciò che posso fare e so cosa farò. Qualsiasi cosa succeda, vittoria o sconfitta, passi un anno, due, non voglio far pronostici, ma sono sicuro che diventerò campione.

Non faccio neanche un passo indietro.

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